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Autore: Luu    03/01/2014    4 recensioni
[Le mani tremavano e gli occhi guardavano ciò che la mente non riusciva a comprendere. L’aveva uccisa, aveva ucciso la sua Bulma…]
In questa fiction, ambientata un anno dopo la sconfitta di Majin Bu, Vegeta è tormentato da incubi insopportabili che lo porteranno, con l'aiuto di un coraggioso dottore, a riflettere sulla sua vita passata e sull'importanza di quella attuale... Non aggiungo nient’altro se non un invito a leggere questa storia un po’ improvvisata, ma piena di significato ^^ Buona lettura
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 2

Era notte fonda quando Vegeta si decise ad uscire dalla stanza gravitazionale. Il corpo ricoperto da tagli profondi e lividi scuri, il viso stravolto dalla fatica. Aveva saltato i pasti e, nonostante Bulma lo avesse più volte esortato ad uscire da lì per evitare che si facesse male sul serio, lui non l’aveva ascoltata e come al solito le aveva urlato di lasciarlo in pace. Ma adesso se ne stava pentendo amaramente, perché quel dannatissimo mal di testa lo stava facendo impazzire e le profonde occhiaie sul suo viso ne erano la prova. Era stremato e riusciva a stento a camminare dritto per quei corridoi così oscuri e silenziosi, dovette fermarsi a più riprese per riprendere fiato. Si sentiva terribilmente accaldato, gettò a terra l’asciugamano che fino ad un istante prima teneva sulle spalle e si accasciò lentamente a terra scivolando lungo la parete e gemendo a contatto con il freddo pavimento. Era esausto come non gli capitava da anni, neanche gli allenamenti con Kakaroth riuscivano a ridurlo i quel modo. Chiuse gli occhi un istante e cadde in un sonno profondo, cullato dall’oscurità di quella gelida notte…

La risata di Kakaroth era inquietante come il suo sguardo. Lo vide portarsi la mano vicino alla bocca e leccare il sangue che la ricopriva quasi interamente. Intanto la figura alle sue spalle continuava a ciondolare avvolta dalle tenebre. Riuscì a mettersi in piedi a fatica, ma ogni passo verso il suo rivale, gli provocava fitte atroci al cuore. Voleva parlare, voleva chiedere spiegazioni. Voleva urlare, ma non ci riuscì e fu solo quando si trovò di fronte a Kakaroth, che vide il volto del corpo esanime alle sue spalle, impiccato e martoriato in modo da renderlo quasi irriconoscibile. Rimase immobile, pietrificato da ciò che i suoi occhi avevano appena visto: quello che continuava a ciondolare con il collo spezzato, appeso a chissà cosa, era il suo cadavere. Si accasciò a terra e vomitò qualsiasi cosa avesse nello stomaco.
“Questa sarà la fine che farai, principe dei saiyan!” la voce di Kakaroth risuonava imponente come non mai “ucciso da una terza classe che brama la tua morte da molto tempo”.
Poi, quel luogo tetro iniziò a roteare e a mutare lentamente. La figura di Kakaroth si era dissolta nel nulla, come il se stesso senza vita e, non appena riuscì ad alzarsi da terra, realizzò di trovarsi da solo, in un bosco oscuro dall’aria familiare…


Aprì gli occhi all’improvviso, ansimando. Il cuore batteva all’impazzata, non riusciva a calmarsi, si guardò intorno, era ancora notte fonda e non aveva idea di dove dovesse andare per raggiungere la sua camera da letto. Iniziò a tremare, ricordò di essere mezzo nudo, il sudore gli si era asciugato addosso. Si alzò in piedi lentamente, i muscoli dolevano ad ogni suo movimento. Disorientato, si incamminò verso sinistra, sperando di non aver sbagliato direzione. Cercò di concentrarsi al massimo, ma l’aura di Bulma sembrava non esistere e lui era così distrutto da non riuscire a percepire neanche quella di suo figlio. Voleva raggiungere sua moglie e dormire nel letto accanto a lei, abbracciarla e sentire il suo calore, quel calore di cui aveva un disperato bisogno. Camminava per il corridoio scorrendo con il palmo ogni centimetro di parete, nel tentativo di trovare un dannatissimo interruttore della luce. Non riuscì a trovarlo, ma il corridoio si illuminò comunque accompagnato da una voce soave, impastata dal sonno.
-Vegeta, che ci fai ancora in piedi?- Bulma sbadigliò, aveva i capelli arruffati e gli occhi semichiusi.
-Sono le tre e mezza, non ti sei allenato abbastanza?- il saiyan cercò di nascondere al meglio il suo malessere e soprattutto la felicità nel vedere la sua donna lì, davanti a lui in quel largo pigiama  azzurro e con quell’espressione da rimprovero che aveva sempre odiato, ma che ora lo faceva sentire decisamente meglio.
-Dai, vieni a letto- gli disse la scienziata, avvicinandosi sempre di più. Quando fu di fronte al suo principe, gli accarezzò una guancia e si rese conto che qualcosa non andava.
-Oddende! Come sei caldo... sei sicuro di stare bene? Credo proprio che tu abbia la febbre! Devi assolutamente riposarti… quando ti dico di non esagerare con gli allenamenti, non mi dai mai retta! Sei proprio un testone!!- gli afferrò la mano e lo trascinò verso la camera da letto. Vegeta non oppose resistenza e la seguì in silenzio, non poteva negare di essere davvero stanco e il mal di testa era decisamente peggiorato. Il sogno di prima, poi… lo aveva davvero scosso. Si era sentito impotente e la cosa lo stava facendo impazzire, voleva scoppiare, voleva urlare al mondo la propria frustrazione, ma sarebbe stato sicuramente troppo faticoso ed in quel momento l’unica cosa di cui aveva davvero bisogno, era dormire accanto a Bulma e sperare che l’indomani sarebbe tutto finito.

