CONOSCENZE
Il
ritorno di Percy fu tanto veloce, quanto
inaspettato: erano circa, le due del pomeriggio, quando la porta si
aprì,
facendolo entrare in casa, ancora sudato per gli allenamenti.
Probabilmente
aveva mangiato fuori, ma non mi spiegai quel ritardo così
assurdo, finché non
tirò fuori dal borsone una busta che mi porse.
“Ho
visto che i tuoi… vestiti non sono messi benissimo.
Ti ho comprato un cambio, così, almeno, potrai coprirti come
si deve.” Spiegò
guardando fuori dalla finestra, quasi volesse nascondere il fatto che
voleva
aiutarmi.
A
me, però, non interessava. Finalmente la giornata
stava prendendo una buona piega: Non avevo la memoria, ma avevo avuto
la
fortuna a capitare in un posto amichevole, con un ragazzo gentile e che
un po’
ci pensava, anche se era un cafone e mi aveva dato della svampita. Non
seppi
resistere e gli detti un bacio sulla guancia.
“Grazie.”
Percy
arrossì così tanto che sembrò sul
punto di
prendere fuoco, facendo scoppiare Talia a ridere.
“Ehi!
Non prendere troppa confidenza!” Mi canzonò una
voce femminile, divertita, dietro il ragazzo.
Solo
allora mi resi conto che alle sue spalle c’era
un’altra ragazza, dai capelli che erano una cascata di ricci
rosso fuoco. Aveva
anche lei gli occhi verdi ed indossava un paio di short di jeans e una
maglietta che sembrava imbrattata in più punti da vari
colori di vernice. Anche
lei portava uno zaino.
“Rachel!”
La salutò Talia, dandole un buffetto
affettuoso sulla guancia, per poi avviarsi verso la porta.
“Mi raccomando, la
lascio nelle vostra dolci manine. Ci vediamo, Annabeth, spero rimarrai
ancora
un po’, fa arrossire quel pesce lesso.”
Detto
questo, dette anche a me un buffetto sulla
guancia, indicando Percy e se ne andò, mentre io la salutavo
confusa e anche un
po’imbarazzata, mentre la nuova arrivata
si sedeva accanto a me.
“Allora…
posso controllare la tua ferita?” Mi chiese,
spiccia, senza nemmeno presentarsi.
Ero
un po’ preoccupata e, istintivamente, mi voltai per
osservare Percy, che, però, mi fece un cenno di assenso.
“Rachel
mi ha aiutato a medicarti. È un ottima
dottoressa.” Spiegò, senza la minima variazione
del volto.
“La
smetti di dire che sono una dottoressa!? Io sono
una veterinaria. V-E-T-E-R-I-N-A-R-I-A! è diverso! E potrei
aggiungere che sono
solo al secondo anno di studi.”
Fantastico,
quindi ero stata curata da una che non era
qualificata a curare gli uomini, per di più inesperta.
Dannato testone cafone,
ma perché mi era capitato lui!? Ma no, non era nemmeno colpa
sua, la sua amica
aveva fatto un ottimo lavoro, inoltre un uomo è un animale,
non c’è poi così
tanta differenza.
Mi
voltai, lasciando che la ragazza mi controllasse la
ferita, mentre canticchiava una canzone che non riconobbi.
“Mmmmh…
sei fortunata che quel testone mi abbia
chiamato. Una botta del genere sarebbe potuta essere fatale.”
Disse, infine,
dopo aver sciolto la benda.
In
effetti sentii la testa farsi più leggera, ma
subito, il sangue iniziò a correre, facendomi spaventare.
Temetti di cadere di
nuovo nel buio, dimenticandomi di nuovo, tutto quel poco di vita che
avevo. Mi
imposi la calma, non potevo mettermi ad urlare come una ragazzina
isterica.
“Credi…
credi che sia grave?” Cercai di controllare la
mia voce, anche se non ero per nulla certa di esserci riuscita.
