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Autore: Laylath    05/02/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 20. Festa nel capannone. Seconda parte.

 

Kain non si era mai trovato in una situazione così imbarazzante: non era tanto il fatto di stare in mezzo alla gente, quando l’avere Janet stretta a lui in una morsa che credeva impossibile per una bambina di sei anni. Non capiva proprio cosa fosse successo dato che il loro ballo era iniziato in maniera tranquilla ed infantile con lei che saltellava felice e più che altro gli faceva fare dei girotondi; ci stava prendendo gusto lui stesso a dire il vero ma poi, forse lei si era stancata, e si era aggrappata alla sua vita affondando la testa bionda sul suo maglione. Aveva preso a ciondolare ma, a dispetto di quella che sembrava stanchezza, la sua presa continuava ad essere salda… e a Kain non restava che sostenerla e assecondare quel lento e soporifero dondolio, mentre attorno a loro si ballava una più allegra danza.
“Uh… Janet – provò a chiamare a un certo punto – che hai?”
“Mmmh…” mormorò lei ad occhi chiusi.
“Si sta addormentando, tutto qui. – disse Jean, suo compagno di sventura, imprigionato nella morsa di Rebecca, ma ostinato nel restare rigido ed il più immobile possibile – Ehi, tu! Che ne dici di lasciarmi? Mia sorella si sta addormentando e la devo portare via da qui.”
“Oh, sono sicura che ci può pensare Kain, – sorrise furbescamente Rebecca, serrando ancora di più le braccia attorno a lui – non vorrai lasciarmi sola in mezzo alla pista, spero.”
“Sarebbe un sogno! Ti ho concesso anche troppo, stupida ragazzina! E’ da almeno cinque danze che mi tieni così: direi che questa follia può anche finire! Ci siamo resi abbastanza ridicoli.”
“Sta iniziando a scivolare – disse Kain, cercando di rialzare la bambina – non riuscirò a tenerla a lungo.”
“Oh, va bene – ridacchiò lei, mollando la presa sul biondo – direi che per adesso può bastare.”
“Alla buon ora! – sbottò Jean lisciandosi le maniche del maglione e accostandosi a Kain per liberarlo dalla sorella – Guarda quest’altra scema: si è addormentata in piedi…”
Ma a dispetto del tono seccato, fu estremamente delicato nel sciogliere l’abbraccio di Janet dalla vita di Kain. Con una rapida ed esperta torsione prese la bambina in braccio e fece cenno al bambino di seguirlo.
“Oggi Heymans si è proprio divertito – ringhiò, mentre si allontanavano dalla pista da ballo – prima affibbia a te Janet e poi aiuta quell’arpia ad intrappolarmi… ma giuro che me la pagherà! Appena consegno questa seccatura a mia madre vado a cercarlo.”
“Non è che sta male? – si preoccupò Kain – E’ rimasta tanto a ciondoloni…”
“Ma no, mia sorella ha solo l’incredibile capacità di addormentarsi in qualunque posizione, basta che abbia un appoggio. Non si sveglia prima di domani mattina, fidati.”
Effettivamente, tra le più comode e familiari braccia fraterne, Janet rinunciò a qualsiasi proposito di stare sveglia. Beatamente si mise il pollice in bocca e si aggrappò con l’altra mano al maglione caldo di Jean.
“Non pensare di sequestrarmi così, Janet – bofonchiò il biondo, intravedendo i genitori e andando verso di loro – ci pensa la mamma a te. Ehi, mamma, prendila tu.”
“Mi stavo giusto chiedendo se fosse crollata.” rise Angela, quando i due arrivarono dai genitori di Jean.
“Sono le dieci e mezza passate, ci credo che è già nel mondo dei sogni.” sbuffò il ragazzo, consegnando la sorella alla madre.
“Hai fatto colpo, eh figliolo? Quella moretta è proprio cotta di te.” disse James con aria cospiratoria, dando una gomitata allo stomaco del figlio.
“E’ una ragazzina scontrosa, maleducata e prepotente – protestò Jean con tutta la sua dignità di quattordicenne a cui il mondo femminile fa ancora ribrezzo salvo rare e lodevoli eccezioni – meglio perderla che trovarla.”
