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Autore: Lady_Wolf_91    01/02/2014    6 recensioni
Sally è una giovane e normalissima donna, ha una vita normale, un lavoro normale e un'amica fidata!
Certo ha qualche dolore passato ma come tutte le persone normali l'ha nascosto in fondo al cuore così che non possa più fare tanto male...fino a quando il suo passato ritorna, o meglio RIAPPARE pronto a metterla ancora alla prova!
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO CINQUE

(Compagni di classe, feste e omicidi)

 

 


 

“Ti prego, dimmi che non è vero!”

Continuavo a camminare nervosamente per casa con il telefono stretto in una mano mentre, con l’altra, gesticolavo furiosamente. Dall’altro capo del telefono Ellen sospirò:

“D’accordo, calmati. Respira insieme a me e ripeti: 'andrà tutto bene'.”

“Tutto bene? Mi prendi in giro? Come può andare tutto bene? Oh! Sì. Ecco come: io non vengo!”

“Andiamo, Sally! Non comportarti come una bambina e poi non puoi mica lasciarmi sola?”

“Bene! Non andarci nemmeno tu.”

“Dio, Sally! È solo una stupidissima festa, cosa potrà mai succedere?!”

“Di tutto Ellen, di tutto. Perché non è solo una festa. È una festa organizzata nel posto che ho odiato di più al mondo, con le persone che ho odiato di più al mondo… perché non lo capisci?”

“Lo capisco, ma sei cresciuta, loro sono cresciuti e sei diversa, ora.”

“Oh, sì! Certo. Ora esorcizzo bambini demoniaci, sì, sono davvero diversa!”

“Ora esageri.”

“No! Non sto esagerando perché ho questa bruttissima sensazione addosso e d’accordo che sono recidiva, ma davvero, penso che aver ignorato le mie sensazioni già due volte sia più che sufficiente!”

Ellen sbuffò ancora, mentre io recuperai una scatola di biscotti: “Credo che tu abbia solo paura di affrontare i tuoi fantasmi. Questa, non è una di quelle cose di cui dovresti parlare alla tua psicologa?”

Afferrai un biscotto e iniziai a sgranocchiarlo, quella conversazione mi stava mettendo fame.

“Oh, sì. Beh! Credo di sì, peccato che non ci vada più!”

“Come? Questa ti piaceva, no?”

“Sì! Ma… non lo so, non mi fido, mi nasconde qualcosa, ne sono abbastanza sicura.”

“Tutti nascondiamo qualcosa.”

“Sì, ma credo che lei nasconda qualcosa che riguarda… beh, sai!? Questo...”

“Cioè, con te? E in che modo, scusa?”

“Questo ancora non lo so.”

“Ancora?”

“Sì! A questo proposito: tuo cugino Brad fa ancora il disegnatore per la polizia?”

Ci fu un attimo di silenzio, ero sicura che Ellen si stesse massaggiando le tempie.

“Ehm, perché ho paura di risponderti?”

Afferrai l'ennesimo biscotto, alcune briciole iniziarono a scivolarmi nella canottiera.

“Mi servirebbe un piacere.”

“Vuoi che ti faccia un disegno?”

“No, lui ha accesso agli archivi, vorrei facesse una ricerca sulla mia psicologa…”

“Sally, no! E poi, cosa ti fa pensare che sia schedata?”

“Intuito femminile? Siamo tutti schedati, lo sai, e io ho davvero bisogno di informazioni. Dai, ti prego!”

“Mh, mettiamola così: se vieni alla festa, io parlo con Brad!”

“Cosa?!”

“È un patto.”

“Oh no, tesoro! Questo è un ricatto.”

“D’accordo! Niente, allora.”

Sbuffai, quando faceva così la odiavo profondamente.

“E va bene! Sì, ok. Ti hanno mai detto che sei molto crudele?”

Crudele è il mio secondo nome!”

“Bell’amica che ho!”

“Ti voglio bene, lo sai. Allora: il nome della tua psicologa mentitrice?”

“Hai un modo strano di dimostrarlo... Si chiama Eloise Ventre. Dagli il mio indirizzo e-mail, così può mandarmi tutto lì.”

