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Autore: live in love    22/01/2014    3 recensioni
" Certe persone sono come un famoso ritratto: per comprendere l'insieme si deve comprendere la sfumatura di ogni pennellata "
Tratto dal Prologo:
[ - Mi dispiace signorina Cornelia - afferma con finta voce costernata, continuando imperterrito a fare il suo lavoro.
Indignata al massimo avvampo violentemente, scoccandogli un'occhiata al vetriolo che spero lo faccia definitivamente tacere.
Mi ha chiamato con il mio secondo nome! Penso irritata al massimo dalla sua persona, così tranquilla e ironica da risultare arrogante.
- Emma - lo correggo asciutta e stizzita, pervasa da un imponente voglia di picchiarlo.
Tentando di placare i miei istinti omicidi lo guardo male, di sbieco, mentre ridacchia divertito.
- In ogni caso, Emma, ho fatto medicina non scuola di estetica - ribatte lui, calcando volutamente sul mio nome e conferendogli un alone quasi sarcastico. ]

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Mia prima storia originale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 22

Turning point


- Che ci fai qui? -

Il respiro mi si spezza repentinamente in gola, raschiandola inesorabilmente e facendo bruciare disperatamente i miei polmoni, in carenza di ossigeno, mentre lo trattengo, irrigidendo la schiena in modo del tutto irrazionale ed istintivo, raddrizzandola.

Tutto il mio corpo lo fa, si contrae, tendendosi fin quasi allo spasimo.

Simultaneamente i miei occhi si sbarrano, sgranandosi e non riuscendo a staccarsi dalla sua figura immobile posta in controluce vicino alla finestra, le tende chiare che contrastano con i colori scuri dei suoi abiti, le dita sottili che la tengono scostata dal vetro, permettendogli di guardare fuori.

Una violenta sorpresa mi travolge immediata e sibillina all'istante, pervadendo ogni mia singola cellula, lasciandomi semplicemente sgomenta e basita, scioccata, a scrutarlo mentre una marea di pensieri mi invadono la testa, confondendomi più di quanto io già non sia.

Andrew, infatti, si staglia dinnanzi a me, nel soggiorno dei miei genitori con una espressione assorta e cupa stampata in faccia mentre fissa qualcosa di indistinto nel panorama fornitogli da una New York alle prime ore della mattinata, il suo profilo appena illuminato dal chiarore che filtra dal cielo.

Istintivamente il mio cuore perde un battito, iniziando a pulsare in modo anomalo e concitato nelle mia cassa toracica mentre mi sembra quasi di vivere tutta la scena a rallentatore, nonostante avvenga, invece, in una manciata di celeri secondi.

Il profumo di caffè, che filtra dalla porta ancora semi aperta, che passa velocemente in secondo piano mentre piacere e dolore incomprensibilmente si mischiano dentro di me, dando quasi vita ad un sentimento ossimoro che mi stringe soffocante e pressante lo stomaco.

Così strano eppure così vero, esattamente come la sua vicinanza davanti a me.

Ed è proprio questa insolita riflessione che fa sorgere dentro di me un dubbio, tagliente e ambiguo al tempo stesso, ricalcando le parole che ho espresso solo poco fa a voce: cosa ci fa qui?

È venuto per chiarire o solo per sbattermi in faccia come mi ha usato? Annaspo tra le mie incertezze, non riuscendo a capirlo.

Tuttavia, imponendomi razionalmente di non lasciare orgogliosamente trasparire minimamente quanto male io stia, cerco di apparire neutrale, inarcando un sopracciglio nel momento stesso in cui lui si volta.

Richiamato dal mio quesito, più simile ad una affermazione sconcertata che ad una domanda vera e propria, e dal mio tono sconvolto, difatti, si gira verso di me con una leggera torsione del busto, permettendomi di osservarlo in modo più agevole mentre punta i suoi occhi azzurri su di me, facendomi rabbrividire in modo strano ed anomalo. Così nostro e, insieme, così differente, distante.

Un maglioncino grigio scuro gli fascia le ampie spalle, il colletto della camicia bianca a righe blu che gli solletica leggermente la nuca, facendolo apparire serio e angosciato al tempo stesso.

- Ciao – mormora in risposta lui, salutandomi, il timbro pacato e calmo che cozza contro la sua smorfia tesa e rigida, qualcosa nel suo modo di porsi che mi fa chiaramente intuire quanto io non debba essere stata l'unica ad essere tormentata dai dubbi nelle ultime ore.

Seppur a fatica deglutisco, non muovendomi, una stilettata di irritazione che mi trafigge nel notare come, ancora una volta, abbia abilmente eluso le mie domande.

Ma, questa volta, non gli permetterò assolutamente di non rispondere e confondermi ancora di più.

Cercando di farmi forza, alzo appena il mento mentre stringo i denti fin quasi a digrignarli, tutte le perplessità che mi insidiano senza sosta che tornano prepotentemente a galla, portandomi a parlare ancora seccata e stizzita.

- Cosa ci fai qui, Andrew? - sibilo più tagliente di quanto volessi, ripetendo il quesito che gli ho fatto solo qualche attimo fa, incalzandolo spudoratamente e chiamandolo per nome.

Quasi colpito dal mio timbro parzialmente incrinato e rabbioso lui mi rivolge una intensa occhiata di sottecchi, un po' sorpreso e un po' rassegnato alla mia reazione irosa.

Sostenendo testardamente il suo sguardo spero di apparire silenziosamente determinata e sicura di me mentre, interiormente, mi sento terribilmente fragile e disorientata, la voglia di toccarlo che si scontra duramente contro la sofferenza che mi ha inflitto e il bisogno di sapere la verità.

La necessità, semplicemente, che tutta questa situazione prenda finalmente una svolta, qualsiasi cambiamento essa comporti.

- Sono venuto per parlarti – sospira pesantemente, quasi frastornato dal mio modo brusco di approcciarmi, apparendo dispiaciuto e accorato mentre allarga le braccia, compiendo contemporaneamente un passo in avanti, nella mia direzione – Credo che dovremmo farlo – aggiunge nuovamente mentre questo suo avvicinarsi mi mette quasi sulla difensiva, rendendomi guardinga.

Ah, ora vuole farlo, dopo non essersi fatto sentire ed avermi ignorato praticamente per un giorno intero? Arriccio la bocca in una smorfia infastidita mentre di riflesso io, però, mi irrigidisco maggiormente, quasi congelata sul posto, non riuscendo a muovermi o a fare altro, persistendo nel rimanere lontana dalla porta solo una manciata di centimetri.

In qualche contorto modo, infatti, rappresenta quasi una rassicurazione, una via di fuga vicina che mi permette di mantenere un minimo di lucidità seppur con un enorme sforzo di volontà.

Incassando la testa tra le spalle non ribatto, tuttavia, nulla, stringendo appena le labbra in una linea sottile e tesa, indurendo i lineamenti mentre lui lascia nuovamente cadere le braccia lungo i fianchi, non smettendo neanche per un attimo di fissarmi.

Facendomi sentire incredibilmente a disagio, difatti, continua a guardarmi con le sue iridi azzurre ed indecifrabili, ora leggermente socchiuse.

E che sguardo è? Mi ritrovo subito a chiedermi, incapace di non farlo, non riuscendo a capirlo. Sporco di menzogne e finzione o sincero? Mi tormento nuovamente, rendendomi conto che i suoi modi che ho sempre adorato e che consideravo famigliari si stanno rivelando piene di insidie.

Irrequieta, un po' tra l'arrabbiato e un po' tra l'agitato, incrocio le braccia sotto il seno, le dita che solleticano appena il cotone della maglietta rossa con lo scollo rotondo che indosso.

Tuttavia, è Andrew stesso a riprendere a parlare l'attimo seguente, distogliendomi dalla stasi mentale in cui ero inevitabilmente sprofondata.

- Penso di doverti delle...spiegazioni – soffia in un mormorio appena udibile, spezzando di netto il silenzio dopo un attimo di esitazione, avvicinandosi ancora a me e finendo, di conseguenza, per oltrepassare il tavolo posto al centro della stanza.

Spiegazioni, ripeto nella mia mente, non riuscendo a non esibirmi in una smorfia contrita e amara, quasi sarcastica mentre lui inclina appena il viso, curvando al in giù le spalle sotto l'impeto di un sospiro particolarmente pesante.

Intanto, mi rendo conto di come, nonostante tutte le emozioni furiose e negative che mi affliggono, il senso di speranza e sollievo che mi coglie le sovrasta facilmente, emergendo su tutto il resto con una facilità disarmante.

Perchè è inutile negarlo, è ciò di cui ho disperatamente bisogno per poter credere che tutto questo è solo frutto delle false affermazioni di un articolo.

È ciò di cui necessito per poter credere semplicemente a lui.

- Dimmi – mi limito, però, a rispondere gelida, una nota di tensione che vibra nella mia voce, rendendola incerta e riluttante mentre mi sento quasi il cuore in gola, una corposa ondata di paura che mi penetra tagliente e ghiacciata da parte a parte.

Lui annuisce lentamente, muovendosi sul posto mentre la mia tachicardia non accenna a smettere di diventare sempre più scalmanata, inquietandomi sempre di più.

Prende subito dopo un respiro profondo, gonfiando i polmoni con una lunga boccata d'aria mentre temporeggia, cercando forse i termini giusti da dire, facendomi irritare sempre di più.

Distoglie, in seguito, momentaneamente le pupille da me, umettandosi le labbra.

E la verità arriva l'istante dopo con la stessa potenza di una frustata, schioccando sulla mia pelle fino a marchiarla violentemente.

- Quello che hai letto sul giornale è tutto vero – afferma nitidamente dopo aver deglutito, tornando a osservarmi, una visibile nota di dispiacere che scurisce le sue iridi mentre il tempo sembra improvvisamente congelarsi, bloccandosi e il discorso assume una svolta inaspettata.

L'ultima che io avrei decisamente voluto si avverasse.

Si raddensa fin quasi a fermarsi completamente mentre io sgrano gli occhi fino a farli bruciare, una patina trasparente e liquida che li rende lucidi mentre un istantaneo bisogno di piangere mi travolge, così forte da portarmi a non riuscire impedire alle lacrime di annebbiarmi la vista.

Un sordo e perforante dolore mi coglie esattamente l'attimo dopo nella parte sinistra del petto non appena realizzo realmente il significato delle sue parole, una sensazione puramente istintuale che si trasforma ora totalmente in sofferenza, devastante e consumante come solo la veridicità sa essere.

Quello che hai letto sul giornale è tutto vero.... sul giornale è tutto vero... è tutto vero...tutto vero...

Boccheggiante rimango immobile, non riuscendo a muovere quasi neanche un muscolo mentre la risposta che tanto ho aspettato e agognato mi dilania silenziosamente, venendomi fornita con un candore e una sincerità che mi annienta.

E la mia staticità improvvisamente si rompe, sgretolandosi.

Come se qualcuno avesse improvvisamente premuto il tasto per la doppia velocità l'innaturale lentezza che ha impregnato i miei sentimenti in questi brevi secondi si spezza all'improvviso, lasciando il posto ad una furiosa e lancinante rabbia.

E prende semplicemente il sopravvento.

Scioccata lo trucido con lo sguardo, al momento incapace di emettere anche solo una sillaba mentre lui mi guarda quasi remissivamente e serio, tetro.

- Ti ho usata per poter avvicinare tuo padre e avere così i finanziamenti di cui avevo bisogno – mi dice ancora in modo duro, non indorando assolutamente la pillola mentre si spiega, togliendosi la maschera che ha indossato per tutto questo tempo – Avevo necessità di accedervi per poter portare avanti il mio progetto e tu eri l'unica chiave per farlo – continua provocandomi un concreto bisogno di picchiarlo e sfogare tutta la mia frustrazione in una infinità di insulti al suo indirizzo – Così ho portato avanti il mio piano con l'intento di farti invaghire di me – aggiunge con una semplicità disarmante, vera.

Il mio cuore manca unicamente un battito, facendomi sentire così fragile da poter essere distrutta.

O, forse, ci è già riuscito.

Mutamente sconvolta vacillo, il filo logico che unisce le sue frasi che appare incredibilmente sensato e razionale. Reale.

Non sono stata altro che un mezzo per arrivare al suo intento per lui.

Deglutisco desolata.

- Però, ad un certo punto, le cose tra di noi hanno preso una svolta diversa e sono cambiate – afferma, gesticolando appena mentre abbassa lo sguardo, vergognandosi probabilmente di ciò che aveva ideato e come mi ha usata – Ma io mi sono innamorato veramente di te, quello non è stata una menzogna – aggiunge dopo un attimo, una nota di onestà che anima i suoi occhi chiari nel momento stesso in cui li rialza, puntandoli nei miei, raggelandomi senza che la sua manifestazione d'amore sortisca alcuna emozione dolce o positiva dentro di me.

Una sola cosa rimbomba nella mia testa, ferendomi attimo dopo attimo.

Mi ha sfruttata, è tutto vero.

Boccheggio sconvolta e addolorata, una sorda e violenta sofferenza che mi avvolge velocemente tra le sue spirali bollenti e stritolanti fino a soffocarmi, facendomi mancare concretamente il respiro.

Ansante e con il petto che si alza in modo aritmico lo fulmino con uno sguardo arrabbiato e cupo, non riuscendo quasi a parlare.

Le riflessioni, infatti, si affollano nella mia mente senza riuscire a trovare concretizzazione in un discorso, rimanendo bloccate nella mia gola, ostruite da un magone così intenso da risultare impossibile da essere superato.

Insulti, pensieri tristi e altri ancora furenti mi vorticano in testa, rendendomi emotivamente instabile.

Alzando le mani lui sospira brevemente, accorato mentre muove ancora un passo verso di me, cercando di spiegarsi in modo migliore e più nitido.

Ma, ormai, cosa importa? Che rilevanza hanno i suoi perchè se l'unico di cui avevo bisogno l'ho già avuto?

E la piega che ha preso questa circostanza è decisamente irrimediabile.

- Solo ormai il casino era fatto e non sapevo più come tornare indietro – mi dice, agitato e affannato, tentando di arginare un qualcosa che non può essere arginato mentre i sentimenti e le emozioni pulsano più forti dentro di me, raggiungendo sempre più velocemente il margine di sopportazione umanamente accettabile.

Assottiglio le palpebre, espirando violentemente mentre simultaneamente stringo le dita a pugno, sfogando almeno in parte così il mio nervosismo.

Mi ha solo usata per i suoi fini, mi ripeto ancora, le sue affermazioni che mi rimbombano in testa, alimentando la voragine che ha suscitato dentro di me.

- Non sapevo come dirtelo – sussurra ancora flebilmente, portandomi stizzito i capelli indietro con un gesto secco dei polpastrelli, ansioso.

Ed io unicamente scoppio, non riuscendo a trattenermi ulteriormente.

- Hai avuto un sacco di occasioni dannazione per dirmelo! - sbotto allargando le braccia e compiendo insieme un passo in avanti, raggiungendolo ed inveendogli contro mentre la mia voce si alza pericolosamente di una ottava, diventando più alta e aspra.

Con le iridi fiammeggianti lo fisso torvamente, attaccandolo senza mezzi termini.

Quasi colpito dal mio modo di parlare lui ricambia la mia occhiataccia.

- E quando avrei dovuto dirtelo, sentiamo? - perde anche lui la pazienza, urlandomi contro mentre gesticola furiosamente, agitando una mano a mezz'aria mentre il suo profumo suadente mi solletica le narici, cozzando drammaticamente contro la torbida rabbia che provo – Mentre ti scopavo? - infierisce ancora, non capendo di aver superato il limite da un pezzo.

E la mia mano si muove prima ancora che io me ne accorga, un gesto così istintivo da risultare irrazionale mentre le mie dita trovano la sua guancia l'attimo seguente.

Lo schiaffeggio con impeto, così tanto da sentire un formicolio sul palmo, non riuscendo a dosare la forza e finendo di fatto per fargli girare il viso a causa della troppa veemenza mentre ansimo, il respiro spezzato che mi solca la bocca.

Ed è una sofferenza insopportabile a bruciarmi viva, non lasciandomi via di scampo questa volta, purtroppo.

Sconvolto e stupito dal mio gesto lui si volta lentamente verso di me l'attimo dopo, riservandomi una glaciale occhiatina che risulta al tempo stesso bruciante e dispiaciuta.

Ma io non gli lascio il tempo di dire o fare nulla, desiderando unicamente rifugiarmi nella mia solitudine fino a scomparirvi.

Con questo bisogno ad attanagliarmi compio, infatti, un passo indietro, appoggiando però malamente il piede.

Non potendo vedere, infatti, ciò che ho alle spalle incontro una piega del tappetto, mal sistemato sul parquet, inciampando inevitabilmente.