“Oh, fidati di me, Jean. Ancora un anno o due e non vedrai l’ora di ricevere simili attenzioni.”
“Dici?” il tono era veramente dubbioso e seccato.
“In ogni caso, per imprigionare uno come te quella ragazzina è davvero un bel tipino.”
“Certo, come no… Andiamo, Kain, vediamo di trovare gli altri!”
“Uh! Arrivo Jean.”
 
La situazione era abbastanza tesa e Riza era abbastanza accorta da stare in silenzio per evitare di scatenare qualche sgradita reazione. Era tutto cominciato quando Roy ed Elisa erano tornati dopo aver ballato per almeno due volte: era chiaro che lei si era molto divertita, evidentemente ballare le piaceva parecchio e anche Roy si era dimostrato un ottimo accompagnatore. Tuttavia l’espressione di desolata rabbia mostrata da Vato aveva smorzato l’entusiasmo dei due ballerini: Elisa era rimasta in silenzio e Roy non mancava di ricambiare lo sguardo scontroso del ragazzo più grande.
La bionda ed Elisa si scambiarono un’occhiata: era palese che i due maschi non avevano intenzione di iniziare a dare spiegazioni e forse la cosa migliore era separarli. In particolare Riza ci teneva parecchio che Vato si riappacificasse con la sua amica: erano così dolci insieme ed era chiaro che Elisa ci stava restando molto male per questo inaspettato broncio.
“Roy, ti va di far ballare anche me? – chiese all’improvviso, arrossendo lievemente e tendendo la mano all’amico – Non ho mai provato, ma sembra divertente…”
Roy la fissò con aria interrogativa per qualche secondo, ma poi le prese la mano ed annuì.
“Va bene, andiamo. Tanto qui non si conclude niente.”
“Certo, come no…” sibilò Vato, senza però farsi sentire.
Come i due si furono allontanati, Elisa squadrò con lieve esitazione il suo migliore amico.
“Vato…”
“Mh?”
“Ne vogliamo parlare?”
“Non capisco di che cosa si debba parlare…” disse lui in tono profondamente offeso.
“Dei due balli che ho fatto con Roy. Non pensavo che… ti ingelosisse.”
“Figurati.” mormorò il ragazzo, mettendosi le mani in tasca e rifiutandosi di guardarla.
“Senti, perché non andiamo a prendere una boccata d’aria?” la voce di Elisa era abbastanza preoccupata.
“Se ci tieni tanto perché non lo chiedi a Roy? – ribatté, ma immediatamente divenne profondamente desolato. Vide l’espressione ferita della ragazza e si sentì un mostro – Scusami… sono una persona pessima.” e senza aspettare risposta si diresse verso l’uscita del capannone.
 
Fortunatamente in quel momento l’orchestra non suonava niente di complicato e le coppie si limitavano a lenti e tranquilli giri: un qualcosa di discretamente romantico, ma senza gli eccessi di un vero e proprio lento.
Da oltre le spalle di Roy, Riza vide Vato che si allontanava con passo rapido ed Elisa che restava a guardare quella fuga con aria sconsolata.
“Oh no! E’ andato via…” mormorò.
“Razza di stupido.” fu la risposta di Roy.
“Ma perché l’hai provocato in un simile modo? Si capisce chiaramente che è davvero timido.”
“Con la sua timidezza provoca dispiaceri ad Elisa. Sei ad un ballo e non fai divertire la tua ragazza… complimenti, davvero un bel comportamento.”
“Non sono fidanzati, non ancora.”
“Non capisco cosa aspetti: da quanto mi ha raccontato è da parecchio che entrambi lo sanno che si piacciono a vicenda.”
“E di parlare con Elisa ti sei premurato? – chiese Riza, alzando lo sguardo su di lui: aveva scoperto che seguire il ritmo della danza era abbastanza facile e naturale – Durante il ballo le hai detto qualcosa?”
“Le ho detto che, magari, lui si sarebbe dato una mossa per il prossimo ballo.”
“E lei?”