“Come la fai facile tu! Va bene. Allora passo a prenderti alle cinque.”

“Sì… aspetta. Cosa?”

“C’è una festa Sally e non è semplicemente una festa, ma una festa con i nostri ex compagni di scuola, dobbiamo essere favolose, per essere favolose ci servono dei vestiti favolosi che si comprano in quegli edifici chiamati negozi. Non vorrai mica venire in jeans e maglietta?”

“Non vedo cosa ci sarebbe di sbagliato.”

“Spero tu stia scherzando! Comunque, cinque in punto. Bacii!!”

Sbuffai posando il telefono sul tavolo e abbracciai la scatola dei biscotti mettendo su il broncio.

“Sembri un koala!”

Mi voltai gonfiando le guance: “Ah fei fqufi.”

Miles aggrottò le sopracciglia: “Nessuno ti ha mai detto che non si parla con la bocca piena?”

“Mh… ero troppo impegnata ad aiutare anime disperate per imparare le buone maniere!”

Gli lanciai addosso un fazzoletto e addentai l’ennesimo biscotto.

“Sì, comunque: chi è Brad?”

Quasi mi strozzai.

“Da quanto tempo sei qui?”

“Uhm un po’. Allora: chi è?”

“Miles, non cr-”

“Oh sì! Ora lo ricordo. Era quel tizio, il fighettino, uno di quelli che ti prendeva in giro.”

Scossi la testa e sventolai una mano iniziando a irritarmi:

“No, per la cronaca, lui non mi prendeva in giro. Frequentava solo quelli che lo facevano”

“Oh! Questo fa di lui un grand’uomo.”

“Piantala! Anche Ellen li frequentava.”

“Sì, ma poi lei ha capito che erano solo un branco di idioti!”

“Lui non è così!”

Provò ad afferrare un biscotto e, non riuscendoci, grugnì frustrato: “Perché lo difendi tanto? Ah, sì! Avevi una cotta per lui!”

Arrossii: “Cosa? No, non è vero.”

Alzò le spalle: “Come vuoi! Allora: quando dobbiamo andare alla festa?”

“Dobbiamo? Guarda che non c’è nessun ‘noi’. Tu non vieni!”

“Oh, ma dai! Non puoi lasciarmi qui con ‘coso’!”

Mocho miagolò contrariato.

“No! Se tu vieni inizierai a parlare e io non riuscirò a ignorarti, ti sgriderò e tutti mi guarderanno e capiranno che non sono cambiata per niente!”

“E dai, prometto che farò il bravo.”

“Tu non sei in grado di fare il bravo, non sai proprio cosa significhi la parola ‘bravo’…”

“Su, Sally! Quella è stata anche un po’ la mia scuola, no?”

Mi guardò con un’espressione da cucciolo indifeso. Sbuffai:

“Va bene. Ma se mi metti in imbarazzo giuro che ti uccido… sì, beh! Hai capito, no? E comunque, prima di infilarci in questa situazione, non c’è pericolo che succeda qualcosa?”

“No. Calma piatta nel mondo dei fantasmi.”

“Sicuro? Bene! E Loro? Voglio dire, sono arrabbiati per quello che ho fatto?”

“No.”

“Davvero? Quindi niente punizioni? Magari nel bel mezzo della festa?”

“Pare che aver aiutato l’arcangelo a risvegliarsi valga punti bonus.”

“Vedi!? E tu che non volevi aiutare Ethan!”

“E sentiamo chi è, invece, Eloise? Perché vuoi fare una ricerca su di lei?”

Alzai gli occhi al cielo accarezzando Mocho:

“Perché sei così impiccione? È la mia psicologa e, a proposito: tu non sai niente su di lei?”

“Dovrei?”

“Non so. L’hai vista. Ti è sembrata un qualche demone a tre corna o mostro, o qualsiasi altra cosa?”

“No.”

“Ok! Ora, sparisci. Ho da fare.”

Sogghignò:

“Cosa? Sospirare sul nome di Brad?”

Ignorai la sua battuta.

“Sai?! Le persone come me, i comuni mortali, non se ne vanno fluttuando in giro senza meta… che poi: dov’è che vai quando non sei qui?”

