Ventuno gennaio: credere.
“Credo in molte cose, invece”
“Per esempio?”
“Credo nella poesia”
“Bah, oppure?”
“Credo in te”
“Ah. E così io vengo dopo la poesia?!”
“Credo nella poesia”
“Bah, oppure?”
“Credo in te”
“Ah. E così io vengo dopo la poesia?!”
Due grandi occhi indagatori
scrutano, soppesandolo, il mondo
tra pagine crepitanti di vite immaginarie e
polpastrelli sporchi d’inchiostro e cioccolata fondente.
E’ quasi il tramonto, oltre le colline innevate,
il cicaleccio confuso in cucina è più vivo che mai,
ma tu non senti nulla, non t’importa di niente:
hai una pagina bianca innanzi al naso congestionato
e questo ti basta.
Confidi nelle tue parole,
le tue belle, bellissime parole
sature di significati reconditi
e di domande ignare.
E’ già notte fonda:
il lume traballa
e la cera avverte della sua dipartita,
ma va bene così:
hai finito.
Soffi via i trucioli d’idee scartate con fiato
profumato di spezie lontane
- mondi esotici e antichi
si dipanano nella memoria tesa –
e celi uno sbadiglio puerile ed irriverente
in capelli scoordinati;
piovono fiamme dense e riccioli indomiti
nella sera buia e nella carta gremita di emozioni.
*