“Come
ti ho già detto, lo era, ma solo perché perdevi
sangue. Adesso è tutto sotto controllo. Certo che chi ti ha
ferita, doveva
essere un bestione.” Commentò, noncurante, mentre
la sentivo versare qualcosa,
probabilmente una pomata o un coagulante, nella ferita.
“Mi
stai dicendo… che sono stata aggredita?” Faticai a
registrare quell’informazione. Chi era stato?
Perché l’aveva fatto? La mia
mente iniziò a formulare un numero di ipotesi infinite su
queste domande, ma
nulla fece tornare a galla qualche ricordo. Ero ancora nel vuoto totale.
“Dubito
che sia una ferita da caduta… è troppo
profonda. Devi essere stata spinta.” La sentii irrigidirsi un
po’, mentre lo
diceva. Forse non voleva traumatizzarmi. “Secondo me, sei
stata aggredita, poi
il tipo ti ha spinta, ma è stato preso dal panico, vedendoti
morta ed è
scappato via.”
“Questo
non spiega come mai non abbiamo trovato né
documenti, né nient’altro, insieme a
lei.” Fece notare Percy, che aveva messo a
posto il suo zaino e ci osservava con la schiena appoggiata al muro.
Per
diversi minuti, un lungo silenzio riempì la stanza:
io non parlavo, mentre riflettevo su quanto ero successo. Avrei voluto
essere
da aiuto, ma nulla usciva da quel vortice nero che si trovava al posto
di
quella che avrebbe dovuto essere la mia vita passata. Sembrava che quel
giorno
avessi cominciato a vivere, ma sapevo che non era vero. Il problema era
che non
capivo se fosse un bene o no. Non potevo dire: “è
il più brutto giorno della
mia vita”, perché la mia vita, per me, era
iniziata quella stessa mattina.
Provai
ad immaginare il mio passato, ma le parole di
Talia mi rimbombavano nella mente come un eco insopportabile: “Qui tu non ci sei.”
Perché i miei non mi stavano cercando? Mi odiavano? Ero
scappata di casa? Mi
trattavano bene o male? Mi avevano cacciata? Nella mia mente si fece
strada il
dubbio che forse erano stati proprio loro ad aggredirmi, ma non volli
pensarci,
il solo pensiero mi faceva piangere.
“Ecco
fatto. Ora è di nuovo a posto.” Disse, infine,
Rachel, sistemandomi la benda.
In
quel momento la porta si aprì di nuovo ed entrò
un
altro ragazzo sui vent’anni: aveva la pelle scura, era
vestito con jeans lunghi
ed una maglietta verde con su scritto Salva
un albero per te stesso con sotto il disegno che doveva
corrispondere ad
un’associazione ambientalista. Aveva i capelli neri, lunghi e
una barbetta
simpatica che gli cresceva disordinata sul mento. Aveva gli occhi
castani che
ricordavano la corteccia di un albero.
“Annabeth,
ti presento il mio migliore amico: Grover
Underwood, era con me, quando ti abbiamo trovata.” Lo
presentò Percy con un
sorriso, anche se non sembrava felice che la casa si stesse affollando
in quel
modo.
“Così
ti chiami Annabeth, eh? Sono felice di vedere che
stai bene.” Disse lui, sorridendo, facendomi arrossire.
“Ehm…
piacere… solo… puoi evitare di
guardarmi?”
Chiesi, cercando di coprirmi di nuovo. Avendo avuto a che fare solo con
altre
ragazze, mi ero quasi dimenticata che la mia camicetta era a brandelli.
Ora,
invece, avrei davvero preferito un po’ di privacy.
Lui
sembrò capire, perché si voltò, senza,
però,
abbandonare il suo sorriso.
“Sarà
meglio che mi cambi.” Proposi, prendendo i
vestiti che mi aveva preso Percy.
“Certo…
il bagno è lì, vai pure.” Mi disse il
ragazzo,
con un cenno del capo.
Lo
ringraziai ed entrai. Era un locale davvero piccolo:
c’era solo lo spazio sufficiente per una doccia, un lavandino
ed un gabinetto.