Prese un profondo respiro e, come al solito, cambiò argomento: “Hai ragione. Ti lascio, ci vediamo alle cinque, abbiamo dei vestiti da provare!”

Allora aveva davvero ascoltato tutto, stupido impiccione!

“Cosa? No tu no-” mi sorrise e sparì nel nulla.

Passai il resto della giornata a scrivere un articolo su una donna che aveva rinchiuso il suo amante nell’armadio, dimenticandoselo per circa quattro giorni. Quando il marito era ritornato, gli aveva detto che era un ladro e che, quindi, l’aveva rinchiuso lì per salvarsi. Lui non le credette. Beh! Difficile credere a quella versione quando il ladro in questione era completamente nudo.

Finito l’articolo feci di tutto per non pensare: passai l’aspirapolvere, sistemai il letto, cucinai del pollo che alla fine mangiò Mocho ma, nonostante tutto, quando il mio sguardo si posò su quello stupido invito, il mio cervello partì a razzo per 'pensierilandia'. Odiavo quel posto. Lo odiavo con tutta me stessa.‘Come ogni adolescente’ mi ripeteva sempre mia madre, ma lì, tra quelle mura giallastre, tutte le mie paure, tutte le mie ansie e debolezze venivano fuori, senza contare che ogni volta che mettevo piede in quel posto succedeva sempre qualcosa, qualcosa che il più delle volte mi rendeva ridicola agli occhi dei miei compagni, dei professori, di tutti.

E poi c’era lei: Laura.

Ci eravamo conosciute il primo giorno di scuola ed eravamo subito entrate in sintonia, ci piaceva definirci sorelle mancate, sapevamo tutto l’una dell’altra, bastava uno sguardo per comunicare, un gesto per capirci, era l’unica a sapere il mio segreto, l’unica ad accettarmi per quello che ero, era la mia ancora, mentre tutto andava a rotoli lei rimaneva il mio punto fermo, sempre ottimista e pronta all’avventura.

Quando uno spirito mi contattava lei cercava sempre di aiutarmi come poteva, mi aveva spinto ad aprirmi di più e fu grazie a lei che ebbi i primi contatti con Ellen.

Era una roccia, la mia roccia e poi, un giorno, andai in bagno, nel bagno in cui andavamo sempre. Quel giorno non era venuta a scuola, così ero sola, spalancai la porta e la trovai lì, penzolante, a piedi nudi, con i capelli che le coprivano il volto pallido. Mi avvicinai con una mano tremante, la toccai: era fredda, fredda come la roccia che credevo che fosse, fredda come la morte. Salii sul water, le afferrai le gambe, sapevo che era morta, sapevo che era tardi, ma pensai lo stesso che, forse, se riuscivo a tirarla giù, forse, avrei rivisto di nuovo i suoi occhi azzurri che mi sorridevano, ma non ci riuscii. Era troppo in alto. Le mie mani si limitarono a tirare la sua maglia indossata al contrario.

Mi trovarono seduta per terra, a piangere. Il preside chiamò l’ambulanza, la polizia circondò la scuola. Era stato un suicidio, ma lei non lo avrebbe fatto, non sarebbe scivolata via così, senza un messaggio, un biglietto, una spiegazione... di questo ne ero più che sicura.

Il giorno dopo alcuni ragazzi parlarono di uno stupro, a quanto pare era stato quello il motivo del suo suicidio. Ma perché non mi aveva detto niente? Perché non si era confidata con me?

E mi arrabbiai, con me stessa per non essere stata una buona amica; con Miles perché non aveva sentito il suo animo in pericolo; con Loro perché non avevano rispettato il nostro patto; con il mondo, che mi aveva portato via la mia sorella mancata…

 

Mocho si strusciò sulla mia gamba, gli grattai la testa tornando alla realtà, si erano fatte le cinque e cinque ed Ellen mi avrebbe ucciso, il citofono suonò con insistenza. Salutai Mocho e scesi di corsa le scale.

“Perché ci hai messo tanto?”

“Umh?”

“Ho citofonato cinque volte.”