Prima ancora che possa accorgermene l'equilibrio viene così a mancare, svanendo in una frazione di secondi.

E l'ultima cosa che percepisco, mentre le sue iridi azzurre si sgranano preoccupate, è una sensazione di vuoto sotto i piedi.

Con il cuore che sbatte a mille nella mia cassa toracica mi tiro bruscamente a sedere, il corpo sudato e il viso in fiamme.

Mi porto subito irrazionalmente una mano al petto, cercando di calmare la mia tachicardia mentre le mie pupille, ancora offuscate dal sonno, incontrano il corposo buio della stanza, non permettendomi di capire dove mi trovo.

Solo dopo una manciata di secondi, infatti, mi rendo conto di essere ancora nel mio letto, avvolta dalle coperte sfatte e confortanti e non nel soggiorno di casa mia con Andrew.

Lui non c'è, realizzo guardandomi distrattamente e affannosamente intorno, angosciata e scossa dall'eco delle sue parole che ancora rimbombano nella mia testa, reali come non mai.

Era solo un sogno, mi tranquillizzo debolmente, ansiosa e affannata, conscia del fatto che quella drammatica svolta non si è concretizzata fortunatamente.

Un senso di sollievo mi coglie sibillino l'attimo seguente, portandomi a sospirare pesantemente e a sciogliere lievemente la postura contratta che non mi ero accorta di aver assunto.

Frastornata mi porto poi le dita al viso, il mal di testa, dovuto in parte alla mancanza di sonno e in parte ai troppi pensieri, che continua a pulsare petulantemente alla mia tempia mentre mi porto indietro i capelli indietro, scostandoli dalla mia guancia con un gesto veloce e semplice.

Irrequieta ed agitata mi muovo poi nervosamente sul posto, un senso di leggerezza che si insinua celermente dentro di me nel constatare come vi sia ancora una labile speranza che le frasi di quel giornale siano state unicamente inventate.

Ed una parte di me non smette di crederci smaniosamente, di desiderarla intensamente.

Inspiro in seguito un profondo respiro, cercando di quietarmi del tutto mentre mi lascio nuovamente cadere sdraiata sul materasso con un piccolo rimbalzo, la nuca che affonda nuovamente nel cuscino.

Con ancora un senso di nervosismo ad attanagliarmi le membra adocchio subito dopo la radiosveglia posta sul comodino alla mia destra.

Ho dormito solo quaranta minuti, realizzo depressa e sconsolata osservando i numeri rossi indicare le sette meno dieci del mattino mentre l'alone di quell'incubo persiste nell'offuscarmi la mente, stuzzicandomi cupamente.

Una insolita sensazione di angoscia, appena incrinata da una sibilante punta di melanconica tristezza, mi tormenta intanto sibillina e tagliente, non smettendo neanche per un attimo di perseguitarmi.

Deglutisco, scoprendo la bocca impastata e secca.

Avvilita e irritata al tempo stesso mi esibisco poi in un corposo e sfacciato sbuffo, rimanendo immobile a fissare il soffitto bianco mentre appoggio le mani sul mio ventre, abbandonandole sul piumone rosso scuro.

Il desiderio di non pensare a nulla, di poter rimanere chiusa in una bolla di tranquillità mi pervade nuovamente, sibillino e violento.

Nonostante siano passate, ormai, parecchie ore dallo scandalo e dalla pubblicazione dell'inchiesta sul New York Times la situazione, infatti, non si è risolta. Non ha assunto nessuna nuova piega o sfumatura, finendo solo per acutizzare i tratti deprimenti che la caratterizzano.

L'isterismo di mia madre è cresciuto, difatti, a dismisura con il passare del tempo mentre mio padre non si è praticamente fatto vedere a cena, rimanendo chiuso nel suo ufficio fino a sera tarda con i suoi collaboratori, disperso tra una infinità di carte e comunicati stampa.

Un moto di desolante colpevolezza a questa considerazione mi coglie, insidiandosi tra le mie pieghe e tra le mie riflessioni con una facilità disarmante, tutte le difese ormai annichilite e abbassate.

Dopo lo sfogo e il furioso pianto che mi ha colto ieri nella doccia, non sono stata più in grado di alzarle, scoprendomi quasi incapace ed impotente di farlo.

Forse, semplicemente, non ne ho la forza, mi dico non riuscendo a trarla dal mix di bollente rabbia e dolore che provo, che mi scuote.

Le ferite dentro di me sono esponenzialmente aumentate, i tagli che sono diventate profonde ed inarginabili emorragie man in mano che i minuti scorrevano, scivolavano via, e le domande si tramutavano in destabilizzanti e precarie certezze.

Solo una, di basilare importanza, è rimasta in qualche modo sospesa a metà, nel vuoto, senza ricevere risposte o delucidazioni.

Colpevole o innocente?

E, ancora ora a distanza di ore, non riesco a darmela, a decifrare cosa provo e a cosa credo.

Elucubrazioni differenti che mi portano in diverse e inconciliabili direzioni.

Cosa devo fare?

Cercando di svuotare la testa e di non pensare faticosamente a nulla espiro lentamente, cercando di soffiare tra i denti l'ossigeno e con esso tutti i problemi che mi affliggono.

Non ci riesco, però, quel solido e concreto nervosismo che persiste a vibrarmi immediato e istantaneo sulla pelle, marchiandomi a fuoco, le membra stanche e appesantite da una stanchezza che non dovrei provare.

Forse, è dovuta al fatto che non ho praticamente chiuso occhio, mi dico sarcasticamente amara inarcando ironicamente un sopracciglio mentre mi rendo conto di come questo brutto sogno sia solo l'ultima espressione del turbamento che mi affligge.

Non sono, infatti, riuscita a dormire questa notte, sentendomi ora decisamente a pezzi, come se un treno mi avesse investito in pieno, lasciandomi con le ossa rotte e l'anima dilaniata, strappata in mille pezzi.

Troppo nervosa e inquieta, non sono stata in grado di rilassarmi abbastanza, parole ed immagini che si mischiavano in incubi reali e concreti, rompendo più volte il mio dormiveglia fin quasi ad esaurirmi, snervandomi.

Alla spossante voglia di riposo si era così sostituito un irritante nervosismo che mi aveva teso più di quanto già non fossi, facendomi sentire incredibilmente male e portandomi a rigirarmi così tante volte da annodare le coperte, creando un ammasso informe.

Mi ero ritrovata senza quasi accorgermene ad adocchiare la mia sveglia assolutamente troppe volte, i secondi che non passavano mai, cristallizzandosi e diventando quasi densi, privi di dinamicità.

E allora erano subentrati i quesiti, le considerazioni che non mi hanno mai davvero abbandonata, persistendo nel turbarmi e portando con se un insieme di incertezze e dubbi devastante.

Con le lacrime esaurite e lo stomaco inesorabilmente vuoto, privo di alcuno spasmo dovuto all'appetito, avevo allora tentanto di trovare una risposta. Ancora e poi ancora.

Tutti i tentativi, decisamente, vani, buchi dell'acqua.

Muovendomi più e più volte alla ricerca di una posizione più comoda sul materasso o anche solo vagamente quietante, avevo ripercorso ogni singola sua frase, ogni suo più piccolo gesto e tutti i momenti che abbiamo passato insieme alla ricerca di qualche indizio che potesse dimostra ineluttabilmente la sua sincerità o la sua colpevolezza.

Ma non ci sono riuscita, di nuovo.

Le braccia di Morfeo non mi avevano avvolta, lasciandomi gelata, dentro e fuori, ad angustiarmi, magone e rabbia che si sono alternati a fase alterne rendendomi incredibilmente volubile e lunatica, semplicemente emotivamente instabile.

Quasi sul punto di non sapere più a cosa credere e a dubitare di tutto ciò che ho fatto negli ultimi mesi alla fine mi ero abbandonata sul letto, rimanendo unicamente immobile mentre la notte scivolava via, lasciando il posto al mattino presto.

Sono così rimasta a guardare la luce dell'alba filtrare debolmente dalla mia tapparella abbassata, i rumori di una New York in via di risveglio che diventava sempre più caotica e concita mentre brevi attimi di dormiveglia mi coglievano silenziose.

Sospiro, le fitte di malinconia e solitudine che non smettono neanche per un attimo di trafiggermi e perforarmi, penetrandomi da parte a parte il petto mentre un peso, dovuto probabilmente a tutte le emozioni diverse che provo e che mi divorano viva, persiste a gravarmi addosso, schiacciandomi.

Esausta, ormai non so più assolutamente cosa pensare.

Tiro su con il naso, prima di inalare una lunga boccata d'aria, impregnata del profumo di lavando e di biancheria pulita che impregna la camera, ancora avvolta da una corposa penombra.

Il mio seno, privo come di consueto del reggiseno, di conseguenza si gonfia mentre simultaneamente mi stringo debolmente tra le spalle, sprofondando nella maglia rossa del pigiama che indosso, leggermente larga.

Cosa devo fare? Mi incalzo ancora, non riuscendo a trovare una scelta soddisfacente e sicura, onesta al cento per cento.

È, tuttavia, proprio questa considerazione a suscitarne un altra, insidiando il mio orgoglio e facendo, di fatto, leva sul sentimento forte e pulsante che provo nei suoi confronti, incessante.

Forse dovrei chiamarlo, mi dico, prendendo seriamente in considerazione il consiglio di mio fratello, mentre un assordante silenzio fa da sfondo al mio rimuginare, risultando quasi assordante, lasciandomi spaurita e dubbiosa.

Sicuramente parlare è una delle poche soluzioni che potrebbero davvero spazzare via alcuni quesiti e dare una svolta decisiva a questa situazione dolorosa e paradossale al tempo stesso.

Soppesando realmente questa possibilità socchiudo le palpebre mentre il mio cuore manca irrazionalmente un battito all'idea di risentire la sua voce.

Nonostante tutto e nonostante tutti, infatti, quel muscolo traditore non riesce a smettere di pulsare freneticamente per lui, pompando contemporaneamente dentro di me amore e un perforante dolore, lasciandomi in balia di qualcosa di più grande di me forse.

Sospiro nuovamente, tormentata e avvilita mentre scuoto appena il capo, la nuca che sfrega e affonda maggiormente nella federa rosso scuro del cuscino.

Chiamarlo o non chiamarlo?

Magari ha davvero ragione Michael, mi stuzzica una vocina petulante nel mio cervello, sbilanciandomi inevitabilmente verso la seconda scelta.

E cedo, dandole istintivamente retta.

Senza troppe remore, infatti, mi giro verso il comodino, la luce rossastra della sveglia che rischiara debolmente l'ambiente, permettendomi di distinguere con più facilità la lampada e, poco più in là, il mio telefonino distrattamente abbandonato in un angolo e ancora spento.

Non l'ho, infatti, più acceso da ieri mattina, lasciando forzatamente fuori dal mio mondo la realtà esterna, desiderando non essere disturbata e volendo crogiolarmi nella mia drammatica solitudine.

Mi mordo appena il labbro inferiore, torturandolo con gli incisivi mentre un sordo quesito mi attraversa celermente la mente, apparendo come un fulmine a ciel sereno.

Mi avrà cercato?

Non riesco dall'esimermi da chiedermi, allargando appena gli occhi mentre questa sottile speranza penetra velocemente dentro di me, andando a toccare tutti i miei tasti dolenti e deboli, alimentando un qualcosa che forse non andrebbe fomentato perchè inutile.

Tuttavia, qualcosa dentro di me mi spinge a dare adito a questa piacevole debolezza, fomentando in qualche contorno modo la possibilità di telefonargli.

Con una inquietante e ansiosa tachicardia adocchio poi ancora per un attimo l'ora, rendendomi conto che mancano solo una manciata di minuti alle sette.

Deve appena aver finito il turno di notte, realizzo in modo irrazionale e del tutto automatico, ormai perfettamente abituata ai suoi ritmi lavorativi e ai suoi orari.

Una stilettata di male e melanconia a questa riflessione, inaspettatamente, mi coglie sibillina, dolendo particolarmente forte.

Cercando di tenerla sotto controllo, però, mi allungo subito dopo in quella direzione, sporgendomi dal bordo del letto nel tentativo di afferrare il telefonino.

Stringendolo tra le dita, torno subito dopo ad appoggiare le spalle e la schiena sul materasso, non riuscendo a non sentirmi tesa e contratta.

Prendendo coraggio, mi appresto ad accenderlo l'istante seguente, aspettando trepidante che il mio consueto sfondo compaia davanti a me.

Cosa che accade esattamente l'istante seguente, l'ansia così intensa da spezzarmi il fiato in gola, graffiandola e facendola bruciare disperatamente.

Con dita quasi tremanti inserisco l'attimo dopo il pin, sbloccando il cellulare mentre la sua luminosità mi ferisce appena le pupille, provocandomi una leggera sensazione di fastidio.

Nel tempo di un respiro il display viene invasa dalle notifiche di numerosi messaggi e dall'avviso di varie chiamate perse, decisamente troppe per essere adocchiate in una volta sola.

Sbuffando leggermente corruccio le labbra, corrugando la fronte mentre mi appresto a scorrerle velocemente, riconoscendo molti numeri appartenenti a famose testate giornalistiche, probabilmente alla ricerca di una mia intervista o dichiarazione.

Un modo di rabbia e irritazione mi coglie all'istante a questo pensiero, innervosendomi a dismisura ed indispettendomi.

Subito dopo, trovo le numerosissime chiamate di Sam risalenti a ieri, prima che piombasse qui per vedere come stavo, acutizzando di fatto il mio tormento ed il mio stato d'animo nervoso. Ben quindici, stendo la bocca in una smorfia cupa e torva ricordando anche come lo avesse difeso, trovando una giustificazione ad un qualcosa che forse non può essere giustificato.

Sospiro angosciata, incassando il capo tra le spalle e soffiando lentamente l'aria tra i denti in un stizzito ed accorato sbuffo che si perde nel vuoto, svanendo velocemente e rompendo solo brevemente la quiete che mi circonda.

Cercando di non badarvi troppo e non riuscendo a rimanere ferma, piego poi entrambe le gambe verso l'alto, portando, di conseguenza, la coperta a tendersi, facendola scivolare leggermente sulla mia coscia nuda mentre il piumone mi lambisce fino a metà pancia.

Come al solito, infatti, non indosso i pantaloni del pigiama per dormire, una costrizione che mi infastidisce durante il sonno.

Ora, però, è ben altro a farlo, confluendo in una serrata morsa allo stomaco che mi fa sentire terribilmente fragile e agitata al momento, togliendomi qualsiasi spasimo dovuto alla fame.

Nonostante, infatti, abbia praticamente saltato la cena non ho per nulla appetito, il corpo pesante e contratto che non sente quasi la necessità di mangiare, facendola passare velocemente in secondo piano.

Deglutisco un po' a fatica, sentendomi inquieta e irrigidita da un peso invisibile ma incredibilmente pressante che mi grava addosso, schiacciandomi inesorabilmente.

Ed è inutile negare che sia dovuto a lui, a ciò che è successo e al sentimento che provo.

Ormai non ho neanche più le forze per farlo, tutte risucchiate e annichilite da un qualcosa più grande di me che mi ha travolto in pieno.

Con una occhiata fremente, mi ritrovo poi a ricercare il suo nome tra la infinità di numeri che pullulano e affollano le chiamate perse, in parte sconosciuti e in parte famigliari.

Man in mano li archivio in un angolo remoto della mia testa, cestinandoli senza tante remore, poco interessata a richiamare o a informarmi.

Intanto, il desiderio di trovare una sua chiamata o qualsiasi sua traccia che dimostri che mi abbia cercato e, quindi, di riflesso, che tenga a me, si insinua velocemente tra le mie pieghe.

In qualche contorto modo, infatti, questa improbabile manifestazione mi servirebbe per alimentare la speranza che lui non centri nulla con lo scandalo, che siano semplicemente delle parole inventate e infamatorie.

Cosa che agogno disperatamente, così tanto intensamente da star male.

Ma mi rendo benissimo conto che man in mano che i secondi passano, trasformandosi prima in minuti e poi in ore, questa possibilità diventa sempre più labile, una debole fiammella che si esaurisce inevitabilmente.

Una fitta di sofferenza mi coglie a questa considerazione quanto mai veritiera e sibillina, sottolineando come desiderassi anche che venisse qui, che si presentasse di punto in bianco e senza preavviso a casa dei miei genitori per parlarmi o anche solo per provare a farlo.

Sarebbe bastato qualsiasi cosa, un minimo cenno per almeno farmi dubitare seriamente della sua innocenza.

E, invece, non è successo nulla, fornendomi di fatto una risposta che ho rifiutato, a cui non ho voluto credere.

Troppo dolorosa, troppo tagliente per essere sopportata. Unicamente troppo.

Boccheggio, la lista dei contatti che si accorcia inevitabilmente senza che il suo vi compaia.

