I
MIEI SOGNI SI REALIZZANO
Era
successo tutto così velocemente che in futuro, provare a
richiamare
quell'episodio alla testa, mi riuscii parecchio difficile. Era come
provare a
riportare alla mente un sogno o un ricordo non mio. Non so
perchè di questo
effetto, so soltanto che io e quel tipo avevamo appena rischiato di
morire per
mano di due mostri-insetto ed eravamo stati salvati da un tizio con
capelli
lunghi, biondi, la barba e una spada, una spada vera.
Prima
del suo arrivo, per tutto il tempo avevo cercato di mantenere la calma,
di
ragionare con quelle creature, ma senza successo. La mia freddezza e la
mia
calma non mi avevano aiutata. Il mio cuore aveva preso a battere forte
e mi ero
fatta prendere dalla paura.
Quando
rimasi sola nel vicolo, con il ragazzo moro svenuto vicino a me, su un
letto di
neve, persi del tutto il controllo.
Mi
alzai di scatto e mi voltai verso l'uomo, che si guardava attorno
circospetto.
-Chi è lei? Chi erano quei cosi? Perchè ci hanno
attaccati? CHE COSA VOLEVANO DA
NOI?-
mi
trovai ad urlare, con fredde lacrime che mi rigavano il volto pallido.
Non
avevo mai perso così il controllo in tutta la mia vita, ma
ehi! Ero appena
stata attaccata da due mostri da film in piena regola, nel bel mezzo
del nulla!
Di
solito, nei film o nei libri, queste cose venivano prima annunciate da
una
musichetta inquietante o da rumori sospetti, e si scopriva che i due
attaccati
avevano straordinari poteri, cosa, precisiamo, non accaduta.
-Calmati,
Diane- mi disse gelido l'uomo. Sobbalzai leggermente, quando sentii la
sua voce
e il modo con cui pronunciava quell'ordine, con cui pronunciava il mio
nome.
Avvertii un vago capogiro, che combattei a fatica, cercando di
concentrarmi
sull'uomo.
La
sua voce era profonda, calma, quasi dolce, di quella dolcezza che
spirava dalle
labbra di un parente, e poi sembrava vecchia di miliardi e miliardi di
anni.
Era quasi stanca, di chi ha visto troppo e ha vissuto troppo.
Ciò nonostante,
la sua figura irradiava potenza, e non solo per la spada che portava in
mano.
Respirai
a lungo e cercai di ritrovare la mia calma. Mi asciugai le lacrime
lentamente e
tornai a guardare l'uomo, gelida.
-Ecco,
brava- mi disse con l'ombra di un sorriso, o forse era solo
un'impressione?
-Chi
erano quegl'esseri?- chiesi.
-Nemici.
Per ora ti basti sapere solo questo.- Non ero pienamente soddisfatta di
quella
risposta, anzi, non ero soddisfatta per niente. Ma sentivo di potermi
fidare di
quell'uomo e in ogni caso le proprità, al momento, erano
altre.
Mi
voltai verso il ragazzo. -Se la caverà?-
-Sì.
Ma dobbiamo fare presto.-
Annuii.
-D'accordo, andiamo allora.-
Non
so descrivere con esattezza la sensazione del teletrasporto. Credo sia
diversa
per tutti. Io, ad esempio, mi sento come trasportata via da una
tempesta di
sabbia, mi sembra di scivolare via, mutata in milioni di granelli di
polvere,
per poi ricompormi semplicemente, tutto nel giro di pochi secondi al
massimo.
La prima volta, però, si aggiunse anche il dolore. Era come
avere una bomba
nucleare nella testa e una serie di fuochi d'artifico che ti scorrono
nelle
vene e che ogni qualvolta scoppiano ne compongono di altri.
Niente
di che, insomma!
Quando
mi ripresi, capii immediatamente di non essere più a New
York.
Il
silenzio era assoluto e non aleggiava un alito di vento, nonostante il
freddo
dell'inverno si facesse sentire. Anche se... A pensarci bene era un
freddo più
opprimente, quasi di morte, di quello che ti fa vibrare la schiena
più per la
solitudine che spira in esso che per altro.
Alla luce pallida della luna
e delle stelle,
potei osservare il paesaggio desolante che mi trovai davanti. Era come
essere
in un deserto di rocce. Davanti a noi, il panorama si stendeva per
leghe e
leghe di assoluta desolazione, eccetto che per le rovine lontane almeno
un
centinaio di metri da noi.
Erano
le rovine di una città.
Le
mura in pietra, un tempo forti e alte, erano crollate per
metà e in più punti
erano aperte da voragini nere che mi ricordavano le orbite vuote di un
teschio.
Oltre di esse, intravedevo il legno annerito dalle fiamme di qualche
abitazione
salvatasi miracolosamente dalla distruzione, ma era come osservare un
fiore
mezzo appassito in mezzo al deserto. Il castello, al centro della
città, era
per metà intatto e per metà distrutto, e nella
poca luce della notte, riuscivo
a mala pena intravedere le poche torri rimaste intatte.
Mi
sentii gelare il sangue nelle vene. Quel panorama era in un certo
senso...
familiare. Chiusi gli occhi, e con mia grande sorpresa scoprii di avere
le
guance umide di pianto. La visione di quella distruzione totale venne
sostituita
da quella di una città fiorente, meravigliosa, prospera e
colma di gente
vociante e felice. Sorgeva su una pianura fiorita circondata da una
foresta da
un lato, da campi di grano in un altro e attraversata da un
fiumiciattolo che
splendeva alla luce del sole e che scorreva placido sul suo letto
comodo,
gorgogliando allegro. Riaprii gli occhi di scatto, con il fiatone.