Mi guardai allo specchio e mi resi conto di avere un aspetto orribile:
oltre la
camicetta strappata e i pantaloni sporchi, la mia pelle aveva dei
lividi, uno
particolarmente evidente sulla guancia. I polsi erano feriti, ma non
volli
sapere come me lo fossi fatto. I miei occhi erano arrossati e la pelle
era
pallida. I capelli erano appiccicaticci e pieni di nodi.
‘Sembro
uno zombie…’
Pensai, mentre cercavo di darmi una
sistemata.
“Posso
usare la doccia?” Chiesi dall’altra parte della
porta.
“Sì!
Fai pure! Gli accappatoi sono lì vicino, a destra
della doccia.” Rispose Percy.
Sollevata
mi spogliai in fretta e presi uno dei due
accappatoi appesi, posandolo sul lavandino. Accesi l’acqua
calda e mi
posizionai sotto il getto. I miei muscoli si rilassarono subito. Sentii
lo
sporco scivolare lontano da me, così come
lo stress che avevo accumulato durante tutta la mattina.
La sensazione
di acqua calda mi fece venire i brividi dal piacere e il suo scorrere
tra i
capelli mi permise di sciogliere i nodi. La feci scorrere sul viso,
sentendo
tutti i dolori farsi meno intensi.
Mi
ripulii velocemente, anche se indugiai per un minuto
sotto il getto, beandomi di quella sensazione così
piacevole, ma sapendo che
non potevo sfruttare così a lungo il bagno, non mi trattenni
oltre.
Mentre
mi asciugavo, Percy e i suoi amici discutere.
“Devi
portarla alla polizia!”
“Lo
sai che il comandante Grace non mi sopporta! Mi accuserà
di averle messo le mani addosso!”
“Ma
non è vero, non avrebbe nemmeno le prove.”
“Mi
tratterrebbe… da quando sono sulla sua lista nera,
non vede l’ora di sbattermi dentro.”
Poi
intervenne Rachel, che sembrava più incoraggiante
che arrabbiata: “Percy, smettila! Non puoi tenerla qui per
sempre e poi, se l’hanno…
se le hanno fatto del male, la polizia dev’essere informata!
Hai visto i tagli
sui polsi? Sembra che sia stata ammanettata o legata. Non so
perché, ma DEVI
andare alla polizia.”
Non
sentii la risposta, ma intuii che Percy aveva dei
problemi e non si fidava delle autorità.
Decisi
di fare in fretta, così mi avvolsi
nell’accappatoio
e usai l’asciugacapelli. Quando fui certa di aver rimosso
ogni traccia di
sporco dal mio corpo, mi concentrai sui vestiti che Percy mi aveva
preso. Mi
sentii un po’ in colpa a fargli spendere soldi per me, quando
lui faceva fatica
ad andare avanti, ma cercai di scacciare quella convinzione.
‘Appena
ricorderò qualcosa, lo ripagherò…
spero di poterlo fare, almeno.’
Mi dissi, indossando i jeans e il maglione. Ero felice di poter
indossare
qualcosa di nuovo e pulito. I pantaloni non erano troppo stretti, e il
maglione
era caldo e comodo. Allo specchio avevo ancora i lividi e le ferite, ma
gli
occhi erano tornati di un colorito normale e lo sporco era sparito.
Mi
sentii sollevata, anche se ero ancora in ansia per
quel vuoto che invadeva la mia memoria.
Uscii
e vidi che Rachel stava prendendo le sue cose.
“Oh,
eccoti… Annabeth, senti, io devo andare. Se avessi
bisogno di me, chiamami, Percy, lasciale il telefono e non fare il
geloso come
al solito.” Mi disse, quando mi vide sulla porta, ammiccando
verso l’amico.
Lui
scrollò le spalle sospirando. “Lo farò,
ci sentiamo
Rachel.”
“Ci
sentiamo e prenditi cura di lei!” Salutò la rossa,
prima di sparire, anche lei, oltre l’ingresso.