Non mi ha cercato, realizzo con un attimo di ritardo, lievemente delusa da questa realtà.

Tuttavia, non desisto dall'idea di chiamarlo, mordendomi ansiosamente le labbra mentre digito velocemente il suo numero sulla tastiera.

Trattenendo il respiro, mi porto subito dopo il telefono all'orecchio, gli squilli che suonano a vuoto.

Uno... due... tre...

Non risponde, constato sempre più turbata e desolata.

Quattro...cinque...sei...

La voce metallica della segreteria mi invade subito dopo l'udito, facendomi quasi sobbalzare, cogliendomi impreparato mentre mi rendo distrattamente conto che, per un breve attimo, avevo nuovamente sperato che fosse la sua.

Il mio cuore, intanto, all'improvviso la sua corsa prima di riprendere a pulsare e sbattere nella mia cassa toracica in modo anomalo e frenetico, facendomi sbiancare più di quanto io già non sia mentre pompa insistentemente sangue nelle mie vene.

Una terribile e tagliente stilettata mi trafigge l'attimo seguente, non appena la mia mente realizza davvero la portata di questo suo mancato gesto, lasciandomi basita e sconvolta.

Scioccata schiudo leggermente la bocca senza emettere alcun suono mentre irrazionalmente stringo le dita intorno alla cover blu del telefono, così forte da far impallidire la pelle sulle nocche.

È colpevole, considero mentre la sincerità di queste sole due parole mi sconvolge, ghiacciandomi letteralmente sul posto. Il fatto che non mi abbia risposto può voler dire unicamente questo.

Tutte le elucubrazioni svaniscono improvvisamente dalla mia mente, lasciando dietro di se unicamente un assordante vuoto, una voragine che celermente mi risucchia fino a farmi soffocare.

Fino, semplicemente, a farmi soccombere.

I miei occhi si riempiono subito velocemente di lacrime, appannandomi la vista mentre il sentimento che provo per lui mi dilania, bruciando terribilmente ed intossicandomi.

Mi spezza quasi a metà, incrinandosi dentro di me.

Mi annienta semplicemente, pungolandomi con una sofferenza che prende velocemente il possesso di me, non lasciandomi di fatto scampo.

Annaspando mi contraggo, irrigidendomi sgomenta mentre riabbasso la mano, la schermata del cellulare si scurisce, non ricevendo alcun input da parte mia e abbandonandomi in un totale buio che mi fa sentire incredibilmente sola.

Avvolta unicamente dalla mia solitudine, rimango infatti bloccata mentre le sue parole si mischiano alla desolante e drammatica veridicità dei fatti.

Tutto quello che voglio sei tu...

Era tutto una bugia, fotogrammi di attimi calcolati attimo per attimo.

Ed è la delucidazione più dolente da constatare, da sopportare.

Tra di noi non ci sono neanche millimetri a dividerci...

I suoi mormorii, apparentemente dolci e carichi di amorevolezza, calore, mi rimbombano in testa, devastandomi totalmente e causandomi una infinità di dubbi, affondando sempre di più la lama nel mio cuore .

Sempre più simili a certezze, purtroppo.

La perplessità che dietro tutte quelle situazioni si nascondesse altro, un calcolo ben premeditato mi fa sentire sporca e banale, quasi stupidamente ingenua nell'essermi fatta trasportare da un qualcosa che lui aveva creato a tavolino.

E soffoco e annego in questo mare di dubbi e quesiti che ormai non hanno più motivo di esistere.

Adesso tutto ha una soluzione, lampante e fin troppo limpida.

Ti amo...

Ogni cosa, adesso, ha assunto una svolta diversa, una sfumatura differente.

Ed è unicamente ora che in qualche modo tutto ciò che sento esplode davvero, investendomi con una violenza tale da farmi male, vibrandomi sulla pelle fino a marchiarmi indelebilmente mentre un vigoroso moto di delusione mi coglie furiosamente, turbandomi nel profondo.

Cresce ad iperbole dentro di me, così velocemente ed in modo veemente da non farmene quasi rendere conto.

In un gesto stizzito ed irritato scaglio il telefono sul materasso, facendolo inevitabilmente rimbalzare leggermente sul copriletto rosso scuro mentre stringo i denti fin quasi a digrignarli, i miei tratti che si induriscono contraendosi e diventando più marcati.

- Fanculo – ringhio esausta l'attimo dopo, al suo indirizzo, al mio e a tutto ciò che mi è piovuto addosso dal cielo, non lasciandomi scampo o scelta.

Semplicemente verso tutto il mondo, non riuscendo a non farlo, ormai al limite della sopportazione.

Incredibilmente sconfortata e rabbiosa mi porto subito dopo una mano al viso, scacciando quelle poche e amare gocce salate dal mio volto con un gesto violento e secco mentre mi intimo orgogliosamente di reagire.

Curvo appena al in giù il mio labbro inferiore, scosso da un lieve tremolio che non riesco ad arrestare mentre tiro contemporaneamente su col naso, così rigida da assomigliare ad una statua di sale.

Non sopportando quasi neanche più il calore delle coperte, improvvisamente incredibilmente fastidioso, le scalcio via con un movimento secco delle gambe l'attimo seguente, non riuscendo ad arginare ciò che si agita dentro di me.

Quasi ansimante mi tiro poi bruscamente a sedere, l'immobilità che mi pervade che diventa incredibilmente irritante, cozzando contro l'inaspettato bisogno di muovermi che si insinua dentro di me, perfetta manifestazione del mio stato interiore tumultuoso.

Mi sento terribilmente simile ad un animale in gabbia, una snervante tachicardia che non smette neanche per un attimo di inquietarmi, la verità che riecheggia devastante dentro di me, divorandomi inesorabilmente.

È colpevole.

Ed è solo questo quello che conta per me, il fatto che mi abbia mentito e sfruttato, l'essere stata solo una pedina tra le sue mani, una sorta di passatempo da usare mentre raggiungeva i suoi scopi.

Sospiro pesantemente, mentre la veridicità che ho tanto agognato di sapere non mi fa per nulla stare meglio. Tutt'altro. Se possibile, difatti, mi sento persino peggio. Devastata, annientata.

Con gli occhi sbarrati che si perdono nel buio curvo le spalle, abbacchiata e con le lacrime trattenute a stento, a forza, mentre elucubrazioni su elucubrazioni si riversano nel mio cervello.

Basta pensare a lui, basta provare quel sentimento, basta tormentarmi e basta nutrire vane speranze.

Stringo la bocca in una linea netta e decisa, contratta, mentre chiudo le dita a pugno mentre mi dico che devo dare una svolta a questa circostanza insolitamente drammatica e confusa, stordente.

Semplicemente basta, annaspo, decidendo di non volerci rimuginare oltre. O, almeno, dandomi questo imperativo incredibilmente complicato e spinoso da perseguire.

Scossa, decido di alzarmi subito dopo, muovendomi fino ad appoggiare le piante dei piedi sul parquet tiepido, in modo quasi convulso e precipitoso.

Rabbrividendo leggermente scosto quel poco di piumone che ancora mi copre parzialmente, accatastandolo al fondo del materasso, mentre mi tiro in piedi, alzandomi.

Guardandomi brevemente intorno cerco intanto frettolosamente di individuare i miei pantaloni, le mie pupille già perfettamente abbandonate all'oscurità che mi permettono di destreggiarmi tra il mobilio e le cose con disinvoltura.

Li individuo l'attimo seguente sulla sedia su cui li avevo abbandonati proprio ieri sera, alla mia destra e vicino alla porta, ancora perfettamente chiusa.

Compiendo un paio di semplici falcate mi ci avvicino, strisciando debolmente i piedi sul pavimento mentre la raggiungo.

Afferrandoli in tutta fretta con la punta delle dita li agguanto, infilandomeli subito dopo. Muovendo appena i polpastrelli annodo poi il nastrino nero, facendovi un fiocco, nel tentativo di stringermeli in vita, impedendogli di cadere.

Deglutisco, ingoiando il nodo che mi tormenta mentre appoggio poi la mano sulla maniglia dell'uscio, una voragine insistente che mi inghiotte attimo dopo attimo.

Ed è proprio quando vi faccio pressione, pronta ad uscire e a scappare dai miei stessi problemi, che mi rendo conto di una amara verità.

Questa è decisamente l'ultima svolta che avrei mai voluto.

L'unica in grado di distruggermi.






*****





Cercando di armarmi di tanta coraggiosa pazienza e di ingoiare del tutto il magone soffocante che mi affligge, inspiro lentamente una profonda boccata d'aria, persistendo nel rimanere immobile nel corridoio davanti alla porta del soggiorno mentre la sensazione di essere stata quasi svuotata mi tormenta, irrigidendomi.

Le mie pupille assenti e distratte si scontrano contro la sua superficie lucida ed in legno pregiato senza che io riesca a vederla davvero, la mente persa altrove e che vaga tra i meandri sconclusionati e amari dei miei pensieri.

Non mi ha risposto, boccheggio faticando quasi ancora a crederci, la realtà che appare così semplice eppure così distruttiva al tempo stesso da risultare quasi incredibile. O, forse, più semplicemente sono io a non volerci credere.

Con un subbuglio di rabbia e tristezza, dolore, ad agitarsi dentro di me, subito dopo aver abbandonato camera mia, sono scesa con l'intenzione di prender qualcosa da mangiare e tornare nella mia stanza nonostante il mio stomaco sia privo di appetito, stretto in una morsa così stringente da provocarmi quasi una leggera sensazione di nausea.

Non ho, infatti, alcuna voglia di cibarmi, ma, di certo, non posso continuare ad evitare i pasti e, soprattutto, i miei genitori.

Una leggera smorfia mi tende le labbra mentre sposto leggermente il peso da un piede all'altro mentre il dubbio dei probabili e sicuramente acidi commenti di mia madre che dovrò sorbirmi già di prima mattina mi attraversa la testa, portandomi a roteare gli occhi al cielo.

Assolutamente è l'ultima cosa di cui ho bisogno al momento, mi dico mestamente mentre deglutisco, stringendomi fiaccamente tra le spalle.

Sospirando pesantemente sconfortata e decidendo contemporaneamente di dover dare una svolta decisa a questa giornata, allungo subito dopo una mano, appoggiandola sulla maniglia in ottone dell'uscio, esercitandovi subito dopo una leggera pressione nel tentativo di aprirla.

Lo faccio l'attimo seguente, schiudendola silenziosamente mentre nessun rumore intacca stranamente la totale quiete del corridoio, nessun concitato chiacchierio che lo frantuma o il vociare della tv.

Cosa che mi stupisce non poco.

Che siano già tutti usciti? Mi domando, una labile speranza che si accende in me a questo quesito, portandomi quasi ad agognare questa possibilità che mi permetterebbe di evitare una infinità di domande indesiderate e inopportune.

Aggrottando la fronte compio l'istante dopo un passo in avanti, insinuandomi nel piccolo spiraglio che io stesso ho creato.

Metto piede nella stanza subito dopo, nessuna particolare curiosità che mi stuzzica lasciandomi quasi neutrale.

Il mio sguardo incontra subito il leggero e dorato chiarore che la illumina, facendole assumere una atmosfera semplice e conviviale che mal si scontra con la mia emotività malinconia.

Inevitabilmente le mie iridi si focalizzano istantaneamente sulla finestra posta esattamente davanti a me, le tende color panna che le circondano mentre dalla mia memoria riemerge il ricordo dell'incubo che ho fatto solo un'ora fa, facendomi perdere ansiosamente un battito.

L'alone sfocato della sua figura e di ciò che mi ha detto, della piega che ha assunto la circostanza con la sua mancata risposta alla mia chiamata, mi infondono un devastante senso di inquietudine, facendomi sentire irosa e distrutta al tempo stesso.

Cercando di farmi forza e di non badarci ulteriormente poso poi le pupille sull'ampio tavolo ovale posto al centro della stanza, già imbandito alla perfezione e ricoperto da una tovaglia bianca dall'orlo blu su cui fa bella mostra di se la colazione mentre quella strana tranquillità persiste ad avvolgermi.

Tuttavia, è ben altro l'istante dopo ad attirare la mia attenzione, un dolce sussurro che mi provoca un debole sorriso, portandomi ad inclinare leggermente il viso alla mia destra.

- Buongiorno, Ems – soffia con voce tenera e cadenza mio fratello, incontrando il mio sguardo stralunato e sconcertato l'attimo seguente, semplicemente meravigliato.

In piedi vicino alla televisione, che trasmette le mute immagini di un tg con le prime notizie del mattino, mi osserva attentamente, un lieve sogghigno che campeggia sul suo volto mentre stringe in mano una tazza blu scuro, probabilmente contenente del caffè bollente.

È la stessa che utilizza ogni qualvolta è a casa, realizzo dopo una frazione di secondo adocchiandola e notando unicamente solo ora che riporta la scritta “Goodmorning” stampata in bianco sul lato panciuto.

Tuttavia, questa amorevole considerazione non riesce a suscitarmi alcun moto di divertimento o gioia, lasciandomi semplicemente interiormente arida e priva di allegria.

Mestamente, mi richiudo subito dopo la porta alle spalle, un tonfo leggerissimo che non ci disturba mentre lui persiste a fissarmi insistentemente, mettendomi quasi in imbarazzo.

- Giorno – ribatto dopo una infinità di secondi, persistendo nel rimanere immobile e ghiacciata sul posto mentre non riesco a non sentirmi quasi messa sotto esame, i suoi occhi scuri che scivolano sul mio profilo stanco nel tentativo di studiarmi e capire come sto.

Stringendomi tra le braccia, prima di piegarle sulla difensiva sotto il seno, sospiro debolmente, compiendo simultaneamente un passo in avanti mentre lo scruto di sottecchi, notando che indossa dei semplici jeans e una maglia a maniche lunghe in cotone nera.

Lui, chiudendosi in un breve mutismo, si porta subito dopo la tazza alle labbra, prendendone un piccolo sorso ristoratore.

Non dicendo neanche io momentaneamente nulla mi muovo ancora, avvicinandomi al tavolo e notando solo ora la totale assenza dei miei genitori, cosa che non sembra sfuggire a Michael che segue la direzione della mia occhiata dubbiosa e sconcertata.

- Nostro padre è andato in ufficio di buon ora mentre nostra madre non è ancora scesa per fare colazione – mi dice, rispondendomi con una esauriente spiegazione prima ancora che io chiedere – Violet, mi ha detto che ha mal di testa – afferma ancora, riferendosi a ciò che gli ha riferito la domestica.

Annuisco unicamente, appoggiando le mani proprio sullo schienale della sedia su cui è solita sedere mia mamma, sul lato più lungo e laterale, esattamente di fronte a dove abitualmente mi siedo io.

I posti a capotavola, infatti, sono sempre occupati da mio padre e mio fratello quando la famiglia è al completo.

I miei occhi scivolano, intanto, nuovamente sulla tovaglia di alta fattura e perfettamente candida, occupata da vari piatti tondeggianti, bianchi dal semplice bordo blu, accompagnati dalle posate e da un tovagliolo di una tonalità leggermente più chiara di blu.

Alcune mug dello stesso colore sono poste poi davanti ad essi, mentre al centro, invece, sono presenti due caraffe identiche in acciaio contenenti, probabilmente, il caffè e il the mentre, poco lontano, vi sono anche un piccolo contenitore in porcellana del latte fresco e la zuccheriera.

Su un piatto ovale e più lungo, poi, sono presenti alcuni cornetti al cioccolato e alla marmellata, il loro profumo dolciastro ed invitante che mi solletica le narici senza, però, suscitarmi alcun appetito.

Il mio stomaco vuoto, infatti, persiste nel non mostrare alcun segno della fame, lasciandomi imperterrita e statica davanti a questa visione mentre tento disperatamente di sopprimere i ricordi, taglienti come lame, di tutte le volte che io e lui abbiamo condiviso questo momento.

O come, dopo essere stati per la prima volta a letto insieme la sera prima, lui mi aveva fatto trovare la colazione pronta sul tavolo, lasciandomi sorpresa e frastornata.

La dolcezza di quella memoria penetra violentemente dentro di me, distruggendo quel poco di autodifese che mi rimangono e risultando incredibilmente masochistico, aprendo nuove ferite copiosamente sanguinanti.

Anche i biscotti con le gocce di cioccolato poco lontani sortiscono lo stesso identico effetto, non intaccando il mio umore nero pece mentre tento difficoltosamente di smettere di pensare a quegli attimi.

Istintivamente, stringo maggiormente tra le dita il legno pregiato della sedia, facendo sbiancare la pelle sulle mie nocche.

Cercando di riscuotermi scrollo in seguito leggermente il capo, i capelli scompigliati e un po' gonfi che si muovono sulle mie esili spalle mentre percepisco lo sguardo di mio fratello non abbandonarmi neanche per un secondo, provocandomi, insieme, un moto di irritazione e affettuosità.

