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Autore: Laylath    13/01/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 9. Nodi al pettine.

 

Heymans quella notte aveva dormito poco e male: aveva passato buona parte del tempo a guardare il soffitto di camera sua o rigirarsi nel letto. Non era la prima volta che gli capitavano nottate simili e quando succedeva era perché qualcosa lo turbava profondamente. E questa volta il problema, stranamente, non era all’interno della sua famiglia, ma riguardava il suo miglior amico… se ancora poteva definirlo tale.
Quando sentì che era arrivata l’ora di alzarsi non scostò immediatamente le coperte come era solito fare, ma indugiò nel letto ancora per qualche minuto. Aveva già deciso di non andare al crocevia ad aspettare i due fratelli: non aveva la minima idea di che umore sarebbe stato Jean e l’ultima cosa che voleva era una scenataccia davanti a Janet.
Si sentiva in colpa per quanto era successo perché in buona parte la situazione l’aveva provocata lui: si era pentito immediatamente di aver detto quella frase con cui aveva accusato Jean di non essere dissimile da Henry; non c’era realtà più lontana. Tuttavia in lui era scattato uno strano ed involontario meccanismo che non era riuscito a controllare e che forse aveva terribilmente compromesso la sua amicizia col primogenito degli Havoc.
Rimuginando su queste cose scese a fare colazione.
 
Laura notò in fretta che il figlio era più silenzioso del previsto, poco propenso a raccontare qualche episodio della sua vita scolastica: era molto strano che avesse un simile atteggiamento e così rimase ad osservarlo con gentilezza, mentre rigirava passivamente il suo caffelatte con il cucchiaio.
“Se è diventato troppo freddo lo riscaldo di nuovo, caro.” disse dopo qualche minuto.
“Che? – si sorprese Heymans. Si mise in bocca una cucchiaiata e si accorse che effettivamente la sua colazione era diventata fastidiosamente tiepida – Scusa mamma. Se me lo riscaldi mi fai davvero un favore…”
“Oggi non esci prima?” gli chiese Laura, capendo che non c’era la solita smania di uscire presto.
“No, oggi no.” rispose con aria distratta.
Fortunatamente sua madre sapeva essere discreta e non fece troppe domande in merito.
Così, dopo che ebbe finito la colazione, rimase nel tavolo in silenzio aspettando che si facesse un’ora più decente per uscire. L’unico sorriso lo tirò fuori quando sua madre, avvicinandosi per ritirare le stoviglie sporche, lo abbracciò e posò la guancia sulla sua chioma rossiccia. In genere non avevano un rapporto molto fisico, ma sembrava che Laura sapesse perfettamente quando quei gesti così semplici e confortevoli erano necessari e non andavano ad offendere un ragazzo ormai quattordicenne.
“Mamma… - mormorò lui quasi inconsapevolmente chiudendo gli occhi – che ne dici se un giorno ti prendo e andiamo via, lontano da qui, mh?”
“Vuoi fare il principe delle favole, Heymans?” ridacchiò Laura.
“Sarebbe così male come idea? - sospirò stancamente lui, posandosi al suo petto e sentendosi molto più vecchio dei quattordici anni compiuti quell’estate; adesso che non sapeva come si sarebbe evoluto il suo rapporto con Jean era come se il peso della sua difficile situazione familiare si facesse sentire ancora di più – Anche se ammetto di non essere un granché come principe…”
“Come mio principe sei perfetto, amore: – dichiarò la donna, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo in fronte – tu non hai idea di quante volte mi hai salvato…”
Salvato? E come? La situazione a casa è sempre la stessa e ora sono riuscito a rovinare anche l’amicizia con il ragazzo che considero un vero fratello. Non sono proprio un granché come salvatore, anzi…
Queste riflessioni furono interrotte da dei passi sulle scale.
 “Ciao, mamma, è pronta la col… Heymans.” la voce sorpresa di Henry fece girare il robusto ragazzo.
I due fratelli si squadrarono, Henry con un’aria molto sospettosa dato che non si aspettava di vedere il fratello ancora a casa.
“Ciao, Hen, - scrollò le spalle Heymans, mentre Laura scioglieva l’abbraccio da lui e andava a prendere il necessario per far mangiare anche il secondo dei suoi figli – tutto bene?”
