Nome
Le
ore seguenti furono un inferno, per me. Ero sempre
più spaesata e l’istinto mi diceva di chiedere,
domandare e sapere. Il problema
era che Percy, nonostante la sua volontà di aiutarmi,
iniziava a scocciarsi.
Avevo un’irrazionale paura di tutto ciò che mi
circondava, come se potesse
accadermi qualcosa.
Cercai di allontanare la sensazione di fragilità che mi
pervadeva. Dopotutto
Percy mi aveva assicurato che non mi avrebbe lasciata in mezzo alla
strada, ma
non ero per nulla sicura. Non ricordavo assolutamente nulla e ogni cosa
che
vedevo si ergeva ignota contro di me.
Non
conoscevo nessuno, nemmeno me stessa. Avevo paura
di quell’oscurità ignota che era il mio passato.
Temevo che mi avrebbe ingoiato
in un buco nero senza luce.
E io adoravo la luce, almeno credevo.
L’unica
cosa certa era il ragazzo dagli occhi verdi che
mi aveva salvata. Era per quella ragione che avevo assolutamente
bisogno di
sentire la sua voce, mentre si cambiava in bagno per uscire.
“Che
lavoro fai?” Chiesi, mentre cercavo di rivestirmi
con i miei abiti finalmente asciutti.
“insegno arti
marziali ai ragazzi in una palestra.”
Sempre
spiccio e questo non faceva che aumentare il mio
imbarazzo.
“Quanti
anni hai?”
A
quell’ennesima domanda, la porta del bagno si
spalancò rivelando Percy, ancora a torso nudo, con uno
strano scintillio negli
occhi. Sembrava scocciato e infatti disse: “Dimmi, ma hai
finito con le
domande!?”
“Scusa,
stavo cercando di fare un po’ di
conversazione.” Quella vista mi fece arrossire tantissimo.
Provai, per
l’ennesima volta, a coprirmi, ma i bottoni della camicetta
erano stati tutti
strappati e non c’era molta differenza.
Mi
resi conto che lui mi stava squadrando da capo a
piedi, approfittando del silenzio. Non sembrava così
minaccioso, come mi era
apparso un attimo prima. Eppure il suo sguardo su di me mi metteva a
disagio.
“C-che
hai da guardare!?” Chiesi, ritirandomi un po’,
in modo da coprire la mia pelle scoperta. Giurai di aver visto le sue
guance
arrossarsi, poco prima che lui si voltasse, coprendo il suo volto con i
capelli
ricci.
“N-nulla…
piuttosto, tu che hai da fissarmi?”
Contrattaccò, controllando la voce.
Questa
volta fu il mio turno di arrossire. I miei occhi
avevano indugiato sul suo torace. Aveva degli
addominali scolpiti di chi si allenava costantemente e le braccia erano
toniche
e muscolose. Non mi sorprendeva che, nonostante la giovane
età, fosse un
maestro di arti marziali.
Mi
voltai, sentendo il mio viso imporporarsi.
“Diciotto.”
“Cosa?”
“Mi
hai chiesto quanti anni ho, no? Te l’ho detto: ho
diciotto anni.”
Esasperata,
radunai tutta la pazienza di cui ero capace
e mi sedetti, sperando con tutta me stessa che quell’incubo
finisse presto.
Nonostante tutto, però, non potei fare a meno di guardarlo,
mentre finiva di
vestirsi. Era stranamente rassicurante, nonostante fosse un odioso
cafone.
Si
sedette accanto a me e notai che si era calmato.
“Ascolta,
ragazzina… io non o chi sei, appena te la
senti, andremo alla polizia e chiederemo a loro, ma non mi aspetto molto.”
Sussurrò, tamburellando il
pugno contro il tavolo, come se cercasse di non dare a vedere qualcosa
di
importante.
“D’accordo…
solo che potresti evitare di chiamarmi
ragazzina?” Chiesi, infastidita da quel nomignolo. Mi
sembrava che lui stesse
cercando di erigere una barriera tra noi.
“E
come dovrei chiamarti?”
Bella
domanda. Non aveva tutti i torti, dopotutto non
avevo nemmeno un nome. Solo che quel dannato vezzeggiativo mi dava
fastidio,
come se mi identificasse come la ragazzina svampita che aveva soccorso
in
strada. E sinceramente non volevo proprio che mi considerasse
così.
