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Autore: skippingstone    03/01/2014    2 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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10. In questo mo(n)do
 
Un altro litigio a casa, un'altra volta la colpa a me, un altro schiaffo, un'altra volta che si sfilaccia la corda che dovrebbe tenere uniti me e mio padre, la mia famiglia.
Non importa quello che mi dirà: io non ci ritorno più in quella casa, non ritorno a parlare con quell'uomo che dovrei chiamare papà. Io lo odio.
Vorrei restare qua, per sempre. 
Vorrei restare a casa di Livius dove i genitori sono davvero genitori, dove loro ti sono accanto sempre e comunque, dove loro ragionano con il figlio invece di picchiarlo, dove c'è colazione ogni mattina, dove puoi vedere con loro l'edizione passata degli Hunger Games, dove loro ti amano per quello che sei. Voglio essere parte della famiglia di Livius perché lui non mi ha mai chiesto di tagliarmi le vene come ha fatto mio fratello. 
«Snow, tutto ok?»
Io gli faccio cenno di sì.
«Snow, sei sicuro? A cosa stai pensando?»
«A niente!»
«Puoi parlare con me perché io sono un tuo amico, io ci sono a prescindere da tutto. Sto qua. Non andrò mai via, neanche se fossi costretto!»
«E ti ringrazio per questo.»
«Allora perché non mi rendi partecipe dei tuoi pensieri?» 
«Livius...» - mi fa, per un attimo, dimenticare l'odio che provo - «...ma è assurdo quello che dici... non sto pensando a niente.»
«No, è assurdo che tu faccia finta di niente.»
Alzando le spalle, Livius fischia e, per sbaglio, sputa anche un po' di barretta di cereali che sta mangiando prodotta nel distretto 9.

Sono le 4 di mattina. 
Non riesco a dormire. Non è colpa dell'ansia che mi affligge (o forse sì) ma è colpa, soprattutto, del fatto che non riesco a smettere di pensare.
Prendo una giacca che Capitol City ha "gentilmente" offerto a tutti i tributi ed esco fuori. Anche se sono fuori dalla mia stanza che è grande quanto una casa ricca del distretto 2, non posso andare lontano. Infatti, se mi allontanassi dal perimetro del Centro Di Addestramento, scatterebbe un allarme. Questi che organizzano gli Hunger Games, gli Strateghi, hanno pensato davvero a tutto.
Dopo aver preso l'ascensore per scendere al piano terra, mi stringo nella giacca e giro lungo l'unico spazio aperto che ho a disposizione. Tocco la corteccia degli alberi, calpesto fiori ed erba, immergo le mani nell'acqua delle fontane e, infine, mi fermo a guardare quello che c'è di fronte a me: una struttura grande, fatta di vetro, a forma di piramide. È dove, tra qualche ora, dovrò allenarmi. 
«E così tu saresti il luogo che mi aiuterà...»
Mi abbasso per prendere delle piccole pietre che sono lungo il bordo di una piccola fontana. Prendo tutte quelle che posso con la mano sinistra e poi mi rialzo.
«Tu dovresti insegnarmi a tirare con l'arco, a mimetizzarmi, ad accendere del fuoco, ad avere il sangue freddo...»
Con la mano destra prendo un sassolino e lo butto contro una vetrata.
«Tu dovresti farmi diventare il tributo vincitore...»
Butto un altro sassolino e inizio ad avvicinarmi sempre di più alla struttura.
«Dovresti prendere il posto di mio padre che diceva che, prima o poi, mi avrebbe insegnato ad usare un'ascia...»
Più mi avvicino, più allungo i passi acquistando velocità.
«Tu non sei questo! Tu non mi aiuterai a sopravvivere. Tu mi aiuterai solo a farmi uccidere con più difficoltà.» 
Prendo un altro sassolino e lo butto ad un altro vetro. Poi un altro sasso e poi, invece di prenderne un altro ancora, lancio tutti quelli che mi sono rimasti.
«Vaffanculo tutti e tutto! Vaffanculo centro di addestramento, vaffanculo papà, vaffanculo giochi, vaff...»
«Snow!»
Sobbalzo quando mi sento chiamare. Sono ancora più fottuto di quello che già sono.

Sto davanti ad una tazza di thè fumante al gusto di fragola ed estratto di cioccolata bianca. Continuo a girare il liquido che ha un colore non ben definito e un odore non molto gradevole con un cucchiaino dorato e ornato da perle azzurre. Victor lo beve con gusto quell'intruglio. 
Tornando al dormitorio, siamo rimasti in silenzio e lo siamo ancora tuttora.
I suoi occhi si perdono nella superficie del tavolo. Soffia delicatamente il suo thè caldo mentre tiene il bordo della tazza lungo il labbro inferiore e resta nei suoi pensieri per interminabili secondi. 
