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Autore: Ayumi Zombie    03/01/2014    4 recensioni
Cadde seduto di fianco ad Armin con la grazia di un orso vestito da ballerina.
« Ti ho trovato il bassista. »
Voltò la testa nella direzione di Armin con la scioltezza di un burattino poco oliato.
« Ma tu non fai casini come al solito.
Promise me. »
Annuì con l’espressione tranquilla di chi avesse appena visto casa propria esplodere.
Armin, l'uomo del destino, è riuscito a trovare un bassista per la band. Speriamo solamente sia una persona degna di fiducia...
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La parte più divertente è che sono tutti molto convinti. Ma ne approfitto per ringraziare ancora una volta tutte le persone che hanno deciso di sprecare il proprio tempo leggendo queste mie sciocchezze! Mi diverto davvero tanto a buttarle giù, e mi piace sapere che a qualcuno fa ridere ciò che scrivo!

2. Cazzo, Mikasa.
 
Cadde seduto di fianco ad Armin con la grazia di un orso vestito da ballerina.
« Ti ho trovato il bassista. »
Voltò la testa nella direzione di Armin con la scioltezza di un burattino poco oliato.
« Ma tu non fai casini come al solito. Promise me. »
Annuì con l’espressione tranquilla di chi avesse appena visto casa propria esplodere.
 
« Bella, Marco. » disse il ragazzo, a bocca piena, lasciando cadere la cartella sul banco con un tonfo.
« Ciao, Jean. » gli sorrise di rimando il vicino di banco, appoggiando in mezzo al quaderno la matita che stava usando per aiutarsi a ripassare. Alzò la testa nella direzione dell’amico, e rimase a fissarlo durante tutta la procedura: mentre si sfilava la giacca e la lasciava cadere sopra la cartella; quando finiva di ficcarsi violentemente in bocca il cornetto alla marmellata che lo accompagnava fedelmente a scuola ogni mattina; nel momento in cui cercava di mettere ordine sulla superficie del banco, scaraventando lo zaino a terra e la giacca sul bordo della sedia.
Jean si accomodò sulla sedia, ed aprì la borsa contenente i libri. « Oh, ma la relazione di geografia è per dopo le vacanze di Natale, no? » chiese, mentre era chinato a frugare fra quaderni e raccoglitori.
Marco non gli rispose.
Jean si voltò. « Oh, ma mi hai sentito? » gli domandò, arcuando un sopracciglio. Perché diamine lo stava fissando a quel modo…?
« Jean, ti ricordi quando eravamo bambini, e tu mi hai rivelato il tuo sogno? » irruppe Marco, con voce gentile.
L’amico rimase a fissarlo, sbattendo le palpebre un paio di volte. Cosa c’entrava? « Quale sogno? Quello in cui mangiavo la luna perché credevo fosse fatta di formaggio coi buchi? »
Con lo stesso sorriso gentile, scosse la testa.
« Quello in cui mangiavo tutte le nuvole perché credevo fossero fatte di panna montata? »
Di nuovo, senza traccia di perdita della pazienza, un segno di negazione.
Jean aggrottò le sopracciglia, grattandosi la testa. « Per caso c’entra la maestra? »
Marco sospirò, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con le mani su cui ricadevano le maniche di un maglioncino troppo lungo. « No, Jean. Parlo dell’ultimo sogno che mi hai rivelato. Alle medie. »