“Oh, scusa.”

Guidò in silenzio per un po’.

“Pensavi a lei!”

Non era una domanda. Dopo Laura, la mia sorella mancata era diventata Ellen, non avrebbe mai preso il suo posto, ma senza di lei, probabilmente, oggi non sarei qui.

“Vecchi ricordi.”

“Anche io pensavo a lei. Non mi hai mai detto cosa c’entrava con il tuo patto… non devi dirmelo per forza, solo, ci stavo pensando.”

Guardai fuori dal finestrino.

“Quando avevo quattordici anni, mio padre morì in un’incidente.”

“Lo so…”

“Io sapevo che sarebbe successo, provai ad avvertirlo, lo dissi a mia madre ma nessuno mi credeva. Dopo la sua morte chiesi a Miles di fare un patto con Loro, dissi che avrei fatto tutto quello che volevano, a patto che le persone a me care non fossero morte in modo traumatico.”

“Oh…”

“Già!”

“Ma basta con questi vecchi ricordi tristi, sono sicura che tornare lì ci aiuterà ad andare avanti.”

Le sorrisi:

“Allora: a che vestito pensavi?”

“Oh! Vedrai. Saremo stupende!”

 

Nei primi due negozi non trovammo nulla, nel terzo provai solo un completo che, però, non soddisfaceva i requisiti di Ellen. Continuammo così per altri tre negozi. Nel settimo apparve Miles, che mi fece prendere uno spavento indicibile. Stavo per urlagli contro, ma l’arrivo di una commessa tutta sorrisi e profumo me lo impedii, così mi limitai a sbuffare, mentre Ellen entrava e usciva dal camerino ad una velocità impressionante. Aveva preso un centinaio di vestiti da provare e ogni volta mi chiedeva se era meglio questo o quello prima. Il problema è che le stavano tutti divinamente. Alla fine, venne fuori con un vestito verde acqua, con un corpetto attillato ed una gonna corta e vaporosa che finiva con del tulle alla base; il modo in cui quel vestito si armonizzava con la sua pelle era semplicemente perfetto:

“Direi che è questo, senza ombra di dubbio”

Miles era a bocca aperta:

“Oh, sì! Senza dubbio alcuno.”

Lo ignorai, ignorai anche quella strana sensazione di fastidio alla base dello stomaco. Ellen continuava a guardarsi allo specchio: “Sicura? L’ho lasciato per ultimo proprio perché era il mio preferito ma, sai? Non sapevo...”

“Sicurissima! È davvero stupendo!”

“Ok, mi spoglio e tocca a te!”

Mi alzai sbuffando mentre Miles sghignazzò:

“Mi spiace, ma non troverai niente che ti faccia stare bene quanto la tua amica.”

Soffocai la voglia di urlargli contro, mentre la commessa si avvicinava con una mole assurda di abiti scelti da Ellen. La ringraziai e mentre lei non smetteva di sorridere, forse aveva una paralisi, e andai nel camerino.

Il primo abito era bianco con dei pois neri; mi ricordava tanto un dalmata e, vedendomi, sia Miles che Ellen risero, giurerei che anche la commessa trattenne una risata.

Il secondo era lungo, decisamente troppo lungo e venne scartato tra le risa generali; il terzo era rosso e aveva degli strani pennacchi su un fianco e su una spalla. Inutile dire che tutti risero. Sbuffai e mi cambiai ancora. Un vestito turchese, corto avanti e lungo dietro, sul retro aveva una specie di fiocco lungo che faceva tanto: ‘coda di abito da sposa’. Mi guardai allo specchio e non mi sembrava tanto malvagio, ma Ellen lo bocciò subito con un secco: “Non sei mica un cane che deve scodinzolare, con quella coda?”

Andò avanti così a lungo che, infine, misurai un abitino nero: semplice, sul petto c’era una fascia messa in risalto da un nastro rosa e la parte di sotto era leggermente a palloncino. Quando uscii, rimasi sorpresa della mancanza di battute da parte di Miles. Ellen, invece, si alzò e mi venne incontro:

“E il vincitore è: il numero venti!”

