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Autore: AxXx    09/02/2014    4 recensioni
Salve, popolo di EFP e amanti della Percabeth in particolare. Questa storia parla di un mondo senza genitori divini, Dei o mostri vari a cui dare peso.
Annabeth è una ragazza ricca che desidera diventare architetto, ma un giorno la sua vita cambia radicalmente e lei si ritrova isolata dal mondo, senza memoria e senza nulla che glielo faccia ricordare. Solo una persona la aiuta: un ragazzo di nome Percy Jackson.
Il passato, però, torna sempre a tormentarci e lei lo scoprirà nel modo peggiore.
[Percabeth]
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                            Nome

 

 

 

 

Le ore seguenti furono un inferno, per me. Ero sempre più spaesata e l’istinto mi diceva di chiedere, domandare e sapere. Il problema era che Percy, nonostante la sua volontà di aiutarmi, iniziava a scocciarsi. Avevo un’irrazionale paura di tutto ciò che mi circondava, come se potesse accadermi qualcosa.
Cercai di allontanare la sensazione di fragilità che mi pervadeva. Dopotutto Percy mi aveva assicurato che non mi avrebbe lasciata in mezzo alla strada, ma non ero per nulla sicura. Non ricordavo assolutamente nulla e ogni cosa che vedevo si ergeva ignota contro di me.

Non conoscevo nessuno, nemmeno me stessa. Avevo paura di quell’oscurità ignota che era il mio passato. Temevo che mi avrebbe ingoiato in un buco nero senza luce.
E io adoravo la luce, almeno credevo.

L’unica cosa certa era il ragazzo dagli occhi verdi che mi aveva salvata. Era per quella ragione che avevo assolutamente bisogno di sentire la sua voce, mentre si cambiava in bagno per uscire.

“Che lavoro fai?” Chiesi, mentre cercavo di rivestirmi con i miei abiti finalmente asciutti.

“insegno arti marziali ai ragazzi in una palestra.”

Sempre spiccio e questo non faceva che aumentare il mio imbarazzo.

“Quanti anni hai?”

A quell’ennesima domanda, la porta del bagno si spalancò rivelando Percy, ancora a torso nudo, con uno strano scintillio negli occhi. Sembrava scocciato e infatti disse: “Dimmi, ma hai finito con le domande!?”

“Scusa, stavo cercando di fare un po’ di conversazione.” Quella vista mi fece arrossire tantissimo. Provai, per l’ennesima volta, a coprirmi, ma i bottoni della camicetta erano stati tutti strappati e non c’era molta differenza.

Mi resi conto che lui mi stava squadrando da capo a piedi, approfittando del silenzio. Non sembrava così minaccioso, come mi era apparso un attimo prima. Eppure il suo sguardo su di me mi metteva a disagio.

“C-che hai da guardare!?” Chiesi, ritirandomi un po’, in modo da coprire la mia pelle scoperta. Giurai di aver visto le sue guance arrossarsi, poco prima che lui si voltasse, coprendo il suo volto con i capelli ricci.

“N-nulla… piuttosto, tu che hai da fissarmi?” Contrattaccò, controllando la voce.

Questa volta fu il mio turno di arrossire. I miei occhi avevano indugiato sul suo torace. Aveva degli addominali scolpiti di chi si allenava costantemente e le braccia erano toniche e muscolose. Non mi sorprendeva che, nonostante la giovane età, fosse un maestro di arti marziali.

Mi voltai, sentendo il mio viso imporporarsi.

“Diciotto.”

“Cosa?”

“Mi hai chiesto quanti anni ho, no? Te l’ho detto: ho diciotto anni.”

Esasperata, radunai tutta la pazienza di cui ero capace e mi sedetti, sperando con tutta me stessa che quell’incubo finisse presto. Nonostante tutto, però, non potei fare a meno di guardarlo, mentre finiva di vestirsi. Era stranamente rassicurante, nonostante fosse un odioso cafone.

Si sedette accanto a me e notai che si era calmato.

“Ascolta, ragazzina… io non o chi sei, appena te la senti, andremo alla polizia e chiederemo a loro, ma non mi aspetto molto.” Sussurrò, tamburellando il pugno contro il tavolo, come se cercasse di non dare a vedere qualcosa di importante.