Roy esitò per un secondo e quasi si fermò in mezzo alla pista. Scosse il capo e riprese a muoversi.
“Ha detto che attendere uno o cento balli per lei non faceva differenza.”
“E ci sei rimasto male, vero?” sorrise Riza.
“Lo ammetto. Speravo che mi desse ragione: insomma, avrebbe tutto il diritto di essere stanca di questa indecisione e…”
“E invece a lei va bene così… Roy, io credo che il loro amore sia una cosa bellissima e fuori dal comune. Elisa mi ha detto che uno dei motivi per cui le piace tanto è che è un ragazzo completamente diverso dagli altri e credo che lei sia l’unica ad avere voce in capitolo, no?”
“Mi stai dicendo che ho sbagliato?” gli occhi scuri di Roy la guardarono intensamente.
“Dico che, probabilmente, a volte sei così ansioso di fare le cose a modo tuo che non ti preoccupi di quello che magari possano pensare gli altri. Tu volevi aiutare Vato… ma a modo tuo e non a modo suo.”
“Heymans, Jean… e ora Vato – sospirò Roy – invece di avvicinarli li sto allontanando. C’è qualcosa che non va in me? Onestamente Riza… perché tu li capisci senza problemi mentre io ogni mossa che faccio combino disastri?”
La ragazza lo guardò con sincero dispiacere: era triste, profondamente infelice, e per una volta tanto non cercava di nasconderlo. Purtroppo Roy si stava scontrando con la sua personalità forte e carismatica che pretendeva di avere ragione su ogni cosa. Era questa la grande differenza con Riza: lei non aveva alcun problema a riconoscere i propri limiti, ad accettare i caratteri degli altri e ad agire di conseguenza. Roy era l’esatto opposto: riteneva che fossero gli altri a doversi adattare a lui.
“Sono sicura che Vato non è davvero arrabbiato con te.” lo rassicurò.
“Volevo solo che riuscisse a ballare con Elisa…”
“E chissà che non ci riesca.”
“Dopo gli chiederò scusa. Ma adesso non voglio fare torto anche a te: non è bello che il cavaliere sia distratto da altre cose e non pensi al ballo con la sua dama.”
“Poi mi spieghi dove hai imparato a ballare così bene!” rise la ragazza, mentre la musica cambiava e Roy la conduceva in un ballo più allegro.
“Tu non hai idea delle cose che si imparano a vivere in un locale particolare come quello di mia zia.” le rispose, facendole l’occhiolino e ritrovando in parte l’allegria.
 
Complimenti, Vato, davvero complimenti… se questa volta ti manda al diavolo in maniera definitiva avrà tutte le ragioni di questo mondo.
Il sedicenne scosse il capo con tristezza e si lasciò cadere seduto nel divano di casa.
Non ce l’aveva proprio fatta a restare alla festa: come era uscito dal capannone si era diretto istintivamente verso casa con la mente annebbiata da tutti quegli avvenimenti sconvolgenti che erano successi in maniera troppo rapida. Tutta quella gente che rideva, ballava e chiacchierava aveva il potere di turbarlo profondamente: la calma ed il silenzio della casa vuota erano un vero toccasana.
Si sdraiò, posando la testa bicolore su uno dei morbidi cuscini che accompagnavano il rivestimento di velluto. Si sentiva completamente distrutto: tutto quello che aveva faticosamente costruito con Elisa si era sgretolato nell’arco di nemmeno venti minuti.
Non dava nemmeno la colpa a Roy: era lui stesso il problema, con la sua timidezza, la sua indecisione perenne. Qualsiasi altra persona si sarebbe fidanzata con Elisa da mesi. Ed invece lui aveva continuato a trascinare la cosa, beandosi della certezza matematica che comunque c’era sempre un domani dove fare un altro tentativo.
Ed invece ho esaurito la mia scorta di domani... sono un fallimento.
Qualcuno bussò alla porta, ma lui fece finta di niente: non aveva nessuna intenzione di aprire a chicchessia. Anche se era Roy, non era proprio il momento di discutere sul disastroso esito di quella serata.
“Vato – chiamò una voce da fuori – sono io…”
“Eli..?” alzò la testa dal cuscino con aria sorpresa.
