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Autore: Lifaen    04/02/2014    1 recensioni
Salve a tutti! Come si può evincere dal titolo, la trama ruota attorno ad un gruppo di avventurieri che affrontano i demoni che infestano il loro mondo, nel tentativo di liberarlo. Spero vi divertiate a leggere questa storia come io mi diverto a scriverla! Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il castello di Lord Fyrian si stagliava in lontananza, mastodontico come gli era stato descritto.
Il guerriero si ritrovò a pensare a quanto spesso fosse entrato in una tenuta come quella, con nessun’altra intenzione se non quella di spremere tutto il denaro possibile dal nobilotto del luogo che avesse problemi con goblin, o altre minacce del genere. A quanto spesso si fosse unito a gruppi di avventurieri col solo scopo di arrivare vivo alla fine della missione per ottenere il compenso pattuito … e occasionalmente sedurre qualche giovane, bella ed inesperta avventuriera.
Erano giorni che camminava, giorni che si era lasciato alle spalle il magnifico palazzo dell’Angelo delle Tenebre ad est, per dirigersi verso il castello di Lord Fyrian, alleato entrato in tempi relativamente recenti nel giro di affari dell’affascinante signora che ormai da tempo era fra i suoi pensieri. Quando Lifaen gliel’aveva descritto come “un vecchio amico”, Nom aveva pensato ad un amico d’infanzia, o qualcosa del genere. Invece, dalle informazioni ottenute dalla signora (ricordava ancora il suo tocco serico sulla pelle), gli era sovvenuta l’immagine di uno dei tanti nobili per cui aveva lavorato a pagamento. Sulla quarantina, dotato di un certo carisma e di un’invidiabile guarnigione per essere un semplice lord, e non un re, Fyrian non gli era sembrato nulla di più dell’”ultimo alleato ottenuto”, come lo aveva descritto l’Angelo. Chissà che intendeva Lifaen, parlando di un “vecchio amico”. Forse si era confuso, ma Nom lo riteneva improbabile. Il condottiero aveva una proprietà di linguaggio migliore di quella del guerriero, di Mildred e di Lenn messi assieme. Era evidentemente istruito, e per quanto tentasse di mantenere un tono cortese e di immediata comprensione, ogni tanto finiva con il farne involontariamente sfoggio.
I pensieri del guerriero presero a gravitare attorno al condottiero, una delle poche persone vere che avesse incontrato in trenta anni di vita; sempre gentile, ma anche particolarmente incisivo, andava subito al punto senza perdersi in preamboli quando era necessario, ed era questo che Nom apprezzava di più in assoluto di lui. Aveva avuto a che fare con altri comandanti in battaglia, d’altronde aveva cominciato la sua carriera da avventuriero mercenario a sedici anni; molti gli erano sempre sembrati eccessivamente pomposi, così pieni di sé nel guidare squadre di avventurieri ad affrontare orrori di ogni tipo e nel ricevere gli onori a nome di tutto un gruppo.
Lifaen invece era sempre stato diverso, l’aveva capito sin da quando l’aveva incontrato, quattro anni prima, in una taverna di una città parecchio distante da dove si trovava ora. All’epoca portava un cappuccio che nascondeva la sua fluente chioma dorata, e ad una prima occhiata gli era apparso come un qualsiasi altro avventore del locale. Si era seduto a qualche tavolo di distanza e aveva ordinato qualcosa da mangiare, con alcuni degli ultimi proventi rimasti dall’ultima avventura. Ricordava di aver pensato di dovere al più presto trovare un altro ingaggio, prima di rimanere completamente a corto di denaro, e di chiedere all’oste se ci fosse qualcuno disposto a pagare per risolvere un problema, di qualsiasi tipo; e ricordava anche di essere stato riportato brutalmente alla realtà quando la porta era stata buttata giù a calci da quello che aveva riconosciuto come un hobgoblin, una creatura affine ai goblin ma molto più alta e addestrata militarmente, che indossava un’armatura di piastre, un elmo e portava al fianco uno spadone di pregevole fattura. La creatura si era fatta accompagnare da alcuni goblin più piccoli, probabilmente senz’altro scopo che non fare casino, e aveva preso ad infastidire gli avventori, ad insultare gli sguatteri, a lanciare provocazioni alle cameriere finché non si era avvicinato a Nom rubandogli il piatto da sotto il naso.
