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Autore: MelKaine    17/01/2014    19 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of everything 24
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Buon 2014! Teniamo le dita incrociate e speriamo sia l'anno buono per finire HoE. Durante la lettura di questo capitolo consiglio l'ascolto di una delle canzoni del mio storico gruppo preferito, i Within Temptation. Il titolo è "Our farewell", sembra scritta proprio per questo momento della storia, è perfetta in ogni parola. 

P.S. Premetto che uccidere l'autrice NON farà concludere bene la storia... anzi non la farà concludere affatto quindi confido nella vostra bontà *___*

Mel Kaine

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 24 - / Hands of darkness (reaching for my soul) /


 




Remus si alzò di scatto dalla sedia, come a raggiungere Sirius. I suoi occhi guardavano il pezzo di pergamena che il suo amico stringeva in pugno come un trofeo.
Albus Dumbledore, sospirando lentamente, fece per prendere parola, ma Sirius li gelò entrambi.

“No. Non voglio. Sentire. Altre. Scuse. Non voglio le tue banalità Remus e tanto meno le tue menzogne, Albus. Non mi interessano i tuoi, tsk, piani segreti. E non ascolterò nessuno di voi. Se non vuoi che vada di persona a strappare il figlio di James dalle mani di quel… uomo – si trattenne a stento – sarà meglio che tu provveda immediatamente a farmi portare qui il bambino. A meno che tu non preferisca risponderne al Ministro con l’accusa di insubordinazione. Non dare quest’asso nella manica a Fudge, Albus, ti assicuro che non aspetta altro”.

C’era così tanto odio nelle sue parole, nei suoi gesti, nella sua voce che Albus se ne rattristò. No, non era odio verso di lui, verso il Ministero, verso Remus e non era, probabilmente, neppure un odio destinato solo a Severus.
Sirius era un animale ferito quasi a morte, incapace di ragionare.
La situazione sarebbe peggiorata ancora e ancora.
Sarebbero caduti in una spirale che avrebbe portato tutti loro alla rovina.
Si alzò, dunque, con estrema risolutezza e con estrema calma disse:

“Permettimi almeno di recarmi da lui personalmente, Sirius. Tu potrai aver dimenticato le buone maniere, ma io certamente non l’ho fatto e Severus merita una spiegazione, non un altro rapimento”.

Senza una parola Sirius si fece da parte, liberando l’uscita del suo ufficio.
Uno sguardo duro come il diamante nei suoi occhi, ricambiato, per un istante, dal Preside.
Perché se era vero che Sirius avvertiva lui di non giocargli uno dei suoi tiri mancini, Albus avvertì Sirius che da quel momento in poi non avrebbe tollerato altri colpi di testa.

In silenzio e avanzando senza fretta Albus si diresse verso i piani inferiori del castello.


Dopo il rientro dal pomeriggio in giardino il bambino-Potter aveva fatto una buona merenda e adesso sedeva assonnato su una delle poltrone verde-argento.
Severus ne aveva approfittato per finire la lettura di uno dei trattati più interessanti pubblicati quella settimana su uno dei suoi giornali preferiti di pozioni.

La magia di Snape lo avvertì dell’identità del suo visitatore ben prima del colpo di nocche alla porta e, sospirando infastidito, il giovane professore si alzò per far entrare il grande Albus Dumbledore  nei suoi umili quartieri. Gettando un’occhiata al bambino pensò subito che la sua fortuita ed addormentata presenza gli avrebbe permesso di liberarsi presto del suo non richiesto ospite.

Ma quando si ritrovò di fronte al Preside immediatamente fu chiaro che quella non era una visita di cortesia.
La magia di Albus, benché perfettamente dominata, si poteva percepire attorno a loro, potente, irrequieta e sul suo viso immoto mancava quel dannato brillio negli occhi che aveva sempre avuto il potere di irritarlo, ma che al tempo stesso  lo confortava.
Non era certamente il momento di indugiare nei convenevoli.

“Che succede, Albus?”

L’anziano Preside sospirò, volgendo lo sguardo alle sue stanze mentre entrava.
E questo era davvero un pessimo segno.

“Devo parlarti urgentemente, Severus. Quello che temevamo è, infine, accaduto”.

Severus si volse la frazione di un istante. Il bambino dormiva ancora.
“Da questa parte” disse e lasciò che Albus lo seguisse verso la piccola sala da pranzo.

Senza tergiversare oltre, per una volta, l’anziano mago arrivò al punto, preciso come un arciere.

“Temo che Sirius abbia fatto la sua mossa definitiva. Adesso aspetta nel mio ufficio, con un documento ufficiale che gli consente di portare via il giovane Harry. Ora”.

