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Autore: martaparrilla    02/02/2014    8 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Domenica.

E' domenica mattina. Tutta la settimana è stato un continuo ripensare alla sua mano sulla mia, al mio tentativo, fallito, di sentire il sapore delle sue labbra. Forse mi ha ferita, vero. Ma quando è entrata in cucina, sono stata felice. Quando le ho chiesto di rimanere, io, per un attimo, ho sentito riempire quel vuoto che la perdita di Henry mi aveva lasciato. E per tre anni mai nessuno mi aveva dato quelle sensazioni.

Poi com'era bella? Quella maglietta grigia e rossa era un'offesa alla mia volontà. Era una tentazione continua: gli occhi, come si leccava le labbra quando era imbarazzata, il suo modo di tenere il bicchiere, con entrambe le mani, come una bambina.

Mi era sfuggito una risata che non riuscivo a fermare quando mi aveva detto che ci saremmo scaldate presto. Mi era improvvisamente apparsa l'immagine di lei nuda. Non che fosse divertente vederla nuda, era una cosa...una meraviglia insomma. Era divertente il suo viso paragonato al mio pensiero.

Mi ero scapicollata per essere pronta e perfetta, volevo stupirla anche con un paio di pantaloni. Ma lei aveva stupito me. In tanti modi. I complimenti per la casa, le battute che mi facevano ridere e mi facevano tremare il cuore...il suo aspettarmi in silenzio stringendomi la mano. Il pollice faceva dei piccoli cerchi sul mio dorso...le sue dita erano lunghe, non portava lo smalto, ma sembravano laccate di rosa lo stesso.

Aveva sollevato il mio viso tirandomi per il mento. Non me lo sarei mai aspettata. Non sapevo come fare o cosa dire, ero totalmente indifesa. Lei, la sua goffaggine, il suo essere quasi infantile, mi ricordavano Henry, e aveva riportato tutto a galla.

Le lacrime erano uscite e io non potevo fermarle. Faceva ancora troppo male.

L'atmosfera con lei era un continuo ricordare mio figlio.

Ma oggi è domenica. Ho avuto tutta la settimana per prepararmi. Durante il mio viaggio ho comprato un nuovo paio di jeans, semplici, con la caviglia stretta. Scarpe senza tacco color cammello e maglia dello stesso colore. Mi sento assolutamente inadeguata in quell'abbigliamento, a disagio. Ma aveva detto che dovevo esser sportiva e avevo fatto del mio meglio.

Il cielo promette bene. L'azzurro tenue del mattino è intervallato da poche nuvole, siamo salve.

Il piumino beige sarebbe andato bene, non devo mettere uno di quegli enormi giubbotti neri senza forma. Il mio nome è pur sempre Regina! Aggiusto il mascara in bagno quando il campanello suona.

Afferro i bordi del lavandino con forza e guardando il mio riflesso allo specchio dico: «Non piangere anche oggi però».

Non sono convincente, per niente. Con uno scatto mi sposto dal bagno. Prendo una borsa capiente che ho precedentemente riempito del necessario e apro la porta.

Una dea. Una dea con le scarpe da tennis e il giubbino di pelle rossa. Ma che importa? Quei capelli che le ricadono sulle spalle...i boccoli perfetti, le gote leggermente rosate. Si imporporano di più appena la saluto.

«Salve Emma» abbasso lo sguardo sul mio abbigliamento.

«Può andare come sono vestita?».

«Direi che è perfetto» sorride, inclinando un po' la testa da un lato.

«Buongiorno a lei Regina, vogliamo andare?».

«Certo» afferro il giubbotto nell'appendiabiti vicino alla porta e la seguo.

L'ultima volta che sono salita in quell'ascensore ero bagnata, in disordine e desiderosa di terminare al più presto quella situazione imbarazzante. Ora sono elettrizzata e non voglio andare via. Sono imbarazzata, e anche lei, ma come al solito non mi da il tempo di fare il primo passo.

«Com'è andata la settimana? E' riuscita a dormire? Volevo chiamarla ma...insomma non ho il suo numero e poi non mi sembrava opportuno» mi volto verso di lei, limitandomi a osservarla, stupita.

