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Autore: Laylath    29/01/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 16. Limiti.

 

“Amici, eh?”
“Mi sembrava corretto dirtelo prima che venissi a saperlo da qualcun altro, tutto qui.”
Il silenziò gravò tra Riza e Roy dopo che lei disse quell’ultima frase: sembravano due statue di sale tanto rimasero immobili a guardarsi negli occhi.
Roy era rimasto abbastanza interdetto da quanto gli aveva appena detto Riza: erano girate strane voci, poco prima, a proposito di uno scontro tra lei e Jean, ma le versioni erano così confuse che non ci aveva fatto nemmeno caso. Aveva pensato di chiederle qualcosa mentre tornavano a casa, ma lei aveva l’aveva anticipato rivelandogli di quella strana amicizia sbocciata il giorno prima.
Era una situazione strana, sicuramente più di quando Riza aveva stretto amicizia con Kain.
Sono geloso?
Fu una domanda che gli sorse quasi spontanea perché non riusciva a dare un nome al lieve fastidio che provava in fondo alla sua anima. Ma quest’ipotesi andò via in un secondo: gelosia voleva dire iniziare a riflettere sui sentimenti che poteva provare per Riza e la cosa gli sembrava molto prematura.
“E allora?” chiese lei.
“E allora cosa? – si trovò a rispondere – Non mi pare che tu abbia bisogno del mio permesso per stringere amicizia con qualcuno. Sono solo sorpreso: Jean è il tormentatore numero uno del tuo prezioso Kain.”
Aveva riassunto il solito tono disinvolto, il momento di incertezza finito: no, Jean Havoc non costituiva nessuna minaccia in quel particolare senso. Non era minimamente interessato alle ragazze, non ancora, ed era chiaro che quella che aveva offerto a Riza era solo amicizia.
Un gruppo basato sull’amicizia, eh? Vato ha detto una cosa simile… forse Riza mi ha fatto un favore.
“Non più, almeno non come una volta – scosse il capo Riza, con ostinazione – credo che si sia finalmente reso conto di quali siano determinati limiti. E poi Kain piace sia ad Heymans che alla sorella minore di Jean: la regolata se la deve dare volente e nolente.”
“E con te?”
“In che senso?”
“La vostra amicizia andrà avanti a furia di dolci spiaccicati in testa od in faccia?”
C’era una nota di lieve presa in giro nelle parole di Roy e Riza si sentì in dovere di rispondere.
“E la tua con Vato andrà avanti a furia di partite a scacchi?”
“Toccato… – ammise Roy, con un sorriso, constatando ancora una volta quanto la sua amica avesse sempre la risposta pronta per queste provocazioni: una dote che aveva sempre apprezzato – Scherzi a parte, gli scacchi sono certamente un’interessante attività con cui passare il tempo assieme a lui: una volta messo a suo agio è in grado di fare bei discorsi. Per esempio, conosce un sacco di particolari sull’esercito di Drachma ed Amestris. Me li ha raccontati mentre giocavamo.”
“Con tutto quello che legge mi pare anche normale. Lui e Kain sono davvero particolari.”
“E che ha di particolare Kain?”
“Mi sta costruendo una radio tutto da solo… è qualcosa di incredibile.” ammise Riza, ricordando la meraviglia con cui aveva osservato il suo piccolo amico lavorare a quei circuiti.
“Scherzi? – Roy si girò a guardarla con incredulità – Non è possibile: ha undici anni!”
“E’ possibile, invece! – sorrise la ragazza, lieta che ci fosse qualcosa che poteva sorprendere il suo scettico amico – E una volta finita me la regalerà.”
“La prossima sorpresa quale sarà? – si chiese il ragazzo, ridacchiando, mentre si riavviavano dentro la scuola – Scopriremo che Heymans è un bravissimo musicista?”
“E chi lo sa! – rise Riza di rimando – Ma devo dire che ci stiamo circondando di persone davvero particolari e la cosa non mi dispiace affatto.”
 
“Oh no! E’ vero che stamane mamma doveva andare all’emporio per delle compere! – si ricordò Heymans con un sospiro, mentre faceva sedere Henry al tavolo di cucina – E sono appena le undici!”
“Heymans… - mormorò questi: dopo lo sfogo iniziava a sentire la debolezza dovuta al calo di tensione – mi fa male la testa... ed ho i capogiri.”