 

 

I giorni proseguirono tranquilli fino al sabato della festa. Ellen mi chiamò cinque volte per assicurarsi che non cambiassi idea e alle sei precise passò a prendermi. Rimanemmo in silenzio fino a metà tragitto e le scarpe mi facevano già male.

“Sai che domani non potrò camminare, vero?”

Fece spallucce e tornò a guardare la strada:

“Senti, ma c’è anche lui?”

Guardai nello specchietto, Miles mi sorrise e fece un cenno del capo in segno di saluto.

“Si, c’è.”

“Ok! Puoi dirgli di non fare niente di strano? Niente che ti costringa a correre a destra e manca come una…”

“Pazza?”

“Sì, lo sai che non è quello che penso, ma gli altri...”

“Lo so. Ha promesso di fare il bravo!”

“Sicura?”

“Sì, sicura.”

Scendemmo dall’auto. Il vialetto pieno di piccole pietruzze non era decisamente l’ideale per le nostre scarpe col tacco. All’entrata erano stati attaccati dei palloncini colorati, mentre un tizio vestito da maggiordomo se ne stava in piedi vicino ad un tavolino con l'aria altezzosa:

“Posso avere i vostri inviti?”

Miles gli fece la linguaccia:

“Woh! La prendono davvero seriamente.”

Mi ero ripromessa di ignorarlo e così feci. Mostrammo gli inviti e, sorridendo, il maggiordomo ci fece entrare.

Attraversare di nuovo quel corridoio dopo tutto quel tempo, non fu facile. Era sempre lo stesso: i muri ingialliti dal tempo e l’odore pungente di ospedale. La festa era stata organizzata nell’aula magna, una delle più spaziose; le panche dove ci sedevamo durante le riunioni, erano state adibite a tavoli; sulla destra c’erano un ricco buffet e, al centro, un piccolo palco con uno stereo e un microfono. La prima a venirci incontro fu Louise, avvolta in un cortissimo e aderentissimo tubino nero. I capelli biondi ondeggiavano da una parte all’altra mentre veniva verso di noi, le labbra rosse si aprirono in un sorriso smagliante:

“Ragazze!! Accidenti, siete favolose!”

Louise era in cima alla lista di quelle che mi prendevano in giro, mi sforzai di sorriderle mentre Ellen abbracciava quella che un tempo era una delle sue migliori amiche

“Oh, Sally, nessun rancore, vero?”

Rancore? Perché dovrei serbare rancore per una che ha reso ancora più infernale la mia vita? No, certo, spero ancora che un pianoforte ti cada in testa o che un autobus ti metta sotto ma… questo non è rancore, vero?

“No, certo! È passato così tanto tempo!”

“Già! E tu sei così… cambiata. Su, forza! Toglietevi le giacche e scatenatevi.”

Ci lasciò sole e andò ad esibire il suo sorriso con gli altri invitati. Iniziai a guardarmi intorno mentre Ellen veniva ‘assalita’ da alcune vecchie amiche, raggiunsi la zona buffet e afferrai una tartina.

“Sai?! Stentavo a riconoscerti.”

Mi voltai e sorrisi: “Brad!”

Con quel completo nero era una vera visione, non che di solito non lo fosse, ma con gli anni, se possibile, era diventato ancora più bello.

“Sally!”

“Stai… wow… bene!”

Sorrise e il suo volto si illuminò.

“Stai… wow… bene, anche tu. Cosa mi racconti? Il lavoro? Tutto bene?”

“Sì, sai?! Solita vita, soliti articoli. Tu?”

“Sai?! Soliti ladri, soliti crimini.”

Sorrisi ancora abbassando la testa.

“Oh, ho fatto quella ricerca che mi hai chiesto. Non l’ho detto ad Ellen perché speravo di incontrarti e dirtelo di persona, comunque ti ho mandato tutto per e-mail!”

Mi accarezzai i capelli nervosamente.

“Io, non so come ringraziarti. Hai scoperto qualcosa?”

Si guardò intorno:

“Niente di ché! Piccoli reati quando era adolescente. Però…”

“Però?”

“Ecco, è sopravvissuta a due incidenti sospetti.”