“Proviamo
a trovarlo!” Proposi, cercando di essere
ottimista. Magari se lo avessi coinvolto un po’ si sarebbe
abituato.
Avevo
un po’ torto.
“Trovatelo
da sola, un nome. Io devo andare agli
allenamenti.” Sbuffò, avviandosi verso la sua
camera.
Inutilmente,
cercai di trovare qualcosa che mi
ispirasse un nome, ma nulla mi faceva venire un idea. Provai a
sfogliare le
riviste che vidi nella libreria, ma non trovai nessun particolare nome.
Tutti
nomi di moto o macchine. Qualche volta appariva, tra le pagine, una
pubblicità
che mostrava una donna in pose accattivanti, ma nulla che mi facesse
venire un
idea. Le riviste di moto non erano state, poi, una grande idea, ma il
tentativo
poteva valere.
Iniziai
a scorrere i libri impolverati, ma nessuno dei
titoli mi attirava, tranne uno che mi suonava familiare:
“Hunger Games.” Ebbi
la sensazione di averlo letto anche io, ma non ricordavo assolutamente
nulla,
nemmeno della trama. Stavo per afferrarlo, quando un campanello
suonò ripetutamente,
facendomi sobbalzare.
“Perseus
Jackson! Ti ordino di aprire immediatamente
questa porta!” urlò una voce femminile proveniente
dall’esterno.
Chi
era? La sua ragazza? L’idea mi fece venire uno
strano moto di gelosia, ma subito lo scacciai. Percy aveva il diritto
di stare
con chi vuole e di certo c’erano persone migliori di quel
cafone.
Il
diretto interessato, però, uscì di corsa dalla
sua
stanza e aprì la porta, facendo entrare una ragazza forse
più grande di lui.
Aveva il volto duro pallido ricoperto di lentiggini che le davano un
aria da
ragazzina era incorniciato da una cascata di bei capelli neri. I suoi
occhi
erano azzurro elettrico e aveva l’aria vivace.
Entrò senza nemmeno chiedere il
permesso. Percy provò a fermarla, ma lei non lo
calcolò nemmeno e si piantò
davanti a me.
Il
suo sguardo mi mise in soggezione.
“Allora
è vera la storia della ragazza trovata per
strada… cos’è successo, Percy? Sei
diventato un supereroe?” Chiese,
rivolgendosi a lui.
“Talia!
Ti prego!” Provò ad interromperla lui, ma
quella era una macchina da guerra e lo ignorò, sedendosi
accanto a me.
“Ciao.
Io sono Talia Grace, amica di quell’orso
solitario di Jackson. Come ti chiami?”
Io
arrossii fino alla punta delle orecchie, sentendomi
una stupida totale. Avrei voluto poter raccontare qualcosa, ma non
sapevo cosa
dire.
“Io…
non lo so.” Ammisi, in imbarazzo, continuando ad
armeggiare con la camicetta, più per non imbarazzarmi che
per sistemarla.
“Oh…
capisco.” Detto questo si rivolse all’amico.
“Hai
ripescato una smemorata, eh?”
Il
sorrisetto malizioso di Talia sembrò esasperarlo.
Alzò gli occhi al cielo. Lo immaginai alla ricerca di ogni
briciolo di
autocontrollo di cui disponeva.
“Mmmh…
non hai un nome, ma… a giudicare dai lineamenti
e dal colorito non sei di queste parti.” Aggiunse la mora,
tornando a
concentrarsi su di me.
Scrollai
le spalle, sentendomi la lingua bloccata nel
palato. Mi sentivo inutile senza passato. Ero certa che quella ragazza
avrebbe
potuto dirmi diecimila cose interessanti e io nessuna su di me. Odiavo
non
sapere di cosa parlare, anche perché parlare mi piaceva.
"Cos’hai
in tasca?”
La
sua domanda mi lasciò interdetta: in effetti la
tasca sinistra dei miei jeans aveva un rigonfiamento che prima non
avevo
notato. Con tutte quelle preoccupazioni non mi ero nemmeno accorta di
quel
particolare, o della leggera pressione che l’oggetto
esercitava sulla mia
coscia.
Appena
misi mano nella tasca percepii un freddo blocco
di metallo scolpito attaccato ad una catenina. Lo afferrai con
eccessiva
trepidazione e lo osservai: era un pendente scolpito per formare una
parola che
poi una catenina permetteva di legare al collo.