- Come stai? - mi chiede dopo una frazione di secondo, riprendendo a parlare e notando probabilmente il mio anomalo pallore e le occhiaie che mi cerchiano gli occhi, nere e marcate.

Non sapendo bene cosa rispondere faccio unicamente spallucce, rendendomi conto che non c'è una vera risposta per descriver il mio stato emotivo frastornato, deluso, dolorante ed una infinità di altre emozioni.

- Prossima domanda – tento di esibirmi in un precario sorriso per rassicurarlo ed evadere al tempo stesso il suo quesito, non avendo alcuna voglia di discuterne.

Riesco, tuttavia, unicamente a produrre una smorfia contrita e triste, melanconica, il mio sguardo che non si illumina, rimanendo cupo e torvo.

Il mio scherzo privo di ironia e sarcasmo, infatti, si perde nel vuoto nel momento stesso in cui alzo il capo, guardandolo riluttantemente in faccia, ben consapevole della facilità con cui mi legge.

Fortunatamente, lui non aggiunge altro, limitandosi ad annuire debolmente mentre compie contemporaneamente un passo in avanti, avvicinandosi al tavolo e quindi, di conseguenza, anche a me.

Forse comprendendo la mia poca voglia di avventurarmi in questo discorso, difatti, cambia abilmente tema, puntando altrove la mia attenzione.

- Fai colazione con me? - mi propone dolcemente, piegando leggermente il volto mentre tenta di convincermi a rimanere con un debole sogghigno, esattamente come faceva da bambino quando non volevo mangiare le verdure a cena e i nostri genitori mi rimproveravano.

- Io... non ho molta fame – esito per un attimo, cercando di giustificare la mia imminente fuga dalla stanza, non mentendo.

In tutta risposta Micheal mi rivolge una severa occhiataccia, inarcando seccamente un sopracciglio.

- Dai Ems, non c'è neanche la mamma – mormora insistente, riferendosi sfacciatamente alla sua assenza e al piacere irrazionale, e che non nego, che questa cosa mi ha suscitato – Resta a farmi compagnia, dai – mi incalza nuovamente, allargando appena le braccia mentre un raggio di sole che filtra dalle finestra fa assumere una sfumatura quasi mogano ai suoi capelli castani.

Non avendo assolutamente voglia di chiacchierare o, meglio, non avendone la forza, mi limito allora ad acconsentire accondiscendente, non obbiettando ulteriormente ed abbandonando simultaneamente l'idea di prendere qualcosa e rifugiarmi nuovamente in camera mia.

- Va bene – soffio docilmente, infine, in un sussurro così sottile e fievole da risultare impalpabile, aggirando velocemente il tavolo fino a raggiungere la mia consueta posizione.

Spostando la sedia con un movimento semplice della mano mi ci siedo l'attimo seguente, appoggiando la schiena contratta contro lo schienale senza riuscire a sciogliere la postura.

Sospirando brevemente mi guardo nuovamente intorno alla ricerca di qualcosa di non troppo pesante da mangiare mentre anche lui prende posto, riappoggiando la tazza ormai vuota sul tavolo.

- Sei riuscita a dormire, almeno un po'? - spezza nuovamente il silenzio dopo una manciata di secondi, portandomi ad inclinare il viso verso di lui nel momento stesso in cui mi sporgo in avanti, afferrando la caraffa del the.

- Non molto – ammetto onesta, lasciandogli intuire quanto poco io sia riuscita a chiudere occhio.

Praticamene nulla, mi dico amara, il corpo a pezzi e il cuore distrutto, mentre lui sospira accorato e visibilmente dispiaciuto, non sapendo forse cosa fare per rendermi più serena e farmi stare meglio.

Probabilmente non c'è nulla che potrebbe farlo al momento, realizzo, sentendo completamente il peso di questa considerazione gravarmi addosso.

Con la mano che trema appena a mezz'aria verso poi la bevanda nella tazza, un leggero caldo fumo che si alza, sfiorandomi la pelle, nel momento stesso in cui il sciabordare del liquido contro la porcella intacca appena la pacata quiete che permea il soggiorno.

La stessa che non dura per molto tempo visto che lui riprende a parlare, spezzando ancora il silenzio.

- Sicura che stai bene? - insiste ancora lui, cercando di ricevere una risposta più sincera e nitida, dando una celere svolta alla nostra conversazione e portandomi a voltarmi verso di lui, scrutandolo disorientata e colta in contropiede – Non hai un bell'aspetto, Ems – infierisce teneramente, una visibile nota di preoccupazione e dispiacere che rende più bassa e roca la sua voce mentre mi chiama con il consueto nomignolo.

Sentendomi quasi a disagio, troppo esposta, abbasso lo sguardo, indirizzandolo in un punto indistinto sulla tovaglia, non sapendo cosa dire.

- Non molto – ammetto infine, decidendo di non minimizzare ulteriormente come mi sento mentre una sensazione di incompletezza e sofferenza mi coglie sibillina, pungolandomi -Per niente – lo alzo nuovamente, puntandolo nel suo e specchiandomici mentre mi stringo disarmata tra le spalle, rendendomi simultaneamente conto di quanto io patetica debba sembrare.

Miachael mi rivolge una occhiata comprensiva, allungando subito dopo una mano nella mia direzione fino a sfiorare la mia, appoggiata staticamente vicino al tovagliolo.

Ne accarezza debolmente il dorso con la punta dei polpastrelli, lambendomi le nocche con un tocco tenero e carico di affetto, di amore semplicemente.

Avete parlato? - mi domando ancora, intuendo probabilmente il bisogno di dare una svolta a questa situazione, non potendo sapere che è già avvenuta e , purtroppo, è l'ultima al mondo che avrei voluto accadesse.

Una fitta di dolore mi trafigge tagliente e gelido il petto all'istante, facendo bruciare terribilmente le ferite che mi ha inflitto lui.

Scuoto il capo in segno di dissenso, non riuscendo ad essere scaldata dal suo amorevole vezzeggiamento.

- No – sussurro, le pupille che si perdono nelle sfumature ambrate del the che riempie quasi totalmente la mia tazza senza realmente vederlo mentre la mia mente pullula di pensieri, la sua mancata risposta al telefono questa mattina che risulta inevitabilmente come una sentenza incontrovertibile.

Non riuscendo a sopprimere sul nascere il nervoso senso di rabbia e furia, impotenza che questa considerazione mi causa mi ritrovo irrazionalmente a stringere le dita, irrigidendole appena e finendo, senza accorgermene, per arricciare inevitabilmente il cotone con i polpastrelli.

Cosa che non sfugge alla sua attenzione, portandolo a parlare nuovamente.

- Emma, io credo che dovreste parl.. - incomincia infatti il discorso Michael, venendo però bruscamente interrotto dalla mia affermazione decisa e astiosa, acre mentre il sangue mi ribolle quasi nelle vene a causa di questo suo rabbonirmi.

- L'ho chiamato e lui non ha risposto – sbotto, riservandoli una glaciale occhiataccia a causa dell'irritazione scaturita dal suo improvviso e non concluso rimprovero, sentendomi troppo lunatica per gestire le sensazioni che provo.

Un attimo di freddo e denso silenzio cala nella stanza mentre lui mi guarda sbigottito e stordito dal mio mormorio, visibilmente stupito da mio gesto.

Ho ingoiato l'orgoglio, chiamandolo e lui non ha risposto, mi ripeto nuovamente, rendendomi conto di come questa sia una lampante manifestazione di quanto lui tenga a me e, di conseguenza, anche della veridicità dell'articolo del New York Times.

Tirando leggermente su col naso mi mordo poi il labbro inferiore, torturandolo nell'estremo e spasmodico tentativo di reprimere tutto ciò che sento, compreso il sentimento nei suoi confronti.

Il magone torna inaspettatamente a premere maggiormente dinnanzi a questa considerazione, ostruendo quasi totalmente la mia gola e facendomi sentire incredibilmente fragile e in precario equilibrio mentre il sentimento che provo, ferito e abbattuto, torna a galla, rendendomi incredibilmente delusa.

- Direi che la risposta che volevo l'ho avuta – soffio ancora, non lasciandogli il tempo nuovamente di parlare mentre la mia voce, questa volta, che fuoriesce incrinata e spezzata, carica di commozione, dalle mie labbra, vibrando nell'aria mentre alludo alla svolta e al cambiamento che ho così tanto agognato.

Tentando di tenere testardamente tutto ciò a bada espiro poi lentamente l'ossigeno, svuotando i polmoni in modo tremolante ed incerto, non volendo assolutamente che prenda il sopravvento.

No, non più.

- Magari era a lavoro o ha avuto problemi in famiglia – mi dice, lui gesticolando appena nel tentativo di trovare una spiegazione plausibile al suo comportamento ingiustificabile, facendomi letteralmente infuriare – Sono sicuro che avrà scombussolato anche loro – soffia ancora mesto, alludendo alle inevitabili conseguenze che l'articolo deve aver creato anche ai suoi famigliari.

Una istantanea stilettata di fastidio e rabbia a questo suo commento mi coglie sibillina, perforandomi e portandomi simultaneamente ad assottigliare pericolosamente gli occhi, trucidandolo con uno sguardo fiammeggiante mentre irrigidisco la schiena, contraendomi limpidamente contrariata.

Simultaneamente la mia irritazione, dovuta dal suo difenderlo, diventa più forte mentre percepisco quasi il sangue ribollirmi nelle vene, pompato più celermente dal mio cuore, che sbatte in modo aritmico nella mia cassa toracica.

Con il viso bollente ed in fiamma, incasso il capo, indurendo i lineamenti.

A questo si va ad aggiungere dopo una frazione di secondo anche un leggero moto di dispiacere al pensiero della sua famiglia, ricordando come sono stati gentili e accoglienti nei mie confronti. Sensazione che si acutizza a dismisura non appena penso ai suoi nipoti e a cosa stiano passando, chiedendomi se siano delusi o dalla parte di loro zio.

Sicuramente Lizzie lo sarà, mi dico ancora, ricordando come è attaccata ad Andrew e come si fidi totalmente di lui.

Deglutisco amara, quella stessa e simile fiducia che nutrivo anche io nei suoi confronti ora completamente sgretolata mentre questa riflessione tetra e melanconica mi attraversa, lasciandomi frastornata e mogia.

Con il respiro spezzato in gola e il petto che si alza in modo aritmico, socchiudo le palpebre, mordendomi l'interno della guancia fin quasi a percepire il ferroso gusto del sangue invadermi il palato, infondendomi un perverso e catartico fastidio.

Scuoto poi vigorosamente il capo, non abbassando neanche per un attimo lo sguardo e persistendo nel tenerlo puntato saldamente nel suo mentre si vela di una sfumatura più cupa e sofferente, ferita, diventando piena espressione del mio stato d'animo tumultuoso.

- Non difenderlo - gli intimo bruscamente con un sibilo glaciale e alterato, tagliente, non curandomi di fatto di apparire sgarbata o fredda, rendendomi conto di non poterlo sopportare.
Non dopo quello che ha fatto e le risposte che inevitabilmente mi ha fornito.

- Non c' è scusa che tenga Michael, non mi ha cercato e non ha risposto alla mia chiamata - affermo ancora asciutta e laconica, il tono aspro che vibra nell'aria mentre lui mi guarda dispiaciuto e avvilito, piegando appena il viso di lato, sospirando sospira pesantemente. - E' questa la verità - continuo stizzita e devastata al tempo stesso, compiendo contemporaneamente un gesto secco delle dita, sferzando l'aria.

Ed è vero.

Non c'è nessuna parola o frase che possa provare il contrario: è colpevole. Unicamente questo.

E il mio mal di testa continua a peggiorare, il pulsare alla tempia che non sembra dispettosamente volermi dare tregua.

- Emma...- mi chiama ancora dolcemente lui, tentando forse di aiutarmi a fare chiarezza e a razionalizzare il tutto mentre scuoto la testa.

Ma non ne ho più bisogno ormai, le cose sono fin troppo lampanti e nitide. Fin troppo.
- No - tronco sul nascere il suo imminente discorso con più enfasi di quella che voglio, alzando la voce inevitabilmente di una ottava - Io al suo posto lo avrei cercato... e invece niente! Non una chiamata, non un messaggio... neanche un cazzo di piccione viaggiatore! - sbotto arrabbiata e frustrata.

Michael mi fissa quasi sbigottito, non interrompendo la mia sfuriata.

- Dopo quello che è successo doveva piantare le tende nel nostro atrio e non muoversi fin quando non riusciva a parlarmi! - affermo ancora, allargando le braccia – E invece niente - sussurro, smorzando improvvisamente il tono, quasi come se mi si strozzasse in gola, morendo.

Si incrina, infatti, diventando più precario ed incerto, specchio della mia melanconica sofferenza.

Ed è vero.

Io avrei cercato di parlargli e avere l'occasione di spiegarmi in qualsiasi modo, piuttosto aspettandolo anche sotto casa e, decisamente, non avrei preferito chiudermi in un critico silenzio senza senso.

Doveva venire da me, dannazione.

Impreco tra le mie riflessioni, ringhiandoli con una impotenza che mi fa sentire ancora più vulnerabile e disarmata di quanto io non sia, lasciandomi svuotata di tutto.

Michael, nitidamente scosso dalla mia reazione emotiva e dispiaciuto, non ribatte nulla, i suoi occhi scuri che scivolano sul mio profilo pallido in una silenziosa carezza che, però, invece di farmi sentire bene, mi mette incredibilmente a disagio.

Mi fa sentire compatita, realizzo dopo una frazione di secondo, odiando questa cosa con tutto il cuore, intensamente.

Non riuscendo più a guardarlo in viso lo distolgo così, subito dopo, dal suo, puntandolo in una direzione diversa ed indistinta.

Tentando di combattere il violento e corposo senso di tristezza che mi coglie mi porto poi una ciocca di capelli dietro l'orecchio con un movimento celere e veloce delle dita, inspirando una profonda e tremolante boccata d'aria, riempiendomi totalmente i polmoni.

Tuttavia, il momento viene interrotto l'attimo seguente da un lieve bussare alla porta, che porta entrambi a voltarci in quella direzione.

- Avanti - mormoro subito, mangiandomi quasi le lettere a causa della velocità con cui lo faccio, ben contenta di accantonare questo discorso e di farlo scemare finalmente via, convinta che sia la cameriera o nostra madre.

Decisamente parlarne ripetutamente e sottolineare di continuo la realtá è l'ultima cosa di cui ho bisogno.

Sospirando, curvo leggermente al in giú le spalle, non essendo capace, però, di non apparire contratta e tesa, contrita.

L'uscio si schiude poi l'attimo seguente, una figura maschile che si palesa davanti a noi l'istante dopo, portandomi ad aggrottare leggermente la fronte non appena riconosco i suoi lineamenti pallidi e neutrali e i suoi occhi azzurri.

Confusa e interdetta, storco la punta del naso mentre i miei polpastrelli continuano ad arricciare nervosamente il cotone della tovaglia.

Noah.
Che cosa ci fa qui? Mi chiedo subito dopo, non riuscendo a capire cosa sia venuto a fare a quest'ora del mattino a casa nostra.

Magari deve parlare con mio padre, ipotizzo disorientata, o forse è stata mia mamma ad invitarlo.

Dinnanzi a quest'ultima possibilità piego la bocca in una smorfia contrita e per nulla contenta, non curandomi di mostrargli il mio disappunto.

Fasciato da un impeccabile completo grigio chiaro, abbinato ad una camicia azzurra perfettamente stirata, si staglia dinnanzi a noi, fissandomi esitante e notando solo dopo un attimo di esitazione Michael, una espressione visibilmente stupita e sorpresa che gli si stampa in faccia.

Assolutamente, non si aspettava di trovarselo davanti.

- Buongiorno Emma - mi saluta educatamente, flettendo appena il tono, rivolgendo poi tutta la sua attenzione verso di lui, inarcando leggermente un sopracciglio castano - Michael, che piacere rivederti. Non sapevo fossi a New York - soffia ancora con timbro calmo e compassato, sorridendo leggermente ed in modo un po' forzato.

Mio fratello, al contrario, non appare per nulla contento di vederlo, una smorfia cupa e contrita che distende i suoi tratti mentre io rimango ammutolita ed in silenzio, non intromettendomi se non per salutarlo a mia volta.

- Già - mormora in risposta lui, sospirando pesantemente - Non era una cosa programmata - afferma, non ricambiando i convenevoli riguardo il piacere di vedersi.
Noah, difatti, non è mai andato molto a genio a mio fratello fin da quando ho iniziato a frequentarlo, portandolo ad esprimere più volte, seppur in modo velato e educato, il suo parere a riguardo.

