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Autore: Sophie_Lager    03/01/2014    2 recensioni
«Non voglio farti del male.» Mi assicura, facendo un passo indietro, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Come fai a sapere che ho paura di te?» Sussurro, immobile. I miei muscoli sono rigidi, pronti a scattare.
«Uno sconosciuto ti trova in un vicolo, di notte, e ti porta qui senza chiederti il permesso. Tu che cosa faresti?» Risponde, stringendosi nelle spalle.
Ha una voce bassa, roca e calda. Tranquilla.
«Inoltre,» aggiunge, dopo poco, come se non fosse sicuro di volerlo dire. «Hai i battiti accelerati.»
Ho i battiti accelerati?
La mia mano si appoggia sul cuore, mentre i miei occhi non lasciano la figura di quell'essere.
E' vero. Ho i battiti accelerati.
«Come…?» Inizio. Ma mi fermo subito. Non è questa la cosa più importante.
«Chi sei tu?»
Lui esita per qualche secondo: «Mi chiamo Ryan. Sono un medico.»
«Tu sei un militare.» Ribatto, notando la medaglietta al suo collo. Perché mi sta mentendo?
«E tu un detective, giusto.» Sussurra, più a se stesso che a me.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Oh cavolo. La mia testa.

Sposto pigramente le mani sulle tempie e premo forte.

Poi con un altro movimento svogliato porto la mano sulla sveglia e la quieto. Quella dannata sveglia. Mi farà andare fuori di testa, un giorno. Ne sono sicura.

Mi alzo dal letto, e vedo i miei jeans. Addosso. 

Non mi sono cambiata ieri sera?

Oh.

Merda.

Ieri sera.

Il mio respiro accelera. Ieri sera. Ieri sera. Che cosa è successo ieri sera? 

Mi torna tutto in mente con un rapido, doloroso flash.

Il lavoro. L'aperitivo. I miei rapitori. L'allarme. La siringa. La bestia.

La bestia.

E' l'ultima cosa che ricordo. Quell'uomo -se così si può chiamare-  che mi prende tra le sue braccia dopo aver massacrato ogni persona in quell'edificio. E che mi dice che sono al sicuro.

E ora eccomi qui. Sono al sicuro.

Con la mano cerco il segno della siringa sul braccio. Non appena appoggio le dita sulla pelle, una fitta mi colpisce all'improvviso. Quella roba non è riuscita ad entrarmi del tutto in circolo, ma qualunque cosa fosse sicuramente non doveva farmi del bene. 

E adesso, che cosa faccio? Sono appena stata rapita da dei pazzi psicopatici che volevano sperimentare non so cosa su di me, in non so quale luogo, e per non so quale motivo. E sono stata salvata da una bestia. Che cosa racconto?

Okay, manteniamo la calma. Non posso raccontare proprio niente. 

E comunque, la polizia sono io. Posso risolvere questo caso da sola. Sperando che ci siano degli indizi sui miei abiti, visto che se non fosse per la siringa, tutto quello che è accaduto potrebbe essere una mia invenzione: non ci sono prove materiali.

Va bene, indagherò da sola su questa faccenda. Su quei pazzi e … su quell'essere. Sempre che sia davvero esistito. Dopotutto, ero sotto tranquillanti. Non vedevo bene, e non riuscivo a comprendere appieno cosa avevo intorno.

Sospiro e mi cambio, cercando di darmi un'aria da persona normale, e non da una che ha appena scampato un'aggressione. Posso riuscirci.

 

«Hey Grey, tutto okay?» 

Sono le 17 e ho superato indenne la mattinata.

La testa continua a pulsarmi da stamattina, e il braccio è in fiamme. Non so cosa fare, sono nel panico più totale. Ho raccontato di essere stata aggredita ieri sera, e di aver perso la pistola e i documenti, ma di essere uscita indenne dall'accaduto. Come detective, sotto questa prospettiva, farei veramente schifo. Ma mi sono ripromessa di non raccontare la verità a nessuno. Almeno, non adesso. Però dopo una mattinata da eroina, i postumi della serataccia si fanno sentire. E non è per niente tutto okay.

«Certo Joe» Rispondo al mio capo, con un sorriso il più luminoso possibile. Ma lui non ci casca.

«No Evelyn, non è tutto okay. Sembri un cadavere.»