In questo momento, come un lampo che appare d'improvviso in una notte chiara, si presenta il ricordo di Livius, quando mi chiedeva di fargli capire perché mi estraniassi il più delle volte. Ricordo quelle conversazioni in cui mi chiedeva di parlare invece di tenere tutto per me. Se avessi capito che lui non ci sarebbe stato ancora al mio fianco, se avessi capito che sarebbe arrivato, inaspettatamente, il momento del suo addio, gli avrei parlato di più, gli avrei spiegato di più, gli avrei raccontato di più, gli avrei fatto conoscere meglio il me di cui mi vergogno, di cui ho paura, di cui odio tutto. Se Livius fosse vivo, ora, gli direi che essere un tributo è davvero complicato, è più difficile ed estenuante. Non è solo quello che ci fanno vedere in tv ma tanto altro. Anzi, se fosse vivo, non gliele avrei dovute dire io queste cose perché le avrebbe vissute lui stesso. Avrebbe conosciuto Victor, Cosima e Caesar e, in questo preciso istante, avrebbe chiesto a questo Victor silenzioso: a cosa stai pensando? 
«Non so se ricordi la mia edizione ma credo tu non possa perché eri troppo piccolo. Non so se te l'hanno raccontata, ma voglio parlartene lo stesso. Ho una premessa da fare: non sono mai stato bravo con le storie, non so raccontarle e non so neanche come funzionano quei maledetti verbi perciò non fare tutto il precisino se ti accorgi di qualche errore.»
Rido delicatamente e il Mentore mi rivolge un sorriso sincero. Ora manda giù un sorso di thè e, dopo aver chiuso gli occhi e preso un bel respiro, mi racconta della sua edizione, della sua vittoria, della sua storia.
«Avevo solo 15 anni. Quando l'ascensore mi trasportò su per entrare nell'Arena, non sentivo più il respiro. L'unica cosa che sentivo era il cuore e avrei preferito non sentirlo affatto. Aprendosi le porte...» - con le mani mima il movimento delle porte che si aprono - «...davanti a me, c'era un pianoforte. Accanto a questo c'erano armi, cibo, zaino. Quella era la nostra Cornucopia. Ci insegnano che la Cornucopia sia un palazzo e, invece, era un misero pianoforte. Al rimbombo del cannone che dà il via ai Giochi, la metà dei tributi stava gareggiando per arrivare prima degli altri alle armi che desideravano. Io scappai il più lontano da quel luogo. Dopo qualche minuto sentimmo il rintocco di 14 cannoni: erano morti ben 14 ragazzi. 
Ho impiegato molto tempo, non so dirti con precisione quanto perché era sempre notte, per capire che l'Arena non era altro che una nave. La nave aveva 15 piani. Se salivi al quinto piano, ad esempio, potevi sentire incessantemente le urla di una donna; al sesto piano, sentivi il pianto di bambini; al decimo piano, dei fischi; al dodicesimo piano si sentivano degli stridii insopportabili...» - prende il cucchiaino e riproduce quello stesso rumore - «...ecco, proprio questo; al quindicesimo piano potevi, invece, ascoltare il rumore delle onde. Era il piano preferito da tutti. Infatti la maggior parte dei tributi è morta lassù per mano di altri. In quel periodo, in quel momento della mia vita, mi sentivo un prigioniero, l'ostaggio di un pirata. Avevo la sensazione di essere braccato, inseguito. Dovevo prestare attenzione a tutto perché la nave, anche se grande, era il luogo più pericoloso e più piccolo in cui mi sia mai trovato. Decisi, allora, di nascondermi. Trovai posto sotto il tavolo di una sala ristorante del quinto piano. Sarò rimasto là sotto per molto tempo. Non riuscivo a dormire perché le urla della donna mi sfinivano ma, almeno, nascondevano il rumore dei miei respiri. Uscivo da sotto il tavolo solo per rubare i resti di cibo dalle cucine e fare pipì in qualche bicchiere di vetro. Eravamo rimasti in tre quando mi trovarono. Loro due, il ragazzo del distretto 1 e la ragazza del distretto 4, si erano alleati ed io ero il nemico comune. Per far smuovere le acque...» - sorride divertito - «...tra tanti termini proprio questo ho usato...» - beve un altro sorso di thè - «...gli Strateghi ebbero la brillante idea di far muovere quella benedetta nave agitando il mare. Eravamo tutti e tre spaventati perché capimmo che la nave stava affondando. Infatti, in neanche due secondi, metà della nave salì verso il cielo, l'altra metà era in procinto di sprofondare in acqua.»