Tra i due, infondo, non è mai corso particolarmente buon sangue, spingendoli ad avere un rapporto di facciata.

- Comunque, se stavi aspettando mio padre lui non è qui – interrompe nuovamente la contrita e densa quiete, che è calata nella stanza e tra di noi, Michael, probabilmente desideroso di liquidarlo e riprendere la nostra conversazione proprio laddove lo abbiamo interrotto – E' andato in ufficio, forse dovresti cercarlo lì – soffia ancora in modo mellifluo, riservandogli una poco riservata occhiata eloquente.

Irrazionalmente, davanti a questo suo atteggiamento senza senso e, soprattutto, motivo, una stilettata di fastidio mi coglie sincero e sottile, portandomi a muovermi irrequieta sulla sedia.

Noah, in risposta, si limita ad annuire lentamente, persistendo nel rimanere vicino alla porta, assottigliando appena le labbra mentre abbassa il capo, puntando lo sguardo sul pavimento.

- Non sono qui per questo – ribatte prontamente dopo una manciata di secondi, dissentendo e stringendosi appena tra le spalle – Sono qui per parlare con Emma – afferma ancora, deciso e autorevole, indicandomi con un semplice cenno e portandomi simultaneamente a chiedermi cosa diavolo voglia da me.

Michael, sempre meno contento della sua interruzione poco piacevole, lo trucida letteralmente con una occhiataccia, appoggiando una mano sul tavolo mentre una visibile scintilla gli anima le iridi, facendomi intuire il fatto che sta perdendo la pazienza.

- Mi dispiace, ma io stavo parlando con mia sorella – sbotta, infatti, dopo un secondo, indispettito dalla sua insistenza e guadagnandosi di fatto la mia reazione per nulla d'accordo, scocciata dal suo modo sgarbato di porsi.

Perchè fa così, ora? Mi domando, non capendo assolutamente il suo modo astioso di agire.

- Gradirei terminarlo in privato quindi, se non ti dispiace – lo invita senza mezzi termini nuovamente ad uscire ed abbandonare la stanza, spingendomi ad intervenire.

- Abbiamo finito quel discorso, Michael – sibilo in un mormorio carico di risolutezza, che non ammette semplicemente replica – Non c'è altro da dire – continuo senza guardarlo in viso, mantenendo le pupille puntate nel vuoto, facendolo voltare stupito verso di me.

Mio fratello mi scocca una infastidita occhiata di rimprovero, appoggiando anche l'altra mano sul tavolo, senza, però, dire nulla.

Nessuno, a dire il vero lo fa, permettendo ad una densa e imbarazzante tranquillità di calare nel soggiorno, permeandola totalmente.

Noah, persistendo nel rimanere immobile ed in piedi, si muove appena sul posto, facendo scricchiolare il sacchetto che solo ora noto stringere tra le dita.

La mia curiosità, troppo offuscata dalla mia rabbia e dal mio dolore, tuttavia, non viene stuzzicata o pungolata, lasciandomi emotivamente arida.

Tuttavia, ci pensa Noah stesso, l'attimo dopo, a parlare nuovamente, accendendo una nuova conversazione.

- Comunque, non volevo interrompervi, sono solo passato per vedere come stavi – soffia mellifluo e sciolto, in modo affabile e gentile, non facendo scaturire dentro di me alcuna emozione – Anche se vedo che il tuo cattivo umore non è migliorato da ieri – constata sospirando debolmente, scrutandomi accuratamente.

Finendo quasi per ignorarlo io persisto nel non fissarlo, invece, limitandomi ad annuire ammutolita.

- Quindi, beh, capito proprio al momento giusto – infierisce ancora lui, insistendo e non comprendendo assolutamente la mia voglia di parlare praticamente pari a zero.

Esibendosi in un leggero sorriso scherzoso che non scalfisce il mio essere cupa, risultando leggermente criptico ed indecifrabile.

Sfumatura che si accentua il momento seguente, quando lui compie un passo in avanti, avvicinandosi con una ampia falcata, spingendomi a voltarmi verso di lui con una espressione contrita e annoiata stampata in faccia.

Alzo gli occhi scuri su di lui nel momento stesso in cui sventola davanti a me il sacchetto in questione, facendolo scricchiolare ancora mentre Michael gli riserva una scettica occhiataccia sbieca, ammonendolo silenziosamente.

- Sono le tue ciambelle preferite – mi informa pacatamente, flettendo appena la voce mentre io inarco un sopracciglio.

Un moto di irritazione e fastidio mi coglie dinnanzi a questa sua manifestazione di affettuosità e gentilezza, finendo per urtarmi invece che dilettarmi.

Piego le labbra in una smorfia contrita e stizzita, stringendo maggiormente le dita intorno alle mie braccia mentre mi rendo conto che questo suo modo di comportarsi appare quasi come una mancanza di rispetto.

Non capisce, infatti, che non è assolutamente il momento né la circostanza adatta per fare queste cose, questi gesti dolci e teneri senza un apparente senso.

- Grazie – mastico a fatica, sforzandomi di apparire educata, senza però riuscire a sembrare tranquilla o contenta. Tutt'altro – Ma ho già mangiato – tento di liquidare la cosa, mentendo spudoratamente mentre cerco di sembrare sincera e trasparente, lo stomaco chiuso da una morsa stringente che soffoca sul nascere qualsiasi albore di appetito o fame.

Lui, in tutta risposta, persiste nel scrutarmi attentamente, appoggiando subito dopo la busta sul ripiano del tavolo, non desistendo ed aumentando il mio disappunto, facendolo diventare di conseguenza più intenso e veemente.

- Beh, puoi tenerle per dopo – afferma allora mentre io mi irrigidisco, non riuscendo a non provare fastidio davanti al suo atteggiamento soffocante e melenso mentre non desidero altro che sprofondare nella mia totale solitudine e poter porre presto fine a questo supplizio.

Non vedo, infatti, l'ora di poter rimanere di nuovo da sola, il cervello che mi porta dolorosamente in una sola ed unica direzione, a lui, cozzando bruscamente contro la veridicità dei fatti. Il tutto finisce, inesorabilmente, per creare un mix devastante che mi distrugge poco a poco, esattamente come fa la sua assenza, il suo non cercarmi.

Desolata deglutisco un po' a fatica, il the ormai freddo nella mia tazza che rimane intatto, scurendosi leggermente sul fondo a causa del depositarsi dell'aroma.

- Anche se, conoscendoti, sono sicuro che non dureranno ancora molto – sogghigna, ammiccando nella mia direzione nel probabile tentativo di mettermi a mio agio e farmi rilassare.

Cosa che sembra riuscirgli, però, decisamente male.

Invece che quietarmi, infatti, riesce a fare l'opposto, portandomi a tendere ulteriormente e fin quasi allo spasimo, una contrattura che non mi abbandona mai neanche per un secondo.

In qualche modo, difatti, il suo essere premuroso e il suo conoscermi mi rendono incredibilmente inquieta.

Forse, semplicemente, perchè ormai non c'è più alcuna sintonia a legarci, mi dico, riflettendoci distrattamente.

Cosa che al contrario c'era con lui, aggiungo dopo una frazione di secondo, percependo il magone tornare a premere dentro di me, destabilizzandomi ulteriormente e sottolineando come anche quello, forse, sia stato un mero frutto unicamente della finzione, di un calcolo studiato nei minimi dettagli.

Non sforzandomi di apparire a mio pacata mi limito unicamente a rimanere in silenzio, finendo nuovamente per non ribattere assolutamente nulla.

Leggermente sconfortato dal mio mutismo, Noah mi guarda ancora a lungo, appoggiando entrambe le mani sullo schienale della sedia posta esattamente davanti a me.

Dopo un attimo di esitazione, la scosta appena, quel tanto che basta per potersi seder agevolmente.

Cosa che accade l'attimo seguente.

Con un movimento fluido e semplice, infatti, prende anche lui posto, appoggiando un braccio sulla tovaglia senza mai smettere di osservarmi, ignorando di fatto mio fratello.

Ed è proprio quando, dopo un paio di minuti di totale quiete, penso che lui non dirà finalmente altro che riprende purtroppo a parlare, incalzandomi ancora e tentando di avviare una conversazione che, però, non voglio lampatamente iniziare.

- Comunque, non sono venuto qui solo per portarti le ciambelle, lo ammetto – sussurra infatti, abbassando per un millesimo di secondo gli occhi, umettandosi brevemente le labbra quasi come se cercasse le parole giuste da dirmi, indugiando appena mentre Michael persiste nel rimanere ammutolito, incrociando le braccia al petto – Come ti ho detto ieri ...- riprende poi, cambiando leggermente argomento e provocandomi una sorda fitta di rabbia e frustrazione, spingendomi irrazionalmente ad assottigliare le palpebre.

- Come hai detto a mia madre, vuoi dire – freccio acida e tagliente, astiosamente aspra con un mormorio appena percepibile che fa sogghignare sotto i baffi Michael.

Il ricordo insistente, difatti, di come avesse praticamente parlato unicamente con mia mamma anche nei momenti in cui fingeva di rivolgersi a me riemerge facilmente dalla mia memoria, seccandomi inverosimilmente.

È una cosa che ho sempre odiato di lui, una pennellata incredibilmente sbagliata che finiva per macchiare il quadro perfetto che lo ritraeva, sporcandolo inevitabilmente e rendendolo contemporaneamente inadatto, finto.

Sospiro.

Noah, colto in contropiede e probabilmente su un tasto scoperto incassa il colpo, piegando appena il capo di lato mentre alza le mani quasi in segno di scuse.

- Parlavo anche a te – puntualizza, un finto tono gentile che nasconde invece la sua verità – In ogni caso, come ho detto ieri – calca volutamente sulla frase, facendovi assumere una sfumatura divertita e ironica che però non mi rallegra, facendomi, in modo opposto, invece, rabbuiare – Ho incaricato tre dei miei reporter migliori di indagare su questa situazione – mormora in modo più formale e neutro ora, ricalcando di fatto l'esatta frase compassata che mi ha detto ieri, sottolineando questo fatto nel limpido tentativo di metterlo in luce ai miei occhi.

Mesta e abbattuta muovo lievemente su e giù il capo, scostando poi una ciocca di capelli dal mio volto l'attimo seguente, portandomelo dietro l'orecchio con un movimento veloce dei polpastrelli.

- Sono persone molto discrete e di cui mi fido totalmente, molto esperte – mi spiega, gesticolando debolmente con la mano sinistra senza mai smettere di scrutarmi scrupolosamente, quasi nell'intento di captare morbosamente ogni mia più piccola reazione – E hanno indagato su tutti i fronti – mi dice ancora, continuando a parlare senza mai variare il tono di voce, che rimane impeccabile e statico, così cadenzato da risultare quasi formale.

Al posto di una di una confidenza, infatti, questa discussione, più simile ad un suo monologo che ad una conversazione vera e propria, assomiglia incredibilmente ad una chiacchierata di lavoro, impregnata di una fredda professionalità nascosta dietro una apparenza di premuro.

Cosa che mi stordisce leggermente, non facendomi capire dove voglia andare a parare con tutto ciò.

Decisamente stanca e provata dal suo borbottare mi intrometto, tentando di bloccarlo sul nascere proprio nel momento in cui lui prende un respiro profondo, gonfiando i polmoni.

- Noah, non era il caso – soffio sfiancata, sospirando sconfortata e curvando contemporaneamente le spalle al in giù mentre spero disperatamente che questo lo faccia smettere, di arginarlo in qualche modo.

Le mie speranze, tuttavia, si sgretolano l'attimo seguente, venendo disattese,

Noah, infatti, raddrizza la schiena contro la sedia, quasi punto sul vivo mentre sbarra debolmente gli occhi chiari, trafiggendomi con uno sguardo quasi risentito.

- Emma lo faccio più che volentieri – afferma con impeto e veemenza, alzando appena orgogliosamente il mento mentre io annuisco, distogliendo le iridi dalle sue l'attimo dopo, preferendo guardare distrattamente ciò che ho intorno mentre il suo parlottare diventa quasi un rumore di sfondo.

- E ti ringrazio per questo – insisto ancora io, agognando di terminare il prima possibile questo supplizio – Ma non è una cosa che mi interessa più, ormai – afferma, dilaniata tra onestà e bugia al tempo stesso.

In qualche contorto modo, infatti questa mia frase risulta emblema di ciò che provo, da un lato la voglia di chiudere lui, i sentimenti che provo e i pensieri che lo riguardano in un angolo buio e remoto della mia testa mentre, dall'altro, non riesco a non sentirmi incentrata e concentrata unicamente su di lui.

Nonostante tutto, nonostante tutti.

Affondo gli incisivi nel mio labbro inferiore, torturandolo appena e mordicchiandolo mentre il mio cuore pulsa più forte dentro di me, portandomi a stringermi quasi tra le braccia nel tentativo di sopprimere questa distruggente sensazione.

- Beh, Emma, a noi farebbe molto comodo avere un editoriale in esclusiva – dice tra il serio e il sarcastico, scaturendo la mia smorfia per nulla divertita – In ogni caso, te l'ho detto perchè pensavo ti interessasse – aggiunge l'istante dopo, stuzzicandomi indirettamente su un tema assolutamente delicato per me, facendo apparire la sua frase quasi come un colpo basso.

Istintivamente, le mie dita si contraggono, arricciando leggermente il cotone della mia maglietta mentre mi muovo lievemente sul posto, agitata ed inquieta.

- Ok – sbuffo dopo aver inalato una profonda boccata di ossigeno, decidendo interiormente che è meno difficoltoso e pesante assecondarlo che stare a discutere con lui, roteo debolmente gli occhi al soffitto – Cosa hai scoperto? - chiedo, tuttavia, l'attimo seguente, tornando ad adocchiarlo mentre quello strano mix di interesse e voglia di non sapere mi pungola dispettosamente, facendomi sentire più strana e indecisa di quanto io non sia al momento.

Visibilmente soddisfatto, Noah si esibisce in una espressione concentrata e calma, quasi serafica e autoritaria.

- A quanto pare il Dottor Harrison ha il fondo fiduciario bloccato – inizia, spiegandomi pazientemente e calcando in modo astioso sul suo nome, provocandomi una ondata inarginabile di fastidio e rabbia che reprimo a fatica.

Inarco un sopracciglio, ribattendo e non preoccupandomi di essere carina.

- Si, Noah, questo lo sapevo già – sboffo stizzita e seccata, rasentando quasi una acre acidità mentre serro maggiormente le braccia sotto il seno, stringendole fin quasi ad abbracciarmi da sola, ponendomi in una posizione di autodifesa.

Lui, apparentemente non toccato dalla mia frecciatina petulante e tagliente, riprende il discorso, continuandolo.

- Aveva un contratto con la Chase per un prestito di circa cento milioni di dollari – mormora,spingendomi ad allargare stupita e meravigliata gli occhi, fornendomi una informazione che non conoscevo e di cui ero totalmente all'oscuro.

Deglutisco, rimuginando distrattamente su questa cosa, che, sfacciatamente, non fa altro che sottolineare e aggravare la sua colpevolezza, scavando una fossa da cui è sempre più difficile tirarlo fuori.

Semplicemente, diventa un'altra macchia vermiglia sul suo quadro, annientando ogni sfumatura che avevo creato così faticosamente, che avevo imparato a conoscere.

- E una fonte attendibile mi ha confermato che questo era correlato alla concessione edilizio – aggiunge serio e mesto mentre una poderosa ondata di confusione mi annebbia la mente, rendendomi poco lucida e razionale.

Frastornata nell'assorbire come una spugna ogni cosa che mi dice nonostante tutte le promesse di diventare neutrale e menefreghista nei suoi confronti.

Ma non ci riesco, il mio cuore e il mio cervello che rimangono dolorosamente incentrati su di lui non riuscendo a svoltare, a cambiare e virare il fuoco dell'attenzione.

- La Cooper Costructions & Sons aveva vinto l'appalto per la stessa identica cifra – mormora ancora Noah, gesticolando in modo convulso mentre con la coda dell'occhio intravedo Michael corrucciarsi, non capendo forse completamente tutto questo discorso dove porti, persistendo, però, nel rimanere silenzioso.

La stessa cosa, infondo, che non comprendo neanche io.

Dal punto di vista economico, quindi, fila tutto – soffia ancora asciutto, socchiudendo appena pensierosamente gli occhi, in modo quasi sornione e affabile come se stesse cercando di non dimenticarsi nulla – Mentre per quanto riguarda quello burocratico non sono riuscito a scoprire nulla di più di quanto già sapessimo – conclude desolato, visibilmente dispiaciuto, un'ombra scura che cala velocemente e immotivatamente sui suoi tratti, oscurandolo leggermente.

E la mia confusione continua a crescere di conseguenza a dismisura, attimo dopo attimo, dinnanzi ai suoi atteggiamenti improvvisamente criptici e difficili da decifrare.