“Non cercare di tenere aperto l’occhio. – suggerì il maggiore – La cosa migliore è andare di sopra e metterti a letto.”
“Se si sveglia papà…” iniziò il bambino, guardando timoroso in direzione delle scale che portavano al piano di sopra. Heymans seguì il la medesima direzione con gli occhi grigi e scoprì di essere abbastanza spaventato all’idea che il loro genitore si alzasse prematuramente e li scoprisse… non tanto per la condizione di Henry, tanto per il vederli assieme.
Ma deve assolutamente sdraiarsi…
“Vieni – sussurrò, incitandolo ad alzarsi e reggendolo contro di sé – facciamo il più piano possibile.”
Erano solo dodici gradini, ma ad Heymans sembrarono dodicimila, con ciascuno di essi che sembrava scricchiolare tantissimo sotto il loro peso. E sembrava che tutta la casa fosse un’enorme cassa di risonanza per ogni rumore che producevano.
Perché… perché dobbiamo avere così paura di lui? Eppure non ha mai alzato un dito su di noi.
Ma la risposta la sapeva benissimo: quando Gregor non si alzava per la colazione, voleva dire che la sera prima c’era andato giù pesante con il bere ed era meglio non stuzzicarlo. Nonostante non fosse mai stato aggressivo, era come se tutti loro sapessero che era solo questione di tempo.
In ogni caso, riuscirono ad arrivare in camera di Henry senza alcun problema, ma fu solo dopo che la porta si chiuse alle loro spalle che osarono respirare con più calma.
“Va bene, sdraiati nel letto… piano, non di botto, sennò il capogiro aumenta. Senti anche nausea?”
“No… dovrei?” chiese Henry con preoccupazione.
“No, è un buon segno. Adesso scendo in cucina e preparo un impacco di acqua fredda per l’occhio. Tu stai tranquillo qui e non muoverti.”
Uscì dalla stanza con tutta la discrezione che poteva e solo quando fu in cucina si sentì relativamente al sicuro: ripresa in mano la situazione iniziò a preparare gli impacchi d’acqua fredda, come aveva visto diverse volte fare a sua madre e…
“Heymans, non dovresti essere a scuola?” chiese Laura, entrando con diversi pacchi e guardando con sorpresa il figlio.
“Oh mamma! – sospirò di sollievo il ragazzo, andando ad aiutarla – Meno male che sei tornata! Henry sta male ed ha assolutamente bisogno di te.”
“Sta male? – si preoccupò lei – Che è successo?”
Heymans esitò per un millesimo di secondo su quale versione raccontare alla donna, ma poi senza altro indugio si attenne agli avvenimenti reali notando come sua madre, mentre ascoltava la storia, procedeva a terminare gli impacchi medicinali.
“L’occhio sinistro si sta gonfiando molto: l’ho fatto sdraiare a letto e gli ho detto di tenerlo chiuso. Prima, quando eravamo fuori l’ho bagnato con fazzoletto, ma ha bisogno degli impacchi.”
“Adesso vado da lui – lo rassicurò Laura, tenendo tra le mani la bacinella con tutto il necessario – tu, per favore, metti a posto la roba che ho comprato.”
Vedendola salire le scale senza preoccuparsi minimamente di svegliare Gregor, Heymans si chiese come poteva sua madre avere un coraggio simile. Quando suo padre dormiva era come se la casa fosse sotto il sortilegio di un mostro, per il quale erano tutti costretti a fare silenzio per evitare nefaste conseguenze. Heymans aveva paura di lui in simili momenti: quando era sobrio era facile provare sentimenti di disprezzo nei suoi confronti, ma quando era ubriaco entrava in gioco una paura irrazionale, come quella che aveva nei confronti dei cani.
Sarebbe stato infinite volte meglio avere un padre come James Havoc: anche se a volte puniva Jean non l’aveva mai fatto di sproposito ed in preda alla rabbia. Il fatto che Gregor non avesse mai picchiato lui od Henry era solo un lato positivo di un genitore per il resto completamente dannoso.
E anche Henry ne ha paura, in realtà… anzi, forse la sua situazione di favorito lo mette maggiormente in difficoltà perché ha il terrore di deluderlo.