“D’accordo… solo che potresti evitare di chiamarmi ragazzina?” Chiesi, infastidita da quel nomignolo. Mi sembrava che lui stesse cercando di erigere una barriera tra noi.

“E come dovrei chiamarti?”

Bella domanda. Non aveva tutti i torti, dopotutto non avevo nemmeno un nome. Solo che quel dannato vezzeggiativo mi dava fastidio, come se mi identificasse come la ragazzina svampita che aveva soccorso in strada. E sinceramente non volevo proprio che mi considerasse così.

“Proviamo a trovarlo!” Proposi, cercando di essere ottimista. Magari se lo avessi coinvolto un po’ si sarebbe abituato.

Avevo un po’ torto.

“Trovatelo da sola, un nome. Io devo andare agli allenamenti.” Sbuffò, avviandosi verso la sua camera.

Inutilmente, cercai di trovare qualcosa che mi ispirasse un nome, ma nulla mi faceva venire un idea. Provai a sfogliare le riviste che vidi nella libreria, ma non trovai nessun particolare nome. Tutti nomi di moto o macchine. Qualche volta appariva, tra le pagine, una pubblicità che mostrava una donna in pose accattivanti, ma nulla che mi facesse venire un idea. Le riviste di moto non erano state, poi, una grande idea, ma il tentativo poteva valere.

Iniziai a scorrere i libri impolverati, ma nessuno dei titoli mi attirava, tranne uno che mi suonava familiare: “Hunger Games.” Ebbi la sensazione di averlo letto anche io, ma non ricordavo assolutamente nulla, nemmeno della trama. Stavo per afferrarlo, quando un campanello suonò ripetutamente, facendomi sobbalzare.

“Perseus Jackson! Ti ordino di aprire immediatamente questa porta!” urlò una voce femminile proveniente dall’esterno.

Chi era? La sua ragazza? L’idea mi fece venire uno strano moto di gelosia, ma subito lo scacciai. Percy aveva il diritto di stare con chi vuole e di certo c’erano persone migliori di quel cafone.

Il diretto interessato, però, uscì di corsa dalla sua stanza e aprì la porta, facendo entrare una ragazza forse più grande di lui. Aveva il volto duro pallido ricoperto di lentiggini che le davano un aria da ragazzina era incorniciato da una cascata di bei capelli neri. I suoi occhi erano azzurro elettrico e aveva l’aria vivace. Entrò senza nemmeno chiedere il permesso. Percy provò a fermarla, ma lei non lo calcolò nemmeno e si piantò davanti a me.

Il suo sguardo mi mise in soggezione.

“Allora è vera la storia della ragazza trovata per strada… cos’è successo, Percy? Sei diventato un supereroe?” Chiese, rivolgendosi a lui.

“Talia! Ti prego!” Provò ad interromperla lui, ma quella era una macchina da guerra e lo ignorò, sedendosi accanto a me.

“Ciao. Io sono Talia Grace, amica di quell’orso solitario di Jackson. Come ti chiami?”

Io arrossii fino alla punta delle orecchie, sentendomi una stupida totale. Avrei voluto poter raccontare qualcosa, ma non sapevo cosa dire.

“Io… non lo so.” Ammisi, in imbarazzo, continuando ad armeggiare con la camicetta, più per non imbarazzarmi che per sistemarla.

“Oh… capisco.” Detto questo si rivolse all’amico. “Hai ripescato una smemorata, eh?”

Il sorrisetto malizioso di Talia sembrò esasperarlo. Alzò gli occhi al cielo. Lo immaginai alla ricerca di ogni briciolo di autocontrollo di cui disponeva.

“Mmmh… non hai un nome, ma… a giudicare dai lineamenti e dal colorito non sei di queste parti.” Aggiunse la mora, tornando a concentrarsi su di me.

Scrollai le spalle, sentendomi la lingua bloccata nel palato. Mi sentivo inutile senza passato. Ero certa che quella ragazza avrebbe potuto dirmi diecimila cose interessanti e io nessuna su di me. Odiavo non sapere di cosa parlare, anche perché parlare mi piaceva.

"Cos’hai in tasca?”

La sua domanda mi lasciò interdetta: in effetti la tasca sinistra dei miei jeans aveva un rigonfiamento che prima non avevo notato. Con tutte quelle preoccupazioni non mi ero nemmeno accorta di quel particolare, o della leggera pressione che l’oggetto esercitava sulla mia coscia.