“Sì, direi di sì.” annuì lui, sedendosi al suo posto, proprio accanto al fratello.
Ci fu un momento di imbarazzante silenzio: era strano fare colazione insieme dopo tanto tempo, abituati com’erano ad orari diversi. Durante gli altri pasti la presenza del padre li obbligava ad un maggiore riserbo tra loro due, ma come sempre, quando non c’era Gregor, Henry si mostrava più disponibile, forse spinto anche dalla presenza materna.
“Che strano vedervi seduti assieme a fare colazione – sorrise Laura, mettendo davanti ad Henry la tazza di caffelatte – però è veramente bello.”
“Ah sì?” chiese Henry con imbarazzo.
“Certo, caro. A proposito, oggi hai l’interrogazione di geografia, vero?”
“Il professor Atla?” chiese Heymans distrattamente.
“Mh.” annuì il ragazzino, mettendosi in bocca una fetta di pane con burro e marmellata.
“Se avete già studiato tutti i distretti, stai certo che ti chiederà quello di Central.” fu un informazione detta quasi per caso: Heymans sentiva che il rapporto con il suo fratello era in un momento buono e dunque era abbastanza tranquillo nel parlare con lui.
“Davvero? – chiese Henry, puntando gli occhi grigi su di lui con sincera aspettativa e gratitudine – Buono a sapersi… e che altro?”
“Punta sulla geografia economica più che su quella fisica: se gli parli dei rapporti commerciali va in brodo di giuggiole.” continuò a suggerire il maggiore, strizzando l’occhio al fratello, in un gesto d’intimità che non gli concedeva da tantissimo tempo.
“Ottimo, allora le ripasso durante la lezione di scienze che abbiamo prima di lui.”
“Henry non dovresti comportarti così. – lo rimproverò Laura, piacevolmente sorpresa da quel dialogo tra fratelli – Dovresti prestare attenzione a tutte le lezioni.”
“Naaah! – sogghignò Heymans, trovandosi per una volta d’accordo col fratello minore – Il professore di scienze è davvero noioso e tanto ripete per decine e decine di volte la stessa cosa!”
“Allora ragazzi, oggi parleremo del ciclo delle piante…” scimmiottò Henry.
“E della fotosintesi clorofilliana! – gli fece eco l’altro, ridacchiando nel ricordarsi l’assurdità del suo vecchio docente alle scuole medie – Si esalta ancora quando parla delle fasi?”
“Come no! – scoppiò a ridere Henry, alzandosi poi in piedi nella sedia e chiudendo gli occhi con aria estremamente assorta – Fase luminosa e fase di fissazione del carbonio… ah ragazzi, che poesia in queste parole: fissazione del carbonio!”
Heymans rise di gusto a quella perfetta imitazione e diede una lieve pacca sulla spalla del fratello come questi si rimise seduto. Anche la loro madre era estremamente divertita da quell’improvvisa scena e allungò la mano per arruffare la chioma rossiccia del bambino.
“Che cos’è tutto questo chiasso di primo mattino?” esclamò una voce dal piano di sopra e all’improvviso l’atmosfera rilassata e divertita che c’era in cucina si spezzò. Il silenzio calò mentre Henry si rimetteva in ordine i capelli, l’aria divertita e sbarazzina che lasciava il posto al solito cipiglio seccato.
Heymans lanciò un’occhiata alla madre e vide che si era alzata e si era messa ad armeggiare per preparare la colazione al marito, mentre una leggera e rassegnata ansia compariva nel suo viso, facendole perdere la freschezza che aveva avuto fino a pochi istanti prima.
Mentre sentiva la presenza dell’uomo entrare nella stanza, Heymans avvertì improvvisamente il solito grande istinto di andare via da casa.
“Ah, sei ancora qui – disse piatta la voce di suo padre, mentre dava una pacca sulle spalle ad Henry per poi andare a sedersi davanti a lui. Ma gli occhi scuri si puntarono su Heymans, che non ebbe timore di ricambiare lo sguardo – In genere a quest’ora sei già uscito.”
“Oggi c’è stato un cambiamento di programma.” spiegò il ragazzo.