Per la prima volta Severus Snape rimase in silenzio, senza trovare niente da dire o da rispondere a quella frase gettata lì, quasi casualmente.
Quando aveva visto la tempesta negli occhi di Albus si era immaginato molte cose.
Un attacco a sorpresa, un problema con il Ministero, la morte di uno dei membri dell’Ordine, persino Voldemort in persona tornato dall’inferno e magicamente riapparso nella Sala Grande.
Qualsiasi cosa, ma non… questo.

Questo. L’unica cosa che al momento poteva toccarlo veramente, ferirlo.
Mangiamorte? Avrebbe lottato ed ucciso, lo aveva già fatto.
Il Ministero? Avrebbe mentito ed ingannato, lo aveva già fatto.
La morte? Avrebbe giurato di onorare la memoria di chi si sacrificava per la causa, lo aveva già fatto.
Voldemort? L’avrebbe guardato negli occhi, di nuovo e si sarebbe schierato al fianco di Albus.
Sì, l’aveva già fatto.

Ma questo no.
Harry.

Il suo bambino-Potter.
Suo, suo.

Harry.

Rimase immobile e tutto quello che avrebbe voluto dire si spense in un gesto disperato della sua testa, mentre Albus faceva l’errore di mettergli una mano sulla spalla.
Snape la scostò bruscamente.
“No. NO – gridò all’improvviso. – Io ho mandato quel foglio e tu l’hai firmato. E’ abbastanza. Deve essere abbastanza. Come osa quel cane schifoso presentarsi qui adesso e pretendere di occuparsi di un bambino quando non è nemmeno in grado di occuparsi di se stesso. Dov’era quando Voldemort ha ucciso i suoi genitori, dov’era quando quei Muggle bastardi hanno picchiato e affamato il suo ‘figlioccio’. No, Albus, questa volta no. Non me lo porterà via. Non mi porterà via anche Harry. Dov’è? DOVE SI TROVA? Questo sarà il giorno in cui regoleremo i nostri conti una volta per tutte…”

“Ragazzo mio, per favore, calmati…”

“NON DIRMI COSA DEVO FARE, SONO STANCO DEI TUOI ORDINI, SONO STANCO DI…”

Improvvisamente tacque, gli occhi di carbone lievemente sgranati, fissi in un punto vicino alla soglia della cucina.

Il bambino-Potter li guardava da lì.


Il piccolo Harry era stato svegliato dalla voce arrabbiata del suo uomo-Sevreus. Un senso di allarme fortissimo lo aveva colto e lo aveva svegliato del tutto facendolo scendere in fretta dalla poltrona. Mentre rimaneva lì, incerto se correre in cucina dall’uomo per aiutarlo o meno sentì ‘le parole’.
Eccole.
Quelle che aveva sempre temuto, quelle che sapeva, sarebbero arrivate.

‘Portare via’.

Lo sapeva, lo sapeva, ripeté fra sé e sé. Non doveva essere triste, non doveva piangere. Aveva sempre saputo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato e che nessuno, nemmeno il suo maestro, così buono con lui, avrebbe potuto fare niente.
Ecco.
Adesso doveva solo fare un bel respiro, stare ben dritto con la schiena, come il piccolo soldato di cui l’uomo sarebbe stato orgoglioso e farsi… portare via.
Aveva avuto un piccolo paradiso, era potuto stare con l’uomo-Sevreus, avevano fatto così tante cose belle che sarebbero per sempre rimaste nei suoi ricordi.
Eppure era così difficile fare quel respiro, quasi impossibile.
Qualcosa di simile ad un grosso sasso gli si era incastrato in gola e le lacrime gli facevano pungere gli occhi insopportabilmente.
Non voleva andare via, non voleva.
Il maestro, però, continuava ad urlare ed Harry sapeva che non aveva scelta.
Adesso che ne aveva l’occasione poteva, doveva fare questo per lui.
Non voleva metterlo nei guai, non voleva che combattesse, anche se non sapeva contro chi…

Così avanzò, prima che la decisione di quei momenti lo lasciasse per sempre.
Il maestro-Sevreus gli aveva insegnato che Harry era libero di scegliere ed Harry avrebbe fatto tesoro di quel dono e lo avrebbe usato per ringraziarlo.
Così si mise sulla soglia della cucina, le piccole spalle diritte, la testolina alta.
Sì, un buon soldato.
Per il suo uomo-Sevreus.


“Harry…”
Quella voce, quella voce profonda, che lo accarezzava ogni volta, quella voce che gli aveva parlato di cose meravigliose tutte quelle sere.
Non voleva lasciarlo, non voleva.
Le lacrime rotolavano lungo le sue guance così come quelle parole dalle sue piccole labbra tremanti.