“Del tipo?”

“Quando aveva quattro anni, è stata coinvolta in un incidente mortale, mortale per tutti tranne che per lei.”

“Magari è stata fortunata”

“Sì, poi a quattordici anni c’è stato un incendio, nella casa della zia. Di nuovo: tutti morti, tranne lei.”

“Strano!”

“Già! Insomma, magari è sorprendentemente fortunata.”

“…magari…”

O magari c'era qualcosa sotto.

“Ma perché ti interessa?”

Alzai il volto ritrovandomelo più vicino di quanto ricordassi.

“Ehm… sai?! Un articolo, sì! Un articolo per il giornale.”

Sorrise.

“Ricordo che anche al liceo facevi ricerche per il giornalino, chissà perché poi, però, non c’era mai nessun articolo scritto.”

“Già! Nonostante tutto, però, tu mi aiutavi sempre.”

Ci guardammo per alcuni istanti negli occhi.

“Ehi, cugino! Non si saluta più?”

Ellen ci abbracciò entrambi.

“Sono appena arrivato.”

“Si, certo! Sentite questa canzone? Su, forza! Andate a ballare.”

Ci spinse letteralmente in pista. Io e Brad ci guardammo imbarazzati, poi mi prese la mano, mi avvicinò a sé e iniziammo a ballare. Chissà perché quello stronzo del mio cervello decise di farmi ricordare quella sottospecie di ballo con Miles nella mia stanza. Un momento, Miles! Ma dove diavolo era finito?

Sempre abbracciata a Brad mi guardai intorno e, infine, lo vidi appoggiato ad un pilastro, le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di noi. Era come se… come se fosse arrabbiato o... no! Impossibile!

“Cerchi qualcuno?”

Mi specchiai negli occhi chiari di Brad.

“No, nessuno”.

Continuammo a ballare per un bel po’, poi raggiungemmo Ellen al tavolo, mangiammo qualcosa tra una chiacchierata e l'altra e tornammo in pista. Parte della serata passò così: tra un ballo, una chiacchierata e un brindisi. Verso metà serata arrivò Alan, il primo amore di Ellen, si guardarono a lungo e rimasero a parlare per ore.

Dovetti ricredermi. Chissà perché mi aspettavo fuoco e fiamme mentre, invece, era una serata davvero piacevole. Dopo l’ennesimo lento, iniziai a sentire un leggero pizzicore alla base del collo, la testa iniziò a girarmi mentre mani e piedi sembravano essere fatti di ghiaccio. Mi appoggiai al tavolo e bevvi dell’acqua.

“Ehi! Tutto bene?”

Mi voltai verso Ellen che mi fissava preoccupata.

“Sì, solo troppi balli!”

“Sicura? Perché sei pallida come se avessi visto un… cioè tu non ne hai visto uno, vero?”

“Uhm… no. Nessun fantasma o spirito o altro.”

“Sicura? Perché ricordi quando ti ho detto di non correre a destra e a manca? Ecco, forse avrei dovuto dirti anche di non fare espressioni strane e preoccupanti.”

“Ellen, sto bene, devo solo andare in bagno!”

“Vuoi che ti accompagni?”

“No! Torno subito”.

Mi chiusi la porta alle spalle, la musica si attutì leggermente e mi sgranchii il collo:

“Miles… Miles?”

Perché non c’era mai quando avevo bisogno di lui?

“MILES!”

“Cos’hai da urlare così tanto?”

Iniziai a camminare verso il bagno.

“Allora?”

“Allora, che? Mi hai chiamato tu!”

“Allora: c’entra un fantasma?”

“Con cosa?”

“Come, con cosa?”

“Perché fai così? Perché dai sempre la colpa ai fantasmi? Magari il tuo amico Brad ti ha drogata.”

“La vuoi piantare? Che ti prende?”

“Che prende a te! E comunque non ho intenzione di tenerti la porta mentre fai pipì, quindi, ti aspetto fuori!”

Sbuffai ed entrai in bagno. Quel tizio era assurdo, perché ce l’aveva con me, ora? Mi guardai allo specchio sospirando, sentivo sempre più freddo, accessi l’asciugatore del bagno e mi buttai sotto riscaldandomi con il suo calore. Guardai la parete e una scritta mi fece bloccare il cuore: ‘Laura e Sally Amiche per sempre’.

