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Autore: MissShinigami    05/01/2014    2 recensioni
La storia si svolge in Inghilterra, almeno all'inizio, dei Mezzosangue che non sanno la verità sui propri genitori, altri che sono stati inviati in missione, altri ancora che combinano casini.
Due ragazzi vogliono sovvertire l'ordine del mondo, facendo cadere gli dei ... almeno si pensa ... ma qualcuno gli metterà i bastoni fra le ruote!
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ora volevo aspettare e finire di scrivere il resto prima di pubblicare questo però non ho resistito ...



La nave dondolava tra i flutti agitati. Era notte fonda. Mancava poco all’attracco a New York.
Aurea era rimasta sveglia, seduta a sul legno freddo a fissare il corridoio buio e deserto. Come aveva immaginato nessuno mise piede fuori dalla propria cabina, né nessuno vi rientrò. A quel punto i suoi dubbi si dissolsero come nebbia. Il piano era quasi pronto, sperava con tutta se stessa che Mia cascasse nella sua trappola … e se non fosse successo? Cosa sarebbe capitato se avesse capito le sue intenzioni prima che riuscisse a preparare tutto?
Scosse la testa con energia, non doveva farsi prendere dal panico e crearsi un piano di riserva. Era comunque in vantaggio sull’altra: non le era entrata in testa almeno.
Si alzò in piedi, prima di fare qualsiasi altra cosa, doveva accertarsi che fosse tutto vero. Arrancò dondolando seguendo i movimenti della caravella e raggiunse la prima porta. Posò una mano sulla maniglia e aprì decisa.
Una cabina arredata, nella penombra si distinguevano poche cose: qualche gioco, un coniglietto di pezza accasciato a terra. Tutto era ricoperto da uno spesso strato di polvere. Chiuse la porta in fretta. E controllo anche le altre, sulla scrivania della terza c’era un quaderno con tanti disegni colorati, disegni di bimbo, composti da soli, casette, alberelli e una famiglia felice, cinque bambini e una madre.
Uscendo dall’ultima stanza Aurea scivolò a terra coprendosi gli occhi con i dorsi delle mani, cercando di evitare di piangere. Capiva ma non poteva permettersi di provare pietà. Ma una sensazione di pesantezza le si ancorò alle membra, così decise di tornare nella sua cabina e tentare di riposare prima dell’attracco.
La Dear Dafne arrivò al porto di New York e si nascose dietro una vecchissima nave cargo, sembrava che non la usassero da abbastanza tempo per essere ignorata ancora qualche giorno. Sul ponte c’era fermento preparativi per la cena della sera, addobbi e festoni.
Il clima era più caldo in quella parte di mondo, Mia si era cambiata ed il suo vestitino di seta blu notte aleggiava leggero nella brezza un po’ maleodorante del porto, ma a nessuno sembrava importare un gran che (soprattutto dopo che Zefiro si premurò di far muovere i venti per tenerlo lontano). La donna osservò per qualche minuto le ragazze che si affaccendavano qua e là per pulire, poi prese fiato e parlò: “Siamo proprio a buon punto, però devo scendere per procurarmi alcune spezie che mi servono per fare il curry. Chi vuole venire con me?”
Prima che chiunque tra le quattro mezzosangue potesse rispondere, la cacciatrice salì le scale del sottocoperta. “Verrò io.”
Tutti i presenti sul ponte attesero delle spiegazioni, tanto era improvviso il cambiamento della ragazza.
“Be’ ecco …” iniziò fissando il terreno. “Non credo di essermi comportata bene con Mia in questo periodo, anzi con nessuna di voi e … e mi dispiace di tutto ecco.” sollevò lo sguardo portando le mani unite in grembo con l’aria veramente dispiaciuta.
Mia sorrise lievemente poi si mosse in fretta ed abbracciò forte Aurea che, piano piano, si sciolse e ricambiò.
“Finalmente, finalmente hai capito. Non voglio niente altro che il vostro bene.” le prese il mento tra le dita. “Vi voglio davvero bene.” e l’abbracciò ancora.