Mi mordicchio turbata leggermente il labbro inferiore nel momento stesso in cui lui chiude le dita a pugno, serrandole quasi rabbiosamente frustrato e insoddisfatto.

Rimuginando su questo e su tutte le altre informazioni che mi ha fornito, la mente che vaga altrove, tra i meandri dei miei pensieri e degli echi delle sue parole, muovo lievemente il capo, annuendo debolmente in risposta senza prestargli molta attenzione.

Imperterrito, lui non lascia nuovamente calare il silenzio nella stanza per più di qualche breve secondo, insistendo testardamente.

- Dopo che la notizia è stata pubblicata tutti hanno smesso di parlarne, inoltre – mi spiega accuratamente, dosando il tono e le frasi, quasi non volendosi sbilanciare troppo – Non è uscito neanche una soffiata dall'ufficio catastale, per cui non so molto – conclude sospirando pesantemente, rilassando appena la schiena contro lo schienale della sedia mentre soffia l'aria tra i denti, svuotando il petto come se si fosse appena tolto un peso.

Lo stesso che sembra, inevitabilmente, gravarmi addosso, un corposo macigno che mi rende incredibilmente mogia e triste.

- Capisco – mi limito unicamente a ribattere muovendo impercettibilmente la bocca, non riuscendo a pensare con lucidità, sentendomi quasi impossibilità a farlo.

E ancora una volta il desiderio di rimanere da sola e potermi leccare le ferite, ancora sanguinanti, in santa pace si insinua dentro di me, pervadendomi completamente. È tutto quello che voglio.

Deglutendo mi porto poi una mano alla tempia, massaggiandola appena con un movimento circolare dei polpastrelli, il pulsare dolorante del mal di testa che non mi abbandona neanche per un secondo.

E decisamente la stanchezza non mi aiuta, acutizzando il mio stato emotivo abbattuto e il mio fastidio.

Forse dovrei solo riposarmi un po', mi dico perdendo il filo del discorso ed alzando contemporaneamente lo sguardo su Noah, adocchiandolo debolmente.

Tuttavia, proprio quando sono sul punto di schiudere le labbra e parlare, annunciando il mio congedo e la mia volontà di tornare in camera, lui mi coglie inaspettatamente in contropiede, esasperandomi.

- Quindi, in questo momento, praticamente, siamo solo a conoscenza del fatto che la Chase gli ha erogato una linea di credito e che la Samuel's Costructions è pronta ad edificare sul lotto di 43,5 ettari in classe multi residenziale – afferma con una precisione disarmante, lasciandomi dubbiosa ed incerta davanti al suo essere così meticoloso mentre muove appena la testa, accompagnando le sue frasi con un leggero movimento.

Una considerazione, però, sorge parallelamente dentro di me, pungolandomi così flebilmente da passare quasi inosservato, dinnanzi alla sua meticolosità.

Come diavolo fa a sapere tutte queste cifre e questi dati? Mi domando interdetta e distratta, aggrottando goffamente la fronte senza capirlo, i dubbi che mi vorticano in testa.

Una matassa sempre più corposa e annodata di cui non riesco a trovare il bandolo. Ogniqualvolta, infatti, sono sul punto di afferrarlo, di trovare la svolta giusta che mi permetterebbe di capire con più chiarezza cosa è accaduto, mi sfugge inesorabilmente, le idee che si offuscano ancora di più.

- Ed è decisamente un affare, se pensi che il resto dei soldi sarebbero stati finanziati da fondi statali all'1% – mi suggerisce, così impegnato nella sua filippica da non accorgersi dei quesiti che aleggiano sul mio viso, rabbuiandomi sibillinamente e rendendo più vacuo il mio sguardo scuro – Considera che con la classe catastale a uno si parla di rivendere il tutto almeno a dieci volte il valore iniziale – mormora in conclusione, persistendo nel gesticolare convulsamente, in modo quasi agitato. - Il Dottor Harrison si è fatto decisamente bene i conti – freccia poi acido subito dopo, decisamente tagliente e non preoccupandosi di ferirmi o irritarmi, alludendo all'eventuale che Andrew ne trarrebbe.

Irrigidendomi irrazionalmente e indurendo contemporaneamente i lineamenti, colpita su un tasto dolente, trattengo il respiro, bloccandolo nei polmoni mentre una stilettata dolente mi perfora il petto.

- Tanto più che voleva creare dei residence di lusso con tanto di piscina e giardino da duecento metri quadrati da rivendere – continua, finendo per ignorare il mio benessere che tanto dice di volere, esibendosi in una smorfia contrita e indispettita.

Tuttavia, non ho quasi il tempo di realizzare la sofferenza che, ancora una volta, la realtà mi suscita dal momento che Michael si intromette bruscamente nella nostra conversazione, parlando e portando entrambi a voltarci nella sua direzione.

Quasi di scatto, difatti, inclino il viso nella sua direzione, tornando ad incrociare le braccia sotto il seno.

- E tu come sai tutte queste cosa, Noah? - gli domanda gelido e lucido, riservandogli una occhiata penetrante che lo inchioda, ghiacciandolo sul posto mentre flette appena il tono, apparentemente morbido ed educato.

Rimanendo immobile, mio fratello non mi degna praticamente di un solo sguardo, la mascella contratta e l'espressione ridotta ad una maschera di percezioni differenti, aspettando che ribatta.

Noah, visibilmente stupito dal suo quesito improvviso e insinuante, si contrae, raddrizzando la schiena e sbarrando leggermente le palpebre, quasi non si aspettasse assolutamente questo suo commento.

Cosa che mi meraviglia decisamente non poco, inquietandomi istintivamente.

Forse a causa della sua reazione o forse a causa del momento, infatti, un sottile senso di nervosismo mi stringe tra le sue spire, turbandomi e causandomi una stringente morsa allo stomaco.

Solo ora, però, dopo un attimo di esitazione, mi rendo conto che ciò che ha sottolineato Michael è più di un semplice mormorio dispettoso volto a metterlo in difficoltà, apparendo come un dettaglio che di fatto mi era, purtroppo, sfuggito.

Ha ragione, realizzo all'istante, notando con la coda dell'occhio Noah stringere unicamente le labbra, umettandosele appena quasi come se stesse cercando qualcosa di coerente da dire.

E i dubbi e le incertezze si acutizzano ad iperbole nel mio cervello.

Come diavolo fa ad avere tutte queste notizie? Come ne è entrato in possesso? Mi chiedo ansiosa e agitata, considerando che la spiegazione dei reporter regge fino ad un certo punto.

Per quanto siano abili, infatti, non possono di certo eludere certe restrizioni imposte dalla burocrazia o entrare in possesso di documenti particolarmente delicati ed importanti.

Un corposo e imbarazzante silenzio cala velocemente nel soggiorno, così denso e pesante da apparire quasi soffocante.

Noah, infatti, non ribatte assolutamente nulla, portando Michael ad incalzarlo ancora, lasciandomi in balia di quesiti senza risposte.

- Neanche mio padre possiede tutte queste informazioni, quindi come fai ad averle tu? - gli chiede ancora, sporgendosi leggermente in avanti.

Perplessa e sempre più esitante corruccio le sopracciglia, rendendomi conto che le sue obbiezioni sono più che ragionevoli, razionali e sensate.

Inaspettatamente il cuore inizia a pompare il sangue in modo più frenetico e convulso nelle mie vene, una tachicardia inquietante che mi fa sentire quasi in precario equilibrio.

Noah, sempre più inspiegabilmente in difficoltà, sbianca totalmente, apprestandosi, però, finalmente a rispondere, seppur con un balbettio incerto.

- Le... le ho sapute dalla banca – cerca di apparire sciolto e a proprio agio quando appare lampante che, invece, non lo è. Tutt'altro.

Ed io mi ritrovo subito a chiedermi il perchè del suo modo di agire senza senso. Cosa nasconde? Mi tormento, particolarmente diffidente mentre questa intuizione si fa strada dentro di me, insidiando le mie certezze.

Una strana ed istintiva sensazione a pelle mi spinge quasi a dubitare che ci sia qualcosa che non va, portandomi ad indagare in questa situazione improvvisamente surreale e inconsueta.

Michael scuote l'attimo seguente vigorosamente il capo, dissentendo.

- Le banche non posseggono queste informazioni e se anche le avessero non le divulgherebbero certo in modo così informale – afferma ancora, asciutto e sicuro di se, determinato quasi a capire il vero motivo della sua visita mentre puntualizza.

Sempre più turbata deglutisco, appoggiando una mano sulla tovaglia bianca ed arricciandola leggermente mentre lo guardo di sbieco.

- E, poco fa, tu hai detto che non è uscita una parola dagli uffici catastali – continua, una nota di rabbia e frustrazione che vibra pericolosamente nel suo tono basso e cadenzato, facendo intuire il nervosismo che sembra abitare specularmente anche lui – Quindi non capisco proprio come tu possa sapere tutte queste cose – conclude astutamente, la perplessità che lui abbia un ruolo più attivo in tutta questa storia che si instilla celermente dentro di me.

È così? Mi domando sconcerta, non capendo davvero dove stia la verità.

E in qualche modo la risposta mi viene fornita l'attimo seguente da Noah stesso.

- Il giornale parlava chiaro, Michael – si impunta lui, cercando disperatamente di apparire normale, tentando di sottolineare come l'inchiesta riportata sul New York Times fosse particolarmente esaustiva.

- Si, ma continuo a non capire come tu faccia a sapere tutto - ribatte prontamente lui – Posso capire riguardo la Chase, ma per quanto riguarda gli altri dati mi continuo a chiedere come tu faccia ad esserne in possesso – conclude.

La mia mente, intanto, inizia lentamente a collegare il tutto, cercando di mettere in ordine i dati e di fare chiarezza, destreggiandosi tra la confusione, domande e i consigli che ha profuso così generosamente, iniziando a vedervi qualcosa di finto e costruito.

Con il cuore che pulsa sempre più forte, infatti, è quasi come se la nebbia emotiva di questi giorni, che mi ha appannato fino ad ora il raziocinio, fosse improvvisamente svanita, sciogliendosi e permettendomi finalmente di guardare le cose per come sono.

Tutte le parole con cui mi ha rintronato, intanto, mi rimbombano sinistramente nel cervello, riecheggiando e componendo una infinità di possibilità plausibili e reali, coerenti.

Boccheggio, sentendomi sempre più pervasa dall'inquietudine e dall'insicurezza, la memoria che cerca disperatamente di trovare indizi, scavando nei ricordi.

Il Dottor Harrison ha il fondo fiduciario bloccato... Non è uscito neanche un commento dall'ufficio catastale....

Nessuno poteva sapere più di quello che il giornale ha detto, mi dico silenziosamente alla affannosa ricerca di una spiegazione, ripercorrendo ciò che mi ha detto con una estrema precisione.

Voleva creare dei residence di lusso ….con tanto di piscina e giardino da duecento metri quadrati …. da rivendere a prezzi esorbitanti...

Ed una cosa balza improvvisamente alla mia attenzione proprio mentre questo pensiero distratto mi attraversa, fulminandomi sul posto, pezzi di puzzle che si incastrano tra di loro e lentamente compongono la figura della verità fin quasi a rivelarmela, lasciandomi senza fiato.

Sbarro gli occhi, fissando basita e sgomenta proprio Noah, temendo quasi che i miei dubbi si avverino.

- Michael ha ragione – mi intrometto glaciale nella loro discussione, il petto che si alza in modo aritmico e concitato a causa del mio respiro spezzato, lasciando limpidamente trapelare il mio stato d'animo turbolento e tetro – L'articolo non menzionava affatto queste cose – gli ricordo in un sibilo pericolosamente basso e calmo, il mio tono che vibra appena, permettendo di intuire in minima parte la tensione che mi abita mentre ricordo perfettamente il fatto che non menzionasse assolutamente alcuna piscina o i metri quadrati del giardino.

Sconvolta, lo fisso sbiancare sempre di più, così impietrito da apparire quasi una statua di sale.

E semplicemente la verità che tanto ho aspettato si palesa davanti a me, la sua reazione esitante e in imbarazzo che parla per se, andando a confluire negli indizi che già posseggo.

È stato lui, è lui l'artefice di tutto.

- Sei stato tu – soffio con un filo di voce, sorpresa e ferita da questa realtà incomprensibile e se possibile ancora più inaspettata di quanto la sia stata quella riguardo Andrew, non volendo quasi credere che sia arrivato a farmi questo pur di dividermi da lui e farmela in qualche modo pagare.

Ansimante e con un mix di rabbia e ira ad agitarsi dentro di me lo guardo scioccata, chiedendomi se sia proprio questo ad averlo spinto ad agire in questo modo o ci sia ancora altro sotto e non riuscendo a far luce su come sia potuto entrare in possesso di tutte queste notizi.

Come ha fatto? Deglutisco spaesata mentre lui persiste nel fissarmi colpevolmente silenzioso, l'espressione consapevole di mio fratello che mi fa nitidamente capire come lui lo avesse compreso prima di me.

Solo dopo un attimo di nervoso panico mi rendo conto che era presente nel momento stesso in cui ho parlato del progetto di Andrew a mio padre, durante la festa di Natale.

Questo ricordo, apparentemente sepolto in un punto indistinto della mia mente, riemerge infatti sibillino e sincero in un millesimo di secondo, facendomi rammentare quegli attimi in cui non avevo fatto assolutamente caso alla sua presenza.

Concentrata come ero a parlare e a cercare di spiegare a mio papà dell'associazione di Andrew non lo avevo praticamente notato, relegando la sua snervante presenza alla lampante adorazione che mia madre nutre nei suoi confronti.

Scioccata stringo istintivamente le mani a pugno, percependo le unghie affondare spietate nel mio palmo, lasciandovi probabilmente il segno mentre il mio sguardo manda lampi, ardendo di rabbia e irritazione, delusione.

- Sei stato tu a far partire questo scandalo – sbotto al limite della sopportazione, collegando simultaneamente questa situazione a quella, incredibilmente simile, che ha riguardato l'articolo di Off – Ci hai provato la prima volta con Off e stavolta hai alzato il tiro realizzo realmente sbigottita, e sconvolta, non capacitandomi quasi della realtà – Sei stato tu fin dall'inizio – sputo le parole tra i denti, amare e aspre mentre lui non ribatte nulla.

Deglutisco, cercando di capire chi altro sia coinvolto in questa situazione.

Perché è limpido il fatto che non abbia potuto fare tutto da solo. Qualcuno deve averlo aiutato, annaspo tra le mie riflessioni, così alterata da percepire una ondata di calore investirmi il viso, facendolo andare letteralmente in fiamme.

Quasi sconclusionatamente mi concentro su tutti i momenti che hanno preceduto e seguito il momento in cui ho letto l'articolo sul giornale, passando in rassegna le persone con cui sono stata.

Mio padre... mia madre.... i suoi collaboratori...

Ed è proprio quest'ultima considerazione a dare una svolta al filone delle mie elucubrazioni mentre un solo nome mi campeggia in testa, rimbombando.

Beth Miller.

Sbarro gli occhi, così tanto da sentirli bruciare mentre tutto il resto passa in secondo piano.

È stata lei, realizzo essendo simultaneamente conscia di come sua cugina sia sempre stata presente in tutte le situazioni cruciali che hanno riguardato lo scandalo.

Era nell'ufficio di mio padre quando Andrew gli ha presentato il progetto, apparendo anche particolarmente interessata, e, ancora, era qui la mattina stessa della pubblicazione dell'inchiesta.

Avrebbe potuto sottrarre il disegno catastale dall'ufficio di mio padre in qualsiasi momento e riferire tutto a Noah senza che alcun sospetto ricadesse su di lei.

È stato tutto calcolato nei minimi dettagli.

Un moto di sorda e bollente collera mi travolge in pieno, montando così velocemente dentro di me da provocarmi una sensazione di formicolio alla punta della dita.

Cercando quasi di giustificarsi Noah alza poi entrambe le mani, cercando di attirare la mia attenzione, protendendosi lievemente verso di me.

- Emma... ma cosa dici … non lo farei mai... – tenta di replicare lui, sempre più contratto e pallido, tentando di arginare la mia aspra accusa mentre Michael non ribatte nulla, limitandosi semplicemente a spalleggiarmi con la sua presenza, permettendomi di sfogarmi.

E i fatti continuano ad incastrarsi sinuosamente nella mia testa, spezzoni di discorsi e conversazioni che vanno ad incastrarsi alla perfezione, combaciando in modo esatto e giusto.

O se preferite evitare di usare un giornale che potrebbe apparire di parte... Sicuramente si è approfittato di Emma quando era più fragile e vulnerabile...

