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Autore: Cheche    16/01/2014    1 recensioni
Nella città in cui ha inizio la nostra storia abitano i membri di una band famosa sulla scena internazionale. Il nome del complesso è Some Dirty Secrets, un nome capace di attirare l'attenzione. Ma i 'segreti sporchi' non riguardano solo i tre affascinanti componenti del gruppo, ma anche quelle vite che si intrecciano inevitabilmente con le loro.
Comicità, dramma e vita di tutti i giorni coesistono in questa storia; come nella realtà. O forse no?
[Personaggi e Shipping a sorpresa] [Massiccia presenza di AU e OOC!]
Genere: Comico, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga
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Extra 1 – Mostraci le mutande, Prof!
 
 
 
 
Adriano Sootopolis era l’unico essere umano consapevole della propria fascinosa aura di mistero, il che significava semplicemente che il narcisismo di cui soffriva lo portava ad immaginarsela.
Era certo di saper nascondere i propri sentimenti al meglio, di avere un viso bellissimo quanto imperturbabile. Avrebbe potuto giocarsi quelle sue babbucce ortopediche che spacciava per eleganti scarpe d’alta manifattura: qualunque donna avrebbe venduto l’anima al demonio pur di sfiorare un angelo divino come lui.
L’importante era esserne convinti. Soprattutto in quel tremendo momento, in cui Adriano faceva una certa fatica a ricordarsi quanto fosse figo.
Il suo nervosismo era, giustappunto, perfettamente leggibile sul volto slavato. Quella serata si stava rivelando come una serie di fallimenti in fila. Non aveva tempo per accusare un duro colpo che già iniziava a presentirne un altro, inevitabile.
Le mani sudaticce reggevano un mucchietto di cinque carte che l’ansia di Sootopolis, nonostante fossero plastificate, era riuscita a spiegazzare. La sua bocca si dischiudeva, sussurrava qualcosa che risultava inudibile pure a chi pronunciava.
Non poteva fare nulla, tra le sue mani non c’erano combinazioni sufficienti a salvarlo e gli altri presenti se n’erano resi conto. Tentò di dissimulare la vergogna, ma chiunque avrebbe detto che non ci stesse neanche provando, dal momento che la tensione sul suo viso livido era rimasta tale e quale a prima.
Coincise con la perdita delle speranze un viaggio mentale nel tempo a ritroso. Avrebbe maledetto tutto di quella serata.
Avrebbe voluto mutilare la mano che aveva alzato la cornetta qualche ora prima, soffocare quella voce altezzosa che era fuoriuscita dalla sua canna nell’atto di rispondere. Si chiese perché non avesse lasciato la lussuosa e scattante Geneviève – questo era il soprannome che usava per riferirsi alla propria Porsche – a riposare in pace nel suo accogliente garage, invece di scomodare il motore ben oliato per raggiungere quella sottospecie di patibolo che era diventata la casa di Lance Blackthorn dopo il nefasto crepuscolo di quel tremendo dì.
Adriano non voleva mai impararlo, per quanto le circostanze cercassero di inculcarlo in quella testa dura e densa come il marmo: non ricordava mai cosa significasse avere a che fare con un membro qualsiasi della famiglia Blackthorn. Quel cognome era sinonimo di ‘guai’. Lo ricordò solo in quel momento; se darsi dell’idiota fosse stato nel suo stile, il giovane professore l’avrebbe fatto senza pensarci due volte.
Per carità, il già menzionato Lance Blackthorn sapeva essere una persona squisita almeno quanto i suoi manicaretti, preparati con fantasia, meticolosità ed un grembiulino rosa di Barbie allacciato alla vita – perché era veramente così, sul panno era stampato persino il sorriso di plastica di Ken.
Nonostante l’ospitalità, la casa ordinata, il giardinetto fiorito osservabile dalla finestra, Lance era un tipo formale, serio e addirittura sinistro. La sua voce non tradiva emozioni, anche se Adriano credeva di averlo visto sussultare leggermente dopo aver udito la proposta di giocare a Strip Poker.
