Disclaimers: These characters don’t belong to me.
Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the
legitimate owner of the copyright.
Buon
2014! Teniamo le dita incrociate e speriamo sia l'anno buono per finire
HoE. Durante la lettura di questo capitolo consiglio l'ascolto di una delle canzoni del mio
storico gruppo preferito, i Within Temptation. Il titolo è "Our
farewell", sembra scritta proprio per questo momento della storia, è perfetta in ogni parola.
P.S.
Premetto che uccidere l'autrice NON farà concludere bene la storia... anzi non la farà concludere affatto quindi confido nella vostra bontà *___*
Mel
Kaine
The Heart of Everything
24 -
/ Hands of darkness (reaching for my soul) /
Remus si alzò di scatto dalla sedia, come a raggiungere Sirius. I suoi
occhi guardavano il pezzo di pergamena che il suo amico stringeva in
pugno come un trofeo.
Albus Dumbledore, sospirando lentamente, fece per prendere parola, ma
Sirius li gelò entrambi.
“No. Non voglio. Sentire. Altre. Scuse. Non voglio le tue banalità
Remus e tanto meno le tue menzogne, Albus. Non mi interessano i tuoi,
tsk, piani segreti. E non ascolterò nessuno di voi. Se non vuoi che
vada di persona a strappare il figlio di James dalle mani di quel… uomo
– si trattenne a stento – sarà meglio che tu provveda immediatamente a
farmi portare qui il bambino. A meno che tu non preferisca risponderne
al Ministro con l’accusa di insubordinazione. Non dare quest’asso nella
manica a Fudge, Albus, ti assicuro che non aspetta altro”.
C’era così tanto odio nelle sue parole, nei suoi gesti, nella sua voce
che Albus se ne rattristò. No, non era odio verso di lui, verso il
Ministero, verso Remus e non era, probabilmente, neppure un odio
destinato solo a Severus.
Sirius era un animale ferito quasi a morte, incapace di ragionare.
La situazione sarebbe peggiorata ancora e ancora.
Sarebbero caduti in una spirale che avrebbe portato tutti loro alla
rovina.
Si alzò, dunque, con estrema risolutezza e con estrema calma disse:
“Permettimi almeno di recarmi da lui personalmente, Sirius. Tu potrai
aver dimenticato le buone maniere, ma io certamente non l’ho fatto e
Severus merita una spiegazione, non un altro rapimento”.
Senza una parola Sirius si fece da parte, liberando l’uscita del suo
ufficio.
Uno sguardo duro come il diamante nei suoi occhi, ricambiato, per un
istante, dal Preside.
Perché se era vero che Sirius avvertiva lui di non giocargli uno dei
suoi tiri mancini, Albus avvertì Sirius che da quel momento in poi non
avrebbe tollerato altri colpi di testa.
In silenzio e avanzando senza fretta Albus si diresse verso i piani
inferiori del castello.
Dopo il rientro dal pomeriggio in giardino il bambino-Potter aveva
fatto una buona merenda e adesso sedeva assonnato su una delle poltrone
verde-argento.
Severus ne aveva approfittato per finire la lettura di uno dei trattati
più interessanti pubblicati quella settimana su uno dei suoi giornali
preferiti di pozioni.
La magia di Snape lo avvertì dell’identità del suo visitatore ben prima
del colpo di nocche alla porta e, sospirando infastidito, il giovane
professore si alzò per far entrare il grande Albus Dumbledore
nei suoi umili quartieri. Gettando un’occhiata al bambino pensò subito
che la sua fortuita ed addormentata presenza gli avrebbe permesso di
liberarsi presto del suo non richiesto ospite.
Ma quando si ritrovò di fronte al Preside immediatamente fu chiaro che
quella non era una visita di cortesia.
La magia di Albus, benché perfettamente dominata, si poteva percepire
attorno a loro, potente, irrequieta e sul suo viso immoto mancava quel
dannato brillio negli occhi che aveva sempre avuto il potere di
irritarlo, ma che al tempo stesso lo confortava.