Jean rimase ad osservarlo per qualche istante. Assottigliò gli occhi, cercando di pescare di nuovo quel ricordo sfuggente. Si leccò le labbra con la punta della lingua, come per reinterpretare le parole che aveva pronunciato tempo fa, rimaste incise propria pelle della bocca.
Il ragazzo lentigginoso rinunciò. « Suonare, Jean. – disse con l’entusiasmo che si prova nel ricevere l’ennesimo brutto voto in una materia in cui si è gettata la spugna. – Parlo di suonare. »
Jean sbarrò gli occhi e tirò dentro la lingua. Marco sapeva bene che non gli avrebbe mai chiesto di parlare, perciò lo fece di propria volontà. « Hai presente il mio amico Armin? »
L’altro scosse la testa. « No, quale? »
« Come no? Te l’ho anche fatto aggiungere su Facebook! – si fermò, per studiare l’espressione dell’amico. – Quello coi capelli lunghi fino alle spalle, lisci lisci come quelli di una ragazza… »
Il viso di Jean si illuminò. « Ah, e che ha il naso fatto un po’ così? » chiese, arcuando il dito indice e portandolo in mezzo alle sopracciglia, nell’imitazione di un naso aquilino.
Marco impiegò qualche istante a capire di chi il vicino di banco stesse parlando. Quando se ne rese conto, però, assunse un’espressione piuttosto interdetta, come se sperasse di aver capito male. « No, Jean. La persona a cui stai pensando tu è Annie Leonhardt. Ed è una ragazza. »
« Allora mi sa di no. »
« Avanti! – Marco, nonostante i modi gentili che aveva di porsi nei confronti di chiunque, era un ragazzo molto caparbio. – Quello che posta una foto di un piercing nuovo una settimana sì e una no. Quello tramite cui ti ho comprato il CD degli Scouting Legion. »
Il cervello di Jean stava lavorando. Se gli occhiali che Marco usava per leggere fossero stati a raggi X, avrebbe potuto vedere la scimmia con i cembali che abitava la testa vuota di Jean mentre si affaccendava a cercare di ricomporre i pezzi del puzzle per formare un’immagine con un po’ di senso.
« Quello della classe di storia, vestito come un becchino, a cui hai restituito quel libro l’altro giorno? » provò, con aria circospetta.
« Esattamente! – strepitò Marco, stringendo un pugno in segno di vittoria. – Armin! È lui! Ma non dire che era vestito come un becchino. »
« Era tutto nero. – si giustificò Jean, allargando le mani davanti a sé. – A parte quel Bambi zombie sul davanti della maglietta. Mi ha rovinato i ricordi della mia infanzia. »
L’altro scelse di lasciare perdere le scelte d’abbigliamento di Armin. « Beh, la sua band ha bisogno urgentissimo di un bassista entro il trenta dicembre. »
« Aspetta. – disse Jean, alzandosi in piedi ed estraendo il proprio telefonino dalla tasca sul retro dei suoi jeans di marca. Ne accese lo schermo e lo guardò per qualche istante. Portò la mano sinistra davanti al proprio viso, mentre con l’altra teneva il cellulare, ed iniziò a sollevare un dito dopo l’altro. Sposto lo sguardo in direzione del suo interlocutore. – Il trenta dicembre è fra dieci giorni. »
Marco sfoderò il sorriso più caldo che aveva, quello con cui sbrinava il frigo.
 