Non gli piaceva per niente quando suo padre gli parlava: c’era sempre un sottofondo di accusa o di rimprovero. Heymans non aveva mai preteso di essere il favorito o qualcosa di simile, riteneva anzi che simili preferenze non dovessero esistere all’interno di una vera famiglia; ma l’aperta ostilità che era emersa negli ultimi due anni gli lasciava l’amaro in bocca… Ad essere onesti era arrivato a non provare affetto per quella figura e spesso detestava il fatto di essere così somigliante al genitore: stazza robusta e lineamenti del viso erano gli stessi, così come il colorito della pelle. Era Henry che assomigliava alla madre in corporatura e colori, persino nella spruzzata delicata di efelidi nelle guance e nel naso. Da lei Heymans aveva preso solo il colore degli occhi e dei capelli… che però erano sfumati in un grigio più scialbo i primi ed in un rosso con riflessi arancioni il secondo.
All’improvviso il ragazzo si accorse di un madornale errore di considerazione che aveva fatto il giorno prima: nella frase rabbiosa che aveva rivolto a Jean c’era un tremendo sbaglio… in quel momento non gli era sembrato simile ad Henry, ma a suo padre. Quella malsana idea di possesso della persona, secondo cui Kain non aveva alcun diritto di stringere amicizia con gli altri ragazzi, gli aveva ricordato il cappio psicologico che Gregor teneva addosso a sua moglie e in minor misura addosso ad Henry.
Fu una scoperta così sconvolgente e brutta che scosse il capo con decisione: adesso capiva perfettamente perché si era sentito così sconvolto.
Fortunatamente, Gregor aveva già dedicato la propria attenzione ad Henry e non vide quella reazione.
“Allora, Hen, oggi avete intenzione di dare una lezione a quegli idioti dell’altra banda?”
“Certamente papà!” sogghignò il ragazzino dopo una lieve esitazione.
Ed Heymans con amarezza capì che quel raro momento di complicità con suo fratello era finito.
“Io vado – disse a voce bassa, alzandosi dal tavolo e prendendo la tracolla che stava nello schienale della sedia – ci vediamo a pranzo.”
“A dopo, caro.” salutò Laura, lanciandogli una dolce e triste occhiata.
“Ciao.” disse laconicamente Henry. 
Suo padre nemmeno alzò lo sguardo.
Davvero un principe originale, Heymans… a quanto pare sei bravo solo a scappare.
 
“Non mi vuole più bene…” piagnucolò Janet per la centesima volta da quando avevano lasciato il crocevia.
“Ancora?” sospirò Jean, tenendola per mano.
Non c’era niente di peggio che quando sua sorella entrava nella fase di disperazione: prima piangeva e poi, una volta smesso, teneva il broncio tutto il tempo con i lucciconi agli occhi ed i singhiozzi pronti a ripresentarsi al primo stimolo. E per Jean fare il tragitto con quella bomba che ad intervalli irregolari riesplodeva era stata una vera e propria odissea.
Per lo meno erano riusciti a fare pace o, per meglio dire, Janet aveva smesso di tenere il broncio nei confronti del fratello. Quando aveva visto che Jean aveva smesso l’espressione arrabbiata si era immediatamente riavvicinata a lui: del resto, essendoci otto anni di differenza, il ragazzo costituiva comunque il punto di riferimento fondamentale per la bambina.
Tuttavia se c’era la certezza praticamente matematica che suo fratello ci sarebbe sempre stato, lo stesso non poteva dire per Heymans e così, quando aveva visto che non era venuto ad aspettarli, era entrata in uno stato di paranoia totale.
Jean invece non era rimasto sorpreso da quell’assenza, ma si era rifiutato di mostrarsi deluso o triste. Per quanto il giorno prima avesse avuto quello sfogo con suo padre, non voleva assolutamente ammettere che l’errore era stato suo… non del tutto. A conti fatti avrebbe potuto anche accettare che Heymans bloccasse la sua lezione a Kain e poteva anche passare sopra al fatto che aveva usato Janet per farlo.
Ma quella frase se la poteva benissimo evitare!