Non era certamente il momento di indugiare nei convenevoli.
“Che succede, Albus?”
L’anziano Preside sospirò, volgendo lo sguardo alle sue stanze mentre
entrava.
E questo era davvero un pessimo segno.
“Devo parlarti urgentemente, Severus. Quello che temevamo è, infine,
accaduto”.
Severus si volse la frazione di un istante. Il bambino dormiva ancora.
“Da questa parte” disse e lasciò che Albus lo seguisse verso la piccola
sala da pranzo.
Senza tergiversare oltre, per una volta, l’anziano mago arrivò al
punto, preciso come un arciere.
“Temo che Sirius abbia fatto la sua mossa definitiva. Adesso aspetta
nel mio ufficio, con un documento ufficiale che gli consente di portare
via il giovane Harry. Ora”.
Per la prima volta Severus Snape rimase in silenzio, senza trovare
niente da dire o da rispondere a quella frase gettata lì, quasi
casualmente.
Quando aveva visto la tempesta negli occhi di Albus si era immaginato
molte cose.
Un attacco a sorpresa, un problema con il Ministero, la morte di uno
dei membri dell’Ordine, persino Voldemort in persona tornato
dall’inferno e magicamente riapparso nella Sala Grande.
Qualsiasi cosa, ma non… questo.
Questo. L’unica cosa che al momento poteva toccarlo veramente, ferirlo.
Mangiamorte? Avrebbe lottato ed ucciso, lo aveva già fatto.
Il Ministero? Avrebbe mentito ed ingannato, lo aveva già fatto.
La morte? Avrebbe giurato di onorare la memoria di chi si sacrificava
per la causa, lo aveva già fatto.
Voldemort? L’avrebbe guardato negli occhi, di nuovo e si sarebbe
schierato al fianco di Albus.
Sì, l’aveva già fatto.
Ma questo no.
Harry.
Il suo bambino-Potter.
Suo, suo.
Harry.
Rimase immobile e tutto quello che avrebbe voluto dire si spense in un
gesto disperato della sua testa, mentre Albus faceva l’errore di
mettergli una mano sulla spalla.
Snape la scostò bruscamente.
“No. NO – gridò all’improvviso. – Io ho mandato quel foglio e tu l’hai
firmato. E’ abbastanza. Deve essere abbastanza. Come osa quel cane
schifoso presentarsi qui adesso e pretendere di occuparsi di un bambino
quando non è nemmeno in grado di occuparsi di se stesso. Dov’era quando
Voldemort ha ucciso i suoi genitori, dov’era quando quei Muggle
bastardi hanno picchiato e affamato il suo ‘figlioccio’. No, Albus,
questa volta no. Non me lo porterà via. Non mi porterà via anche Harry.
Dov’è? DOVE SI TROVA? Questo sarà il giorno in cui regoleremo i nostri
conti una volta per tutte…”
“Ragazzo mio, per favore, calmati…”
“NON DIRMI COSA DEVO FARE, SONO STANCO DEI TUOI ORDINI, SONO STANCO DI…”
Improvvisamente tacque, gli occhi di carbone lievemente sgranati, fissi
in un punto vicino alla soglia della cucina.
Il bambino-Potter li guardava da lì.
Il piccolo Harry era stato svegliato dalla voce arrabbiata del suo
uomo-Sevreus. Un senso di allarme fortissimo lo aveva colto e lo aveva
svegliato del tutto facendolo scendere in fretta dalla poltrona. Mentre
rimaneva lì, incerto se correre in cucina dall’uomo per aiutarlo o meno
sentì ‘le parole’.
Eccole.
Quelle che aveva sempre temuto, quelle che sapeva, sarebbero arrivate.
‘Portare via’.