Si diresse alla porta e l’aprì per trovarsi la ragazza che lo fissava con preoccupazione.
“Sei scappato via così in fretta… ti ho cercato per tutto lo spiazzo prima di pensare di venire qui.”
“Scusami…”
“Mi… mi sono dimenticata il cappotto alla festa.” mormorò, massaggiandosi le braccia. Il vestito che indossava aveva le maniche che arrivavano poco sopra il polso e non era molto pesante.
“Oh! – arrossì – Perdonami, entra!”
La condusse in cucina ed accese la stufa in modo che l’ambiente si riscaldasse in maniera abbastanza rapida: ora che ci pensava anche lui iniziava a sentire un po’ di freddo.
“Allora, come va?” chiese lei con voce discreta.
Vato rimase con un pezzo di legna in mano e poi sospirò, mettendolo assieme agli altri: fissò impassibile le fiamme che iniziavano a scoppiettare allegre.
“Balla bene?”
“Se la cava.”
“E’… è ad ogni festa che mi chiedi di ballare, ma io ti dico sempre di no. Mi dispiace…”
“Non fa niente, davvero.”
“C’è voluto Roy per farti divertire un minimo…”
“Ma che dici…”
“Sono solo uno scemo.”
“Vato… ti giri e mi guardi in faccia, per favore?”
Il ragazzo annuì, capendo che era veramente scorretto rifugiarsi davanti ad una stufa per evitare un contatto visivo che invece doveva a quella persona. E gli fece male, perché l’espressione di lei era profondamente triste e desolata.
“Eli…” iniziò, sentendosi profondamente in colpa.
“E’ stata una cosa così improvvisa, ma avrei dovuto rifiutare – lo interruppe lei – perdonami… avrei dovuto pensarci che potevi restarci così male.”
“Forse restarci male è solo una lezione di vita, come ha detto papà.”
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, come se stesse ponderando qualcosa.
“Vato… giurami che non scappi o interrompi quanto ho da dirti, va bene?” disse infine.
Lui si irrigidì, capendo che era arrivato il momento fatidico: lei gli avrebbe detto che era stanca di aspettare che era il punto di non ritorno…
E io non riuscirò a dire niente come sempre… e la perderò.
“Ascoltami – iniziò Elisa, facendosi avanti e porgendo le sue mani… e lui si sentì costretto a prenderle – non me ne importa assolutamente nulla di Roy Mustang o del ballo, va bene? Per me la cosa importante è stare assieme a te…”
“Oh, Eli…” mormorò lui, sorpreso e commosso da queste parole e sentendosi pieno d’amore per quella ragazza meravigliosa che gli stava accanto nonostante tutte le sue follie. Si chiese come aveva potuto anche solo per qualche secondo dubitare di lei e pensare ad un tremendo ultimatum: Elisa non gliel’avrebbe mai fatto.
“… l’intenzione di Roy era spronarti a fare… uhm il passo avanti con me. Ma io gli ho detto che non mi importava se avessi dovuto aspettare ancora cento balli. Vato, tu hai i tuoi tempi, l’ultima cosa che voglio è forzarti. Non… non devi preoccuparti, io ti aspetto… come sempre, va bene?”
“Tu mi aspetti sempre…” mormorò lui.
 Spinto da un enorme desiderio di ricambiare in qualche modo quella dimostrazione di fedeltà e amore, lasciò le sue mani e le cinse delicatamente la vita, inducendola ad avvicinarsi.
Non erano mai stati così attaccati di loro spontanea iniziativa ed era così bello e rassicurante: tutto il malessere che aveva provato prima finalmente era sparito. Tuttavia Vato sentiva anche il suo cuore battere all’impazzata: era sempre Elisa la ragazza davanti a lui, eppure… perché in quel momento era così bella, soprattutto le sue labbra?
Le mani di lei, ormai libere, si alzarono leggermente e lentamente: la destra si posò sulla sua spalla in un contatto delicato ma incredibilmente tangibile, mentre la sinistra si alzò ancora a sfiorare il collo… il pollice che arrivava a toccare la mascella di lui.