Mentre la scuola compariva davanti a loro, il ragazzo decise di procedere come si era prefissato. La questione con Heymans sarebbe stata eventualmente chiarita in un secondo momento, quando non avrebbe avuto altro a cui pensare. Una piccola e lontana parte di lui, in realtà, avrebbe voluto correre a cercare il rosso e chiedergli scusa per quel mutismo offeso che gli aveva rivolto il giorno prima, nella sincera convinzione che una volta iniziato a parlare poi anche l’altro si sarebbe lasciato andare. Ma l’orgoglio continuava a farla da padrone ed inoltre… c’erano altre questioni che andavano risolte e forse era meglio farlo senza il suo amico: considerata la sua reazione alla lezione che aveva inflitto a Kain, avrebbe potuto dimostrarsi in disaccordo anche con quanto stava per fare.
Come vide l’oggetto del suo interesse qualsiasi dubbio svanì dalla sua mente.
“Beh, siamo arrivati, no? – disse distrattamente, lasciando la mano della sorella – Ci vediamo all’uscita: fai la brava.”
Non stette nemmeno a sentire le lamentele di Janet che in quel frangente avrebbe voluto stare con lui il più possibile; si diresse a grandi passi verso il ragazzo moro che procedeva tranquillamente nel cortile, senza nessuno accanto.
“Noi due dobbiamo parlare.” dichiarò, una volta che gli arrivò dietro, mettendo una mano sulla spalla snella del rivale, un gesto temerario che nessuno aveva mai fatto. La sua presa era forte e così sentì i muscoli dell’altro che si irrigidivano leggermente. 
“Che ti serve, Jean? – chiese Roy, girandosi e guardandolo con attenzione e una lieve minaccia che non passò inosservata – E dov’è Heymans?”
“La cosa non ti riguarda. – sibilò il biondo, reggendo senza problemi quello sguardo tagliente – Hai qualche lezione importante stamattina? Nel caso cerca di rimandarla.”
“Oh, – sogghignò Roy dopo qualche secondo, mentre una grande soddisfazione compariva nei suoi lineamenti – ci siamo decisi finalmente, Jean Havoc.”
“Sapevamo entrambi che questo momento sarebbe arrivato, Roy Mustang – annuì lui, restituendo il sorriso – e non ho intenzione di sprecarlo nei dieci minuti che precedono l’inizio delle lezioni: lascio a te l’onore di scegliere ora e posto. Ma gradirei che la cosa venisse fatta entro stamattina.”
“Il campo dietro la collina; – rispose subito il moro – tra venti minuti esatti: portati dietro un testimone come da regolamento… Heymans, presumo, ma hai libertà di scegliere chi vuoi.”
“E tu portati pure dietro Riza, ora che non hai più Maes a pararti le chiappe.” annuì Jean, restituendogli in pieno la frecciatina che lui gli aveva lanciato il giorno prima a proposito dell’essere geloso di Kain. Ebbe la somma soddisfazione di vedere che aveva colpito nel segno perché gli occhi scuri si strinsero con rabbia: adesso erano alla pari.
“Ci vediamo lì, Jean.” si limitò a dire il moro.
“Non tarderò, stai tranquillo.”
Senza aspettare altra risposta il biondo si girò e si allontanò con calma, le mani in tasca: sentiva su di sé gli occhi roventi di Roy, ma non ne aveva minimamente paura.
Quel duello tra indipendenti era stato rimandato per troppo tempo.
 
“Davvero i tuoi genitori non ti hanno fatto problemi?” chiese Riza con un sorriso.
“Davvero! – arrossì Kain con lieve imbarazzo – Forse ha ragione la mamma quando dice che tante mie paure non hanno motivo di esistere. Però ci tenevo così tanto di farle sapere di te e degli altri.”
“Sono felice che tutto si sia concluso bene.”
E anche Kain era felice: aveva incontrato Riza nel cortile della scuola ed avevano iniziato a chiacchierare allegramente, come se si conoscessero da anni (cosa che effettivamente era vera, anche se non si erano mai parlati). Il bambino aveva preferito non dire a nessuno della sua disavventura con Jean, ma aveva anche preso un’altra importante decisione: non avrebbe rinunciato alle sue amicizie per colpa del suo tormentatore. Forse questa sua scelta gli avrebbe procurato altri guai, ma Kain era quel tipo di persona che se mette una cosa al primo posto farà di tutto per proteggerla… e al suo personalissimo primo posto stavano quelle quattro persone che l’avevano accettato come amico.
Forse è meglio dire tre… insomma, non so se Roy vuole proprio definirsi mio amico.