“Sembra
un pendente… è un nome…
Annabeth…” Notò Talia,
sporgendosi verso di me.
Appena
lo disse, ebbi la certezza che quello era il mio
nome. Non sapevo chi mi avesse regalato quel monile, ma fui felice di
averlo:
finalmente un nome. Qualcosa a cui aggrapparmi, una piccola luce
nell’oscurità
da cui potevo ripartire per ricostruirmi.
Mentre
riflettevo su quel nome, Percy prese da parte la
sua amica, cercando di non farsi sentire. Peccarto che, invece, la sua
voce mi
raggiunse.
“Senti,
io devo andare in palestra… puoi rimanere qui
ad occuparti di lei. “ Esitò.
“è un po’…
svampita.”
Ma
che cafone! Come si permetteva di darmi della
svampita!? Io non ero una svampita, ero senza memoria, ma non mi
sembrava una
buona scusa per definirmi tale. Una fortuna che la ragazza corse in mio
aiuto.
“Non
credo che abbia bisogno di una bebysitter, ma se
proprio vuoi, rimango.”
“Ottimo…
io vado!” Aggiunse, alzando la voce, per poi
uscire e andarsene, cosa che, stranamente, mi lasciò un
po’ triste.
“Allora…
che ne dici di mangiare qualcosa? Hai l’aria
di una che non mangia da secoli.”
Non
avendo vestiti, Talia uscì, per poi tornare,
mezz’ora dopo con una pizza fumante dentro un contenitori di
cartone. L’odore
di mozzarella, pasta e salsa di pomodoro cotta invase l’aria
e, per la prima
volta, sentii veramente la fame. Il mio stomaco brontolava, reclamando
cibo e
acqua.
Addentai
famelica la pizza, cercando di darmi un
contegno, ma a Talia non sembrava importare. Mi piaceva: era una
ragazza
decisa, forte e allegra. Aveva un’energia quasi illimitata e
riuscì, persino a
strapparmi un sorriso, mentre parlava di un sacco di stupidaggini che
riguardavano lei e Percy. Notai che non aveva parlato della sua
famiglia, ma
non indagai. Nello stesso tempo, rinfrancata dal cibo, provai a
raccontare quel
poco di storia che avevo.
Lei
ascoltò paziente fino alla fine. I suoi occhi blu
elettrico sembravano mandare scintille.
“Così…
non ricordi proprio nulla.” Commentò alla fine.
Annuii,
ma stranamente, sapere il mio nome, avere la
pancia piena e aver avuto la possibilità di raccontare
tutto, mi fece sentire
molto meglio. Non avevo recuperato la memoria, ma almeno mi ero
confidata.
“So
solo che il mio nome è veramente Annabeth… ma non
ricordo nient’altro che un paio di occhi azzurri come il
ghiaccio.”
Talia
si accigliò, assumendo un cipiglio interrogativo
e riuscii a leggere la sua perplessità. Stava cercando di
risolvere il mistero
che si celava dentro di me, ma non aveva nulla su cui basarsi. Si
avvicinò
ancora di più, pulendosi la bocca e le mani, con un
tovagliolo ed esaminò ogni
parte di me.
I suoi occhi si spostavano dal mio volto, fino ai miei vestiti. Ebbi
una strana
paura: paura che lei mi allontanasse, che mi considerasse un appestata,
ma
invece, non fece nulla di ciò. Sorrise e mi dette una pacca
sulla spalla.
“Tranquilla…
non sei sola, ora vediamo di scoprire
qualcosa.”
Mi
sentii sollevata dal fatto che le mie paure non fossero
fondate. Era molto pratica, ma non aveva paura dell’ignoto.
La ammirai per il
suo ottimismo. Avrei voluto davvero poterlo condividere.
“I
tuoi vestiti sono messi male… ma sono costosi, ne
sono certa. Devi essere di buona famiglia.”
Osservò, rabbuiandosi un po’, come
se quello le avesse fatto venire in mente qualcosa di spiacevole.
“E…
se non avessi una famiglia?”Non seppi dire se lo
sperassi fosse vero o temessi quella possibilità.
“Non
dire sciocchezze!” Esclamò Talia, tornando allegra
ed energica alla velocità della luce. “Sono certa
che, in questo momento, sono
preoccupatissimi. Quando li avrai ritrovati, potrai ricordare tutta la
tua
vita. Anzi ho un idea!”
