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Autore: HuGmyShadoW    26/05/2008    4 recensioni
[...]Nella stanza il silenzio era calato improvviso e soffocante come un'invisibile coperta. I due ragazzi erano lì in piedi, davanti alla madre, a lottare disperatamente con qualcosa nel loro petto per assimilare quanto avevano appena sentito. Infine, Bill deglutì nervosamente e scambiando un'occhiata obliqua con Tom, quasi a cercare una conferma, sussurrò:-Noi... Abbiamo un altro gemello?!-[...]
Una soffitta, un segreto mantenuto tale per diciotto, lunghi anni, due o forse più esistenze totalmente sconvolte... E voi che fareste nel sapere di avere un altro fratello?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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°(Uno)°

La nascita di un bimbo inatteso, solitamente, è come la caduta di una stella cometa, un evento emozionante ed irripetibile, una gioia immensa nel cuore. In altri casi può essere un fastidioso problema, una scelta sbagliata, una bruciante caduta sui pattini.
I coniugi Kaulitz avevano appena avuto due gemelli, come previsto dalle radiografie. Eppure, quattro mesi dopo, nacqui io, il 1° Gennaio 1990, un anno più tardi, se vogliamo essere convenzionali. La sorpresa fu grande perché tutti quei controlli medici non mi avevano individuato. Che fosse stato un errore non intenzionale di un medico inesperto o un segno del destino, nessuno mai lo seppe. E lo sbalordimento fu ancora più grande quando i dottori si accorsero che a tutti gli effetti io ero un altro gemello. Capite adesso perché trovavo inutile descrivermi?
Allora, dicevo... quando io, piccolo bimbo imprevisto, andai ad abitare a casa con i miei genitori, i miei due fratelli avevano poco più di cinque mesi. Non li ricordo, ma grazie alle descrizioni di mamma non mi è difficile raffigurarmeli. Per un breve, felice periodo io crebbi insieme a loro, sedendo sullo stesso passeggino e dormendo con papà la notte. Poi qualcosa cambiò, si lacerò irrimediabilmente. Simone, la mia mamma, faticava a tirare avanti con tre figli piccoli a cui badare, e lo stipendio di papà non bastava più. Mamma mi raccontava che litigarono tanto in quel periodo, troppo stanchi, costretti a continui sacrifici. Una sera papà arrivò perfino alle mani, e di questo credo di avere un ricordo molto vago. Forse a causa di un bicchiere di troppo trangugiato con leggerezza per lasciarsi alle spalle i proprio problemi, forse per la rottura di una diga dentro di sé, papà diede uno schiaffo a mia madre. Forte, di rovescio, apposta per ferire. E anche più tardi, non gli era dispiaciuto. Io ero presente e non potei fare nulla. Ancora oggi, davanti ai miei occhi, si ripetono immagini in sequenza come fotografie un po’ rovinate dal tempo: Simone che cadeva a terra con uno strillo, che si rialzava tremando, che mi afferrava dalla culla e si rifugiava in camera sbattendo la porta. Ci siamo addormentati piangendo insieme, quella notte. Avevo pochi mesi, eppure questa scena è sempre stata impressa in rilievo nella mia mente, sempre.
Alla fine, dopo sofferte discussioni, vinse papà. Al limite della sopportazione, costrinse la mamma a lasciarmi in adozione, o in un orfanotrofio.

Era sera, una gelida sera di fine Febbraio. Papà era già andato a letto, incapace ci dirmi anche solo addio, perché in fondo mi voleva bene. Il caminetto era acceso e le fiamme gettavano luce su tavolini, poltrone, soprammobili, che come in un grottesco gioco manovrato da un abile marionettista, si deformavano e si allungavano a dismisura, proiettando sulle pareti la parte meno innocua della loro natura immobile e pacifica. Il fuoco mi aveva sempre affascinato.
Tremando e singhiozzando, mamma mi aveva avvolto più stretto che mai in cinque maglioni, distogliendomi dai miei leggeri pensieri, mentre io la fissavo serio, non capendo. Aveva aperto la porta e senza guardarsi indietro si era gettata nelle fauci della notte. L’aria della sera mi aveva punto con mille aghi il viso, le mani, gli occhi. Avevo freddo, ma non piangevo. Ero troppo occupato ad osservare con curiosità le piccole stelle che, come minuscoli buchi di luci, mi parevano salutare. Cominciò anche a nevicare, ad un certo punto. E per me era un gioco anche quello, tentare di afferrare con le manine i fiocchi bagnati che mi si posavano sul naso. E risi forte, divertito.
Fu allora, credo, che mamma scoppiò a piangere. Per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo duro, fisso sui propri passi, e le labbra contratte; quel cambiamento improvviso mi sconvolse.
Singhiozzando, mi strinse forte al petto e si accasciò sugli scalini di un condominio come una bambola di pezza a cui erano stati tagliati i fili. E non capivo ancora, ma non volevo vederla così. Allungai un braccio e le accarezzai goffamente le guance bagnate. Lei mi avvolse ancora più stretto baciandomi la manina, poi si alzò asciugandosi fieramente gli occhi e senza ripensamenti si voltò. Il vento, umido di neve, sferzava la mia faccia. Era piacevole dopotutto. A falcate decise, arrivammo a destinazione relativamente presto. Riconobbi la casa, la mia casa, e lanciai un gridolino di gioia. Mamma mi fece segno di non fare rumore e con cautela mai vista la vidi infilarsi fra la porta sul retro. Sobbalzai contro il suo petto su tanti gradini in una scalata infinita di ripidi gradini, in controtempo coi battiti del mio cuore. Un cigolio simile in tutto e per tutto a un lamento e... non so come, ma ad un certo punto non vidi più nulla. Era diventato tutto buio e l’aria aveva accolto un vago odore di chiuso.
Luce. Sbattei le palpebre, abbagliato, e solo quando mamma mi ebbe adagiato in una culla d’altri tempi, diversa dalla mia, capii che ero nella “stanza sopra la casa”, la soffitta. Non ero ancora entrato lì, e incuriosito lasciavo vagare lo sguardo senza posarlo mai su niente.
Quella notte, mamma rimase sempre con me. Mi parlò a lungo, mi consolò, mi promise che non avrebbe lasciato che mi portassero via. E io le credetti. Che altro potevo fare?
Mentre fuori nevicava, mi addormentai al sicuro fra le braccia dell’unica donna della mia vita, che, anche se ancora non lo sapevo, mi aveva salvato e distrutto la vita in un unico istante.  

°°°

   
 
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