“Guarda, arriva Roy.” sorrise Riza.
“Ciao Roy.” esclamò Kain con entusiasmo, ricordandosi le parole del giorno prima a proposito del salutarlo quando lo vedeva.
“Ciao, gnomo; – rispose distrattamente Roy, arruffandogli i capelli – scusa, ma devo parlare con Riza.”
“Oh, va bene. – annuì il bambino, leggermente perplesso – Allora io vado; ci vediamo.”
Roy annuì con approvazione e lo guardò allontanarsi tra gli altri studenti; in ogni caso preferì non parlare in quel punto così affollato e così fece cenno all’amica di seguirlo, fino al suo personale rifugio in quel piccolo gruppo di alberi nell’estremità del cortile.
“E’ successo qualcosa?” chiese lei, notando che il ragazzo in genere così noncurante ed annoiato mostrava segni di interesse più che palesi.
“Oggi salti la scuola con me – dichiarò il moro dopo qualche secondo di silenzio – e non ci sono obiezioni da fare.”
“Che? Roy, ma che ti prende? – chiese Riza, perplessa – Perché mai dovremmo marinare la scuola?”
“Io e Jean ci battiamo.”
“Vi battete? – sgranò gli occhi lei con preoccupazione – Ma perché? Che cosa è successo?”
“E’ successo quello che aspettavo da tempo: finalmente le cose si sono smosse con quello là. Penso di dover ringraziare Kain per tutto questo, ma la cosa non ha importanza. Quello che conta è che allo scontro è necessario che sia presente un’altra persona per parte ed io ho scelto te.”
Però gli occhi di Riza nel frattempo si erano incupiti e la sua espressione era diventata fredda.
“Che hai?” le chiese Roy.
“L’hai usato.” mormorò.
Roy la fissò con un sospiro, capendo a cosa si riferisse. Era vero, in qualche modo aveva usato Kain perché sapeva sin da principio che parlare con lui significava stuzzicare Jean… il fatto che poi avesse trovato quel ragazzino degno d’attenzione era stata una piacevole conseguenza a cui non aveva pensato.
“Mi avevi chiesto tu di parlare con lui – le disse con sincerità – e l’ho fatto per farti un piacere…”
“Ma sapevi cosa sarebbe successo con Jean!”
“E che dovevo fare? Dirti di no? – le ritorse contro – Per te era importante e l’ho fatto: se poi come conseguenza ho ottenuto anche una cosa che volevo io, ancora meglio.”
“Non è…”
“Senti, quel ragazzino mi piace, davvero. – sospirò Roy, cercando di convincerla – Non me l’aspettavo ed è stata una sorpresa per me, va bene? Il fatto che ora mi scontrerò con Jean non significa che poi smetterò di salutarlo o di parlargli… è una cosa che ormai va oltre Havoc e Breda, capisci?”
Riza scosse ancora il capo con aria scontenta. Per quanto le parole di Roy fossero sincere non riusciva a mandare giù il fatto che la sua intenzione iniziale era stata manipolata così freddamente.
“Riza – mormorò ancora Roy, prendendole la mano – Tra nemmeno un quarto d’ora io devo essere in quel campo ed ho bisogno che tu sia lì con me… per favore.”
E a Riza non restò che annuire.
 
Nel frattempo Kain voleva fare una cosa molto particolare prima dell’inizio delle lezioni: abbastanza rischiosa a dire il vero, ma gli premeva. Dalla sua tracolla tirò fuori un fazzoletto lavato e stirato e si diresse verso la parte del cortile dove stavano i piccoli delle prime classi elementari.
Forse era paragonabile al suicidio avvicinarsi alla sorella di Jean, ma del resto quel fazzolettino era suo ed era giusto restituirglielo. Dopo aver cercato per qualche secondo tra i bambini, intravide la testolina dalle trecce bionde come il grano leggermente in disparte e sorrise: fortunatamente non c’era suo fratello in vista e l’incontro sarebbe stato più facile.
“Ciao, - salutò, andandole accanto. – ti ricordi di me? Volevo ridarti il fazzoletto che… eh, ma che hai?” con imbarazzo vide che la bambina aveva i lucciconi agli occhi e si torceva la tracolla tra le piccole dita. Decisamente le serviva il fazzoletto e Kain si trovò inginocchiato accanto a lei ad asciugarle le lacrime.