Lo sapeva, lo sapeva, ripeté fra sé e sé. Non doveva essere triste, non
doveva piangere. Aveva sempre saputo che prima o poi questo momento
sarebbe arrivato e che nessuno, nemmeno il suo maestro, così buono con
lui, avrebbe potuto fare niente.
Ecco.
Adesso doveva solo fare un bel respiro, stare ben dritto con la
schiena, come il piccolo soldato di cui l’uomo sarebbe stato orgoglioso
e farsi… portare via.
Aveva avuto un piccolo paradiso, era potuto stare con l’uomo-Sevreus,
avevano fatto così tante cose belle che sarebbero per sempre rimaste
nei suoi ricordi.
Eppure era così difficile fare quel respiro, quasi impossibile.
Qualcosa di simile ad un grosso sasso gli si era incastrato in gola e
le lacrime gli facevano pungere gli occhi insopportabilmente.
Non voleva andare via, non voleva.
Il maestro, però, continuava ad urlare ed Harry sapeva che non aveva
scelta.
Adesso che ne aveva l’occasione poteva, doveva fare questo per lui.
Non voleva metterlo nei guai, non voleva che combattesse, anche se non
sapeva contro chi…
Così avanzò, prima che la decisione di quei momenti lo lasciasse per
sempre.
Il maestro-Sevreus gli aveva insegnato che Harry era libero di
scegliere ed Harry avrebbe fatto tesoro di quel dono e lo avrebbe usato
per ringraziarlo.
Così si mise sulla soglia della cucina, le piccole spalle diritte, la
testolina alta.
Sì, un buon soldato.
Per il suo uomo-Sevreus.
“Harry…”
Quella voce, quella voce profonda, che lo accarezzava ogni volta,
quella voce che gli aveva parlato di cose meravigliose tutte quelle
sere.
Non voleva lasciarlo, non voleva.
Le lacrime rotolavano lungo le sue guance così come quelle parole dalle
sue piccole labbra tremanti.
“Se il maestro Sevreus è nei guai perché Harry è qui, Harry può andare
via, maestro. Harry non vuole che il maestro abbia dei problemi, mai,
Harry può andare via, davvero maestro”.
La sua piccola, coraggiosa voce si spense in un singulto talmente forte
da scuotere il suo intero corpicino e, senza pensarci due volte, Snape
s’inginocchiò davanti a lui e lo strinse forte fra le sue braccia nere.
Al diavolo Albus che guardava, al diavolo tutto il suo riserbo, tutto
il suo orgoglio.
“No, Harry non deve andare via. Harry deve restare per sempre con me.
Harry”.
Con una mano strinse delicatamente la sua testolina contro il proprio
petto mentre il bambino piangeva disperato.
Harry aveva sentito le parole del suo maestro e ne era stato felice, ma
sapeva che quella volta non sarebbero potute essere vere anche se il
maestro lo voleva quanto lui, l’aveva sentito nella sua voce, nel suo
abbraccio.
Rimasero così a lungo, senza la volontà di lasciarsi, perché farlo
avrebbe significato separarsi e Snape non riusciva ad accettarlo.
Avrebbe lottato, non importava il prezzo.
Infine spezzò il loro contatto e si alzò in piedi in un solo movimento
fluido e pieno di determinazione. Con un gesto veloce e preciso
estrasse la bacchetta.
“No” disse solo Dumbledore.
Gli occhi di Severus adesso erano due lame di fuoco.
Quelli di Albus, invece, lo guardavano con dolore, con vero dolore.
Per una volta
qualcosa di sincero sul tuo viso, dovevamo arrivare a questo Albus…
“No, ragazzo mio. Non posso permettertelo”.
“Vogliamo mettere alla prova questa tua affermazione?” lo sfidò Snape.
Ignorando l’irrispettoso tono di sfida e la velata minaccia delle sue
parole Albus si fece vicino e lo guardò negli occhi, seriamente.