La prima reazione del guerriero era stata quella di mollargli un bel pugno sul muso. E sarebbe stato quello che avrebbe fatto, se l’incappucciato che gli mangiava a poca distanza non fosse intervenuto tentando di mantenere la calma. Nom era sicuro che quella fosse stata la prima ed unica volta in cui avesse considerato bella la voce di un uomo.
Con il modo che lo avrebbe sempre contraddistinto, nei quattro anni successivi, l’allora illustre sconosciuto aveva tentato di ragionare con l’hobgoblin … senza alcun risultato. Dopo dieci minuti buoni che passava saltando da un argomento all’altro, tentando di convincerlo ad andarsene con ogni mezzo, Nom si era alzato, aveva messo una mano sul pomo del suo fedele spadone (gli si strinse il cuore nel ricordarlo) e aveva detto: “O te ne vai sfruttando l’opportunità che questo avventore ti sta offrendo, oppure ti butto fuori io, a calci.”
Sulle prime era calato un silenzio gelido, e la creatura era rimasta sorpresa, o almeno così gli era parso. Poi, prima che riuscisse a capire qualcosa, si era ritrovato a volare e aveva sbattuto contro la parete in fondo alla taverna. Gli ci era voluto un po’ perché la vista gli si snebbiasse, ma quando alla fine era successo aveva visto l’hobgoblin che troneggiava su di lui con lo spadone in mano che commentava qualcosa come: “Devi ringraziare che indossavi la cotta, ragazzino.”
Nom si era rialzato e aveva tentato un affondo, che era stato schivato in maniera totalmente noncurante. Era caduto, fra le risate dei goblin più piccoli e le urla terrorizzate degli avventori, e, mentre si rialzava, aveva visto la mano tesa dell’unica altra persona nella taverna oltre a lui e all’oste terrorizzato. L’aveva afferrata d’istinto, e, nonostante il braccio sembrasse veramente esile, era stato sollevato con una facilità incredibile.
Per la prima volta aveva visto gli occhi di Lifaen, rimanendone ipnotizzato. Blu come il mare, privi di pupilla, immensi come l’infinito. L’eladrin era rimasto in silenzio per un po’, poi, con un sorriso amichevole, aveva commentato: “Hai scatenato un bel putiferio. Se vuoi, posso aiutarti ad uscirne.”
Nom aveva soppesato per qualche secondo i pro e i contro, poi aveva deciso di fidarsi dell’eladrin, comunicando la risoluzione con un cenno di assenso.
A quel punto la stretta di Lifaen sulla sua mano si era fatta ferrea, e lo aveva avvicinato a sé bisbigliandogli in fretta: “Quell’hobgoblin non è un avversario che puoi battere da solo, la sua armatura però ha diverse falle che la sua agilità naturale non può compensare. La sua tattica si basa principalmente sulla forza bruta, quindi evita di rimanere fermo troppo a lungo in un punto solo. Appena avrò terminato coi goblin ti darò un aiuto più sostanzioso, ma cerca di prendere più tempo che puoi. Si diverte a giocare, fingi di essere un principiante. Non scoprire subito tutte le tue carte. Aspetta il mio segnale.”
Incredibile ma vero, era successo esattamente tutto quello che Lifaen gli aveva detto. L’hobgoblin aveva giocato con lui precisamente come aveva detto l’eladrin, fino a quando l’elfo alto non si era unito allo scontro; a quel punto aveva provato ad impegnarsi seriamente, ma gli ordini del condottiero, precisi e corretti, erano stati prontamente eseguiti dal guerriero, e non era riuscito a fare molto. Nom, alla fine della battaglia, la quale era terminata con cinque cadaveri goblin e un risarcimento all’oste con infinite scuse da parte dell’eladrin,sapeva di avere a che fare con un condottiero molto più esperto di quanto lo fossero mai stati i precedenti con cui aveva combattuto, e si chiedeva se non avesse incontrato una sorta di veggente. D’altronde, aveva capito da una singola occhiata che non era un principiante, e questo poteva solo significare che avesse incredibile talento nello stimare i punti di forza e le debolezze delle persone.
Gli aveva offerto la mano, soddisfatto di aver incontrato un combattente tanto in gamba.
E da quel giorno, ad ogni battaglia terminata, non avevano mancato di replicare quel gesto.
  
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