Finito di sistemare quanto aveva comprato la madre, si sedette al tavolo meditando sulla sua incapacità di reagire veramente a quella difficile situazione familiare che lo attanagliava. Una piccola parte di lui gli suggerì che, magari, poteva anche iniziare ad avviare il pranzo dato che, ormai, la giornata di scuola era persa.
Ho anche lasciato la roba a scuola… oh, beh, o la recupera Jean o la prendo direttamente domani.
Rifletté con un briciolo di rimpianto che aveva lasciato soli Kain e Janet, ma era altresì sicuro che Jean li avrebbe raggiunti presto… e poi Kain aveva undici anni e dunque era in grado di badare alla bambina.
“Heymans…” lo chiamò Laura, rientrando in cucina e posando la bacinella sul tavolo.
“Sta meglio?”
“Si è addormentato – spiegò lei – in buona parte era solo spavento… e l’occhio dovrebbe guarire in qualche giorno. Sei stato davvero bravo a soccorrerlo e portarlo a casa, caro.”
“A papà non dobbiamo dire che l’ho aiutato io.” mormorò lui fissando una venatura del legno del tavolo.
Il silenzio assenso tra di loro fu più che sufficiente, ma dopo qualche secondo Laura gli fu accanto e lo abbracciò.
“Mamma… - mormorò ancora il ragazzo – tu… tu lo ami?”
Non aveva mai osato chiedere una cosa simile: a volte dava per scontato che un matrimonio riparatore come il loro non poteva avere dei sentimenti solidi alla base, ma era anche vero che nemmeno tre anni dopo era nato Henry.
“Perché me lo chiedi?” fece Laura, abbassando lo sguardo su di lui.
“Perché… perché io non capisco come una persona come te debba sopportare uno come lui!” si sfogò il ragazzo.
Non ci fu nessuna risposta irata o qualche richiamo ad avere maggior rispetto per il proprio padre. Laura si limitò a tenerlo stretto e ad accarezzargli i capelli rossi.
“Mi ha dato voi…” sospirò infine la donna.
“Allora non lo ami… non più?” chiese Heymans.
“I sentimenti degli adulti sono cose abbastanza difficili da capire.”
“Non credo di averti mai visto baciare papà…”
“Scusa, amore mio, – disse la donna in tono triste – non sai quanto soffra all’idea di non avervi dato una famiglia felice…”
“Mamma, tu sei la prima a starci male. – ammise Heymans – Ti confesso che… che a volte preferirei non essere nato: non ti saresti mai trovata in una situazione simile se non fosse stato per me.”
La sua voce era scossa da un lieve tremito: non gli era mai capitato di lasciarsi andare in questo modo con sua madre. Cercava di essere forte per entrambi, ma la verità era che la situazione lo stava opprimendo tantissimo e l’aver visto la paura anche negli occhi di suo fratello, gli aveva fatto capire che in realtà lui non stava facendo niente per loro.
Anzi… tutto è iniziato per colpa mia.
“Questa è una cosa che non devi mai dire. – gli disse la donna stringendolo con una foga che non aveva mai dimostrato – Dio mio, Heymans, tu sei la principale ragione per cui sono andata avanti. Tu ed Henry siete le mie ragioni di vita e non me ne importa nulla se per vostro padre non provo niente… ho voi due e su di voi non deve pesare assolutamente nessuna colpa di quanto è successo.”
“Potremmo stare benissimo noi tre da soli – supplicò il ragazzo con frenesia, credendo di aver intravisto uno spiraglio di luce – senza di lui… hai visto pure tu che quando Henry è con noi due è completamente diverso. Io… fra tre anni finisco la scuola e potrò benissimo prendermi cura di voi: mi trovo un lavoretto già da adesso, tanto sono forte, e non dovrai più dipendere da quanto ti danno i nonni.”
“Heymans… Heymans, per l’amor del cielo, calmati! – lo scrollò lievemente la madre – Stai piangendo… amore, sei così scosso, ma che ti succede?”
“Scusa… - singhiozzò lui, cercando di recuperare una calma che in realtà proprio non trovava – adesso la smetto. E’ meglio… è meglio che torni a scuola a riprendere la mia roba!”
E con gentilezza si liberò della presa materna per correre in soggiorno e poi finalmente fuori da quella casa.