Il padrone di casa non rispondeva mai ‘no’, nonostante tutto. Si era seduto per terra – dopo essersi messo un cuscino roseo sotto al sedere – insieme agli altri, incrociando le gambe e mostrando a tutti i calzini bianchi e puliti - com’era lecito aspettarsi, dal momento che neanche un singolo granello di polvere aveva il permesso di appoggiarsi sulle superfici di quella casa.
Adriano aveva già percepito, sin dall’inizio, brividi di nervosismo insediarsi sottopelle. Non aveva interpretato come buon segno l’assenza di Red. Non gli passò per la mente il fatto che il diciannovenne potesse non essere stato invitato. In fondo, non lo aveva visto all’ultima lezione che aveva tenuto per le matricole – e questo già lo aveva allarmato alquanto.
Aveva scorto la capigliatura di Green, ma da un po’ di tempo la presenza del celebre bassista non lo emozionava più. Anche ora era presente, nonostante i suoi impegni fossero sicuramente numerosi; era lui in carne ed ossa, seduto assieme agli altri, attendendo di giocare a Strip Poker e guardando pazientemente Pino che, invece di mescolare le carte, le usava per esibirsi in alcune acrobazie che assomigliavano a giochi di prestigio.
Più Adriano osservava Green, più egli diventava ordinario ai suoi occhi. Anche quella volta non gli aveva concesso più attenzioni di quelle che avrebbe riservato ad una pallida imitazione. Non scorgeva più la bellezza ineffabile che lo aveva lasciato senza fiato nel vederlo dal vivo per la prima volta.
Il giovane professore si era addirittura convinto di essere più attraente: il suo splendido aspetto abbagliava sempre, indipendentemente dal tempo che trascorreva. Anche se quella era una serata tra soli uomini – forse, perché il dubbio sorgeva inevitabilmente quando si scorgeva Pino -, si sentiva addosso gli sguardi adoranti di tutti i presenti.
Ma, come già affermato in precedenza, l’importante era esserne convinti.
Pino, dopo aver riso alla grande dei primi accenni d’impazienza di Green – nonostante fosse un grande ammiratore del bassista, non riusciva a resistere alla tentazione di urtargli il sistema nervoso come faceva sempre con tutti gli esseri viventi -, aveva iniziato a distribuire le carte per i quattro giocatori, dando inizio all’accesa sfida.
Lance non era affatto bravo, ma ad aiutarlo c’era una fortuna sfacciata: alla prima mano buttò giù l’intero mazzetto che teneva, convinto di non avere alcuna combinazione, mentre invece disponeva sin dall’inizio di una Scala Colore senza aver cambiato neanche una carta.
Adriano si accorse con orrore di non avere più la camicia indosso, quando riemerse dai propri pensieri. Se l’era tolta sovrappensiero oppure qualcuno l’aveva spogliato di propria iniziativa? In effetti, riacquisendo il contatto con la realtà, ricordava vagamente di aver puntato l’indumento su una misera Coppia.
Non stava andando bene come si aspettava e lo considerava molto strano: si credeva un fuoriclasse del Poker pur avendoci giocato solo da bambino ed era stata la sua boria ad averlo spinto a proporre la variante Strip per movimentare la serata. Era sicuro che avrebbe vinto e che avrebbe denudato tutti gli altri presenti.
A giocarci tra maschi non c’era però niente di imbarazzante, anche se Adriano non avrebbe gradito l’idea di rimanere in mutande; sarebbe stato troppo poco signorile da parte sua, soprattutto di fronte ad un suo attuale studente. Senza contare che non ricordava neanche quale biancheria si fosse messo addosso.
Doveva concentrarsi su quella mano, al fine di proteggere i suoi bei pantaloni di raffinato velluto. Maledisse il fatto che in casa di Lance non si potesse entrare con le scarpe, perché in quel modo avrebbe avuto più indumenti per fare la puntata.