Per un attimo mi dimenticai come si respira, non ero più entrata in quel bagno da quel giorno, non mi ero nemmeno resa conto che stavo andando proprio lì. Deglutii a vuoto. Dovevo uscire. Mi alzai appoggiandomi al muro e mi avvicinai alla porta, ma le mie mani, improvvisamente, calde e sudate, scivolavano sul pomello come fossero prive di forza. Un rumore mi fece voltare di scatto. Dal bagno centrale fuoriusciva del sangue, tanto, tantissimo sangue, così tanto che mi chiesi com’era possibile che non me ne fossi accorta prima. Tirai su col naso e mi avvicinai lentamente. A contatto col sangue, le scarpe si appiccicavano al pavimento facendo uno strano rumore; deglutii un paio di volte e aprii la porta: ancora sangue, ovunque; sulle piastrelle, sul water. Alzai lentamente lo sguardo: dall’alto penzolava il corpo di una ragazza. Chiusi gli occhi, quello doveva essere un incubo; quando li riaprii il sangue era scomparso, ma la ragazza era ancora lì, continuava a rimanere immobile come una marionetta, sapevo che era morta.

Come Laura.

Nonostante tutto ciò mi ricordasse lei, anziché scappare terrorizzata dal ricordo, provai lo stesso a tirarla giù. Come Laura. Mi tolsi le scarpe e salii sul water, cercai di arrivare alla corda senza riuscirci, era troppo in alto. Come Laura. Dopo vari tentativi lasciai perdere. Presi dalla borsetta il cellulare e chiamai la polizia, mi appoggiai al muro e scivolai giù, rimanendo ad osservare la ragazza che, a piedi nudi, aveva deciso di suicidarsi come Laura.

“Sally, Sally? Sa- oh, mio Dio! È, è…”

Mi voltai appena, a guardare Ellen:

“Ho già chiamato la polizia.”

“Vieni, andiamo via.”

Recuperai le scarpe: su una suola c’era del sangue, ma com’era possibile? Ellen mi fece sedere su una sedia. Dopo un po’ arrivò il preside seguito da altri ragazzi.

“Che ci fa lui qui?”

“A quanto pare hanno invitato anche lui.”

Osservai il preside entrare in bagno e uscirne, poi, con le mani tra i capelli. Proprio come Laura.

I paramedici portarono fuori il corpo della ragazza, in effetti, anche fisicamente ricordava terribilmente Laura: stessi capelli neri, però lunghi; stessa altezza, la stessa altezza. Come Laura. La stessa scena. Come Laura.

“...Non…”

“Sally?”

“Non può essere stato un suicidio.”

Non capisci? Proprio come Laura.

Alcuni ragazzi si voltarono a guardarmi. Il preside, un uomo di ormai cinquant’anni ma che ancora curava il suo corpo e la sua immagine, ci riunì in cerchio.

“I medici hanno confermato che si tratta di suicidio, purtroppo la ragazza aveva diversi problemi. Ora andate, non c’è più niente da fare.”

Quasi tutti iniziarono ad andare via, io mi alzai: “non è stato un suicidio.”

Tutti mi guardarono come se fossi pazza, ma tanto ci ero abituata, il preside mi sorrise.

“Oh, Sally! Mi ricordo di te, capisco che tu sia scioccata, è meglio se torni a casa.”

Non mi lasciai intimidire.

“Come ci sarebbe arrivata la sopra? Era troppo bassa per legare la corda al tubo.”

“Probabilmente l’ha lanciata.”

“Anche se lo avesse fatto, come ci avrebbe infilato la testa?”

Si avvicinò e mise una mano sulla mia spalla, quel tocco mi infastidì.

“Torna a casa.”

Mi voltò le spalle, tirai su col naso: “e nemmeno Laura si è suicidata”

Lui si fermò di colpo.

“Pensavo che crescere ti avesse cambiato, invece sei sempre pronta a creare il panico. Non farmelo ripetere, torna a casa.”