In genere tra i due, era Jean quello che aveva bisogno di sfoghi fisici quando aveva qualche difficoltà, ma questa volta il rosso sentì l’esigenza di continuare la sua corsa, fino a quando le forze glielo consentivano.
Non si diresse verso la scuola, ma uscì dal paese e continuò alla cieca lungo i sentieri che dividevano i campi coltivati.
“Lo odio! Lo odio! E’ tutta colpa sua!” esclamò a un certo punto, arrivando ad un bivio e fermandosi a riprendere fiato. Nonostante fossero a fine ottobre ed il tempo non fosse più così caldo, gocce di sudore gli colarono dal viso, miste a più salate lacrime.
Sentì un’improvvisa nausea salirgli e fece in tempo ad andare al margine del sentiero prima di rimettere quanto aveva mangiato fino a quel momento. Il nervosismo fu tale che i conati continuarono fino a quando non vomitò anche della bruciante bile.
Si sentiva malissimo, mai aveva avuto una reazione fisica simile: era come se un pesante cerchio gli cingesse la fronte e sentiva un forte rombo in entrambe le orecchie.
“Ehi, ehi… figliolo, va tutto bene?” chiamò una voce, mentre ancora stava a carponi scosso dagli ultimi conati. Delle mani gli accarezzarono i capelli sudati, tirandoli indietro per evitare che si appiccicassero nella fronte.
Questa voce…
“Heymans, ragazzo… – le mani lo incitarono a sollevarsi in ginocchio, allontanandolo da quanto aveva rigettato – che cosa è successo?”
“Signor Fury…” mormorò il rosso, fissando passivamente davanti a sé: adesso che aveva riguadagnato una posizione eretta riusciva a respirare con più facilità e piano piano sentì che la nausea ed il cerchio alla testa stavano passando.
Ora che lo sfogo era avvenuto in tutti i sensi si sentiva completamente distrutto e svuotato.
“Dovresti essere a scuola a quest’ora…” non c’era rimprovero in quella voce, ma solo gentile curiosità e comprensione. Finalmente si girò a fissare il viso dell’ingegnere e scoprì quando fosse somigliante a Kain quando faceva i suoi sorrisi più sinceri.
“Non è nulla.” scosse il capo, rimettendosi debolmente in piedi.
Un lieve capogiro lo colse, ma l’uomo fu pronto a sostenerlo.
“Forza, vieni: hai bisogno di sciacquarti la bocca e lavarti il viso. Il cantiere sul fiume è a un centinaio di metri da qui… andiamo.”
 
Heymans aveva conosciuto il padre di Kain solo di sfuggita, quando era stato a casa sua per accompagnare Jean. Aveva notato la somiglianza con il figlio e gli era sembrata una brava persona, ma la cosa era terminata lì: se doveva essere sincero era rimasto molto più affascinato da Ellie.
Non era molto alto e nemmeno robusto, come invece era James Havoc, eppure c’era una tranquilla aura di maturità che veniva emanata dalla sua persona. Il ragazzo scoprì che avere il suo braccio attorno alle spalle gli dava una notevole sensazione di conforto.
Una volta arrivati al cantiere, l’uomo lo condusse ad un piccolo tavolo da lavoro e gli offrì un bicchiere d’acqua.
“Avanti, sciacquati la bocca e poi vai a sputare nel fiume.” gli suggerì.
Una volta davanti al corso d’acqua, con la bocca libera dal sapore acido del vomito, Heymans non ci pensò due volte a chinarsi e tuffare la testa in quelle correnti fredde. Fu un impatto molto forte, ma finalmente sentì che riusciva a cacciare via anche gli ultimi residui di quel malessere.
Quando tornò al tavolo dove stava Andrew era di nuovo padrone di se stesso.
“Asciugati con questo – gli disse l’uomo, passandogli un asciugamano – se ti becchi un raffreddore tua madre si preoccupa.”
“Grazie…” annuì il rosso, prendendo il pezzo di stoffa e iniziando a frizionarsi la chioma.
“Adesso, mi vuoi dire che cosa ti è successo? Kain mi ha raccontato diverse cose di te e mi pari un ragazzo abbastanza responsabile… per ridurti in simili condizioni deve essere accaduto qualcosa di spiacevole.”
“Niente, signore, davvero…” mormorò lui, cercando di tenere lo sguardo sull’uomo.