- Come hai potuto farmi questo – sibilo ancora, inveendogli contro e riducendo le iridi a due fessure mentre non gli lascio quasi il tempo di scusarsi, non riuscendo a capacitarmi realmente di come sia stato in grado di elaborare tutto sotto traccia, agendo alle mie spalle senza alcuno scrupolo o remora.

Sono queste le vere sfumature della sua personalità? Mi chiedo scombussolata.

- Non ho fatto nulla – afferma di nuovo lui, i suoi mormorii che questa volta non mi sfiorano, lasciandomi impietrita e magonata, non credendogli assolutamente.

- Sei davvero un bastardo – gli sputo contro, digrignando i denti mentre non smetto neanche per un attimo di specchiarmi nei suoi occhi, ferita e provata.

Come ho potuto essere così cieca da non capirlo, da non accorgermene? Mi chiedo ancora, assillandomi ansiosamente mentre comprendo che avrei potuto perdere Andrew per questa storia.

Noah, in tutta risposta, si esibisce in una espressione tagliente e quasi strafottente, pronto a ribattere.

Ma non ne ha praticamene il tempo dal momento che Michael si alza di scatto, appoggiando le mani sul tavolo, le iridi che mandano scintille, provocandomi contemporaneamente il concreto timore che voglia quasi prenderlo a pugni.

Le mie paure, infatti, non vengono disattese l'attimo seguente, non appena allontana la sedia con un movimento brusco, pronta a raggiungere Noah.

Spaventata mi alzo immediatamente anche io, appoggiando celermente una mano sul suo braccio, fermandolo saldamente.

- Non ne vale la pena Mike – gli dico sincera, mai così sicura di questa cosa mentre gli scocco una occhiata eloquente prima di tornare a voltarmi verso Noah – Questo viscido avrebbe anche l'ardire di citarti per lesioni – sibilo in un sussurro.

Deglutisco, tremando quasi per la rabbia.

- E ora esci da casa mia e non farti mai più rivedere - ribatto senza alcuna esitazione, arricciando la bocca mentre ci scambiano una ultima occhiata, sottolineando il concetto.

Ed è la verità.

Tuttavia, Noah non mi lascia il tempo di aggiungere altro dal momento che si tira bruscamente in piedi, il rumore della sedia che viene tirata indietro e stride sul parquet che spezza il silenzio.

- Non rimarrò qui un minuto di più a farmi accusare da voi – sibila irritato volendo quasi aver a tutti i costi l'ultima parola, contrattaccando quasi nel tentativo di discolparsi di un qualcosa di così sporco e cattivo mentre si alza in piedi, appoggiando i palmi sulla tovaglia.

Senza aggiungere altro o lasciare il tempo a Michael di dire qualcosa, Noah gira i tacchi, avviandosi con ampie falcate verso la porta, la postura rigida e diritta.

La porta sbatte violentemente sullo stipite subito dopo, rimbombando leggermente mentre mi stringo tra le spalle, sentendo unicamente ora, nel momento in cui posso abbassare in qualche modo le difese, il peso di tutto ciò.

Rimanendo staticamente in piedi a stringere il braccio di mio fratello non dico nulla, deglutendo a fatica e rendendomi conto che, in tutti questi anni, mi ha usata unicamente per arrivare a mio padre.

È lui che mi ha davvero sfruttato, architettando un quadro studiato in ogni pennellata, non Andrew.

- Mi dispiace tanto, Ems – soffia improvvisamente Michael, spezzando di netto la quiete insolita che è scesa sulla stanza e riferendosi probabilmente alla mia delusione nel constatare come Noah mi abbia raggirato.

Sbigottita e sconvolta, con il cuore che sbatte furiosamente nella mia cassa toracica, mi giro così verso di lui con una torsione lieve del capo.

Ed è proprio mentre lo faccio che divento simultaneamente conscia che non mi importa assolutamente nulla di lui. Nonostante tutto questo trambusto, infatti, non mi importa, mi scivola quasi addosso.

L'unica cosa al momento che mi interessa è che lui sia innocente e non abbia nulla a che fare con questa storia.

Un corposo senso di sollievo mi coglie sibillino dinnanzi a questa considerazione, portandomi a sospirare pesantemente, notando come il ritratto che avevo creato su di lui non è minimamente mutato.

Nessuna ombra, nessuna macchia di colore o pennellata sporca lo ha intaccato. Qualcosa, infatti, dentro di me, di profondo e istintuale, mi ha sempre portato ad avere il dubbio sul suo essere onesto e sincero, anche nei momenti di palese colpevolezza.

Sentendomi quasi stupida ad aver pensato male di lui dopo quello che mi ha mostrato aumento la presa su mio fratello, cercando quasi conforto in questo istante di precarietà.

È solo l'attimo seguente, non appena intravedo i lineamenti sfocati di Michael, che mi accorgo di avere la vista appannata da delle positive e leggere lacrime mal trattenute.

Lacrime di liberazione.

- Accompagnami in comune – sussurro debolmente, convinta come non mai di quello che sto per dire e fare, muovendo appena le labbra in modo autoritario e tremolante al tempo stesso – Voglio andare a smascherare quel bastardo di Noah -

Ed è proprio mentre l'ossigeno scivola nei miei polmoni, riempiendoli, e lui annuisce soddisfatto, che constato come questa situazione abbia preso una piega decisamente inaspettata, agognata dai miei desideri più torbidi e profondi che non sono riuscita a sopire neanche nei momenti più bui.

Semplicemente, l'unica svolta che avrei mai potuto agognare.




*****




Guadagnandomi l'ennesima occhiata di sottecchi di mio fratello, un po' stranita e un po' divertita, mi alzo di scatto e con slancio dalla scomoda sedia imbottita posta davanti alla scrivania in legno scuro, tirandomi in piedi celermente, il desiderio di muovermi che diventa quasi impellente, pervadendo le mie membra.

Sono, infatti, troppo agitata per rimanere accomodata ad aspettare placidamente, ansia e agitazione che si mischiano voracemente dentro di me, riversandosi a fiotti nelle mie vene.

Michael, al contrario, continua a fissarmi dal basso, il capo appena reclinato indietro nel tentativo di farlo più agevolmente, mentre sprofonda totalmente la schiena nello schienale della piccola poltroncina verde bosco, osservandomi tranquillamente e rimanendo pazientemente in attesa.

- Stai calma, Ems – mi rabbonisce teneramente mio fratello, il tono dolce e pacato, morbido che, però, non sortisce l'effetto sperato, portandomi a scrollare appena il capo in segno di diniego.

Cosa che proprio io non riesco a fare, sospiro pesantemente passando i palmi delle mani sulle mie cosce, rivestite da un paio di jeans chiari, in un semplice e nervoso gesto mentre l'alta coda in cui ho distrattamente raccolti i miei capelli ondeggia appena sulle mie spalle contratte.

- Lo sono – mento spudoratamente con un filo di voce, bassa e flebile, adocchiando distrattamente l'ambiente squadrato e poco luminoso dalle pareti, di un tetro intonaco bianco, che ci circondano.

Siamo, infatti, nell'ufficio del funzionario del comune che si occupa della vendita dei terreni nella città di New York e zone limitrofe e, quindi, anche quelli che interessano ad Andrew.

Ed anche a Noah a quanto pare, mi suggerisce una vocina petulante nella mia testa, sottolineando la realtà dei fatti con estrema sincerità e provocandomi una smorfia contrita, indispettita.

Le dita si chiudono infatti istintivamente a pugno, facendo tendere la pelle sulle mie nocche fin quasi a farla impallidire.

Man in mano che i minuti sono trascorsi, scivolando via, l'idea che Noah volesse trarre qualche beneficio da quei terreni è diventato più che un dubbio, trasformandosi in una solida consapevolezza che non ha smesso di vorticarmi tormentosamente in testa, rimbombando.

Chiedendomi, infatti, più volte cosa ci guadagnasse ho cercato di trarne ogni plausibile possibilità, ipotizzando una serie infinita di cose.

Espiro lentamente l'aria tra i denti, incrociando le braccia al seno mentre compio qualche breve ed incerto passo per la camera, guardandomi annoiata distrattamente intorno ed aggirando Michael, intento a inviare un messaggino.

Una finestra non molto ampia e rettangolare, priva di tende, compare sul muro alla mia sinistra, rischiarando debolmente l'ambiente mentre su quello opposto è presente una libreria ad angolo carica di fascicoli e documenti che occupa anche la parete contigua.

La scrivania, occupata in parte dal monitor bianco di un computer, dalla tastiera e da un portapenne, è posta esattamente al centro della stanza, risultando perfettamente in ordine e con nulla fuori posto.

Il rumore del tacco basso dei miei stivali in pelle nera produce intanto un lieve ticchettio sul parquet in legno chiaro, accompagnando il mio curiosare e, spezzando, di fatto, ritmicamente la quiete corposa che ci circonda.

Tuttavia, il rumore di una porta che si apre mi distoglie dalle mie riflessioni l'attimo seguente, portandomi a voltarmi irrazionalmente in quella direzione con una torsione brusca del corpo, quasi sobbalzando, nel momento stesso in cui mi fermo vicino alla fotocopiatrice, posta poco lontano dalla finestra.

Le mie pupille sorprese incontrano, subito dopo, una figura non troppo slanciata staticamente immobile sull'uscio, un viso squadrato circondato da dei corti capelli brizzolati che mi fanno intuire che non sia, ormai, più giovanissimo.

Un uomo panciuto fasciato da un completo grigio scuro e da una camicia bianca abbinata ad una cravatta rossa compare, infatti, improvvisamente davanti a noi, una mano appoggiata sulla maniglia in acciaio e un plico di fogli stretti sotto l'altro braccio mentre fa vagare i suoi piccoli occhi neri ripetutamente tra me e mio fratello, scrutandoci incuriosito e forse un po' sconcertato.

Che si sia dimenticato del nostro appuntamento? Mi domando dubbiosa, non sapendo decifrare l'occhiata che ci riserva.

Sentendomi leggermente a disagio nell'essere stata colta mentre osservavo in giro, mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio mentre un fievole rossore mi vela debolmente le guance, colorandole.

- Buongiorno – afferma dopo una frazione di secondo, palesando una voce roca e gentile, salutandoci educatamente mentre compie simultaneamente un passo in avanti, entrando nell'ufficio – Scusate se vi ho fatto aspettare, ma avevo una riunione – aggiunge dopo un attimo di esitazione, riscuotendosi e portandomi istantaneamente ad annuire in risposta.

Deglutisco, cercando di apparire calma e quietata, schiudendo subito dopo le labbra per parlare e ricordargli il motivo della nostra presenza qui.

- Buongiorno Signor Grey – soffio, ricordandomi il suo nome solo dopo un attimo di incertezza mentre mi avvicino a lui e mio fratello lo saluta a sua volta – Sono Emma Scott e lui è mio fratello Michael – gli spiego ancora, indicandolo con un cenno della mano mentre gesticolo appena – Abbiamo chiamato prima per fissare un appuntamento – concludo infine, provocando la sua espressione confusa, le folte sopracciglia nere che si corrucciano appena.

A questa mia affermazione lui sembra, però, illuminarsi lievemente, probabilmente riconoscendoci.

- Oh, certo i figli del Governatore Scott – ci dice richiudendosi subito la porta alle spalle con un sordo e delicato tonfo, ricordandosi di noi.

Stringendomi appena tra le spalle mi esibisco nuovamente in un piccolo sorriso di circostanza, il bisogno di sapere e di avere informazioni che diventa sempre più impellente, mentre lui si muove ancora, aggirando la scrivania e posandovi poi sopra i numerosi fogli, tenuti insieme da una piccola cartellina.

Tuttavia, non prende posto sulla sedia girevole nera posta ad una manciata di centimetri di distanza, persistendo nel rimanere staticamente in piedi, limitandosi unicamente a sfilarsi la giaccia, probabilmente accaldato.

Muovendo appena il polso la lascia poi cadere sullo schienale l'attimo seguente, sospirando pesantemente ed in modo stanco, socchiudendo le palpebre e apparendo incredibilmente affatico.

Non badandovici poi molto, con una sola falcata raggiungo nuovamente la piccola poltroncina verde l'attimo seguente, sedendomi nuovamente mentre Michael mi guarda di sbieco.

Il funzionario ci fa poi subito dopo cenno di parlare, portandomi ad arricciare la bocca nel tentativo di farlo, mentre mi sposto la coda su una spalla, un tic agitato.

Anticipandomi sul tempo, però, mio fratello prende inaspettatamente parola, cogliendomi in contropiede e lasciandomi ammutolita.

- Come le abbiamo accennato per telefono, io e mio sorella siamo qui per parlare del lotto di terreni numero 385 – afferma deciso, la voce che non vacilla per nulla nel pronunciare le parole mentre lo fissa, apparendo incredibilmente a suo agio e autorevole, con la situazione perfettamente sotto controllo.

Cercando di fare lo stesso tento l'istante dopo di sciogliere la mia postura contratta e testa, rimanendo seduta sul bordo dell'imbottitura mentre mi impongo di rilassarmi un minimo.

- Si, sono passato in archivio a prendere i documenti che mi avete chieste – soffia il funzionario – Ho ritardato anche per questo - conclude

L'uomo si esibisce poi in una leggera smorfia, allarmandomi silenziosamente.

Il presentimento che possa vedere qualcosa di insolito in questo fatto, tuttavia, mi infonde un leggero senso di inquietudine che, a dispetto di ciò che mi sono imposta solo poco fa, mi rende incredibilmente alterata.

Rappresentiamo nostro padre – mi affretto allora ad aggiungere velocemente, scambiandomi una breve occhiata complice con Michael, mentendo spudoratamente.

Nostro padre, infatti, non sa assolutamente nulla della nuova svolta che ha assunto questa situazione, rimanendone completamente allo scuro.

Non volendo agitarlo e creargli ulteriori problemi, infatti, abbiamo deciso di non avvisarlo fin quando non sapremo nulla di certo e concreto, preferendo tacere.

Nonostante questo, però, abbiamo deciso, una volta tanto, di sfruttare il suo nome per essere ricevuti subito e, soprattutto, per non destare sospetti.

Decisamente è l'ultima cosa che mi serve, mi mordicchio appena il labbro inferiore, appoggiando un braccio sulla scrivania ed accavallando contemporaneamente le gambe, alla ricerca di una posizione più comoda che, però, non riesco a trovare.

- La nostra famiglia vorrebbe fare causa al New York Times – riprende a parlare Michael, tornando a posare lo sguardo sul signor Grey, apparendo incredibilmente credibile e affabile, dosando perfettamente il tono e la voce – Ma siamo venuti direttamente noi per, beh, motivi di privacy – aggiunge piegando leggermente e in modo allusivo il capo di lato, inarcando entrambe le sopracciglia quasi a volergli fare intuire un qualcosa di più sottile e nascosto.

Fortunatamente, lui non sembra notare nulla di strano nella nostra spiegazione dal momento che ci ascolta tranquillamente, portandosi le dita alla cravatta nel tentativo di allentarla con un movimento veloce e celere della punta dei polpastrelli, sciogliendola lievemente.

Con il cuore che pulsa leggermente in modo anomalo inspiro profondamente, ben decisa ad andare in fondo a questa situazione, sentendone quasi il bisogno.

- Come lei ovviamente potrà capire – mormoro, insinuandomi in un breve silenzio ed andando di fatto a completare le parole di mio fratello – Mio padre vuole avere tutti i documenti in mano prima di avviare la causa – gli spiego accuratamente, finendo di fatto per improvvisare su due piedi una scusa sensata e coerente senza tradirmi, non smettendo neanche per un attimo di guardarlo in faccia, ricordando distrattamente di ciò che mio padre mi aveva detto una volta.

Si deve guardare sempre in faccia il proprio interlocutore per risultare credibili, ripeto nella mia testa, il ricordo di quel momento che riemerge dalla mia memoria.

Compio, intanto, un movimento vago con la mano, sottolineando le mie frasi con questo gesto a mezz'aria.

- Sa, salteranno un bel po' di teste – sospira accoratamente Michael, rilassandosi nuovamente contro lo schienale imbottino mentre una espressione seria e contrita cala sul suo volto, calcando volutamente sulla drammaticità della situazione.

Quasi irrazionalmente, per un attimo, mi ritrovo a paragonare questa circostanza a quando eravamo piccoli e ci giustificavamo davanti ai nostri genitori per evitare di essere puniti dopo aver combinato qualche danno.

Un moto di sottile gioia e divertimento si insinua dentro di me a questo pensiero, mischiandosi sinuosamente al nervosismo e alla rabbia che ancora mi soffocano tra le loro spirali, non lasciandomi stare neanche per una frazione di secondo mentre un pallido sorrido mi coglie.

- Capisco – afferma intanto il funzionario, facendomi riemergere dal mio rimuginare ed abbassando appena le iridi mentre una smorfia gli arriccia la bocca, senza che però aggiunga nulla.