“Ehi…” mormorò con un sorriso.
“Ehi.” sussurrò lui, abbassando delicatamente la testa per avvicinarla a quella di lei.
Le loro labbra erano a pochi millimetri una dalle altre, e fu elettrizzante rimanere così per qualche secondo, chiedendosi se prendere o no quella fatidica decisione, sentendo il respiro leggermente spaventato l’uno dell’altra. Ma alla fine Vato si mosse e quel piccolo spazio venne annullato dal primo e dolce bacio, tanto atteso e tanto temuto.
E davvero non c’era parola scritta, lezione di antropologia o qualunque altra materia che potesse valere una simile esperienza di vita.
 
“Ah, Kain, eccoti qua – lo chiamò Andrew – vieni, ti voglio presentare una persona.”
Il bambino sentì la voce del padre e si avvicinò, seguito da Jean.
“Ciao Jean, come stai?” sorrise Laura, mettendo una mano sulla guancia del ragazzo.
“Salve signora, tutto bene… signor Fury.”
“Allora, figliolo – disse l’uomo  rivolgendosi al bambino – lei è Laura Breda, la madre del tuo amico Heymans e mia grande amica: era mia compagna di scuola.”
“E’ un piacere conoscerla, signora.” sorrise Kain, dando la mano con estrema educazione come gli aveva insegnato sua madre.
“Ma guardati, sei davvero adorabile: hai gli stessi occhi di tua madre, ma assomigli tantissimo anche ad Andrew… e sei cresciuto così tanto. Adesso quanti anni hai?”
“Undici, signora.”
“Che stavate combinando?” chiese Andrew, rivolgendosi a Jean.
“Stavamo cercando Heymans – disse il giovane – vorremmo ringraziarlo per averci incastrato in due balli non proprio graditi… Kain con mia sorella ed io con una matta furiosa.”
“Ah, quindi non l’avete visto?” chiese Laura con un briciolo di preoccupazione.
“Sarà qui in giro – scrollò le spalle Jean – con tutta questa gente è difficile…”
“Oh eccovi qua! – disse proprio Heymans, comparendo all’improvviso – Mi chiedevo giusto che fine aveste fatto. La pista da ballo piange la vostra assenza.”
“Spiritoso!” sbottò il biondo mettendosi a braccia conserte e facendo un seccato broncio.
“Signor Fury – salutò Heymans, stringendo la mano all’uomo – è un piacere rivederla.”
“Ciao Heymans, ti trovo in splendida forma.”
“Grazie… Ehi, mamma, sono felice che tu alla fine sia venuta. Hai visto Riza?”
“Sì, l’ho vista – sorrise Laura – e sta davvero bene con quel vestito.”
“Sapevo che avresti fatto un ottimo lavoro.”
Jean lanciò una rapida occhiata ad Heymans e sentì che qualcosa non andava. C’era qualcosa di forzato in quella spontaneità, in quell’arruffare i capelli di Kain: era solo una sensazione, ma il primogenito degli Havoc si disse che qualcosa stava profondamente turbando il suo amico. Senza capirne il motivo sentì che era urgente portarlo via da quel posto.
“Vieni con me! – disse, con aria seccata, prendendolo per una manica – Ti devo ringraziare per quel ballo con Rebecca, anzi… per quei cinque balli.”
“Eh? Dove vorresti andare?” chiese lui, sorpreso.
“Ovunque quell’arpia non mi possa raggiungere. Kain, tu resta qui, va bene? Tanto Janet dorme e non corri rischi.”
“Va bene, Jean…” rispose il bambino.
“Kain, – chiese Andrew, guardando i due amici allontanarsi – è successo qualcosa?”
“Non credo, papà. Perché?”
“Niente, – scosse il capo l’uomo, prendendolo in braccio – allora, hai fame?”
“Parecchia: i primi balli con Janet sono stati abbastanza movimentati. Credi che ci sia ancora la torta al cioccolato? E’ davvero buonissima, signora Breda, perché non viene ad assaggiarla anche lei?”
“Che ne dici se prima recuperiamo tua madre?” sorrise Laura.