«Oh, l'ascensore» ci infiliamo dentro, veloci.

Sistemo i capelli dietro l'orecchio.

«Si diciamo che ho smesso di frignare, mi dispiace che abbia dovuto assistere a una scena così patetica» è vero, è così che mi sono sentita, patetica.

«Però grazie per non aver fatto domande».

«Non sono una che si impiccia degli affari degli altri se gli altri non me ne vogliono parlare» le porte dell'ascensore si aprono e noi decidiamo contemporaneamente di uscire, con poco successo. Rimaniamo incastrate spalla contro spalla. Un po' dei suoi capelli finiscono sopra il mio giubbino e...fragola, profumano di fragola. Chiudo gli occhi per assaporarne meglio l'essenza. E senza volerlo mi ritrovo a allungare il collo verso di lei.

No.

Apro gli occhi e il suo sguardo è alquanto interrogativo.

«Forse è meglio se passa lei» dico rimettendo la mia testa dove deve stare. Ovvero sul mio collo e non sul suo. Torno indietro di un passo, permettendole così di passare.

«Forse è meglio se ci diamo del tu, se per lei non è un problema» si infila le mani nel giubbotto e se lo stringe addosso. Mi ha decisamente preso alla sprovvista.

«Be..» tentenno un po' «forse hai ragione. Vada per il tu».

Sorride. E la imito.

«Andiamo allora, altrimenti facciamo tardi. Dobbiamo approfittarne finchè c'è il sole...non vorrei piovesse anche oggi» apre velocemente la porta che da ai parcheggi interni del palazzo. Eccolo li il suo maggiolino giallo assolutamente inguardabile ma perfetto per lei.

«Scusa, ma ora che ci diamo del tu posso permettermi di dirlo: il colore di questa macchina è I N G U A R D A B I L E» scandisco bene le lettere così che lei possa capire che sono seria ma non la voglio offendere.

«Oh, almeno non sembra una macchina mortuaria come la tua» mi risponde salendo in macchina.

«Ok, colpita e affondata» dico a voce alta. Mi siedo. L'abitacolo è decisamente più allegro del mio. Peluches attaccati ai finestrini, adesivi sul cruscotto, e addirittura quattro coccinelle che circondano la bocchetta dell'aria.

Io avevo tolto tutto dalla mia da quando mi avevano portato via Henry.

«Non ti piacciono le mie coccinelle?» per fortuna mi ha interrotto.

«No sono carine, erano vere una volta? Credo che tutto questo giallo le abbia attirate».

«Aaaahhh sei proprio cattiva quando ti ci metti eh» mi dice uscendo dal parcheggio e immettendosi sulla strada. Non c'è traffico e fuori c'è un'aria afosa, che sento dal finestrino aperto. Slaccio un attimo la cintura per togliermi il giubbotto che sistemo sulle gambe, sopra la borsa.

«Non noti il caldo afoso? Secondo me piove anche oggi» mi giro a guardare la sua espressione. Rughe sulla fronte, scherzosamente infastidita dalle mie parole.

«Hai intenzione di portarci sfortuna?» Siamo fuori città ormai.

«E io pensavo che la Regina che ideava quelle stupide riunioni fosse sparita...credo ci sia ancora invece».

«Non mi lascerà mai quella parte di me» non posso mica dirle che lo facevo soprattutto per vederla.

«Ma dove stiamo andando?» i palazzi hannoo lasciato il posto alle case sparse e ora è solo campagna. Ci dirigiamo verso una catena piccola montuosa che non ho mai avuto l'occasione di visitare.

«Stiamo andando alla Cascata del Sole per caso?».

«Noooo, la conosci?» dice lei dispiaciuta.

«Ne ho sentito parlare, ma non ci sono mai stata».

«Mi hai rovinato la sorpresa».