“Sì … sì.” annuì la ragazza.
Poi qualche lacrimuccia e qualche pacca sulle spalle Aurea riuscì a scendere dalla nave al seguito di Mia.
Il porto era pieno di persone, marinai e addetti alla sicurezza, non sembrano molto interessati ad una ragazzina e ad una donna con un abito più vistoso del normale, molto probabilmente la Foschia era molto forte, chissà cosa c’era a New York per renderla tale.
Non ci misero molto prima di riuscire a comprare tutto il necessario, Mia stava zitta ma canticchiava a bocca chiusa. Sembrava felice.
Aurea non capiva più perché si comportava come fosse un’altra in determinate situazioni: era quella la vera Mia? Quella che canticchiava beata in mezzo alla gente che non la degnava di uno sguardo? Oppure era quella dagli occhi senza iride? Cos’era? Chi era?
Ma lei lo sapeva. Sapeva tutto, impossibile non saperne avendo le conoscenze che aveva lei. Tuttavia vederla così felice, spensierata e indifesa, rendeva la cacciatrice confusa sulla sua vera identità.
La guardava ancora mentre pagava il commesso di un minimarket, mentre questo le faceva uno sconto enorme sorridendole come un beota, e lei gli sorrideva di rimando cortese e carina.
Possibile che lei non sapesse chi era?
Quando capì di essere osservata, la donna si voltò e sorrise anche a lei.
Non poté fare a meno di ricambiare.
Iniziarono a camminare dirette nuovamente verso il porto, a quell’ora del pomeriggio sembrava ci fosse meno gente in giro. Aurea iniziava a sperare di non arrivare mai alla Dear Dafne.
Doveva agire prima … di scatto si voltò verso un gruppo di container impilati uno sull’altro e vi girò intorno.
“Aurea che fai!?”le urlò dietro Mia.
Non sembrava averla seguita.
Prese un respiro profondo poi calciò con forza il container dietro al quale si era fermata. Il colpo produsse un rumore alquanto sinistro.
Sentì Mia emettere un gemito di paura poi iniziava a correre nella sua direzione.
Aurea iniziò a correre ancora, doveva trovare un punto adatto per il suo piano, corse a perdifiato sempre con la donna che la seguiva, poteva sentire anche il suo respiro veloce e spaventato.
Si fermò guardandosi intorno: era al centro di uno spiazzo abbastanza grande, a destra e sinistra i container color ruggine erano abbastanza alti da evitare che ci si potesse arrampicare sopra con facilità, davanti a lei si stendeva il mare, nessuna recinzione, nessun parapetto per evitare cadute in acqua. “Trovato …” mormorò mentre cercava di riportare il respiro alla normalità.
Poco dopo di lei arrivò Mia paonazza per l’affanno di una corsa a cui non era abituata da molto tempo. Non aveva più le borse del minimarket, doveva averle gettate a terra per inseguirla, gli occhi erano sgranati all’inverosimile colmi di terrore. Stava per piangere.
“Mia! Sono qua!” urlò la cacciatrice.
Stava fingendo. Era ovvio. Non poteva che essere così … ma nessuno poteva fingere una paura così forte e viscerale.
La donna si voltò e la spuntare da dietro una pila di casse di legno con l’arco in pugno ed una freccia incoccata, tesa fino allo spasimo.
“Aurea … cosa … cosa stai facendo?” chiese con il fiatone.
“So chi sei e non posso … non posso lasciarti tornare alla nave!”
“Ma di cosa stai parlando?! Non capisco!”
“SMETTILA DI MENTIRE!”
Adesso tremava, era lei ad avere il fiatone. Davvero? Davvero non lo sapeva?
Iniziava a crederlo.
Mia fissò il cemento sotto di lei. “Bene, quello che vuoi fare è solo proteggere le tue amiche. Lo capisco, io farei lo stesso per i miei figli e anche per loro.” rialzò la testa. Sorrideva. “Capisco.” era calma mentre alzava le braccia e si mise in attesa del colpo. “Fa quello che devi fare.”