“Se il maestro Sevreus è nei guai perché Harry è qui, Harry può andare via, maestro. Harry non vuole che il maestro abbia dei problemi, mai, Harry può andare via, davvero maestro”.

La sua piccola, coraggiosa voce si spense in un singulto talmente forte da scuotere il suo intero corpicino e, senza pensarci due volte, Snape s’inginocchiò davanti a lui e lo strinse forte fra le sue braccia nere.
Al diavolo Albus che guardava, al diavolo tutto il suo riserbo, tutto il suo orgoglio.
“No, Harry non deve andare via. Harry deve restare per sempre con me. Harry”.

Con una mano strinse delicatamente la sua testolina contro il proprio petto mentre il bambino piangeva disperato.
Harry aveva sentito le parole del suo maestro e ne era stato felice, ma sapeva che quella volta non sarebbero potute essere vere anche se il maestro lo voleva quanto lui, l’aveva sentito nella sua voce, nel suo abbraccio.
Rimasero così a lungo, senza la volontà di lasciarsi, perché farlo avrebbe significato separarsi e Snape non riusciva ad accettarlo.
Avrebbe lottato, non importava il prezzo.
Infine spezzò il loro contatto e si alzò in piedi in un solo movimento fluido e pieno di determinazione. Con un gesto veloce e preciso estrasse la bacchetta.

“No” disse solo Dumbledore.

Gli occhi di Severus adesso erano due lame di fuoco.
Quelli di Albus, invece, lo guardavano con dolore, con vero dolore.
Per una volta qualcosa di sincero sul tuo viso, dovevamo arrivare a questo Albus…

“No, ragazzo mio. Non posso permettertelo”.

“Vogliamo mettere alla prova questa tua affermazione?” lo sfidò Snape.

Ignorando l’irrispettoso tono di sfida e la velata minaccia delle sue parole Albus si fece vicino e lo guardò negli occhi, seriamente.

“Non permetterò né a te né a Sirius di fare quest’errore. Ti assicuro, ragazzo, che oltre a soddisfare la tua sete di vendetta non otterrai altro. Ad Azkaban non potrai occuparti di Harry né tanto meno vederlo. Invece se rimani calmo potrai combattere in tribunale la tua battaglia. Non capisci che correndo da Sirius con la bacchetta in mano gli darai esattamente ciò che vuole? Ti comporterai esattamente come lui si aspetta da te e così facendo giustificherai la sua decisione sbagliata. Sirius è pieno di rabbia e frustrazione, sente il peso della responsabilità della morte dei suoi amici, si è fidato stupidamente ed ha scontato il proprio ingenuo errore con cinque duri anni d’ingiusta incarcerazione. Cosa pensi di ottenere da lui adesso? Non è in grado di comprendere e non possiamo fermarlo. Non provo piacere nel ricordartelo, credimi, ma il Ministero aspetta soltanto la tua testa Severus e Sirius ha pronto il vassoio d’argento. La mia volontà è influente in molti luoghi qui nel mondo magico, ma se verrai condannato nemmeno io potrò fare niente per te. So che non sei così sciocco da non capire, ragazzo mio, hai guardato la morte negli occhi più di una volta e non hai mai vacillato. Se avrai pazienza assisterai alla disfatta del tuo nemico altrimenti perderai tutto per un solo attimo di gloria. E’ questo, dunque, quello che vuoi?”

Anche dopo le sue parole le loro volontà si scontrarono ancora a lungo attraverso i loro sguardi. In silenzio.
Poi, facendo appello ad ogni residuo di padronanza e di dominio sui propri sentimenti, Severus rinfoderò la bacchetta.
Il suo animo bruciava nel desiderio di sporcarsi di sangue le mani, ma la ragione gridava di controllarsi e di attendere il momento propizio.
Ciò che gli rendeva insopportabile ascoltarla era il pensiero di sacrificare Harry. Di tradirlo. Aveva giurato di difenderlo da tutto e tutti e questo certamente includeva il suo folle, dissennato padrino. Ma la verità lo teneva incatenato ad Hogwarts. Da nessun altra parte avrebbe trovato asilo e protezione. Poteva solo accettare di aver perso quella battaglia e prepararsi a vincere la guerra.

“Attenderò, ma puoi fermare la mia mano solo questa volta Albus. Ricordalo”.

“Ti ringrazio, Severus. So che hai preso la decisione giusta, come sempre”.

“Per favore, non rivolgermi mai più queste parole. Non le sopporto”.

E con disprezzo si volse.
Se fosse stato un’adorante, sciocca pedina come tutti gli altri avrebbe ringraziato il potente Dumbledore per averlo riportato a più miti consigli, ma Severus non poteva dimenticare chi per primo li aveva portati allo scontro.