“Va bene!” sorrise il piccolo stringendosi con gioia al padre.
E così facendo non notò lo sguardo significativo che i due adulti si scambiavano: nella sua innocenza Kain era stato l’unico a non capire che c’era qualcosa che non andava in Heymans.
 
Adesso che si era allontanato da sua madre e da Andrew Fury, Heymans iniziava a respirare con maggiore facilità e smise del tutto la maschera di spensieratezza che si era forzato a mostrare in presenza dei due adulti. Sentiva Jean che lo trascinava ma non opponeva alcuna resistenza: più lo portava lontano da quel posto meglio era.
E così si ritrovarono fuori dal capannone.
Jean si guardò attorno e poi lo condusse su una panca che stava lungo la parete di legno.
“Che succede?” gli chiese quando si furono seduti.
“Niente.”
“No, non è vero. E’ successo qualcosa… e anche parecchio grave.”
Heymans scosse il capo: come poteva dire al suo migliore amico quanto aveva appena scoperto? Che tutta la storia che conosceva era una menzogna bella e buona…
“Si tratta di Henry?”
“Quale dei due?” chiese con cattivo sarcasmo.
“Eh?”
Il rosso si prese la testa tra le mani, sentendo come una forte emicrania.
“Jean…”
“Che c’è?”
“Perché i tuoi genitori hanno chiamato te e tua sorella così?”
“E’… è il nome di mio nonno, – rispose lui con esitazione – mentre Janet si chiama così perché faceva assonanza con il mio. Perché me lo chiedi?”
“Niente… è che all’improvviso mi è venuta la curiosità di sapere perché mi chiamo così.”
Henry era mio zio… mai io? Perché mi ha chiamato in questo modo? Porto il nome di una persona che voleva nascessi morto?
Erano pensieri veramente folli… eppure sentiva di aver bisogno di una base da cui ripartire.
“Non ti piace il tuo nome?”
“Non lo so più…”
“Senti, vuoi che vada a chiamare tua madre? Forse non stai bene…”
“No! Non chiamarla! Resta qui… per favore… ma non chiedermi niente, non adesso.”
“V… va bene.”
E Jean rimase in silenzio accanto all’amico, non riuscendo proprio a capire cosa fosse successo. Ma una cosa gli era chiara: aveva assolutamente bisogno di lui. E non gli importava di Rebecca e dei balli che aveva dovuto subire anche per colpa di Heymans.
Il mio migliore amico ha bisogno che io gli stia accanto, punto e basta.
 
La fiamma scoppiettò in maniera abbastanza energica e un ciocco bruciato a metà cadde provocando una marea di scintille. Forse il fuoco della stufa aveva bisogno di essere sistemato, ma la cosa aveva ben poca importanza per i due sedicenni che stavano scoprendo le delizie dei primi baci.
Perché naturalmente al primo era seguito il secondo e poi il terzo… e tanti altri, così belli, così attesi.
Vato aveva scoperto di essere più audace del solito: era stato lui a prendere l’iniziativa e a cercare di più rispetto al bacio a stampo che aveva iniziato tutto quanto. Aveva stretto a sé la sua ragazza, mordicchiandole le labbra, assaporandone il sapore del succo di frutta che aveva bevuto alla festa, gustandone l’incredibile morbidezza. E lei aveva ricambiato senza esitazione.
“Uh… uao… - mormorò Elisa quando si staccarono dopo diversi minuti che andavano avanti così – ehi… ehi, da quando sei così carico di iniziativa?”
“Oh, Eli… - sospirò Vato, abbracciandola – Eli…Elisa…”
“Che c’è?” chiese lei, dolcemente, ricambiando il suo abbraccio.
“E’ il più bel momento della mia vita… io… io…”
“Lo dici? – chiese lei, con dolcezza, inducendolo a guardarla meglio occhi – o è ancora così difficile?”
“Ti amo.” sussurrò lui, portando il viso a pochi centimetri dal suo, i ciuffi bianchi che si mischiavano con quelli castani. Perché quelle parole erano solo per lei, nemmeno per il resto della cucina o per la stufa.
Solo per Elisa.