Aurea iniziò a piangere. “Mia … i tuoi figli … non sono sulla nave.” deglutì rumorosamente per tentare di sciogliere il nodo che le si era formato in gola. “Loro … sono … sono morti.”
Fu un attimo.
Un fortissimo colpo a torace ed addome la fece schiantare contro le casse dietro di lei mandandole in mille pezzi, le schegge la ferirono ricoprendola di tagli. Poi avvertì qualcosa le perforava una spalla e l’aria che le si era bloccata nei polmoni uscì con un urlo disumano.
“Se i miei figli sono morti allora anche tu devi morire.”
La cacciatrice mise a fuoco la creatura che ancora la teneva inchiodata a terra: il busto di donna si allungava da una squamosa coda di serpente che terminava con un sonaglio, le braccia coperte da una pelle ruvida e coriacea terminavano con enormi mani artigliati.
Afferrò quello che le trapassava la carne e tentò di sollevarlo ma sembrava pesare quanto una tonnellata.
La ragazza alzò lo sguardo sul volto dell’avversaria: era Mia, era ancora lei, i tratti del viso, i capelli … la pelle però era diventata come quella sul resto del corpo, squamosa e ruvida … poi gli occhi. I suoi occhi mancavano dell’iride, erano completamente bianchi, si vedeva solo la pupilla rimpicciolita all’inverosimile.
Aprì la bocca nel tentativo di recuperare ossigeno e di parlare.
La donna serpente inclinò la testa. “Vorresti dire qualcosa?” avvicinò il volto a quello della ragazza. “Non credo che tu ne abbia il diritto …” le sussurrò nell’orecchio.
La sollevò da terra e la lanciò contro i container con una forza inaudita, accartocciando la lamiera come fosse fatta di carta.
La cacciatrice rotolò a terra e iniziò a respirare a grandi boccate; teneva stretto in mano ancora l’arco. Si rialzò a stento poggiando la schiena al muro di ferro dietro di lei. Estrasse una freccia ma spezzata a metà, la punta giaceva in fondo alla faretra, allora si mise a cercarne una che non si fosse rotta durante i due impatti.
Nel frattempo Mia la osservava divertita, sembrava non vedesse l’ora di mangiarla ma al tempo stesso volesse godersi fino all’ultimo la sua agonia ed il suo terrore. La spingeva verso l’acqua, Aurea non poteva fare a meno di indietreggiare.
La ragazza riuscì ad incoccare una freccia, tremava tutta, doveva essersi rotta qualche costola, sperava solo che non le perforassero i polmoni.
“Cattiva idea affrontarla da sola.” disse Mia al suo posto. “È quello che stai pensando … non è così?”
Non rispose, la fissava e basta da dietro la punta della freccia.
Sapeva quanto era veloce ma si immaginava anche che tutta quella velocità era a discapito della sua precisione. Doveva attendere solo il momento più opportuno.
La donna serpente inclinò nuovamente la testa poi scattò.
Aurea scoccò.
Mia vide la freccia dirigersi precisamente contro la sua testa, scartò di lato, la evitò, sentendola fischiare vicinissima al suo orecchio sinistro, e cambiò la sua azione, colpendo con la coda l’avversaria.
Il corpo della cacciatrice volò in acqua, quasi non avesse peso.
La vincitrice dello scontro lo osservò mentre affondava. “Peccato.” sollevò l’artiglio con il quale l’aveva ferita e ne leccò il sangue. “Sembrava deliziosa.”
Avvertì qualcosa di caldo che le colava lungo la guancia. Se la sfiorò con il dorso della mano e se la portò sotto gli occhi: sangue. Ringhiò.
Guardò le onde tra le quali era scomparso il corpo. “Meglio così.” grugnì.
E strisciò via.




Scusate scusate scusate, chiedo immensamente perdono per la mia assoluta mancanza di costanza. PERDONO!!
 
  
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