Io non sto bevendo affatto il thè. Sto seguendo, parola per parola, la storia di Victor. Mi sento male perché mi sto immedesimando in lui. Anzi, sono lui. Tra poco sarò io quel tributo che dovrà preoccuparsi, che dovrà cercare un riparo, che dovrà uccidere.
«Tutte le porte si aprirono violentemente, le finestre si frantumarono in mille pezzetti e gli oggetti venivano inghiottiti dall'acqua delle onde che entrava nella sala come se fosse impaziente di farlo. A causa del movimento brusco della nave, scivolammo. Io riuscii ad aggrapparmi ad un palo, così anche la ragazza. Il ragazzo del distretto 1, però, riuscì a malapena ad afferrare la gamba della ragazza del distretto 4.» - Victor si blocca un attimo nel ricordare quella scena che mi sta regalando dei brividi freddi - «Lei, per liberarsi di quel peso in più, per ucciderlo, colpì la mano del ragazzo con la suola delle scarpe e lui, non riuscendo ad essere talmente forte da sopportare il dolore, lasciò, cadde.»
Anche se prende delle pause, chiude gli occhi e tentenna, Victor mantiene la calma che lo ha sempre contraddistinto. So, però, che, dentro di lui, non c'è niente di calmo. Lui è irrequieto, e lo sono anche io.
«La nave scendeva ancora verso il basso, le onde continuavano a sbattere contro i nostri corpi. L'acqua mi accecava e io provavo a boccheggiare per prendere dei grandi respiri ma l'unica cosa che riuscivo a fare era bere acqua, tanta acqua. Non facendocela più, ho lasciato la presa, son caduto giù ma, invece di finire in acqua, sono rimasto incastrato in una rete o in una serie di fili che mi stringeva la caviglia. Non sapevo chi ringraziare, chi dover baciare per quel salvataggio immediato e non richiesto. Quella specie di rete stringeva in modo alquanto violento la mia caviglia ma non me ne fregava del dolore se, grazie a quello, io continuavo ad essere un giocatore ancora in vita. All'improvviso sentii tirarmi dalla manica del braccio. La ragazza del distretto 4 credevo fosse scivolata ma, dai video che vidi dopo, scoprii che si era buttata e cercava di uccidermi. Sfortunatamente, lei non aveva trovato niente che la poteva salvare se non il tessuto della mia tuta che ha mollato dopo qualche secondo... Un'abile nuotatrice che muore travolta da un'onda anomala. Io sono stato preso dall'hovercraft prima che la nave fosse affondata del tutto.»
Lui mi guarda ora. Accenna un minimo sorriso solo per consolarmi, per dirmi che potrebbe andare bene ma la sua mente, la sua vita è ormai segnata da quegli eventi.
«Io sono uno dei pochi tributi ad aver vinto senza uccidere qualcuno, stranamente. Eppure mi sembra di averli uccisi tutti io, uno ad uno.»
«Sai che non è colpa tua, Victor, vero?»
Lui beve un altro sorso di thè e fa cenno di sì con la testa ma non è convinto di quello che gli ho detto.
«Snow, ti ho spiegato questo per farti capire che, se ce l'ho fatta io, ce la puoi fare anche tu!»
Io sbotto violentemente a questa sua affermazione.
«Ma io non devo farcela. Uccidere per vivere non è una cosa da chiedere ad un ragazzino come me. Io non voglio farcela in questo modo, in questo mondo.»
«Allora, se non vuoi combattere per la tua vita, perché sei qua ancora vivo? Perché non fai come ha fatto Livius? Sarebbe tutto più semplice.»
«Non mi piacciono le cose semplici.»
«Non ti piace neanche vivere.»
«Perché, quella che stai facendo tu, è una vita degna di essere vissuta?»
«È pur sempre una vita. Molti sono morti per poterne avere un altro briciolo.»
Sicuramente starà parlando della ragazza del distretto 4 e di tutti gli altri tributi ma la mia domanda resta sempre senza risposta: perché dobbiamo combattere per vivere? Davvero devono esistere questi Giochi che decidono se farci vivere o meno?
«Livius non ha cercato di avere le briciole.»
«E guarda ora cosa è successo: tutti si son dimenticati di lui.»
Si blocca per un attimo il cuore quando sento questa storia. È vero. L'azione di Livius è passata in secondo piano perché in primo piano ci sono io.
«Perché non bevi il thè?»
Assaggio quel thè e, quando cerco di mandarne giù un piccolo sorso, lo sputo in faccia a Victor.
«Ma cos'è 'sta roba?»