Scrutò le carte pescate. Cinque di cuori. Sei di quadri. Sette di fiori. Due di cuori. Due di picche. Un inizio ben poco incoraggiante, dal momento che tra le sue dita spiccava solo una Coppia, dal valore molto basso per di più. Avrebbe dovuto accettare ogni occasione per incrementarla.
“Ho qualcosa di immenso” disse Pino, con voce modulata dalla malizia.
Ognuno dei presenti iniziò a fremere interiormente. Dunque, se ciò che diceva era la pura verità, avrebbero dovuto tutti impegnarsi al massimo per quella mano, altrimenti arrivederci braghe care.
Il professore sentiva la disperazione attanagliargli il petto nel constatare che nessuno aveva intenzione di arrendersi, tutti motivatissimi da una questione del decoro personale o probabilmente, a giudicare dalle occhiate a lui indirizzate, dalla ferma intenzione di lasciare un autorevole professore in mutande. Erano tutti invidiosi della sua figura distinta, ha! Persino Green lo era, evidentemente, e ciò non faceva che confermare – secondo lui – quanto quel musicista fosse più sfigato del suo docente, a conti fatti.
Nonostante i suoi inconfessabili vaneggiamenti, non perse affatto la concentrazione nell’effettuare i cambi con le carte.
Nella sua testa si affollavano immagini di quei giovinastri ingenui che allestivano coretti di ‘mostraci le mutande, Prof!’, rimanendo in seguito ammutoliti dalla dignità con la quale Sootopolis sottostava alla penitenza, stagliandosi di fronte a loro e mettendo in mostra la sua grande e gloriosa patta – secondo lui lo era, ma in realtà non poteva saperlo dal momento che si era sempre considerato troppo serio per partecipare a confronti e gare di misure.
Poi li avrebbe anche terrorizzati con un inquietante sorriso sulle labbra, minacciando Green di non fargli passare l’esame di Storia dell’Arte, di denunciare la cugina di Lance per i suoi atti terroristici alle automobili altrui e, per quanto riguardava Pino…
Be’, avrebbe potuto inventare una menzogna da spacciare per vera alla prossima lezione, tutto ciò al fine di screditarlo. Magari sarebbe stato esilarante se l’avesse paragonato ad una statua greca, ma non certo per la bellezza e la perfezione, quanto per le ridottissime dimensioni dei suoi gioielli di famiglia. Oh, sì, gli pareva un’idea geniale. Sicuramente gli alunni ci avrebbero creduto ad occhi chiusi, vista l’evidente androginia della vittima di quello scherno – ma non gli venne in mente che i ragazzi avrebbero molto più probabilmente cominciato a raccontarsi storie nelle quali Pino era l’amante del professore e quest’ultimo lo stava diffamando per vendicarsi dell’onta di essere stato scaricato.
Nel frattempo, nelle sue mani si erano rincorse diverse carte.
Due di cuori. Due di picche. Due di fiori. Sette di fiori. Sei di quadri.
Tris. Ma ancora era troppo presto per tirare sospiri confortati e noncuranti. Tutti erano focalizzati sulle proprie carte e la partita era ben lungi dall’essere conclusa.
Nessuno osava demordere, nonostante a Sootopolis sembrasse di riuscire ad udire il gocciolio di rivoli di sudore che percorrevano le tempie degli altri giocatori. E lui? Lui non sudava affatto, era troppo stoico e cool per mostrare nervosismo – in realtà era il più teso di tutti e il motivo per cui il suo viso non mostrava segni di traspirazione era nient’altro che il freddo che aveva cominciato ad avvertire dopo essere rimasto a torso nudo.
Il gioco proseguì per altri turni, finché il sorriso del docente non si allargò e lui non dichiarò conclusa la propria mano.
Due di cuori. Due di picche. Due di fiori. Sette di fiori. Sette di quadri.
Full. Era assai difficile ottenere combinazioni più alte. Dunque i suoi pantaloni erano salvi e il suo sollievo fu notato dai presenti che, tuttavia, rimasero concentrati sul gioco fino alla resa dei conti.