“Non permetterò né a te né a Sirius di fare quest’errore. Ti assicuro,
ragazzo, che oltre a soddisfare la tua sete di vendetta non otterrai
altro. Ad Azkaban non potrai occuparti di Harry né tanto meno vederlo.
Invece se rimani calmo potrai combattere in tribunale la tua battaglia.
Non capisci che correndo da Sirius con la bacchetta in mano gli darai
esattamente ciò che vuole? Ti comporterai esattamente come lui si
aspetta da te e così facendo giustificherai la sua decisione sbagliata.
Sirius è pieno di rabbia e frustrazione, sente il peso della
responsabilità della morte dei suoi amici, si è fidato stupidamente ed
ha scontato il proprio ingenuo errore con cinque duri anni d’ingiusta
incarcerazione. Cosa pensi di ottenere da lui adesso? Non è in grado di
comprendere e non possiamo fermarlo. Non provo piacere nel
ricordartelo, credimi, ma il Ministero aspetta soltanto la tua testa
Severus e Sirius ha pronto il vassoio d’argento. La mia volontà è
influente in molti luoghi qui nel mondo magico, ma se verrai condannato
nemmeno io potrò fare niente per te. So che non sei così sciocco da non
capire, ragazzo mio, hai guardato la morte negli occhi più di una volta
e non hai mai vacillato. Se avrai pazienza assisterai alla disfatta del
tuo nemico altrimenti perderai tutto per un solo attimo di gloria. E’
questo, dunque, quello che vuoi?”
Anche dopo le sue parole le loro volontà si scontrarono ancora a lungo
attraverso i loro sguardi. In silenzio.
Poi, facendo appello ad ogni residuo di padronanza e di dominio sui
propri sentimenti, Severus rinfoderò la bacchetta.
Il suo animo bruciava nel desiderio di sporcarsi di sangue le mani, ma
la ragione gridava di controllarsi e di attendere il momento propizio.
Ciò che gli rendeva insopportabile ascoltarla era il pensiero di
sacrificare Harry. Di tradirlo. Aveva giurato di difenderlo da tutto e
tutti e questo certamente includeva il suo folle, dissennato padrino.
Ma la verità lo teneva incatenato ad Hogwarts. Da nessun altra parte
avrebbe trovato asilo e protezione. Poteva solo accettare di aver perso
quella battaglia e prepararsi a vincere la guerra.
“Attenderò, ma puoi fermare la mia mano solo questa volta Albus.
Ricordalo”.
“Ti ringrazio, Severus. So che hai preso la decisione giusta, come
sempre”.
“Per favore, non rivolgermi mai più queste parole. Non le sopporto”.
E con disprezzo si volse.
Se fosse stato un’adorante, sciocca pedina come tutti gli altri avrebbe
ringraziato il potente Dumbledore per averlo riportato a più miti
consigli, ma Severus non poteva dimenticare chi per primo li aveva
portati allo scontro.
Prima di rimpiangere ulteriormente la propria decisione s’inginocchiò
nuovamente di fronte al bambino-Potter.
“Harry. Questo non è definitivo, lo capisci?”
Harry annuì lievemente mentre Snape con un piccolo sorriso storto gli
chiedeva:
“Sai che vuol dire ‘definitivo’?”
Il bimbo annuì di nuovo e si asciugò un occhio con un pugnetto chiuso.
Il maestro-Sevreus era così buono da dirgli quelle cose per consolarlo
anche se sapevano tutti e due che non erano vere. Oh, quanto gli voleva
bene…
“Harry…”
Con risoluzione si alzò e tese la mano per prendere quella del bambino.
Di nuovo Albus lo fermò.
“Severus lascia che accompagni io Harry. Sai cosa succederà se sarai tu
a farlo. Da una parola di troppo o da un singolo gesto potreste
arrivare allo scontro che adesso, saggiamente, stai evitando…”
Snape si volse, furente.
