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Autore: M4RT1    03/01/2014    2 recensioni
Finnick PoV | Finnick/Annie | 65th and 70th Hunger Games
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Finnick Odair ha giocato tre volte: alla sua Edizione, a quella di Annie, a quella della Memoria.
Questa storia parla delle prime due.
Del quattordicenne che vinse i sessantacinquesimi Hunger Games e del giovane Mentore che salvò Annie.
Di come si conobbero, di come divennero amici. Di come arrivarono a sposarsi.
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Dal capitolo XI:
Aveva sempre sperato – anche creduto, in fondo – che gli Hunger Games in realtà fossero una gran bufala, che i Tributi venissero feriti e, con la scusa di rimuovere i cadaveri, guariti da Capitol City e impiegati come Senzavoce, magari, ma vivi. In quel momento capì che si sbagliava. La ragazza era morta.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finnick Odair ha giocato tre volte

Chapter II - Last goodbye

 
 
District 4, 65th Hunger Games
Finnick fu condotto in una stanza all’interno del Palazzo di Giustizia, in fondo a un lungo corridoio tappezzato di carta da parati marrone chiaro che terminava con una porta di legno massiccio. Dentro, nell'aria polverosa di un luogo che non si apre da mesi, il ragazzo fu fatto accomodare su di una poltrona blu, un po’ consunta, e lì attese le proprie visite. I suoi genitori, forse Annie. Non lo sapeva, non gli importava, non voleva nemmeno pensarci.

Quando la porta si aprì la prima volta, sperò fosse un Pacificatore, sperò che nessuno gli avrebbe fatto visita – sarebbe stato più facile separarsi dal suo mondo. Invece era suo padre, Antony Odair, uno dei pescatori più conosciuti dai commercianti di molluschi. Aveva grosse mani nodose, lunghi baffi ormai grigi e profondi solchi sulla fronte che gli conferivano un’aria perennemente arrabbiata.

“Ciao, Finnick” lo salutò, avvicinandosi.

“Ciao, papà” rispose lui, il tono noncurante.

“Conto su di te” mormorò l’uomo, poggiandogli una delle grosse mani sulla spalla. Andava subito al sodo, come sempre. “La mamma conta su di te, sappiamo che puoi farcela. Maia è debole, non è in grado di far nulla, ma tu sì. Tu sai fare i nodi, Finnick, sai usare un tridente e una rete. Sei abbastanza forte “ mormorò, veloce. Era uno dei discorsi più lunghi che avesse mai fatto, ma non riuscì a consolare Finnick.

“Ho solo quattordici anni, pa’” sussurrò, ripetendo ciò che proprio l'uomo si era lasciato sfuggire, l'anno precedente. Parole che avevano previsto il vero, perché il quattordicenne della Sessantaquattresima Edizione era morto al bagno di sangue.

“Lo so, ma tu sei diverso” riuscì a dire l’uomo, poi si voltò.

Finnick non seppe dire se stesse piangendo, ma quando il Pacificatore lo fece uscire aveva gli occhi lucidi. Non si dissero addio, né tantomeno si abbracciarono. Semplicemente si osservarono per un secondo e poi, accompagnato dai passi della prossima visita, Antony Odair uscì dalla stanza.
 
Annie Cresta fu l’ultima ad entrare. Indossava un vestitino celeste e aveva i capelli scuri raccolti in due codini appena sopra le orecchie. Gli elastici tappezzati di perline mandavano dei riflessi luminosi tutt’intorno.

“Ciao, ‘Nick” lo salutò, la voce rotta dal pianto. Aveva dodici anni ed era scampata alla sua prima Mietitura, ma non sembrava felice.

“Ti ho detto di non chiamarmi così” sbottò il ragazzino, alzandosi. Era più alto di lei di tutta la testa, ma si accovacciò fino a toccarle il mento con la fronte.

La abbracciò forte. “Posso farcela, sai?” mormorò, frenando le lacrime.

“Mmh mmh.”

“E quando tornerò, sarò ricco e potremo vivere felici” continuò.

“Nessuno ha mai vinto a quattordici anni” si lasciò sfuggire Annie, le lacrime che le solcavano le guance rosee.

Il cuore di Finnick mancò un battito mentre, le dita tremanti, rifaceva il fiocco sul vestito della bambina.

“Sarò il primo” mormorò, allontanandosi.

Si erano avvicinati solo tre mesi prima, alla Spiaggia – un piccolo spazio pieno di sabbia bagnata da una parte di mare poco fruttuosa in cui i pescatori non andavano quasi mai. Lui sedeva lì, intento a provare un particolare tipo di nodo; lei passeggiava, raccogliendo sassi. Ne trovava di bellissimi, li bucava, creava collanine che vendeva in piazza per potersi permettere i soldi per le gelatine alla frutta che le piacevano tanto.

“Devi esserlo” squittì la più piccola, allontanandosi. "Devi essere il primo."

Finnick annuì, serio. Si fissarono per un secondo, poi due, poi dieci. Nonostante fossero amici da soli tre mesi, Finnick poteva sentire distintamente il panico invadergli ogni centimetro di pelle. Non la rivedrò mai più, si disse. Non rivedrò mai più la mia prima compagna di banco, la mia nuova amica, la mia migliore alleata nella caccia al tesoro a Natale.

Poi la porta si aprì. “Tempo scaduto” li richiamò un Pacificatore, prendendo Annie per un braccio. Lei lo guardò di nuovo, seria, attenta, gli occhi che guizzavano in un misto di supplica e coraggio.

Fu l’ultima immagine che Finnick ebbe di casa sua, l’ultima prima di entrare nell’Arena.
 