Dopo aver bevuto quella strana bevanda, ritorno nella mia stanza e mi addormento sentendo tutto il peso di Panem sulle mie spalle. Mi sveglio qualche ora dopo tutto sudato e, dopo una doccia, mi preparo per la prima giornata di Addestramento. Scendo nel cortile e vado dritto al Centro. Apro la porta di vetro e l'interno è diverso da quello che mi aspettavo di vedere. Lo spazio a disposizione è enorme. Ci sono molti punti di raccolta, ognuno con una specialità da poter osservare e imparare. Alla mia destra, inoltre, un lungo corridoio coperto da altri vetri. All'interno c'è scritto "esame di combattimento". Attualmente non si può ancora usare, mi dicono che si può usare solo durante il terzo, cioè ultimo, giorno. 
Inizio, allora, a controllare i vari punti, gli spazi dedicati alle attività per i Giochi. C'è lo spazio per imparare a fare nodi, nuotare e riconoscere erbe, per capire come usare armi da fuoco, per comprendere come vivere nella foresta e molti altri. C'è davvero l'imbarazzo della scelta e non so proprio cosa fare. Tutto mi sembra utile e, allo stesso tempo, stupido. 
Qualche ragazzo è già qua. Tacito, il Preferito del distretto 1, è allo stand dedicato al combattimento. Level è allo stand per imparare a riconoscere le erbe.
Controllo un po' la situazione e si avvicina a me la ragazza del distretto 10.
«Davvero credono che fare nodi ci possa salvare la vita?»
Mi volto solo un po', giusto per vederla, e non commento. Non sono qui per fare amicizie e per parlare di quanto sia bella la giornata. Sono qui, controvoglia, e tutte queste persone, che condividono il mio stesso destino, potrebbero essere il mio assassino. Potrei essere io il loro assassino.
«Wow, non rispondere. Potrebbe caderti la lingua...»
La ragazza si sposta e va ad occupare lo spazio dedicato al mimetismo.
Arriva anche la ragazza, bambina più che altro, del distretto 7 che, come me, non sa cosa scegliere. Va a mettersi vicino alla ragazza del distretto 10 e inizia a seguire i consigli del tutor. 
Continuano ad entrare altre persone. Molti mi evitano, due mi vengono addosso e cercano di intimorirmi, qualcun altro continua a parlare della Sfilata. Io resto impassibile e li guardo tutti. Sto sprecando tempo prezioso, lo so, ma non so proprio cosa scegliere.
«Sei strano.»
«Grazie per il complimento.»
La ragazza del distretto 10 ritorna al mio fianco, sembra voler proprio instaurare una conversazione con me.
«Vedi? La lingua ti è rimasta in bocca.» 
Accenno un semplice sorriso per la battuta infelice che ha fatto.
«Mamma mia: simpatia, portami via? Cos'è? Sei indisposto? Ciclo con perdite abbondanti?»
Alzo un sopracciglio e, questa volta, non mi concentro proprio a sorridere.
«Se resti qua, a vedere quanto bello sia il mondo, col cavolo che uscirai dall'Arena. Perché hai intenzione di uscirci, no?»
Non la rispondo. La risposta mi sembra ovvia. Mi sembra ancora più ovvia dopo la chiacchierata notturna con Victor che mi ha fatto capire cosa davvero voglio.
«Ho una proposta per te, distretto 2. Io e te, alleanza. Quando rimarremo in pochi, ognuno farà il suo gioco ma, all'inizio, essere soli sarebbe un suicidio. Voglio una possibilità e tu sei questa possibilità che devo prendere al volo.»
«E perché io sarei questa possibilità?»
«Beh, sei la gallina dalle uova d'oro di quest'anno e, sicuramente, gli Sponsor punteranno su di te.»
«Forse non lo sai ma io ho la capacità di farmi odiare da tutti. Mi odiano per il discorso che ho fatto al mio distretto, perché mi credono un killer che vuole regnare su Panem e, anche voi tributi, mi odiate.»
«Beh, dopo la Sfilata, molti hanno cambiato idea su di te. Non sei più il killer della nazione ma stai diventando un Favorito. Stai conquistando Capitol City e anche i distretti vista la tua storia. E non credere, io non sono una ragazza dolce. Anche io odio il mio distretto. Vorrei aver urlato a coloro che mi hanno buttato qua dentro che devono fare la mia stessa fine. Comunque, distretto 2 cercami quando hai una risposta alla mia offerta: io sono Søren.»
«Io non...»
«Distretto 2, ti ho detto di pensarci. Fa' con calma... non voglio una risposta di fretta. Mi dispiacerebbe se poi dovresti pentirtene.»
«Ma io conosco già la risposta che ti darò ora, dopo, domani e tra qualche altro giorno ancora. Io non voglio creare un'alleanza con te, non voglio allearmi con nessuno!»
«Ehi, non ti sto chiedendo di sposarmi e amarmi e onorarmi finché morte non ci separi.»
«No, stai facendo di peggio. Mi stai affidando la tua vita!»
  
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