“Pensi forse che una volta presa una decisione io non sia in grado di
mantenerla?”
Albus si fece nuovamente vicino a lui.
“Ascolta questo vecchio ancora una volta, ragazzo mio. Dai a Sirius
questa vittoria, completamente”.
Il dolore era incredibile, ma nel profondo Severus sapeva che quel
dannato vecchio aveva ragione. Accompagnare il bambino-Potter sarebbe
stato solo un pretesto.
La sua mano si fece lasca ed egli lasciò andare quella del bambino.
Rapidamente Dumbledore prese il suo posto e dopo un rapido assenso
della testa da parte del suo maestro Harry si preparò a seguire il
Preside anche se, con enorme soddisfazione di Severus, Harry non prese
mai la mano che Albus gli offriva.
E mentre Dumbledore concedeva ancora loro un istante Severus guardò il
suo bambino-Potter e fu guardato in cambio.
Il verde dei boschi nel nero dell’onice.
Infine quella piccola voce, quel verde brillante dei suoi occhi che si
accendeva, forse, per l’ultima volta.
“Grazie, maestro”.
Un sussurro, un piccolo sorriso.
Quando si volsero per uscire Snape fece lo stesso dall’altra parte. E
non corse alla porta per abbracciarlo.
Perché quello non sarebbe stato un addio anche se lo sembrava così
tanto da spezzargli il respiro.
Senza una parola il nonnino lo condusse su per corridoi e scale. Il
piccolo Harry era grato del silenzio, non aveva voglia di parlare con
nessuno. Tutto era grigio e scuro e non incontrarono persone fino a
che, davanti ad una statua spaventosa non vide due uomini che
aspettavano.
Ecco.
Non li guardò negli occhi, non guardò com’erano, non chiese nulla, non
sapeva cosa fare né cosa aspettarsi e nemmeno gli importava.
Niente gli importava.
Ormai l’unica cosa importante nella sua vita era rimasta giù, in quelle
stanze nere come i suoi vestiti.
Albus si fermò e così sentì fare al bambino al suo fianco.
Il suo sguardo si levò duro e intransigente su Sirius.
Parlò lentamente, senza dare nessun tono preciso alle sue parole, ma
tutti le sentirono come riecheggiare nella loro testa. Soprattutto
Black.
“Spero ti renderai conto di quello che hai richiesto da me oggi,
Sirius. Ricorderò la lealtà che mi devi quando sarà il momento”.
Ed il suo potere si levò violento attorno a loro e vide nei loro occhi
che lo avevano sentito, che lo potevano percepire sulla pelle
increspata dal brivido elettrico che li aveva attraversati.
Sirius poteva essere davvero pazzo secondo alcuni, ma non così tanto da
trovare la propria distruzione in quei momenti.
“Naturalmente, Albus”.
La magia attorno a loro si dissolse in un istante mentre Dumbledore
faceva cenno al bambino di farsi avanti.
“Molto bene. Harry, questi signori sono qui per te. Entrambi sono stati
cari amici dei tuoi genitori e Sirius è anche il tuo padrino. Puoi
andare con loro…”
Sembrava quasi che il nonnino stesse per aggiungere ‘se vuoi’ ed Harry
lo sperò tanto, con tutte le sue forze. Sarebbe stato maleducato,
certo, ma avrebbe detto ‘no, non voglio assolutamente’ e sarebbe
tornato giù per le scale e sulla soglia avrebbe chiamato il nome del
suo maestro e si sarebbero abbracciati di nuovo e sarebbero rimasti
insieme, questa volta per sempre.
Ma nessuno gli chiese se voleva.
Nessuno glielo aveva mai chiesto.
Solo l’uomo-Sevreus.
Ma adesso non c’era più.
Harry era solo.
Continua…
Nota grammaticale: per mia decisione personale in
questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono
mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per
rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché
non approvo la dilagante malattia del
‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi
è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.
|