***
 
District 4, 70th Hunger Games

C’è qualcosa di sbagliato nell’impedire ai Mentori di salutare i Tributi. Qualcosa di sbagliato nell’ignorare la differenza che corre tra Tributi, Mentori e amici. Soprattutto amici, considerando che siamo tutti dello stesso Distretto.

Passeggio avanti e indietro, osservando il gruppo di persone che saluterà Annie: sua madre, suo padre, alcune amiche, un cugino. Conosco quasi tutti, mi lanciano sguardi tristi, imploranti. So cosa dicono, ma è qualcosa che non posso controllare: è la preghiera di salvarla, solo che io non sarò lì. E anche se è difficile da accettare, se mi additerranno come quello che non ha fatto abbastanza, non potrò fare nulla.

La fila si riduce a un paio di ragazze. Credo di aver flirtato con entrambe, ma non ricordo i loro nomi. Mentre una entra, l’altra mi si avvicina e mi fissa con occhi scuri e penetranti.

"Penelope" mormoro, ricordando quello sguardo. Ha un anno meno di me e ha rischiato di essere Tributo, l'anno scorso, solo che una ragazza si è offerta al suo posto. Ha perso, ma l'ha fatto con dignità, e ha salvato una vita. Non mi perdonerò mai quella morte.

"Sì?" mi chiede Penelope, riportandomi alla realtà. Mi sventola una mano davanti agli occhi e sbuffa, i capelli che le ondeggiano sul collo. Una volta, più o meno sei mesi fa, ha provato a baciarmi e io ci sono stato. Poi per giorni non ho avuto il coraggio di parlare con Annie, perché è una sua amica e io l'ho lasciata dicendole che non era il mio tipo. La verità è che nessuno è il mio tipo, ultimamente. Adesso non sta provando a sedurmi, non sta flirtando, ma la cosa non mi consola affatto. Perché anche i suoi occhi, anche le sue mani, anche lei mi sta tacitamente chiedendo di salvare Annie. E io non posso farlo.

"Nulla, è solo che-" provo a spiegare, ma l’altra ragazza è appena uscita e fa cenno all’amica di entrare, prima che scada il tempo. È bionda, lei, ha la pelle abbronzata e indossa un vestito rosa pallido.

"Salvala, Finnick" mi dice solo. Si ricorda il mio nome, lei. Poi va via.


L’orologio segna la fine del tempo delle visite mentre sto per percorrere il corridoio per la quindicesima volta.

"Gli incontri sono finiti" mi informa il capo dei Pacificatori, aprendo la porta della stanza di Annie. Non è la procedura, ma forse anche lui è umano. "Hai cinque minuti, poi saremo nei guai entrambi."

Anche se trascorrerò con lei i prossimi giorni, entro e corro ad abbracciarla. Non ha pianto, a giudicare dai suoi occhi, e in effetti sembra decisamente più calma di me. Mi stringe forte, dandomi colpetti distratti sulla schiena, quasi i nostri ruoli si siano invertiti. Forse è così.

"Andrà bene" sussurra. Non so cosa voglia dire, ma non è esattamente quello che mi aspettavo da lei. Insomma, Annie Cresta è sempre stata forte, ma mai così. Quando tornai Vincitore, fu lei a rimettermi in sesto, lei a convincermi che non ero un assassino. Certo, ciò non toglie che lo ero, ma riuscì a farmi tornare me stesso. Eppure non avrei mai creduto che avrebbe affrontato così la sua condanna a morte.

"Andrà bene" ripeto io, cercando di convincermene. Posso aiutarla, in fondo, sono sempre Finnick Odair. Potrei aiutarla con gli sponsor, farle avere cibo e armi come Mags ha fatto con me. Continuo a stringerla, come se abbracciandola impedissi alla Capitale di portarla via da me, da qui, dalla sua vita. Cosa direbbe Snow, se mi rifiutassi di farla partire? Ucciderebbe entrambi? Probabilmente sì.

"Non devi sentirti in colpa, Finn. Non è colpa tua" mi mormora Annie, staccandosi e fissandomi negli occhi.

Certo, non lo è. Non sono stato io a decidere tutto questo, né a inserire il suo nome nella boccia. Su questo non ho alcun potere, altrimenti di sicuro il nome di Annie non sarebbe mai comparso. Poi però capisco.

"Si tratta della proposta di Snow, vero?" sussurro, inorridito. "Sei la mia punizione."

La cosa è tanto assurda quanto probabile. Deve essere per forza così che sono andate le cose, perché Snow non lascia nessuno impunito. Perché se ti rifiuti di frequentare i letti delle donne che gli stanno simpatiche, allora l'unica donna che sta simpatica a te deve morire.

"No, non può essere" cerca di consolarmi lei, eppure è stata la sua bocca a pronunciare quell’ipotesi. "Io starò bene, Finn. Tu non devi cedere" mi dice, quasi me lo stesse ordinando. "Non devi andare alla Capitale, non devi obbedire a Snow. Promettimelo. Io starò bene."
Lo ripete più volte, tornando sulla vecchia sedia blu che da anni ospita i Tributi del Quattro.

"Come potrai stare bene?" chiedo, ma non ottengo risposta. Il Pacificatore è appena entrato e, con sguardo un po’spaventato, mi fa cenno di uscire.


N.d.A.: Dunqui (?), ecco qui il secondo capitolo :3 Dato che ne ho già scritti parecchi, ho pensato di postare i primi abbastanza velocemente, ma vi preannuncio che comincerò a rallentare quando dovrò scrivere in periodo scolastico ù.ù
Ringrazio recensori e lettori vari, coloro che hanno inserito la mia storia tra le Preferite, le Seguite e le Ricordate :)
Ci sentiamo presto, spero :D

 
  
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