“Te lo posso dire anche io?” disse lei, col medesimo tono di voce.
“Sì.”
“Ti amo… ti amo… ti am…” e il bacio non fece terminare la parola.
Rimasero così ancora per diverso tempo, prima che uno dei due parlasse di nuovo.
“Credi… - disse lei ad un certo punto – che dovremmo tornare al capannone?”
“Vuoi?”
“No… voglio stare con il mio ragazzo.”
“Ehi, è vero. Adesso siamo fidanzati, no?” sorrise lui. E gli sembrava così stupido aver aspettato così tanto.
“Eh già…” ricambiò il sorriso Elisa, prima di cercare di nuovo le sue labbra.
 
A mezzanotte iniziò lo spettacolo dei fuochi d’artificio e tutte le persone si radunarono nello spazio fuori al capannone per vederlo.
Janet, beatamente sprofondata nel mondo dei sogni, stava appellicciata alla madre con il braccio di James che le cingeva entrambe in un gesto di protezione.
Vincent e Rosie Falman si chiesero che fine avesse fatto il loro figlio, ma dopo che ebbero notato che anche Elisa era assente, si scambiarono un sorriso complice e si godettero i fuochi d’artificio. Non era giusto disturbare due ragazzi che finalmente decidevano di fare un fatidico passo in avanti: le lezioni di vita, specie quelle belle e meravigliose, andavano godute con calma e serenità.
Kain, a cavalcioni sulle spalle di Andrew, guardava estasiato quei giochi pirotecnici e si domandava quale meravigliosa scienza ci fosse dietro: perché lui in quel momento era così entusiasta della vita che aveva deciso di voler scoprire tutto del mondo, scrivendo ogni cosa nel suo quaderno e con la sua preziosa penna.
Ellie sorrideva vedendo suo figlio così vitale e felice, finalmente pieno di amici e privo di quei complessi che l’avevano turbato per tanto tempo. Anche Andrew intuiva che Kain era particolarmente lieto quella sera e dunque cercava di godersi appieno la sua famiglia… ma non poteva fare a meno di pensare a quell’aria così strana da parte di Heymans. Quando Laura aveva preso congedo da loro, decidendo di tornare a casa, avevano capito che presto sarebbe stato necessario parlare con quel ragazzo e la cosa non poteva fare a meno di preoccuparlo.
Proprio Heymans stava seduto in quella panca, assieme a Jean, ma non guardava i fuochi d’artificio. Fissava il terreno, cogliendo i bagliori di vari colori che a momenti alterni lo illuminavano. E continuava a ripetersi quella domanda a cui si era aggrappato con disperazione, nonostante fosse chiaro che era solo un minimo dettaglio di una storia molto più triste e occultata.
Perché mi chiamo così?
 Accanto a lui, Jean fissava i fuochi d’artificio con la testa bionda posata alla parete. Riteneva che a volte la vita fosse ingiusta: quella festa se la sarebbe voluta ricordare per i fuochi d’artificio, per il vestito di Riza, il suo sorriso, per le risate di quando Janet voleva ballare con Heymans… perfino per quella stupida di Rebecca. Non voleva ricordarsela per il suo migliore amico che soffriva in silenzio, senza riuscire a confessare che cosa lo turbasse tanto.
A poca distanza da loro, anche se non si erano visti, Roy e Riza guardavano affascinati lo spettacolo: un bellissimo legame di amicizia e fiducia che nessuno dei due si preoccupava di indagare oltre. Forse Rebecca aveva insinuato ad un appuntamento, ma non era così: semplicemente i due outsider si godevano la semplice gioia di sentirsi accettati e parte di un qualcosa di banale, ma non per questo meno importante. Con accanto quell’amica fidata, Roy era sicuro di poter superare le proprie difficoltà ed era convinto di riuscire a riappacificarsi con Vato nell’arco di pochi giorni.
E Vato ed Elisa… beh, loro avrebbero sempre ricordato quella festa del primo dicembre, ma non per i fuochi d’artificio.
A dire il vero quelli non li videro nemmeno di sfuggita.






il bellissimo disegno è opera di Mary_
^_^
  
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