“Sai perché non ti credo? – sorrise con gentilezza Andrew – Perché il grigio dei tuoi occhi si è incupito, proprio come succede a Laura quando è turbata.”
Quella rivelazione sorprese il ragazzo in un modo del tutto nuovo. Sapeva che quell’uomo e sua madre erano stati compagni di classe, ma per conoscere un dettaglio così particolare voleva dire che non erano solo semplici conoscenti… dubitava che Jean si fosse mai accorto di questo dettaglio dei suoi occhi, anche se erano migliori amici da anni.
“Conosce bene mia madre?” chiese in un impeto di curiosità.
“Sì, - ammise lui senza problemi – eravamo molto amici ai tempi della scuola. Le assomigli più di quanto tu creda, Heymans.”
E dove eri quando lei aveva bisogno di sostegno? Dato che eri un suo grande amico…
Quella rabbiosa domanda gli sorse spontanea: egoisticamente adesso cercava di dare la colpa a qualcun altro. Del resto, la maggior parte delle persone, compresa la famiglia materna, non aveva praticamente ripudiato sua madre per quanto era successo?
“Mamma non ha mai detto niente di lei, signore…” si limitò a dire con voce piatta. Ma poi si rese conto che sicuramente sua madre gli teneva nascosta la maggior parte della vicenda del suo matrimonio e dei primi anni della sua vita.
“A volte non dire niente è un modo per proteggere i propri figli – scosse il capo Andrew – e Laura in questo è sempre stata fin troppo brava.”
“Non so cosa fare: – confessò Heymans, intuendo che in fondo anche questo comportamento di sua madre costituiva una strana forma di ostacolo al suo progetto di una famiglia felice – mi dico sempre che devo cambiare le cose, ma tutto quello che riesco a fare è scappare…”
“E che vorresti fare a quattordici anni? Non è una cosa che dovresti prendere in mano tu.”
“E chi allora? Mia madre? Mio fratello piccolo? – il ragazzo si sfogò: era chiaro che Andrew Fury conosceva bene la situazione della sua famiglia. Poterne parlare finalmente con un adulto era di estremo conforto – Io… io vorrei essere più forte per liberarci di lui una volta per tutte!”
“Adesso calmati, Heymans.”
“Come posso calmarmi? – continuò lui scuotendo la testa con vigore –  Tutto quello che mia madre mi ha detto è di non sentirmi in colpa per quanto è successo… come può chiedermi una cosa del genere? L’ho imprigionata io in questa situazione!”
“Non giudicare le cose così in fretta! – disse Andrew alzandosi in piedi e mettendogli le mani sulle spalle – Tu sei stata l’unica ragione per cui tua madre non si è buttata nel fiume quando sembrava che il mondo le stesse crollando addosso.”
…Dio mio, Heymans, tu sei la principale ragione per cui sono andata avanti.
“No…” scosse il capo Heymans incredulo davanti a quelle parole.
“Credimi, è così – insistette Andrew, accentuando la stretta – tu e tuo fratello siete le sue ragioni di vita. E se lei ha preso determinate decisioni, c’è un motivo.”
“E quale?”
“Di questo ne dovrai parlare con lei, quando sarete pronti entrambi. Cerca di capire che lei tenendoti all’oscuro di molte cose ha cercato solo di proteggerti.”
“Ho bisogno… ho bisogno di sapere a questo punto – esclamò lui afferrando la camicia dell’uomo e fissandolo con disperazione. Il non sapere tutto quanto lo faceva sentire tremendamente impotente: non poteva aiutare sua madre se prima non andava fino in fondo con la verità – la prego, signore, mi dica quello che è davvero successo.”
“Non posso.”
“Perché!?”
“Perché non potrei mai tradire la fiducia di Laura in questo modo… Heymans, ascoltami, sei un ragazzo responsabile e maturo e credimi, quando Kain ha stretto i rapporti con te ne sono stato più che felice perché so che mio figlio avrà una grande figura di riferimento in te. Ma non cercare di forzare le cose… è una situazione molto delicata e tu lo sai bene.”
Quelle parole richiamarono il ragazzo all’ordine, spazzando via il panico e la disperazione. C’era una grande sincerità nelle parole di quell’uomo ed Heymans capì che era coinvolto nelle sue tristi vicende familiari più del previsto.