«Mi dispiace» allungo un po' la mano per toccarle un braccio. Questione di attimi. Poi mi ricordo che non è opportuno mostrarsi scoperte, mostrare interesse. Così la ritraggo per poggiarla sulla borsa che ho sulle gambe. Picchietto le unghie su di essa mentre guardo fuori dal finestrino il paesaggio che cambia. Dalle case all'erba, dall'erba agli alberi...Dapprima radi, poi sempre più fitti. La strada si fa tortuosa e Emma rallenta un po'. Sono totalmente rilassata. Poggio la testa sul sedile e sospiro profondamente.

«Siamo quasi arrivate...ancora pochi chilometri» mi dice lei con tono dolce. Non c'è bisogno di riempire i vuoti, mi sento a mio agio anche così, in silenzio. E per lei sembra lo stesso visto che non dice frasi sconnesse e prive di alcuna importanza come fanno di solito le persone con cui uscivo.

A un certo punto, subito dopo una curva a gomito, mi ritrovo uno spettacolo mozzafiato: da una parete di roccia, di un grigio tanto chiaro da sembrare bianco, scende una cascata.

Il sole fa sull'acqua e sulla roccia dei giochi di luce incredibili e quella distesa di verde, l'erba che circonda il posto, è difficile da guardare. Il tutto risulta essere troppo luminoso. Come una bambina, mi avvicino al finestrino per osservare meglio i dettagli. Da un lato della scogliera c'è un precipizio, dall'altro una piccola locanda, con dei tavoli fuori e un sentiero che sembra andare dietro la roccia su cui l'acqua scorreva.

Si ferma accanto alla locanda. Scendo dalla macchina e senza riuscire a dire nulla, inizio a camminare verso la cascata. L'acqua sbatteva contro le pietre tanto da sembrar arrabbiata. Mi accovaccio di fronte ad essa, un po' lontana per evitar gli schizzi. Chiudo gli occhi e ascolto il rumore dell'acqua.

Credo che Emma sia una persona speciale. Molto più di me. Io non amo quei posti di solito, non sono una che va a cercare il verde solo per trovar tranquillità. La mia unica tranquillità sono i miei meli, ma stanno in pochi metri quadri e la casa è mia. Questo è un luogo sconosciuto, con persone sconosciute, dove fuggire quando si è disperati. O solo molto soli. Forse anche lei è sola. Come me.

Accanto, quasi impercettibile, arriva anche Emma. Riconosco il profumo dei suoi capelli. Si siede di fianco a me, senza dire nulla.

«E' un posto incantato...sembra magico...».

«Si, lo so» mi risponde piano.

«E' davvero magico. A me piace venirci per pensare. Ma c'è un posto più bello che ti farò vedere dopo. Ho pensato che» attimo di incertezza nella sua voce. Mi giro a guardarla e sembra indecisa se volere dire o meno quella frase «potesse farti bene questo posto. Che potesse farti lo stesso effetto che fa a me. Vieni, alzati» si alza e mi porge la mano, per aiutarmi. La afferro per poi stringerla forte.

Ci sono altre macchine, altre persone, ma le ho notate solo in quel momento. Stanno iniziando a preparare i tavoli, devono esser quasi le 12 e....

«Ci abbiamo messo due ore ad arrivar qui?» chiedo mentre camminiamo in un sentiero che va dietro la cascata.

«Si più o meno».

«Non me n'ero accorta, mi è sembrato veloce il viaggio».

«Perché non eri tu a guidare» risponde lei prontamente.

«Non sei meno pungente di me nelle risposte sai?» le dico fermandomi e abbassando un po' la testa.

Che stava facendo? Oddio. Oddio.Oddio. Si era avvicinata pericolosamente al mio viso.

«Lo so». Dice “lo so” e poi si sposta quasi con un saltello per continuare a camminare

«Ah.. io...» comincia seriamente a stupirmi.

Gli alberi intorno sono mossi da un flebile venticello. E' la giornata perfetta. Lei lo è. E' lei a rendere tutto così.

«Ok ora chiudi gli occhi» mi dice all'improvviso.

«Ehm, no».

«E dai, per favore».

«Non mi piace chiudere gli occhi».

«Ne deduco che dormi con gli occhi aperti?».

Usa lo sguardo più tenero e opportunista di questo mondo. Quegli occhi splendidi mi avrebbero fatto fare qualunque cosa. Qualunque.