Armin non aveva voluto fargli parola di chi fosse il bassista. Lo aveva abbandonato nel corridoio, e se n’era andato a seguire la sua stupida lezione di letteratura francese con un’espressione enigmatica sul volto. Eren avrebbe giurato che quel piccolo bastardo ci godesse, nel vederlo sulle spine. Sovrappensiero, aprì la porta per uscire dalla classe. Gli frullavano per la testa un centinaio di ipotesi su chi potesse essere l’uomo che li avrebbe salvati dalla rovina più certa, il proposito di scolpire una statua o qualcosa del genere in suo onore, e una mezza dozzina di insulti dedicati principalmente ad Armin.
Aprì il suo armadietto. Girò la manopolina fino a che non compose il semplice “104” e prese il libro di storia che giaceva là dentro da almeno un mese. D’accordo, aveva la testa da tutt’altra parte, ma il professore continuava a dire ad ogni lezione che al rientro delle vacanze natalizie ci sarebbe stato lo stupido test riassuntivo del primo semestre. Si voltò verso lo specchietto appeso all’interno dell’anta, per sistemarsi un po’ i capelli castani. Diede un’occhiata ai tre piercing sulla parte alta della cartilagine dell’orecchio. Armin aveva ragione, le sue paure di un’infezione perdevano di senso se ci si faceva fare i buchi da un esperto e se li si igienizzava correttamente.
« Ehi, Eren. »
Preso com’era a rimirarsi l’orecchio, non aveva notato la sua sorella adottiva arrivargli alle spalle, fra la folla di studenti che si riversavano verso l’uscita della scuola, nonostante fosse comparsa nel riflesso. Prese il libro per cui aveva aperto l’armadietto e si voltò verso di lei. « Ciao, Mikasa. Torni a casa con me, oggi? » le domandò, richiudendo l’antina.
Lei scosse la testa, e gli porse qualche banconota verde. Quelle che aveva lei erano sempre incredibilmente lisce. « No. Prendi qualcosa al bar della scuola. »
Eren le lanciò un’occhiata accigliata, ma prese comunque il denaro e se lo infilò in tasca, senza curarsi che si stropicciasse. « Cos’è, hai paura che se provassi a cucinarmi qualcosa per conto mio, morirei sul colpo? »
« Abitiamo nella stessa casa, Eren. Mi piacerebbe ritrovarla in piedi quando tornerò stasera. » L’espressione di Mikasa faceva pensare ad un giocatore di poker professionista. 
« Beh, allora io mi vado a prendere un panino. » sospirò il ragazzo, che aveva scelto di ignorare quel commento simpatico. Gli aveva pur sempre sganciato i fondi per il pranzo.
« Aspetta, Eren. Devo dirti una cosa. »
« Dimmi, cosa c’è? » domandò il ragazzo, passandosi la mano fra i capelli per poi grattarsi la nuca.
« Riguarda il concerto di Capodanno. Ho ricevuto l’sms. »
Eren sorrise, smagliante. « Visto? Abbiamo il bassista! Spaccheremo un casino! » per enfatizzare la felicità che gli provocava quel pensiero, diede un pugno al suo armadietto. Inutile dire che era meno maltrattato di cellulare e lettore musicale solo perché si trovava meno spesso sotto le mani di Eren.
« Dovete ancora presentare la lista delle canzoni, ed aspettare che venga approvata. – lo corresse la sorella, con un tono inflessibile. – Ma non è specificatamente di questo che volevo parlarti.  »
« E di cosa? » chiese lui, sfilandosi lo zaino ed appoggiandolo a terra.
« Del tuo futuro, Eren. » gli rispose con tono incredibilmente serio, seguendo con lo sguardo il ragazzo che si accovacciava ad infilare malamente il libro in mezzo agli altri.
Eren fece una smorfia, richiudendo la zip dello zaino. « Dio, Mikasa, ancora con questa storia? »
« Sai benissimo che non ha alcun senso evitare questo discorso. Diventare un cantante drogato non dovrebbe essere la tua massima priorità. »
« Cosa cazzo stai dicendo?! » sbottò lui, guardandola con la stessa espressione che avrebbe potuto avere se gli fosse stato sferrato un pugno in pieno stomaco.
« Sono seria. Non gettare via il futuro in questo modo. Diventa un agricoltore. »
« Mikasa, per l’ultima volta, no! » Eren sferrò un nuovo pugno all’armadietto, ma stavolta per ragioni diverse rispetto a quelle che l’avevano spinto a farlo in precedenza. Non che queste attutissero il colpo o qualcosa del genere.
Mikasa chiuse gli occhi e sospirò. Sembrava una madre intenta a spiegare a un bambino troppo grande che quella di Babbo Natale era solamente una favola. « So benissimo che i tuoi voti non sono abbastanza alti da farti sperare in una carriera come medico, imprenditore, insegnante, manager, giornalista. Lo sai anche tu. – lo guardò negli occhi, come per rafforzare il concetto. Il loro colore scuro non lasciava trasparire nessuna sfumatura né variazione, così come la sua voce o il suo pensiero. – Ma perché devi per forza buttare via la tua vita con il sogno di diventare un cantante drogato? »
« Ma la smetti di dire “cantante drogato” come se fosse un unico termine?! » sbraitò Eren, allargando le braccia. Ormai la campanella era suonata da qualche minuto, per cui i corridoi erano vuoti. Quasi nessuno lo udì.
« Eren. – la ragazza gli prese le mani e lo guardò intensamente negli occhi. Aveva le stesse movenze materne e delicate del giorno prima, quando gli aveva sfilato il berretto e carezzato i capelli. – Hai delle potenzialità. Scarse, ma ne hai. E sarebbe fantastico se le investissi in qualcosa di utile, come l’agricoltura, invece che nel diventare un cantante drogato. »
Eren ritirò di scatto le braccia, e guardò Mikasa con astio. « Vaffanculo, Mikasa! – le disse, senza censurare il proprio francesismo. Le voltò le spalle, ed iniziò a dirigersi verso la porta dell’edificio scolastico. – Quando suonerò all’apertura degli Scouting Legion, quando i giornalisti verranno sotto casa aspettando che metta il naso fuori dalla porta, quando i fan mi manderanno la loro biancheria intima, allora ti rimangerai tutte queste stronzate! »
« Eren! – esclamò Mikasa, tendendo la mano in direzione del fratello. La porta s’aprì, ed il mondo esterno lo inghiottì. Ormai se n’era andato. La voce della ragazza risuonò flebile nel corridoio ormai vuoto. – Io mi sto solamente preoccupando per te… »

 
   
 
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