Avevo
appena visto la città che ogni notte mi appariva in sogno.
Seguii l'uomo
all'interno della città in assoluto silenzio, come ad un
funerale. Mi guardavo
intorno, senza sapere bene perchè, alla ricerca del
più piccolo segno di vita.
Ma non c'era nulla lì, tranne che rovine su rovine.
La
cenere aveva invaso il panorama e tutto era nero. Le lacrime
continuavano a
scorrere e ogni qual volta chiudevo gli occhi, anche solo per pochi
istanti, la
città del mio sogno si ripresentava in tutto il suo
splendore. Era come
guardare il passato fiorente di quella città ormai
distrutta, angolo per
angolo.
Una
casa distrutta, con il tetto crollato e i mobili in pezzi e poi una
famiglia
che mangiava allegra intorno ad un tavolo, le loro risate che
echeggiavano
nella mia testa. Mi voltai verso la schiena dell'uomo che avanzava
ritto di
fronte a me, il ragazzo moro in braccio. Anche lui stava in completo
silenzio.
Dopo
un po', superate le lunghe e innumerevoli vie e piazze con fontane
distrutte al
centro, arrivammo sotto le mura del castello. Il portone era nuovo di
zecca,
segno che qualcuno lo aveva sostituito ad uno ormai distrutto. L'uomo
spinse il
portone a doppio battente e mi guidò all'ingresso del
castello.
Il
pavimento era attraversato da grandi crepe e in alcuni punti le
piastrelle
erano saltate del tutto. Le mura erano sbiadite, ma in alcuni punti si
intravedevano ancora pitture e raffigurazioni di draghi e cavalieri,
tipiche
dell'era medievale. La cosa più strana era che in quella
stanza non vi erano
macerie, neanche il più piccolissimo granello di polvere.
L'uomo posò il
ragazzo moro a terra, nel centro esatto della sala, e si
voltò verso di me.
-E'
meglio che tu vada di sopra a rifocillarti.-
-Un...
un momento- balbettai come risvegliata da un sogno. Improvvisamente,
tutto
quello che era successo mi piombò addosso con il terribile
senso di consapevolezza
che quello non era un'invenzione della mia mente o del mio subconscio.
Stava
accadendo davvero...
-Non
mi ha ancora detto dove siamo, o chi è lei- dissi cercando
di rimanere fredda,
ma le labbra mi tremavano.
-Io
sono Ansem, e questa- allargò le braccia -è la
città ormai caduta di Dragavaar.-
Dragavaar...
Quel nome mi echeggiò nella mente per quella che mi
sembrò un'eternità.
-Che
ci facciamo qui? E perchè questa città
è uguale a quella del mio sogno?-
-Tutto
a suo tempo: sei troppo stanca ora- mi disse.
Abbassai
gli occhi, sconsolata.
-Non
preoccuparti, Diane. Domani mattina tutto avrà finalmente un
senso. Fidati di
me.-
Annuii.
-Sappi
solo che non è questa città ad essere uguale a
quella del tuo sogno.- Lo
guardai interrogativa. -E' esattamente il contrario-
aggiunse
lui con mezzo sorriso. Ricambiai volentieri, sentendomi scaldare il
cuore.
Ansem
si voltò a indicarmi una scala intatta. -Al piano di sopra
troverai le stanze.
Scegli pure la tua.-
Si
voltò e si inginocchiò accanto al ragazzo,
facendomi intendere che la
conversazione era bella che chiusa. Mi diressi alla scalinata che capii
essere
di marmo e la salii tutta d'un fiato. Arrivai ad uno stretto corridoio
con una
serie di porte aperte in legno che mostravano le camere al loro
interno.
Ve
n'era una tutta verde, una nera, una rossa e così via.
Oltre
l'ultima porta, invece, vi era una stanza interamente azzurra con
mobili
bianchi.
Vi
entrai con aria sognante e rimasi lì ferma ad osservare ogni
singolo angolo e
particolare di quella meraviglia. Il letto a baldacchino aveva tende
bianche così
candide da sembrare fatte d'acqua, il tappeto a terra era di pelo e
solo a
guardarlo mi veniva voglia di stendermici sopra e stringerlo forte, lo
ammetto.
C'erano anche un cassettone
e un alto specchio
dove la mia figura si rifletteva. Avevo gli occhi stravolti, il viso
colmo di
lacrime e la treccia sfatta. Accanto al cassettone vi era anche una
porta
aperta da cui si intravedeva un bagno.
-Un
bagno tutto mio?- mi lasciai sfuggire. Avrei voluto entrarci, farmi un
bagno e
schiarirmi le idee, ma ero troppo stanca per fare anche solo un altro
passo.
Mi
sfilai gli stivali e il cappotto neri, mi infilai sotto le lenzuola di
flanella
e mi coprii fino alla testa con il piumone azzurro. Il sonno mi accolse
fra le
sue braccia calde appena chiusi gli occhi, e la città di
Dragavaar tornò a
fiorire nella mia mente
Qualcuno
mi fermi. Fantasiiana è diecimilamiliardi di volte migliore
di me. Lei si che rispetta i termini di consegna. Non è come
me che ci metto 15
anni a dare un solo capitolo -_-
Ma chi se ne frega! Ora ce l’abbiamo, no? ;)
So che molti non apprezzano questa storia, ma mi piacerebbe sapere
perché. Noi
accettiamo anche recensioni negative.
AxXx
e Fantasiiana.