«Ok, ok!».

Sbatto le mani contro le mie gambe, in segno di resa. Chiudo gli occhi. Lei mi cinge le spalle con un braccio. E' divertita, continua a ridacchiare.

«La smetti di ridere? E' già abbastanza imbarazzante così».

«Shhh, zitta. Oh, attenta, una pietra, piede destro».

Alzo il piede destro per paura di cadere. Probabilmente mi avrebbe sorretta lei. Tocco all'improvviso qualcosa di fronte a me. Un pezzo di legno, deve essere una sorta di staccionata. Non sento puzza di animali però.

«Apri gli occhi» mi volto verso il suono della sua voce e apro un occhio, per vedere se mi prende in giro. Ma lei è li, con i gomiti poggiati sulla staccionata che mi invita a voltare lo sguardo. Mi giro.

Sotto di me si estende una infinita valle di alberi e fiumiciattoli. E' come...si, sembra di essere dentro "Il re leone", che ho visto tante volte con Henry.

«Sai, un paio di anni fa aspettavo un bambino» ha iniziato a parlare e non si è girata a guardarmi.

«Il mio fidanzato di allora aveva detto che lo voleva, poi l'avevo beccato a letto con una e me ne sono andata, senza dire niente» la ascolto, stupita.

Mi sta raccontando forse la cosa più importante della sua vita e io non so cosa dire.

«Quando ho visto quella foto a casa tua, di quel bambino, e poi le lacrime..non so chi sia ma sicuramente per un motivo o per un altro ora non c'è più» inizia a farmi male la bocca dello stomaco.

«Qualche settimana dopo aver cambiato casa ho avuto aborto e ho perso il bambino. Un feto a dir la verità» i suoi occhi si stanno spegnendo. Sono totalmente pietrificata. Non so se farla continuare a parlare o no. La guardo giocare con i suoi capelli e mi chiedo cosa l'abbia portata a confidarmi quella cosa.

«Ho cambiato città per quattro volte. Poi sono arrivata qui. Tu mi stavi dando un buon motivo per andarmene di nuovo sai? Poi ho scoperto questo posto..e ho ritrovato pace».

Non mi sono sbagliata. E' speciale. E io non sarei mai stata speciale quanto lei.

E' riuscita a rialzarsi da sola e io? L'avrei riportata con me negli abissi, nella tristezza più nera, nella solitudine più profonda. Non gliel'avrei mai permesso. Avrei distrutto perfino la luce che emanano i suoi capelli. Il brillare dei suoi occhi, il leggero tremolio delle sue labbra. Avrei distrutto tutto. Perché tutto quello che si avvicina a me viene distrutto. E non l'avrei permesso.

«Sei una brava persona sai? E anche bella. E forte» un tuono interrompe il nostro silenzio e veloce, il sole scompare.

Mi allontano da lei.

Sembra che il cielo si fosse adattato ai nostri umori. Che i tuoni seguano il galoppare del mio cuore. Dei nostri probabilmente. Che i lampi si alternino al nostro aprirsi e chiudersi delle palpebre.

«Io non riuscirò mai a esser come te. Non sono riuscita a rialzarmi e non ci riuscirò mai» il mio tono aumenta di volume, sono arrabbiata. E' iniziato a piovere. E le mie lacrime cominciano a scendere copiose, fortunatamente nascoste dalla pioggia scrosciante. Mi giro di scatto, voglio andare via.

Non è stata una buona idea venire qui con lei. Pochi secondi dopo un braccio blocca il mio cammino, e mi tira.

«Fermati» la pioggia fa molto rumore e ha praticamente urlato per farsi sentire. Mi costringe a girarmi verso di lei. Obbedisco alla sua presa. Il suo viso è un misto tra stupore e rabbia.

«Perché non mi dici che è successo?» urla di nuovo.

«Non permetterò che diventi come me» le rispondo arrabbiata, tra un singhiozzo e l'altro, voglio tornare a casa.

«No!» dice lei insistente, avvicinandosi ancora di più a me.

Alzo il viso verso il cielo. Non riesco a calmarmi, non riesco. Sento la sua mano sul mio viso.