Non appena entrò in contatto con la morbida superficie del materasso, Vegeta si addormentò profondamente. Bulma prese un spessa coperta di lana dall’armadio e coprì con delicatezza il corpo tremante del marito. Era strano vederlo in quelle condizioni, non aveva mai avuto la febbre e non credeva che i saiyan potessero ammalarsi di malesseri così comuni. Aprì il cassetto del suo comodino e ne estrasse il piccolo termometro digitale.
Passato un minuto a contatto con la pelle del saiyan, lo strumento iniziò a suonare freneticamente. La donna lo prese in mano preoccupata e ciò che lesse la lasciò esterrefatta.
-Cooosa??? Qu…quarantacinque???- il termometro le cadde dalle mani, scivolando sul materasso accanto a Vegeta. La prima reazione della scienziata sarebbe stata quella di afferrare la cornetta del telefono e chiamare un dottore, ma poi ripensò ad una frase che il marito le aveva detto anni fa…

Era inverno, l’inverno più freddo degli ultimi dieci anni. Ricordava che Vegeta se ne stava in giardino in mezzo alla neve, indossando solo un paio di pantaloncini aderenti. Il petto nudo che brillava illuminato dalla luna ed un’espressione cupa rivolta al cielo. Bulma si chiedeva sempre a cosa pensasse ogni volta che se ne stava da solo a guardare le stelle. Forse ripensava al suo passato, alla sua casa sul quel pianeta ormai esploso da anni, a Goku, a Freezer, a quando aveva deciso di servirlo e di diventare un sadico mercenario, calpestando il suo smisurato orgoglio e forse ogni tanto, tra tutti quei dolorosi ricordi, ritagliava un piccolo spazio anche per lei, o almeno era quello che la scienziata aveva sperato da quando si era follemente innamorata di lui.
Lo aveva raggiunto velocemente, porgendogli un maglione di lana scuro, che lui aveva bellamente rifiutato, mandandola su tutte le furie.
-Indossalo o ti prenderà qualche malanno!- gli aveva detto con fermezza. Ma Vegeta si mise a ridere dischiudendo appena le labbra e mostrando quei denti bianchi e perfetti che raramente faceva intravedere, se non durante le fasi pre-scontro in cui l’adrenalina prendeva il sopravvento. In quelle occasioni, però, si trattava di un sorriso sadico, di un ghigno strafottente che aveva il compito di spaventare il nemico. Adesso, invece, c’era qualcosa di diverso… stava semplicemente ridendo ed anche se si stava prendendo gioco di lei, non riuscì a non rimanere incantata da quell’espressione così naturale, così umana. Non riuscì a dire altro, continuando a fissarlo innamorata. Lo trovava davvero bellissimo... poi la sua voce roca la riportò alla realtà.
-Noi saiyan abbiamo una temperatura media di 40 e più il clima è freddo, più il nostro corpo reagisce, fornendoci il calore necessario per sopravvivere- era in assoluto la frase più lunga che Vegeta le avesse mai detto da quando aveva deciso di accasarsi alla Capsule Corp, ovvero da circa due mesi. Ricordava che quella notte, per la prima volta, era stata circondata dalle sue braccia possenti e si era sentita al sicuro come non mai.

Sorrise ripensando a quanto tempo fosse trascorso da quella gelida notte e a quante cose fossero cambiate… poi Vegeta iniziò ad agitarsi, attirando nuovamente la sua attenzione. Di certo non poteva chiamare un dottore, si sarebbe sicuramente accorto di aver a che fare con un alieno e, dal momento che i saiyan avevano una temperatura media di 40, quella che stava manifestando Vegeta, doveva essere una forma di influenza aliena comune, tipica della sua razza… o almeno così sperava. Cercò di calmarlo sdraiandosi accanto a lui ed accarezzandogli i folti capelli corvini. Stava vivendo un altro dei suoi incubi e lei stavolta sarebbe rimasta fino alla fine e sarebbe riuscita a calmarlo.
-Stai tranquillo- gli sussurrò piano –ci sono io con te- lo strinse leggermente, passandogli una mano sulla schiena madida di sudore, ma fu tutto inutile.

Correva velocemente, correva come non aveva mai corso. Doveva fuggire al più presto o sarebbe morto. Sarebbe sicuramente morto. Sentiva i rami che prepotenti sbattevano contro il suo viso, graffiandolo, facendolo sanguinare. Si trovava in quel bosco dall’aria familiare, era notte. Solo la luna illuminava il suo percorso, quel percorso che sembrava non finire mai. Ma non poteva fermarsi. Sarebbe sicuramente morto. Non poteva volare. Ma perché non poteva volare? Sentiva una presenza alle sue spalle che ansimava, bramosa di sangue. E lui era la preda, lui sarebbe stata la vittima. Sarebbe sicuramente morto. Si sentiva debole e senza speranza. Ma perché stava scappando?! Lui era il principe dei saiyan, dannazione! Doveva fermarsi ed affrontare il nemico con onore. Ma il suo corpo non rispondeva ai comandi che la mente impartiva. Correva e basta, aveva paura, ma non era una paura normale. Era puro terrore. Sarebbe sicuramente morto. Se lo sentiva dentro, nelle viscere. Il cuore in gola. Il respiro sempre più affannoso. Le gambe non ressero. Cadde a terra. E la belva lo raggiunse…




  
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