“E’… è dura stare a guardare…”
“Tu non stai solo guardando, Heymans: credimi che sei per Laura il più grande sostegno del mondo… e non sono parole mie, ma sue.”
“Mia madre pensa davvero questo di me?” sorrise debolmente lui.
“Certo – Andrew rispose a quel sorriso – e ogni volta che ti incontro ne ho la conferma. Adesso va meglio?”
“Sì, signore.”
“Bravo ragazzo. Vuoi che ti riaccompagni a scuola?”
“No, grazie – scosse il capo, alzandosi – vado da solo. Signore… sul serio, lei non immagina quello che abbia significato per me parlare con lei.”
“E non hai idea di quanto abbia significato per me, Heymans – annuì Andrew stringendogli la mano con affetto – Sono veramente fiero di te.”
E il ragazzo dai capelli rossi si sentì profondamente felice di quell’ultima frase, come se gliel’avesse detta un vero padre.
 
Arrivò a scuola che mancava poco alla campana di fine lezioni e così attese pazientemente, seduto poco lontano dall’edificio. Aspettò l’uscita dei ragazzi e si avvicinò solo quando vide Jean e Janet uscire nel sentiero.
“Ehi!” salutò, facendosi avanti.
“Ehi – rispose Jean, con un sorriso di sollievo, restituendogli la tracolla – che c’è? Volevi passarti per l’interrogazione di geografia? Ha chiamato me al tuo posto, lo sai?”
“Ma dalla tua faccia intuisco che è andata meglio del previsto.”
“Sette e mezza – sogghignò il biondo soddisfatto – e ora sono a posto per un bel po’: ha tutto il resto della classe da interrogare, te compreso. Comunque ho detto che non ti eri sentito molto bene ed eri andato via.”
“Grazie per la copertura, ti devo un favore.” sorrise Heymans dandogli un lieve pugno sulla spalla.
“Heymans, dove sei stato?” chiese Janet.
“Oh, niente. C’era una cosa urgente che mi sono ricordato di dover fare… anzi, a proposito, se non vi dispiace oggi non vi accompagno fino al bivio: devo tornare a casa.”
“Tutto bene?” chiese Jean con uno sguardo significativo.
“In un certo senso meglio del previsto – scrollò le spalle il rosso, rimettendosi la tracolla – Ah, e fra te e Riza?”
“Siamo pari.”
“Allora presumo che vada tutto bene. Ci vediamo domani, allora.”
“Va bene; a domani, andiamo Janet.”
Preso congedo dai due fratelli, Heymans si diresse verso il paese: ormai era totalmente calmo ed era perfettamente in grado di tornare a casa ed affrontare sua madre.
Oggettivamente avevo bisogno di uno sfogo simile: mi sento decisamente meglio.
“Ehilà, Heymans.” lo salutò una voce dietro di lui.
“Ciao Roy… Riza…” fece un cenno del capo, mentre si fermava per attenderli.
“Come mai non accompagni Jean e sua sorella?” chiese la ragazza.
“Ho promesso a mia madre che sarei tornato prima a casa.”
Roy gli lanciò un’occhiata di sbieco ed Heymans fu rapido ad intercettarla e fare un rapido cenno di conferma. I componenti delle bande e gli indipendenti venivano inevitabilmente a sapere delle spedizioni punitive e Roy era in classe con uno dei due aguzzini di Henry. Sicuramente il moro aveva capito che qualche cosa era andata in modo diverso dal solito e aveva voluto avere conferma dal rosso.
Ma tutto finì con quel rapido scambio di occhiate: Riza non se ne rese nemmeno conto.
“La madre di Jean fa ottime pastine alla marmellata, vero Riza?” chiese Heymans all’improvviso, per spezzare quel silenzio.
“Troppo appiccicose – rispose lei, offesa, suscitando le risate dei due maschi – e poi la marmellata di more non è tra le mie preferite.”
“Da te che gesto d’amicizia ci dovremmo aspettare, Heymans?” chiese Roy.
“Bella domanda, Roy – rispose prontamente il rosso, capendo il sottinteso – vediamo se arriverai a scoprirlo. Bene, io sono arrivato: ci vediamo.”
Rispose al lieve cenno di saluto che gli facevano i due e si diresse nella strada laterale dove stava casa sua.