«Guardami».

«Perché insisti tanto con me. Lasciami in pace!».

Mi dimeno per sfuggire alla sua presa ma lei afferra prontamente anche l'altro braccio. E senza nemmeno accorgermene, con uno scatto felino, mi bacia. Si, mi bacia, mi sta baciando. Preme con forza il suo viso contro il mio, mentre tengo gli occhi spalancati.

Mi sta baciando. Ho immaginato quel momento per settimane, e sta accadendo proprio quando ormai avevo capito che non si sarebbe mai verificato.

Si stacca da me, col respiro ansimante e mi urla addosso.

«Ecco perchè non ti lascio andare, per questo!» torna indietro in mezzo alla pioggia e inizia ad andare avanti e indietro, senza sapere cosa dire.

«Non lo so cos'è successo, cosa mi è successo» un tuono sovrasta la sua voce e lei si ferma per lasciarlo passare.

«So solo che questo posto mi ha dato la pace ma tu» preme il suo dito contro il mio petto, con espressione accusatoria.

«Tu mi hai dato un motivo per sorridere! Quei tuoi maledetti occhi neri, me li ritrovo tutti i giorni di fronte al viso e non faccio altro che pensarti e pensarti senza capirne il motivo. E quel giorno, quando ti sei messa a piangere, avrei voluto stringerti, ma non come fa un'amica».

Ha iniziato a piangere anche lei, gli occhi verdi sono circondati da un alone rosso: iniettati di sangue.

«E a me non è mai successo niente del genere. Io ero tranquilla, le litigate con te mi divertivano ma vivevo la mia vita tranquilla. Tu hai stravolto gli equilibri, tu...» prende un respiro. In quel momento mi accorgo che ho smesso di respirare perché il mio cuore sembra abbia assunto dimensioni troppo grandi da permettere ai polmoni di fare il proprio lavoro.

«..tu mi hai completamente stregato. Mi alzo sperando di incontrarti e sperando che quell'incontro possa regalarmi il tuo sorriso. Che possa sentire la tua voce. Che possa guardare le tue labbra muoversi. Mi. Stai. Facendo. Diventare. Pazza!» ad ogni parola ha fatto un passo verso di me e ha premuto il suo tono sulla prima lettera di ognuna.

«E il tuo non volermi dire niente mi fa male, mi fa sentire inutile e non mi fa dormire la notte. Sei entrata dentro di me, sei come un virus, uno di quei virus che non ti lasciano speranza. Mangio un cucchiaino della tua marmellata tutti i giorni prima di dormire. Non ho lavato la tua tazza! Odio tutto questo!».

Abbassa la testa per poi rialzarla portandosi dietro ciocche di capelli bagnati e gocciolanti.

«E ora vai se vuoi andare!».

Mi sta dicendo che io sono diventato un suo pensiero fisso. Ho sentito bene? Io non voglio rovinarla e lei mi sta dicendo che è troppo tardi per tornare indietro. Non voglio tornare indietro, non voglio andare via, non volevo andare via nemmeno quando gliel'ho urlato contro.

I suoi occhi continuano a fissarmi e sono come una calamita per me. Muovo i piedi senza nemmeno accorgermene. Mi ritrovo a un palmo di naso da lei, a fissarla. Le prendo il viso con le mani, mentre lei stringe gli occhi per far scendere le lacrime.

«Shhhhh» dico io poggiando la sua fronte sulla mia. Le sue mani si poggiano sulle mie, le stringono, con rabbia. Poi decido di parlare.

«Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me».

I nostri nasi si sfiorano, come a volersi accarezzare. Lei chiude gli occhi e io faccio lo stesso. Mi faccio guidare da lei, dalle mani che accarezzano le mie braccia e che ora cingono i miei fianchi.

Così, mentre la pioggia si fa meno fitta, la mia bocca incontra la sua.

Il mio cuore è andato completamente in frantumi con la perdita di Henry. Con lei, in quel momento, mentre assaporo ogni centimetro delle sue labbra, riprovo la sensazione di un cuore intero che batte nel mio petto.


 

  
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