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Autore: pensamiancora    29/12/2013    0 recensioni
Tu stavi lì a progettare il nostro futuro ed io progettavo il nostro addio. Era contorto, era da me. Restare insieme era troppo difficile e quindi il massimo che riuscivo a fare era dirti il nome delle donne da cui saresti andato dopo di me, a dirti cosa avrebbero potuto darti loro. Era un tarlo, un pensiero costante, e non me ne liberavo. E mi destreggiavo tra il bisogno di perderti e la paura di non averti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E sorridevi e sapevi sorridere, coi tuoi vent'anni portati così,
come si porta un maglione sformato su un paio di jeans...

Mi ripetevi sempre che il sorriso più bello ce l'avevo io, perché era il più vero e spontaneo che avessi mai visto. "Tu sai come si sorride", dicevi, ed io non ne capivo il senso. Allora, ridendo, chiedevo "da quando esiste un modo?". Tu mi attiravi a te e mi dicevi "sei bellissima" ed io quasi mi sentivo bella davvero.

Come si sente la voglia di vivere, che scoppia un giorno e non spieghi il perché:
un pensiero cullato, un amore che è nato e non sai che cos'è...

Certe volte mi giravo verso di te e rimanevo a fissarti. "A cosa stai pensando?", mi chiedevi, ed io scuotevo la testa e non rispondevo, perché davvero non sapevo cosa dire. In realtà pensavo alla voglia di vivere che mi avevi trasmesso, all'amore che avevo del pericolo da quando ti conoscevo. Pensavo che avrei voluto (e dovuto) trovare un nome a ciò che ci legava, ma non ci riusivo, perché 'amore' non andava bene, era troppo banale.

Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani...

Le giornate con te erano strane. Il tempo scorreva veloce, velocissimo, e in un batter d'occhio era già ora di tornare; ma una volta arrivata a casa era come se avessi passato con te non una giornata, ma una vita. Mi sembrava di conoscerti da sempre, di sapere a memoria i lineamenti del tuo volto, i tuoi modi di fare, i tuoi modi di dire. Riuscivo già a distinguere le varie espressioni del tuo viso, a capire quando qualcosa non andava, a darti un bacio prima che tu me lo chiedessi. Eri per me un libro aperto, eppure ti conoscevo così poco, amore.

Giorni a chiedersi tutto cos'era, vedersi ogni sera...
Ogni sera passare su a prenderti, con quel mio buffo montone orientale,
ogni sera là, a passo di danza, a salire le scale...

Non sapevo nulla di noi. Non sapevo quanto avremmo retto, fino a che punto saremmo arrivati, se ci saremmo amati più di così o se avremmo smesso all'improvviso. Ma la mattina mi svegliavo e mi sentivo felice, forse perché c'eri tu nella mia vita, o forse perché pensavo già alla sera, a quando ci saremmo visti. E mentre ci pensavo ti sentivo, sentivo il rumore dei tuoi passi. Sentivo che mi stavi venendo a prendere.

E sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore,
quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore.

Poi arrivava la sera e i tuoi passi li sentivo sul serio. Sentivo il tuo buonumore, il tuo respiro, la tua allegria. Ti guardavo e non sapevo più in che modo sorridere, non sapevo in che modo dimostrare la mia gratitudine.
Mi davi la gioia - non c'è altro modo per descrivere quello che mi facevi.

Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova;
era tanto potere parlarci, giocare a guardarci,
fra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino,
religione del tirare tardi e aspettare mattino...

Poi ti incontravo per la città. Ti fissavo e in un secondo, come preso da una scossa, come se avessi sentito il mio sguardo addosso, ti giravi verso di me. I nostri occhi si incrociavano e il mondo si colorava. Ci guardavamo e giocavamo con quegli sguardi. Urlavamo, senza mai parlare, e la gente nemmeno se ne accorgeva.

E una notte lasciasti portarti via, solo la nebbia e noi due in sentinella,
la città addormentata non era mai stata così tanto bella...

Quando si faceva buio tu mi accompagnavi a casa. Mi prendevi per mano e la lasciavi solo una volta arrivati all'uscio, dandomi un bacio a fior di labbra, veloce, velocissimo. Mentre camminavo mano nella mano con te il mondo mi sembrava più bello, più dolce, meno cattivo. E la città era bellissima, addormentata e silenziosa. E c'eravamo noi due, sempre e solo noi due, in quella bolla che non scoppiava mai, nonostante tutto.