«Esattamente. Sembri il cadavere di Vanessa Treish che ho analizzato poco fa.» Commenta Rich ironico, dal computer in fondo alla stanza, intento a trascrivere dati su dati riguardo i DNA ritrovati sulla scena del crimine.

«Allen, torna al tuo lavoro!» Lo ammonisce Joe, prima di rivolgersi di nuovo a me. 

«Grey, è meglio che tu torni a casa. Non stai bene, e vorrei ben vedere dopo quello che è successo ieri. Adesso vai e riposati, e non preoccuparti per il caso. Se ne occuperà Mills.»

«Certo, capo.» Rispondo, quasi contenta. Andare a casa è la cosa che più mi preme al momento, insieme al fatto di voler scoprire che cosa diavolo mi hanno iniettato nelle vene quei due pazzi. Ma avrei voluto un po' più di tempo per cercare qualcosa -qualsiasi cosa- riguardo ciò che ho visto ieri sera. E non è una cosa che posso fare in compagnia dei miei colleghi. Spero di poter rimediare domani, e nel frattempo cercherò di lavorarci da casa.

Sollevata, esco dal distretto senza separarmi dalla mia pistola. Questa volta non verrò rapita di nuovo. Le strade sono già buie, e dopo quello che ho vissuto sussulto ad ogni movimento sospetto.

Cerco di aumentare la velocità, senza mettermi a correre. Devo tornare a casa. Subito. Il braccio sta bruciando, non riesco a ragionare. Mi sento mancare le forze, e ho bisogno di aria. La folla inferocita di newyorkesi che tornato a casa dal lavoro non mi permette di respirare. Dopo alcuni passi, mi faccio strada e mi sposto in uno stretto vicolo deserto. Ci sono alcuni cassonetti e delle porte, probabilmente il retro di qualche locale che da sulla strada. Ma in questo momento non mi importerebbe di nessuno, neanche se ci fosse una festa. 

Mi appoggio al muro e stringo con tutte le mie forze sul braccio, cercando in qualche modo di attenuare il dolore. Non sono un medico, né tantomeno uno scienziato. Non so niente di tutto questo, conosco a malapena il nome delle ossa del corpo umano, non so che fare. Sono un poliziotto, io!

Chiudo gli occhi e continuo a premere. Il dolore è troppo forte, sento la fronte imperlata di sudore, e le forze che mi abbandonano. Sto per svenire, in un vicolo di New York, di notte, e nessuno sa dove mi trovo. Perfetto. Proprio… Perfetto…

Proprio quando sento mancare il terreno sotto i piedi, due braccia mi impediscono di toccare terra.

Di nuovo quella voce.

«E' tutto apposto. Va tutto bene.»

Apro le palpebre un'ultima volta e riesco a vedere i suoi occhi. 

Occhi che non brillano nell'oscurità.

 

Mi sveglio di soprassalto, con il fiato corto.

I miei sensi sono subito in allerta. Il luogo non mi è familiare, proprio per niente.

Dove sono? E' mai possibile che ogni volta che mi sveglio mi trovo in un luogo diverso? Che sta succedendo alla mia vita?

La mano torna alla cintura, e di nuovo non ho la pistola con me. Di nuovo!

Sono in allarme, ogni cellula del mio corpo trema per la paura. Sta accadendo di nuovo.

Ma il luogo non è lo stesso.

Mi trovo sopra un divano scuro, usato, in una stanza buia. Mi pare sia un monolocale, arredato con uno stano stile grunge, che più che ricercato sembra casuale, come se qualcuno avesse tentato di arredare un magazzino il meglio possibile, senza riuscire a tirare fuori qualcosa di meglio. 

La cosa che mi colpisce di nuovo però è che non c'è nessuno. Sono di nuovo sola.

Cerco di alzarmi, ma fare leva sul braccio mi fa ancora male. Mi sfugge un lamento, e noto che la mia camicia è stata arrotolata fino alle spalle per fare spazio ad una benda bianca proprio sopra la ferita. 

Qualcuno mi ha medicato?

O ha cercato invece di finire il lavoro di ieri sera?

Cerco di strappare via la fascia, senza procurarmi altro male, ma una voce mi ferma.

«E' meglio se non lo fai. La benda ti aiuterà a disinfettare la ferita.»

Quella voce.

Mi volto di scatto, e lo vedo.

E' lui. L'uomo che mi ha salvato.

La bestia.

  
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