Salì i gradini con calma e aprì la porta: prima di salire in camera era meglio andare da sua madre per rassicurarla e…
“Sei tornato…”
Heymans si irrigidì nel sentire quella voce, ma poi assunse la solita aria impassibile e percorse il soggiorno, degnando suo padre di un’occhiata appena.
“Senti un po’ – Gregor lo bloccò ancora: la voce che recava ancora il tono impastato tipico di chi ha bevuto. Ma Heymans intuiva che era abbastanza vigile e desto – lo sai che tuo fratello è a letto con un occhio nero e vari lividi?”
“Ah sì? Beh, succede se si fa parte di una banda.” rispose il ragazzo.
“Tu non ne sai nulla, vero?”
“Scusa?” Heymans stava mettendo mano alla porta della cucina, ma si girò stupefatto nel sentire quella domanda.
“So chi frequenti… quel piccolo figlio di buona donna che vive sopra il bordello.”
“Roy Mustang? No, mi dispiace deluderti, ma non rientra nel mio giro di amicizie strette. E anche se fosse, vorrei proprio sapere cosa c’entra con quanto è successo ad Henry.”
“Ah, allora sai che cosa è successo!” disse l’uomo con un ghigno trionfante.
Non assomiglio minimamente a lui… minimamente.
Fu un pensiero, ma anche una supplica… di non diventare mai come quella persona.
“Me l’hai detto tu stesso che cosa è successo, nemmeno due minuti fa. E se credi che Roy Mustang c’entri qualcosa, sei completamente fuori strada: pensa invece alle persone a cui Henry ha giocato brutti tiri, vantandosene ampiamente… forse loro avevano qualche motivetto in più per prendersela con lui.”
“Vive in un bordello… solo un bastardello di quel tipo potrebbe prendersela con un ragazzino da solo.”
“Ci vai quasi ogni sera in quel bordello…” sibilò Heymans.
Gregor era rimasto seduto al tavolo per tutto quel tempo, ma all’ultima frase del figlio si alzò in piedi. Non era eccezionalmente alto, ma faceva davvero impressione per la stazza: non erano muscoli, ma qualcosa di estremamente massiccio. Ma era soprattutto il viso a fare impressione al ragazzo: era carico di quella perversa convinzione di essere nel giusto a prescindere. Se aveva deciso che era Roy ad aver picchiato Henry, allora era così.
“Piano con le frasi, ragazzino.” disse a voce bassa quando fu davanti al figlio.
“E’ vero che ci vai… - mormorò Heymans reggendo lo sguardo degli occhi castani e appannati. Non gli importava se questa sarebbe stata la volta decisiva in cui suo padre avrebbe alzato le mani su di lui: non era disposto a dare retta alle sue menzogne da ubriacone – e ti ubriachi ogni volta… e poi passi quasi tutta la giornata a letto! Ed è mamma a dover tirare avanti…”
“Ti avviso…”
“…dato che se trovi un lavoro vieni licenziato dopo una settimana al massimo.”
Fu solo un secondo, ma Heymans fu sicuro di vedere la mano di suo padre pronta a scattare in avanti.
“Heymans, sei tornato! – la voce di sua madre interruppe quella discussione ed immediatamente le braccia della donna furono sulle spalle del ragazzo – Dai, vieni a darmi una mano in cucina… Gregor, non è ancora pronto: vai pure a metterti sul divano: ci vogliono ancora una ventina di minuti.”
E senza attendere risposta, Laura  trascinò il figlio in cucina, chiudendo la porta alle sue spalle.
“Mamma…” protestò Heymans, tirando contemporaneamente un sospiro di sollievo.
“Giuramelo! – sussurrò la donna inginocchiandosi e abbracciandolo – Giuramelo: non provocarlo mai più in un modo simile.”
“Perché? – chiese lui, mentre l’esasperazione tornava – Adesso inizia ad accusarmi…”
“Chi vuoi che gli creda! – scosse il capo lei – Ma se perde il controllo…”
Non terminò la frase, ma il ragazzo vide gli occhi grigi della madre incupirsi.
E capì:
Se perde il controllo non avrà nessuna remore a prendersela con me…
E che vorresti fare a quattordici anni?
Le parole di Andrew Fury avevano più che un fondamento.

 
  
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