La
mia stima nei suoi confronti aumentò a dismisura,
quando mi espose la sua idea: estrasse un piccolo I-phone, dicendo che
avrebbe
cercato sul sito di persone scomparse una fotografia corrispondente
alla mia
faccia.
Fui
felice di avere quella piccola speranza di tornare
a casa.
“Che
mi sai dire di Percy?” Chiesi, mentre continuava a
scorrere foto e descrizioni di ragazze scomparse. Io mi ero messa a
lavoro,
mettendo via il cartone unto che conservava la pizza che avevamo
mangiato.
“Oh…
Ehm… non c’è molto da dire, su di
lui.” Disse,
senza perdere il contatto visivo con lo schermo.
“Lui… non è molto felice di se
stesso. Ha praticato arti marziali fin da quando era bambino ed
è anche un
nuotatore fantastico. Sono le due cose che sa fare meglio. Da quando
aveva
quindici anni ha usato questo suo talento per guadagnarsi da vivere,
dato che
la madre… diciamo non poteva.”
Detto
questo indicò la foto che avevo notato prima sul
comodino. Mi avvicinai, osservandola curiosa. Potevo notare quasi ogni
singola
somiglianza con il figlio: i capelli, così simili, i
lineamenti. Solo gli occhi
erano diversi. Il figlio aveva degli occhi verde acqua, mentre la madre
li
aveva castani chiari.
“È…
morta?” Chiesi con un filo di voce, pregando di
avere torto.
“No…
ma è in coma. È rimasta coinvolta in un grave
incidente, quando Percy era ancora giovane. Lui… era molto
legato a lei. Quasi
tutto quello che guadagna lo manda all’ospedale per pagare le
cure necessarie a
tenerla in vita, anche se i medici dicono che non si
sveglierà più. Lui, però,
si rifiuta di accettarlo e dice sempre che troveranno una cura e che
deve solo
avere pazienza. Quando, poi, gli hanno dato un lavoro come maestro in
una
palestra, un anno fa, ed ebbe qualche soldo in più,
riuscì a permettersi
l’affitto di questo appartamento. Per il resto…
è abbastanza normale.”
La
spiegazione di Talia mi lasciò l’amaro in bocca,
ed
ebbi l’orribile sensazione di essere diventata un peso. Percy
faticava ogni
giorno per tenere in vita la madre eppure aveva trovato il tempo di
salvarmi la
vita ed ospitarmi in casa sua. La sua storia era terribilmente triste e
mi sentii
un’intrusa. Se solo avessi potuto fare qualcosa per dare una
mano.
Capii
che anche Talia provava dolore, condividendolo
con Percy ed iniziai a vederlo sotto una nuova luce. Non lo consideravo
più un
cafone, ma una persona che aveva avuto un passato sconcertante e che
faticava a
staccarsi da esso.
“Mi
dispiace.” Disse, all’improvviso, la mora, tornata
di nuovo quella di prima, solo che era molto accigliata e aveva rimesso
in
tasca il cellulare. “Non ho trovato nessuno che ti
corrisponda… il che siginfica…”
“Che
nessuno mi sta cercando.” Conclusi sconsolata,
lasciando ricadere la testa sul tavolino di legno, cercando di
trattenere la
lacrime.
Anche
quella speranza era svanita, come il mio passato.
Ero tristissima, sia per la storia di Percy che per la mia amnesia.
Avrei
voluto poter risolvere tutti i problemi, ma non avevo nulla su cui
basarmi.
“Ehi!
Non è vero! Dai… non ti abbattere. Troveremo una
soluzione.” Mi consolò la mora, sedendo accanto a
me, accarezzandomi la schiena
comprensiva.
Annuii,
un po’ sollevata. Era bello poter contare su
qualcuno. Talia era una vera amica e seppi di poter contare su di lei.
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[Angolo
dell’autore]
Ancora
non riesco a staccarmi, ma solo perché non
abbiamo ancora iniziato. Appena inizierà la storia
principale di Venti del
Nord, questa ff andrà in secondo piano. Il lato positivo,
però, è che, fino a
quel momento, continuerò a scrivere questa storia.
Spero
che altri recensiscano, ma fino ad allora, un
ringraziamento particolare a Ramosa12.
AxXx