Ed è proprio questo a portarmi a parlare nuovamente, non permettendo ad una pacata quiete di calare nella stanza.

- Quindi siamo qui per capire anche chi potesse trarre vantaggio da questa situazione ed agire di conseguenza- insisto ancora io, spostando appena una corta ciocca di capelli dal mio viso, portandola indietro.

Inaspettatamente, il signor Grey non ribatte nulla per una lunga manciata di secondi, una inconsueta e sinistra ombra scura che permea i suoi tratti l'attimo dopo, adombrandoli e rendendolo quasi pensieroso.

Il dubbio che, in qualche modo, la nostra spiegazione possa essere risultata poco attendibile e che, quindi, abbia scoperto la nostra menzogna, mi penetra così velocemente da ghiacciarmi sul posto, rendendomi spaventata ed intimorita da questa concreta e reale possibilità.

Confusa e sconcertata espiro affannosamente, gonfiando e sgonfiando il petto mentre fisso in modo preoccupato mio fratello, che, al contrario, persiste nel rimanere posato e tranquillo, non facendo trapelare alcuna punta di ansia e agitazione.

Cosa che io fatico dannatamente a fare, deglutisco mentre mi muovo appena sul posto, stirando nervosamente con le dita una piega inesistente sui miei pantaloni, tornando a fissare con occhi sbarrati il signor Grey che ribatte finalmente.

- Sa, la cosa strana è che … - riprende a parlare lui esitando, quasi pensierosamente, come se fosse perso tra le sue riflessioni, rimuginando su un qualcosa che mi sfugge e che mi fa irrigidire fin quasi allo spasmo, portandomi a trattenere bruscamente il fiato – Ora che mi ci fa pensare questo fascicolo - afferma ancora, indicando con un cenno del capo proprio il plico di fogli alla sua sinistra, che spicca sul legno scuro della scrivania – Era fuori posto nell'archivio – conclude, permettendomi di tirare un rumoroso sospiro di sollievo.

Stringendo riflessivamente le labbra in una linea netta, intanto, lui si lascia poi cadere seduto sulla poltrona girevole, portandosi una mano al mento sbarbato e picchiettandoci leggermente l'indice, chiudendosi nuovamente in un criptico mutismo.

Qualcosa, istintivamente, si agita dentro di me a queste frasi, portandomi a socchiudere le palpebre mentre tutta la mia attenzione si catalizza su di lui, assorbendo parola dopo parola.

- Cosa davvero molto insolita visto quanto sono precisi nel catalogarli e archiviarli – soffia ancora, quasi tra se e se, sfregando piano i polpastrelli contro la propria pelle, solleticando appena la fossetta sotto il labbro inferiore mentre non guarda né me né Michael, fissando un punto indistinto davanti a se.

Irrazionalmente, mi ritrovo a voltarmi verso mio fratello proprio l'attimo seguente, qualcosa di istintuale che mi porta a pensare che questa non sia una semplice coincidenza ma che abbia a che fare con Noah.

Deve essere per forza così.

Sorprendentemente, lo trovo già intento a osservarmi, la stessa identica considerazione che gli si legge chiaramente in faccia, una scintilla di sorpresa presa di coscienza che gli anima le iridi.

Ci scambiamo così uno sguardo complice mentre lui parla ancora, rispondendogli.

- Si, certamente non lo mettiamo in dubbio – soffia infatti, rassicurandolo educatamente.

- Sapete, sul momento non ci avevo prestato molta attenzione – bofonchia ancora l'uomo, annuendo lentamente ed ignorando di fatto il suo commento – Ma ora che mi ci fate pensare la cosa è davvero troppo strana – ci dice, sottolineando questo concetto nuovamente.

Percependo la verità farsi finalmente sempre più vicina mi mordicchio leggermente l'interno della guancia, fissandolo insistentemente mentre un palpabile nervosismo mi vibra addosso.

- Voglio controllare se qualcuno ha visionato questi progetti di recente – afferma determinato e convinto all'improvviso prendendo una decisione, palesando le sue intenzioni e allungandosi subito dopo in avanti per afferrare il blocco di documenti – Se volete, intanto, potete dargli una occhiata – ci informa gentilmente, posandoceli davanti con un lieve tonfo.

Senza dire null'altro si volta poi alla sua destra, avvicinandosi al computer ed iniziando a battere qualcosa sulla tastiera mentre in contemporanea il monitor si illumina, producendo la sua consueta luce fredda ed azzurrina, pallida.

Con un sottile tremolio a rendere traballante ed incerto il mio tocco li agguanto voracemente ansiosa l'attimo seguente, aprendo velocemente la cartellina grigia del fascicolo, schiudendolo.

Il mio cuore, simultaneamente, aumenta la veemenza dei battiti, che diventano più accelerati e scalmanati, infondendomi un violento senso di inquieta agitazione.

Subito, i miei occhi sgranati incontrano la piantina di un edificio e, solo dopo un istante di esitazione, adocchiandolo più attentamente, mi rendo conto che è proprio quella che campeggiava sulle pagine del New York Times.

È identica, realizzo scambiandomi l'ennesimo sguardo carico di silenziosa sintonia con mio fratello, intento a scrutare il foglio con speculare interesse.

- E' la stessa – mi sussurra piano ed intimamente, quasi con l'intenzione di far percepire unicamente a me il suo mormorio, leggendomi praticamente nel pensiero.

Tuttavia, prima ancora che io possa sfogliarli, è nuovamente il funzionario ad interromperci dal momento che riprende a parlare, portandoci ad alzare bruscamente il capo.

- Sono stati consultati dalla signora Beth Miller esattamente cinque giorni fa – afferma autoritario, informandoci accuratamente ed in modo informale, non sapendo di fatto di riferirsi alla cugina di Noah – La cosa vi torna? - sposta le pupille dallo schermo, posandoli sui nostri visi consapevoli.

Annuisco vigorosamente mentre Michael parla di nuovo.

- Si, assolutamente – ribatte, infatti, in modo quasi indecifrabile, portandomi a sospirare mentre li adocchio ancora, incapace di non perdermi tra le cifre e i disegni catastali.

- Sono stati loro – sussurro quasi sovrappensiero, le parole che escono tra i miei denti prima ancora che io me ne possa accorgere, facendo di fatto inevitabilmente incuriosire il signor Grey.

- In ogni caso, cosa stavate cercando? - ci chiede difatti, aggrottando leggermente le sopracciglia e corrucciandosi, scrutando interessato le nostre espressioni basite mentre io mi irrigidisco istantaneamente, percependo quasi il sangue gelarsi nelle vene a questa domanda.

Non sapendo momentaneamente cosa dire e, soprattutto, quanto sbilanciarmi, boccheggio, non riuscendo a dire nulla.

Fortunatamente, ci pensa Michael a togliermi dall'impiccio di rispondere, ribattendo prontamente.

- Stiamo cercando di capire se qualcuno potesse guadagnare qualcosa da tutta questa storia – gli spiega velocemente e con semplicità, alludendo allo scandalo che l'articolo ha creato e permettendomi quindi di tornare a respirare in modo normale, il mio viso che riprende colore.

Assentendo silenziosamente lui non dice nulla per una lunga manciata di secondi, chiudendosi in una breve reticenza che non comprendo.

- Il terreno è stato acquisito da Andrew Harrison in data...– esordisce dopo un attimo di esitazione, fissando insistentemente i fogli quasi potesse trarne una spiegazione esauriente ed esaustiva, portandomi ad aggrottare confusa la fronte mentre lo ascolto rapita, non volendomi perdere neanche la sua più piccola affermazione.

Pronuncia il suo nome in modo neutrale e compassato, allungando poi leggermente il collo nel tentativo di scorgere probabilmente una data particolare tra i fogli, sparpagliandoli leggermente con le dita.

Ecco, in data 15 aprile 2012 – riprende il discorso, trovando probabilmente quello che stava cercando, puntando il dito su una riga in particolare di un documento – E qui leggo che è ipotecato presso la Chase Manhattan Bank – afferma.

La stessa che ha nominato Noah, leggo silenziosamente, cercando di dare un senso a tutto ciò e di trovare un linea logica.

- La cosa insolita è che nelle clausole sull'ipoteca c'è scritto che, in caso di insolvenza, la concessione viene ceduta alla Hill Corporate – conclude saccentemente infine, facendomi nuovamente raddrizzare violentemente la schiena, una risposta che non avevo previsto e che mi viene fornita con una facilità disarmante, scioccandomi.

Hill Corporate.

È la società edilizia di proprietà della famiglia di Noah, annaspo sbigottita e basita, profondamente meravigliata dalla svolta che ha improvvisamente assunto la situazione attuale.

Sbalordita, volto lentamente il viso verso Michael, fissandolo totalmente senza fiato, una marea di pensieri che mi affollano la testa senza permettermi di pensare in modo lucido.

- Noah deve aver saputo che il terreno era di Andrew – sussurro a voce alta, collegando lentamente tutte le informazioni, un filo conduttore che le unisce logicamente mentre il mio sguardo si offusca, diventando distratto e perdendosi nel vuoto – Sapeva cosa voleva farci – soffio, ricordando come avesse assistito, durante la festa di Natale, a tutta la conversazione che Andrew aveva avuto con me e mio padre.

- E, quindi, voleva sabotarlo per poter far arenare il progetto – termina concitato per me la riflessione, che combacia alla perfezione con quanto mi vortica nel cervello.

Con le iridi sbarrate e una espressione basita stampata in faccia lo guardo, rendendomi unicamente ora conto della reale portata di ciò che Noah voleva fare.

- Voleva rilevare lui il terreno – sbianco meravigliata, muovendo impercettibilmente le labbra in un soffio impalpabile e basso, quasi inconsistente.

E questa verità mi rimbomba in testa in modo spietato e devastante, lasciandomi seriamente impietrita e attonita.

Tuttavia, il funzionario si intromette l'attimo seguente, fornendomi una prospettiva che non avevamo forse preso in considerazione.

- Dovete considerare che quel lotto di terreni è fortemente in crescita ed è una zona in via di espansione – ci informa infatti, flettendo appena il tono della voce – Molte imprese edilizie stanno costruendo delle villette e altre progettano invece di creare dei centri commerciali che frutteranno parecchi milioni di dollari– si suggerisce di nuovo, sottolineando in modo esperto una possibilità quanto mai concreta.

Volevano guadagnarci a discapito di Andrew, realizzo interdetta e stupita dalla loro mancanza di scrupoli, conscia del fatto che certamente avevano in mente di creare uno di questi due progetti.

Decisamente è l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata, sia da Noah che dalla sua famiglia.

Impotente e alterata da una violenta rabbia chiudo a pugno le mani, stringendole irritata dal fatto che stavano per mandare in fumo un progetto così socialmente importante come quello di Andrew unicamente per un tornaconto personale.

Tuttavia, il momento viene bruscamente interrotto l'attimo seguente, la suoneria di un telefono che squilla insistentemente che frantuma in mille pezzi la conversazione.

Solo dopo un attimo di stordimento, voltandomi verso di lui, comprendo che è quello di mio fratello.

- Scusatemi – afferma lui con un sospiro pesante, tirandolo nuovamente fuori dalla tasca dei pantaloni mentre legge con una occhiata veloce il nome sul display del cellulare, congedandosi.

Dopo un secondo si alza subito, allontanandosi di qualche passo per poter parlare in modo più intimo e discreto.

- Pronto? - lo sento sussurrare a bassa voce nel momento stesso in cui il signor Grey richiama la mia attenzione, parlandomi ancora.

- Sa, signorina Scott – attira la mia attenzione, spezzando il breve silenzio e portandomi di conseguenza a guardarlo – Io sono un appassionato di film gialli – mi informa, disorientandomi e facendomi corrucciare confusa – E, guardandoli, ho imparato che il movente di tutto non è mai l'amore o qualsiasi altro sentimento, ma il denaro – mi dice ancora, gesticolando appena mentre affonda la schiena nello schienale, il vociare di mio fratello che fa da sottofondo al nostro chiacchierare informale.

Sempre più stordita e disorientata, non capendo assolutamente dove vuole andare a parare con questo discorso, arriccio appena la punta del naso.

- Come dicono a Wall Street, il denaro non dorme mai – mormora, ricalcando con le parole il famoso detto mentre mi rivolge una eloquente occhiata, afferrando subito dopo un foglio dal plico dei documenti e che, solo dopo un attimo, riconosco essere quello relativo al contratto della concessione del terreno – E beh qui ci sono così tanti zeri da perdere il sonno – conclude, piegando appena il capo di lato e fornendomi di fatto una spiegazione esaustiva della situazione mentre lo sventola mestamente.

- Direi che qui il movente è abbastanza chiaro – bofonchio contrita, stringendomi leggermente tra le spalle, sconfortata.

Le mie labbra, tuttavia, si stendono in un ampio e riconoscente sorriso l'attimo seguente.

- In ogni caso, la ringrazio davvero con tutto il cuore per la sua disponibilità – affermo sincera ed onesta.

Quasi imbarazzato lui si limita a stringere la bocca in una linea netta, alzando entrambe le mani quasi a voler sminuire il suo gesto.

- Sa, io ho votato per suo padre – aggiunge, cambiando leggermente il fuoco del discorso – E mi ha addolorato molto leggere il New York Times ieri mattina – allude chiaramente all'inchiesta che è uscita sul giornale – Quindi, mi ha fatto molto piacere aver partecipato in modo attivo per dare una svolta decisiva a questa circostanza – sogghigna debolmente, compiaciuto.

- Il suo contributo è stato davvero decisivo – lo rassicuro flebilmente, all'istante.

Tuttavia, prima ancora che io possa dire altro, la conversazione viene bruscamente interrotta, dei passi frenetici che anticipano un mormorio concitato.

- Scusate l'interruzione – afferma improvvisamente Michael, richiamandomi dai miei pensieri e portandomi ad alzare istintivamente il capo per poterlo guardare in modo più agevole mentre lui rimane staticamente in piedi al mio fianco, una espressione tesa e agitata che stende i suoi lineamenti .

Che cosa è successo? Mi domando subito allarmata, una strana ed indefinibile sensazione che prende possesso di me, tendendomi.

I suoi occhi scuri si posano su di me, incontrando i miei, l'attimo dopo.

- Era un collaboratore di papà – mi spiega mentre io torturo inquieta il bordo della maglia di lana nera che indosso, fissandolo in attesa, la sua voce che vibra appena – Mi ha detto che Andrew ha fissato una conferenza tra mezz'ora – mi spiega finalmente ed infine con un sospiro accorato, portandomi a sbarrare stupita gli occhi.

Cosa? Sbianco, non comprendendo questa sua improvvisa decisione, il mio cuore che inizia a pulsare in modo anomalo e concitato nella mia cassa toracica, turbandomi profondamente.

Senza aspettare che parli nuovamente scatto letteralmente in piedi, deglutendo a fatica nel tentativo di tenere a freno la mia tachicardia.

- Andiamo – annaspo nervosa, desiderando unicamente raggiungerlo il prima possibile.

E una nuova svolta mi sconvolge.





Note:

Buonasera!

Eccoci qui con un capitolo davvero molto importante, forse IL più importante della storia in generale e, assolutamente, il titolo ne è perfetta espressione.

Turning point, svolta.

Come avrete notato, infatti, in questo aggiornamento vi sono svolte: nella prima parte la mancata risposta di Andrew per Emma è sinonimo di colpevolezza; nella secondo, invece, è una svolta più concreta e devastante rappresentata dal fatto che dietro tutto c'è sempre stato Noah; nell'ultima parte, infine, la svolta è raffigurata da ciò che la famiglia Hill nascondeva, prova concreta della totale innocenza di Andrew.

Mi sono impegnata molto nella stesura di questo capitolo che, con la bellezza di 36 pagine di Word, credo sia in assoluto il più lungo che io abbia mai scritto.

Ogni parola, ogni frase e ogni dialogo di questo aggiornamento risulta essere davvero molto importante. Tutto ha un proprio senso e, come avrete intuito, già in quelli precedenti erano sparsi qui e lì degli indizi.

Spero che la prima parte ( il sogno di Emma) sia risultata chiara e che non vi abbia confuso troppo.

Ora non voglio aggiungere altro sul capitolo, in modo da lasciare a voi alcune considerazioni più soggettive.

Spero che non siano presenti errori o ripetizioni, ma, come sempre, provvederò a rileggere il capitolo e in caso eliminarli.

Mi farebbe davvero moltissimo piacere ricevere il vostro parere su questo capitolo, non solo per il mio impegno, ma anche perchè sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate!

Vi volevo, inoltre, avvisare che il prossimo capitolo, che pubblicherò il 29 Gennaio, sarà l'ultimo di questa storia.

Ad esso, infatti, seguirà unicamente l'epilogo.


A presto


xoxoxo


Live in Love









   
 
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