Ellen mi si avvicinò: “Sally, ti prego, andiamo via.”

Il preside se ne andò insieme agli altri.

“Sì, devo solo prendere la borsa in bagno.”

“Vado io.”

“No.”

Non avevo dimenticato la borsa, ma era probabile che lo spirito fosse ancora lì, di certo c’era Miles che osservava il soffitto, lo fissai con aria omicida: “calma piatta, eh?”

“I suicidi non li posso prevedere.”

“Questo non è un suicidio.”

“Perché? Solo perché ti ricorda la tua amica?”

“Se devi fare lo stronzo è meglio che te ne vada, non è proprio aria!”

“Si, magari fatti aiutare da Brad!”

Sparì, per sua fortuna. Se fosse rimasto non avrei risposto di me. Osservai di nuovo il bagno alla ricerca di qualcosa, se era un suicidio, perché avevo visto tutto quel sangue? Soprattutto perché io ero lì?

Sapete quella storia che chi si suicida non può andare in paradiso? Beh! Non so se è vera, di certo se sei un suicida io non posso fare niente e quindi tu, spirito, non senti nemmeno il bisogno di chiamarmi. Funziona così o, almeno, così mi hanno detto quando è morta Laura. Feci per uscire bloccandomi, però, davanti allo specchio: era pieno di scritte rosse, rosse perché scritte con il sangue, una serie di LUI e LORO si ripetevano all’infinito. Lui, loro. Cosa significava? Una cosa era certa: quello non era stato un suicidio e se non lo era quello, probabilmente, non lo era stato nemmeno quello di Laura.

Ellen mi riaccompagnò a casa, andò via senza dire nulla, avevo parlato del suicidio di Laura, l’avevo messo di nuovo in dubbio, anche in passato, infatti, non ne ero mai stata del tutto convinta, ma tornarci su, per Ellen, era troppo doloroso e mi aveva fatto promettere di non parlarne più. Parlarne non l’avrebbe riportata in vita, parlarne non ci avrebbe permesso di andare avanti.

Andare avanti…

Magari se non l’avessi fatto avrei scoperto la verità, ero in dovere di fare qualcosa per quella povera ragazza, però, perché non si era ancora mostrata? Perché si era limitata a farmi avere solo visioni? Forse, era davvero solo suggestione? Ma, allora, le scritte? E il sangue?

Un momento: il sangue.

Afferrai le scarpe, la suola della scarpa sinistra era pulita, sulla destra, però, c’era una macchia, una macchia che poteva essere solo due cose: ketchup o sangue e, chissà perché, ero sicura fosse sangue.

“Miles?”

Era l’ultima persona che volessi vedere, si era comportato in modo assurdo, ma avevo bisogno di lui se volevo venirne a capo.

“Miles??”

Ma, a quanto pare, non sembrava voler comparire, Mi tolsi il vestito e mi buttai sul letto abbracciando Mocho, dopo un po’ mi arrivò un messaggio.

“È stato bello ballare con te.”

Era di Brad... Brad!

Dovevo anche leggere quello che mi aveva inviato, magari domani, sì domani.











Angolo un po' Lady e un po' Wolf:
Signori e signore, buonasera!
Miles e Sally sono tornati v_v 
vi mancavano?
*ignora i vari NO*
E dunque...che dirvi? siamo ritornati, già e siamo anche ritornati con un capitolo importantuccio, probabilmente quello a cui sono più legata, sì quello a cui tengo di più... e il capitolo non è finito...l'ho nuovamente diviso, ci sarà una seconda e ultima parte che pubblicherò la settimana prossima T__T 38 pagine di word tutte in una volta non erano il caso ecco...
E niente, spero il capitolo vi piaccia,
Ringrazio come al solito Bolide e SuperNova per le loro parole e il loro affetto, Aven (ciao punty *^*) che si è da poco aggregato alla cricca e tutti quelli che leggono, commentano inseriscono ecc ecc.
E ovviamente Bloomsbury che uno di questi giorni, lo so, mi ucciderà per i miei capitoli infinitamente lunghi T^T
alla prossima
bacini tanti

   
 
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