“Heymans non mi vuole più bene.” confessò la bambina.
“Heymans? – si irrigidì Kain, timoroso di veder comparire la parte rossa della coppia. La piega che stava prendendo la situazione proprio non gli piaceva – Beh, non credo che sia così: vedrai che ti sbagli.”
“Non è venuto ad aspettarci!” pianse lei, aggrappandosi alla maglietta azzurra del ragazzino.
Kain si guardò attorno con ansia, cercando di capire cosa fare: non capiva assolutamente quello di cui parlava la bambina e una parte di lui avrebbe voluto scappare via, fino alla sua classe.
Ma come poteva ora che la sorella del suo aguzzino era stretta a lui e singhiozzava disperatamente?
“Eh… beh, senti… vuoi… vuoi che andiamo a cercarlo?” si trovò a dire.
Janet alzò su di lui gli occhioni azzurri e lo guardò speranzosa. Annuì con enfasi e gli prese la mano, incitandolo a camminare.
“Oh, sì, sì! Ti prego! Da sola ho paura!”
Kain con un sospiro pregò con tutto il cuore che il rosso fosse solo: avrebbe avuto maggiori possibilità di uscirne vivo.  Così, si avventurò con la bambina nella parte del cortile dove in genere stavano quelli delle superiori e dopo qualche minuto di ricerca vide Heymans, effettivamente solo, posato contro un muretto.
“Guarda…” sorrise, facendo cenno alla sua compagna.
“Heymans! Heymans!” Janet scoppiò a piangere come lo vide e gli corse incontro, buttandosi tra le sue braccia.
“Ehi, Janet! – sorrise il rosso, inginocchiandosi e abbracciandola – Tutto bene?”
“Perché non sei venuto oggi? – singhiozzò lei – Ho avuto tanta paura che non mi volessi più bene!”
“Non volerti più bene? Ma no, stupidina, come potrei non volerti bene?”
Mentre cercava di calmare la bambina, Heymans si sentì profondamente in colpa. Non aveva pensato a quanto ci potesse restare male nel vedere questo raffreddamento dei rapporti tra lui e Jean; scostandosi da lei per guardarla meglio si accorse che doveva aver pianto parecchio dal giorno prima. In quel momento decise che, per amore di quella bambina, in qualche modo avrebbe dovuto fare il primo passo per riappacificarsi con l’amico.
“Scusami…” mormorò con sincerità, accarezzandole la guancia per asciugarle una lacrima.
Una mano gli porse un fazzoletto ormai bagnato e voltandosi vide con sorpresa che si trattava di Kain.
“E’ suo.” disse con semplicità il bambino, accennando a Janet.
“L’hai portata tu qui?” chiese Heymans rialzandosi in piedi e tornando a guardare Kain da un’altezza maggiore.
“Era preoccupata che non le volessi più bene e non smetteva di piangere. – spiegò l’altro – Io volevo solo ridarle il fazzoletto che mi ha dato ieri.”
“Capisco – annuì il rosso, abbassando lo sguardo sulla bambina attaccata a lui – grazie mille, sei stato gentile. Adesso a lei penso io, va bene?”
“Certo.” mormorò lui, capendo di essere stato congedato.
“Kain…”
“Sì?”
“Come va il collo?”
“Uh… beh, è tutto a posto, – arrossì lui – sul serio.”
“Meglio così.” commentò Heymans.
 
Mentre Heymans si preoccupava di tranquillizzare Janet e riportarla verso la sua classe, Jean si trovava a dover affrontare un problema che, nella foga di sfidare Roy, non aveva considerato: avendo litigato con Heymans non aveva uno straccio di testimone.
Non poteva presentarsi da solo all’appuntamento; erano regole che esistevano da anni, persino quando suo padre era ancora uno studente, e non poteva fare di testa sua: determinati codici d’onore andavano rispettati.
Aveva meno di cinque minuti di tempo, considerato il percorso necessario per arrivare al luogo dello scontro, e dunque doveva risolvere il problema il più in fretta possibile. Pensò ai suoi compagni di classe, ma nessuno di loro gli piaceva veramente: non che fossero cattivi o stupidi, ma non li considerava buoni per portarli ad un evento come quello. Era una cosa che semplicemente non li riguardava.