Appena misi mano nella tasca percepii un freddo blocco di metallo scolpito attaccato ad una catenina. Lo afferrai con eccessiva trepidazione e lo osservai: era un pendente scolpito per formare una parola che poi una catenina permetteva di legare al collo.

“Sembra un pendente… è un nome… Annabeth…” Notò Talia, sporgendosi verso di me.

Appena lo disse, ebbi la certezza che quello era il mio nome. Non sapevo chi mi avesse regalato quel monile, ma fui felice di averlo: finalmente un nome. Qualcosa a cui aggrapparmi, una piccola luce nell’oscurità da cui potevo ripartire per ricostruirmi.

Mentre riflettevo su quel nome, Percy prese da parte la sua amica, cercando di non farsi sentire. Peccarto che, invece, la sua voce mi raggiunse.

“Senti, io devo andare in palestra… puoi rimanere qui ad occuparti di lei. “ Esitò. “è un po’… svampita.”

Ma che cafone! Come si permetteva di darmi della svampita!? Io non ero una svampita, ero senza memoria, ma non mi sembrava una buona scusa per definirmi tale. Una fortuna che la ragazza corse in mio aiuto.

“Non credo che abbia bisogno di una bebysitter, ma se proprio vuoi, rimango.”

“Ottimo… io vado!” Aggiunse, alzando la voce, per poi uscire e andarsene, cosa che, stranamente, mi lasciò un po’ triste.

“Allora… che ne dici di mangiare qualcosa? Hai l’aria di una che non mangia da secoli.”

 

 

Non avendo vestiti, Talia uscì, per poi tornare, mezz’ora dopo con una pizza fumante dentro un contenitori di cartone. L’odore di mozzarella, pasta e salsa di pomodoro cotta invase l’aria e, per la prima volta, sentii veramente la fame. Il mio stomaco brontolava, reclamando cibo e acqua.

Addentai famelica la pizza, cercando di darmi un contegno, ma a Talia non sembrava importare. Mi piaceva: era una ragazza decisa, forte e allegra. Aveva un’energia quasi illimitata e riuscì, persino a strapparmi un sorriso, mentre parlava di un sacco di stupidaggini che riguardavano lei e Percy. Notai che non aveva parlato della sua famiglia, ma non indagai. Nello stesso tempo, rinfrancata dal cibo, provai a raccontare quel poco di storia che avevo.

Lei ascoltò paziente fino alla fine. I suoi occhi blu elettrico sembravano mandare scintille.

“Così… non ricordi proprio nulla.” Commentò alla fine.

Annuii, ma stranamente, sapere il mio nome, avere la pancia piena e aver avuto la possibilità di raccontare tutto, mi fece sentire molto meglio. Non avevo recuperato la memoria, ma almeno mi ero confidata.

“So solo che il mio nome è veramente Annabeth… ma non ricordo nient’altro che un paio di occhi azzurri come il ghiaccio.”

Talia si accigliò, assumendo un cipiglio interrogativo e riuscii a leggere la sua perplessità. Stava cercando di risolvere il mistero che si celava dentro di me, ma non aveva nulla su cui basarsi. Si avvicinò ancora di più, pulendosi la bocca e le mani, con un tovagliolo ed esaminò ogni parte di me.
I suoi occhi si spostavano dal mio volto, fino ai miei vestiti. Ebbi una strana paura: paura che lei mi allontanasse, che mi considerasse un appestata, ma invece, non fece nulla di ciò. Sorrise e mi dette una pacca sulla spalla.

“Tranquilla… non sei sola, ora vediamo di scoprire qualcosa.”

Mi sentii sollevata dal fatto che le mie paure non fossero fondate. Era molto pratica, ma non aveva paura dell’ignoto. La ammirai per il suo ottimismo. Avrei voluto davvero poterlo condividere.

“I tuoi vestiti sono messi male… ma sono costosi, ne sono certa. Devi essere di buona famiglia.” Osservò, rabbuiandosi un po’, come se quello le avesse fatto venire in mente qualcosa di spiacevole.

“E… se non avessi una famiglia?”Non seppi dire se lo sperassi fosse vero o temessi quella possibilità.