Lance, naturalmente, aveva posato le proprie carte piuttosto presto, borbottando un atono ‘ci rinuncio’. Gli altri controllarono e, senza stupirsi, constatarono che aveva una maledetta Scala Colore.
Continuando sin dall’inizio ad essere testimoni di scenate simili da parte del padrone di casa, non erano ancora riusciti a privarlo neanche di un calzino. Sootopolis cominciò a chiedersi se non sarebbe stato meglio, in caso di sconfitta, diffondere una voce secondo la quale i membri della famiglia Blackthorn erano dei mostri o dei vampiri dotati di arcani poteri paranormali. Se non gli avessero dato credito, la sfacciata e inarrestabile fortuna di Lance sarebbe stata la prova inconfutabile.
Pino teneva tra le mani uno splendido Poker d’assi e dichiarò di averlo posseduto sin dall’inizio e di aver scambiato sempre la stessa carta ad ogni turno. “Mica stavo bluffando” affermò. “Siete stati proprio svegli a credermi, ma i vostri sforzi sono stati sicuramente inutili”.
Mancava solo Green. Sootopolis, nonostante il gelo che gli penetrava le ossa, iniziò a sudare freddo. Era impossibile che anche lui lo sconfiggesse. Quante probabilità ci sarebbero state? Una su un miliardo?
“Full” dichiarò nervosamente Green, posando a terra le proprie carte scoperte. Gli occhi del docente scattarono immediatamente ad effettuare un’attenta scansione di ciò che era stato appena posto alla sua attenzione.
Tre di cuori. Tre di quadri. Tre di picche. Sei di cuori. Sei di picche.
Non era ancora finita.
“Dai, professore! Mostraci la tua Scala Reale!” Così rise Pino, mirando malvagiamente a renderlo più nervoso di quanto già non fosse.
Ora Sootopolis cominciava anche a sentire una tensione alla vescica. Doveva calmarsi, poteva ancora essere Green lo sconfitto, non era detta l’ultima parola. Si lasciò cadere le carte dalle mani, rivoltate in modo che tutti potessero vederle. “Full.”
Gli altri iniziarono avidamente a sommare i valori. ‘Fa ventidue’, ‘ma che dici, asino’.
“Fa venti” comunicò Pino infine, dopo un’estenuante discussione ingiustificabilmente interminabile. Sootopolis sapeva che avrebbe dovuto attendere la stessa infinità di tempo, prima di ottenere quell’ansiogeno verdetto anche dalla parte di Green.
Se possibile, il conteggio durò anche di più. Ma che, lo facevano apposta?
Finalmente Pino gli rivolse lo sguardo, scuotendo il capo con un sorriso fintamente dispiaciuto.
Il fiato parve solidificarsi e coagulare nella gola del giovane professore.
“Ventuno.”
Era finita. Addio pantaloni, addio reputazione.
Magari avrebbero pensato che aveva certe gambe pelose che neanche una scimmia avrebbe potuto competergli, oppure avrebbero stabilito che possedeva dei piedi enormi e gli avrebbero affibbiato un simpatico soprannome come ‘Big Foot’, oppure ‘Yeti’. E quegli appellativi li avrebbe uditi per tutto l’istituto, già se li sentiva in testa.
Ma… un attimo! Poteva ancora contare sulla potenza incontrastabile e strabordante del proprio membro! Giusto, li avrebbe stupiti tutti come nella sua precedente fantasia, lasciandoli ammutoliti e guadagnandosi nomignoli molto lusinghieri come ‘Stallone’ oppure addirittura ‘Adriano Siffredi’!
Nessuna esitazione: doveva togliersi i pantaloni con nonchalance, dimostrando a tutti che non si vergognava affatto all’idea di rimanere in mutande, perché non aveva assolutamente nulla da celare agli occhi altrui.
Guardatemi tutti e stupitevi, stronzetti. Adesso vi minaccerò ad uno ad uno, quindi tremate!