Oh, ma a lui riguarda eccome… è tutta colpa sua.
Assumendo un’espressione decisa, Jean si diresse a grandi passi verso la persona che stava camminando verso l’ingresso della scuola. Del resto un testimone doveva solo guardare, non aveva nessun compito da svolgere e non doveva essere per forza amico dello sfidante.
Tu – mormorò gelidamente, arrivando dietro la sua vittima e mettendogli una mano sulla spalla per bloccarlo, proprio come aveva fatto prima con Roy – oggi non vai a lezione.”
Kain si irrigidì a quel contatto e a quella voce: aveva sperato con tutto il cuore che Jean si sentisse soddisfatto per quello che gli aveva fatto ieri e dunque lo lasciasse tranquillo per i prossimi giorni. Mentre si girava con disperazione verso il suo aguzzino, ripassò mentalmente tutti i buoni propositi che aveva fatto la sera prima mentre si addormentava tra i suoi genitori: essere forte, ottenere rispetto… guardare in faccia il proprio avversario.
Ma quando gli facevano paura quegli occhi azzurri, così uguali e allo stesso tempo così diversi da quelli della bambina che aveva consolato poco prima.
“Che… che succede?” si costrinse a dire, con voce più calma che poteva.
“Ho detto che oggi non vai a lezione: – ripeté Jean, passandogli il braccio intorno alle spalle come se fosse un vecchio amico e inducendolo a camminare verso l’uscita del cortile – andiamo a fare una cosa molto divertente con Roy.”
“Ma i professori…”
“Smettila di farti problemi, secchione! – lo sgridò Jean, mentre lo conduceva per il sentiero – Marinare la scuola per una mattinata ti farà più che bene!”
E a Kain non rimase che seguirlo, pregando con tutto il cuore che Jean non avesse intenzione di portarlo in un posto isolato per picchiarlo di nuovo.
 
“Ehi, Heymans! – chiamò una voce, mentre il rosso stava per entrare nell’edificio – Aspetta!”
Girandosi l’interessato vide che una ragazza dai capelli neri si affannava per raggiungerlo: facendo mente locale la riconobbe come l’amica di Riza.
“Rebecca, vero? – chiese, fermandosi ad aspettarla – Che succede?”
“Dovrei chiederlo io a te. – disse la ragazzina – Ma dov’è Jean?”
“Non lo so, - scosse il capo lui – ma deve essere qui a scuola considerato che sua sorella è già in classe. Perché?”
“E’ che ho visto Riza e Roy che si allontanavano dalla scuola… e alcuni dicono che prima Jean ha parlato con Roy, e sembrava una cosa tutt’altro che amichevole. Tu sai che sta succedendo?”
Heymans non ebbe difficoltà a capirlo e si sentì estremamente preoccupato: quell’idiota non aveva perso tempo e aveva sfidato Roy Mustang… senza chiedergli il minimo parere o appoggio. Fu come se un meccanismo saltato si rimettesse improvvisamente a posto: qualsiasi pensiero negativo che aveva avuto fino a qualche minuto prima sparì davanti all’esigenza di andare a stare accanto al suo amico in quella circostanza.
“Da che parte sono andati?” chiese, prendendo la ragazza per le spalle.
“Verso la campagna, il sentiero a destra della scuola, ma non saprei dirti di preciso… Ehi! Dove vai?”
“Tu vai in classe!” ordinò Heymans girandosi appena, prima di mettersi a correre verso la direzione che gli aveva detto.
Rebecca lo guardò scomparire nella medesima strada che avevano preso Roy e Riza. Per un attimo fu tentata di seguirlo, dato che la cosa prometteva di essere interessante e magari riguardava anche il suo adorato Jean. Tuttavia gli occhi di Heymans ed il tono della sua voce erano stati parecchio decisi e forse era il caso di dargli retta: del resto qualcuna doveva pur coprire l’assenza di Riza.
“Accidenti – sospirò, entrando dentro l’edificio – e pensare che tra le due sono io quella più brava a fare i resoconti. Speriamo che sia un minimo esaustiva quando le chiederò i dettagli di questa storia.”

 


il bellissimo disegno è di Mary_
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