“Non dire sciocchezze!” Esclamò Talia, tornando allegra ed energica alla velocità della luce. “Sono certa che, in questo momento, sono preoccupatissimi. Quando li avrai ritrovati, potrai ricordare tutta la tua vita. Anzi ho un idea!”

La mia stima nei suoi confronti aumentò a dismisura, quando mi espose la sua idea: estrasse un piccolo I-phone, dicendo che avrebbe cercato sul sito di persone scomparse una fotografia corrispondente alla mia faccia.

Fui felice di avere quella piccola speranza di tornare a casa. 

 

 

“Che mi sai dire di Percy?” Chiesi, mentre continuava a scorrere foto e descrizioni di ragazze scomparse. Io mi ero messa a lavoro, mettendo via il cartone unto che conservava la pizza che avevamo mangiato.

“Oh… Ehm… non c’è molto da dire, su di lui.” Disse, senza perdere il contatto visivo con lo schermo. “Lui… non è molto felice di se stesso. Ha praticato arti marziali fin da quando era bambino ed è anche un nuotatore fantastico. Sono le due cose che sa fare meglio. Da quando aveva quindici anni ha usato questo suo talento per guadagnarsi da vivere, dato che la madre… diciamo non poteva.”

Detto questo indicò la foto che avevo notato prima sul comodino. Mi avvicinai, osservandola curiosa. Potevo notare quasi ogni singola somiglianza con il figlio: i capelli, così simili, i lineamenti. Solo gli occhi erano diversi. Il figlio aveva degli occhi verde acqua, mentre la madre li aveva castani chiari.

“È… morta?” Chiesi con un filo di voce, pregando di avere torto.

“No… ma è in coma. È rimasta coinvolta in un grave incidente, quando Percy era ancora giovane. Lui… era molto legato a lei. Quasi tutto quello che guadagna lo manda all’ospedale per pagare le cure necessarie a tenerla in vita, anche se i medici dicono che non si sveglierà più. Lui, però, si rifiuta di accettarlo e dice sempre che troveranno una cura e che deve solo avere pazienza. Quando, poi, gli hanno dato un lavoro come maestro in una palestra, un anno fa, ed ebbe qualche soldo in più, riuscì a permettersi l’affitto di questo appartamento. Per il resto… è abbastanza normale.”

La spiegazione di Talia mi lasciò l’amaro in bocca, ed ebbi l’orribile sensazione di essere diventata un peso. Percy faticava ogni giorno per tenere in vita la madre eppure aveva trovato il tempo di salvarmi la vita ed ospitarmi in casa sua. La sua storia era terribilmente triste e mi sentii un’intrusa. Se solo avessi potuto fare qualcosa per dare una mano.

Capii che anche Talia provava dolore, condividendolo con Percy ed iniziai a vederlo sotto una nuova luce. Non lo consideravo più un cafone, ma una persona che aveva avuto un passato sconcertante e che faticava a staccarsi da esso.

“Mi dispiace.” Disse, all’improvviso, la mora, tornata di nuovo quella di prima, solo che era molto accigliata e aveva rimesso in tasca il cellulare. “Non ho trovato nessuno che ti corrisponda… il che siginfica…”

“Che nessuno mi sta cercando.” Conclusi sconsolata, lasciando ricadere la testa sul tavolino di legno, cercando di trattenere la lacrime.

Anche quella speranza era svanita, come il mio passato. Ero tristissima, sia per la storia di Percy che per la mia amnesia. Avrei voluto poter risolvere tutti i problemi, ma non avevo nulla su cui basarmi.

“Ehi! Non è vero! Dai… non ti abbattere. Troveremo una soluzione.” Mi consolò la mora, sedendo accanto a me, accarezzandomi la schiena comprensiva.

Annuii, un po’ sollevata. Era bello poter contare su qualcuno. Talia era una vera amica e seppi di poter contare su di lei. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo dell’autore]

Ancora non riesco a staccarmi, ma solo perché non abbiamo ancora iniziato. Appena inizierà la storia principale di Venti del Nord, questa ff andrà in secondo piano. Il lato positivo, però, è che, fino a quel momento, continuerò a scrivere questa storia.

Spero che altri recensiscano, ma fino ad allora, un ringraziamento particolare a Ramosa12.

AxXx

  
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