Vide Lance e Green ammutolirsi e sbiancare, esterrefatti, mentre Pino congiungeva le mani e una luce deliziata ingigantiva i suoi occhi. Ma guardalo. Pensò Sootopolis, trionfante e tronfio. Allora è davvero gay.
…ma magari.
“Che mutande stupende!” Esalò subito il ventiduenne, incapace di trattenere la meraviglia, guastando rovinosamente la festa del professore. “Dove le ha comprate?”
“Ma come fai a dire una cosa del genere?” Sbottò Green, coprendosi gli occhi. “Sono micidiali, sapessi quanto sono scandalizzato!”
Sootopolis comprese che il suo piano era fallito. Poteva dare il proprio addio a quel mondo crudele, dato che da quel momento la sua esistenza era irrimediabilmente rovinata. Prima di cercare un nascondiglio da popolare in eterno per nascondersi dall’altrui scherno, tuttavia, gli rimase la curiosità di controllare quali mutande avessero sollevato quelle loro dispute.
Abbassò lentamente gli occhi sugli slip, scoprendosi indosso un capo di biancheria decisamente poco bianca. Conteneva anzi tutti i colori, esasperati ed esaltati da una tinta fotonica – simile a quella degli evidenziatori, per comprendere meglio – che ravvivava un motivo a scacchi. L’effetto era, persino per un soggetto come Sootopolis, quello di un pugno in un occhio assestato da un peso massimo della boxe.
Il fatto che quella fantasia piacesse tanto a Pino Mahogany non era per nulla rassicurante.
“Perché diamine Alice non ha ancora buttato via questa roba?!”
Alice, dato che senza alcun dubbio non lo immaginate neppure, era sua moglie. Ma non c’era scusa che reggesse abbastanza.
Questa è la storia vera grazie alla quale si diffusero i celebri nomignoli del professore associato Adriano Sootopolis in tutto il polo universitario, insegnanti compresi. Nomignoli che il docente non gradì affatto, ma che lo resero inaspettatamente più simpatico agli studenti.
Ma del resto, come avrebbe potuto un tipo come lui scorgere i lati positivi della questione, sentendosi continuamente nominare con appellativi quali ‘Pagliaccio’ e, soprattutto, il temutissimo ‘Paxxerello’?





Note: Dopo tanto tempo, torna anche questa serie... e ne sono molto felice, quindi spero che lo siate anche voi che la seguivate e... perché no, anche qualche nuovo lettore! Mi dispiace di essermi fatta attendere così tanto! Bè, avevo detto su ask di avere completato questo capitolo da ormai molto tempo e, sinceramente, mi dispiace lasciarlo là a fare la muffa. I capitoli extra sono un po' delle aggiunte, poco utili ai fini della trama (alcuni addirittura sono spin-off e ne pubblicherò uno ogni tre capitoli normali). Comunque sono cose un po' strampalate come avrete visto da questo capitolo, collocate normalmente nella linea temporale (infatti questo capitolo è successivo al terzo e antecedente al quarto). Spero che vi abbia divertito come mi ha divertito scriverlo! Vi lascio all'anteprima. <3

 
Anticipazioni capitolo 4:
Tutti coloro che lo circondavano erano consapevoli che avesse qualcosa da nascondere, che in realtà una grossa fetta del suo essere fosse in ombra. Del resto, quel giovane non parlava quasi mai: studiava e nessuno alla sede universitaria l’aveva mai notato a fare dell’altro.
No, in realtà l’avevano visto declinare con gelida educazione alcuni inviti da parte delle ragazze. Si speculava che fosse un androide e, di conseguenza, la cugina Sandra sarebbe stata un macchinario bellico trapiantato in università – queste erano le voci che cercava di seminare Pino Mahogany.
Ma era perfettamente umano, lui. Era fatto di carne, ossa, muscoli e anche di un sottilissimo filo di pancetta ben nascosta sotto i vestiti.
Ma allora chi diavolo era Lance Blackthorn?!

 
  
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