Era facile vivere allora ogni ora,
chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci.
E ogni notte inventarci una fantasia, da bravi figli dell'epoca nuova,
ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova...

Il tempo non esisteva allora, amore, e so che tu lo ricordi bene. Ero arrivata a pensare che non esistesse un limite, che non esistessero le ore, i minuti, i secondi. Non c'erano gli impegni, non c'erano sveglie che suonavano. Era facile godersi ogni ora, allora, no?

Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo,
ci sembrava d'avere trovato la chiave segreta del mondo.

Non fu facile rendermi conto di essermi innamorata di te. Non fu facile nemmeno ammetterlo. Ma quando poi lo capii, allora mi fu chiaro tutto. Era come se il mondo fosse cambiato all'improvviso, come se avessi trovato una soluzione al male e al dolore. Come se avessi trovato in te la fuga e l'evasione. Come se avessi trovato la chiave.

Non fu facile volersi bene, restare assieme,
o pensare d'avere un domani e stare lontani.
Tutti e due a immaginarsi "con chi sarà?",
in ogni cosa un pensiero costante,
un ricordo lucente e durissimo come il diamante.

Ti amavo ed ero riuscita ad ammetterlo, sì.
Ma rimanerti accanto non fu facile. Lo era, dopotutto, e tu me lo dicevi, ma io non volevo capire. Mi ripetevi: perché devi complicare tutto? Ed io ti rispondevo che ero fatta così e che se fossi riuscita a rispondere a quella domanda avrei risolto tutti i problemi della mia vita. Tu stavi lì a progettare il nostro futuro ed io progettavo il nostro addio. Era contorto, era da me. Restare insieme era troppo difficile e quindi il massimo che riuscivo a fare era dirti il nome delle donne da cui saresti andato dopo di me, a dirti cosa avrebbero potuto darti loro. Era un tarlo, un pensiero costante, e non me ne liberavo. E mi destreggiavo tra il bisogno di perderti e la paura di non averti.

E a ogni passo lasciare portarci via da un'emozione non piena, non colta;
rivedersi era come rinascere ancora una volta.

Non ero brava a spiegarti le mie sensazioni.
Quando mi chiedevi cosa c'era io non rispondevo, rimanevo muta, in silenzio, nel vano tentativo di trovare le parole, e poi non le trovavo mai. Avevo troppe cose da dirti, ma preferivo lasciarle morire dentro me, perché tanto non ci sarei riuscita.
E non ero brava nemmeno a spiegarti cosa provavo ogni volta che ti vedevo.
Ma ora, forse, con l'aiuto di qualcuno, di una canzone, te lo potrei dire: rinascevo.

Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione,
e il peccato fu creder speciale una storia normale.
Ora il tempo ci usura e ci stritola, in ogni giorno che passa correndo,
sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo.
E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa;
siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa.

A volte mi sento soffocare, sai?
Sento il tempo che stringe, stritola, soffoca. Il tempo ci distrae, ci allontana, ci guarda, ci scruta, forse ogni tanto ride anche, beffardo. Ma poi riesco a liberarmene.
A volte mi è anche capitato di pensare che fossimo solo foglie e che stessimo solo aspettando di cadere; a volte c'ho pensato, sai, e il cuore ha smesso di battere per un po'; ma poi me ne sono liberata.
Poi ho capito che noi siam più forti. Più forti del tempo, delle circostanze. Ho capito che siamo stati eroi e ho capito che lo saremo sempre, fin quando saremo noi.

Farewell, non pensarci
e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate
con qualcosa di fragile come le storie passate...

Amore, scusami. Lo so che non ti piace, ma sai anche che sono una nostalgica, che sono romantica, che vivo nel passato e che il futuro mi spaventa. Lo sai che il passato mi sembra sempre di gran lunga migliore, che lo guardo sempre con rispetto e nostalgia. Scusa, ma ogni tanto ho bisogno di parlare del passato e di piangere un po'.
 

L'importante è che tu pianga e rida con me per sempre.



Forse capirete meglio il racconto - e soprattutto il finale - leggendo il testo di "Farewell" di Francesco Guccini.
(Quasi tutte le strofe sono riportate qui, eccetto l'ultima, che ho modificato.)
In ogni caso, non capirete bene comunque: certe cose le potrei capire solo io (e nemmeno!), ma in fondo è giusto così.
Un bacio!

  
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