Prima di rimpiangere ulteriormente la propria decisione s’inginocchiò nuovamente di fronte al bambino-Potter.
“Harry. Questo non è definitivo, lo capisci?”

Harry annuì lievemente mentre Snape con un piccolo sorriso storto gli chiedeva:
“Sai che vuol dire ‘definitivo’?”
Il bimbo annuì di nuovo e si asciugò un occhio con un pugnetto chiuso.
Il maestro-Sevreus era così buono da dirgli quelle cose per consolarlo anche se sapevano tutti e due che non erano vere. Oh, quanto gli voleva bene…
“Harry…”
Con risoluzione si alzò e tese la mano per prendere quella del bambino.
Di nuovo Albus lo fermò.
“Severus lascia che accompagni io Harry. Sai cosa succederà se sarai tu a farlo. Da una parola di troppo o da un singolo gesto potreste arrivare allo scontro che adesso, saggiamente, stai evitando…”
Snape si volse, furente.
“Pensi forse che una volta presa una decisione io non sia in grado di mantenerla?”
Albus si fece nuovamente vicino a lui.
“Ascolta questo vecchio ancora una volta, ragazzo mio. Dai a Sirius questa vittoria, completamente”.
Il dolore era incredibile, ma nel profondo Severus sapeva che quel dannato vecchio aveva ragione. Accompagnare il bambino-Potter sarebbe stato solo un pretesto.
La sua mano si fece lasca ed egli lasciò andare quella del bambino.
Rapidamente Dumbledore prese il suo posto e dopo un rapido assenso della testa da parte del suo maestro Harry si preparò a seguire il Preside anche se, con enorme soddisfazione di Severus, Harry non prese mai la mano che Albus gli offriva.
 
E mentre Dumbledore concedeva ancora loro un istante Severus guardò il suo bambino-Potter e fu guardato in cambio.
Il verde dei boschi nel nero dell’onice.
Infine quella piccola voce, quel verde brillante dei suoi occhi che si accendeva, forse, per l’ultima volta.
“Grazie, maestro”.
Un sussurro, un piccolo sorriso.
Quando si volsero per uscire Snape fece lo stesso dall’altra parte. E non corse alla porta per abbracciarlo.
Perché quello non sarebbe stato un addio anche se lo sembrava così tanto da spezzargli il respiro.


Senza una parola il nonnino lo condusse su per corridoi e scale. Il piccolo Harry era grato del silenzio, non aveva voglia di parlare con nessuno. Tutto era grigio e scuro e non incontrarono persone fino a che, davanti ad una statua spaventosa non vide due uomini che aspettavano.
Ecco.
Non li guardò negli occhi, non guardò com’erano, non chiese nulla, non sapeva cosa fare né cosa aspettarsi e nemmeno gli importava.
Niente gli importava.
Ormai l’unica cosa importante nella sua vita era rimasta giù, in quelle stanze nere come i suoi vestiti.

Albus si fermò e così sentì fare al bambino al suo fianco.
Il suo sguardo si levò duro e intransigente su Sirius.
Parlò lentamente, senza dare nessun tono preciso alle sue parole, ma tutti le sentirono come riecheggiare nella loro testa. Soprattutto Black.
“Spero ti renderai conto di quello che hai richiesto da me oggi, Sirius. Ricorderò la lealtà che mi devi quando sarà il momento”.
Ed il suo potere si levò violento attorno a loro e vide nei loro occhi che lo avevano sentito, che lo potevano percepire sulla pelle increspata dal brivido elettrico che li aveva attraversati.
Sirius poteva essere davvero pazzo secondo alcuni, ma non così tanto da trovare la propria distruzione in quei momenti.
“Naturalmente, Albus”.

La magia attorno a loro si dissolse in un istante mentre Dumbledore faceva cenno al bambino di farsi avanti.
“Molto bene. Harry, questi signori sono qui per te. Entrambi sono stati cari amici dei tuoi genitori e Sirius è anche il tuo padrino. Puoi andare con loro…”
 
Sembrava quasi che il nonnino stesse per aggiungere ‘se vuoi’ ed Harry lo sperò tanto, con tutte le sue forze. Sarebbe stato maleducato, certo, ma avrebbe detto ‘no, non voglio assolutamente’ e sarebbe tornato giù per le scale e sulla soglia avrebbe chiamato il nome del suo maestro e si sarebbero abbracciati di nuovo e sarebbero rimasti insieme, questa volta per sempre.
Ma nessuno gli chiese se voleva.
Nessuno glielo aveva mai chiesto.
Solo l’uomo-Sevreus.
Ma adesso non c’era più.


Harry era solo.
















Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

   
 
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