Per
un attimo, rimasi ferma sulla porta del bagno senza
sapere, esattamente cosa fare. I due ragazzi mi squadravano con
attenzione,
quasi volessero passarmi ai raggi X
“Stai
benissimo. Una fortuna che io abbia indovinato le
misure.”
Percy
aveva un sorriso radioso stampato in faccia che,
per poco, non mi fece sciogliere, ma mi imposi un minimo di contegno.
Non
volevo apparire svenevole, certo che però, era mi sentivo
molto più sicura con
lui accanto.
Mi
avvicinai e mi sedetti sul divano, mentre Grover
lanciava un fischio, intuendo che fosse un assenso alle parole
dell’amico.
Sentii
Percy sedermisi accanto ed io ebbi l’irrazionale
impulso di abbracciarlo, ma mi trattenni. Sentivo che doveva dirmi
qualcosa di
importante.
“Allora…
te la senti di andare dalla polizia?”
“Per
raggiungere il distretto più vicino ci mettemmo
quasi mezz’ora tra camminata e metropolitana, dopotutto Percy
non aveva una
macchina, solo una moto, che, però, non era lì.
Grover mi spiegò che lui
preferiva lasciarla a suo cugino: Nico di Angelo, che faceva il
meccanico e che
custodiva il prezioso veicolo con cura in un garage.
“È
gelosissimo di quella moto, secondo me crede che sia
la sua fidanzata.” Scherzò il ragazzo, facendo
scoppiare a ridere, mentre Percy
arrossiva. Adoravo quello scintillio che gli illuminava gli occhi
quando era
imbarazzato.
“Non
è vero!” Sbottò, mentre scendevamo
nella
metropolitana sotterranea.
Quando
ci lasciammo il sole alle spalle mi irrigidii.
Capii che non mi piacevano gli spazi bui e chiusi. Poi
c’erano tutte quelle
persone…
Mi sentii spintonare in più direzioni, mentre seguivo i due
lungo quel fiume di
gente sconosciuta che mi faceva quasi paura. Per un attimo mi feci
prendere dal
panico, ma poi sentii la mano di Percy sulla mia.
“Ehi…
sei pallida, stai male?” Chiese preoccupato. “Vuoi
tornare a casa?”
Scossi
la testa, non volevo apparire debole: “No…
andiamo.”
Il
panico mi aveva presa perché non ricordavo di essere
mai stata in un posto così affollato. Tutto, lì,
mi era sconosciuto. Era come
imparare a camminare di nuovo, ma non mi feci abbattere. Ripresi la
calma e
stetti dietro ai due.
Una
volta all’interno del veicolo Percy ed io ci
sedemmo accanto, mentre Grover rimaneva in piedi, dicendo che si
sarebbe dovuto
fermare al prossimo scalo, così, appena le porte si aprirono
di nuovo ci
salutammo, lasciandomi sola con l’amico.
Avrei
voluto chiedergli tante cose: il suo viso era una
maschera impassibile, ma iniziavo a vedere oltre tutta la sua forza di
vivere e
la sua volontà che riusciva a tenere a bada la tristezza.
Avrei voluto poterlo
aiutare, ma come potevo, se non sapevo nemmeno come aiutare me stessa?
Al
distretto di Polizia fu Percy ad irrigidirsi.
Sembrava che quel posto fosse legato a ricordi poco felici. Ci fermammo
in
portineria, dove un agente prese le sue credenziali, dato che lui
raccontò
della mia perdita di memoria. Dopo aver fatto questo, fece una
telefonata e ci
disse di andare nell’ufficio dell’agente Tomas, al
secondo piano.
Usammo
l’ascensore per raggiungere un ampio stanzone,
dove erano allineate una decina di scrivanie, ognuna delle quali
ospitava un
agente di polizia, intento a ricevere telefonate o a studiare fascicoli
di
qualche caso. Ogni tanto cercai di buttare un occhio qua e
là, alla ricerca del
mio volto in una foto, ma non vidi niente che mi somigliasse.
Entrati
nel suo ufficio, lui ci fece delle domande, ma
fu prevalentemente Percy a rispondere, pur mantenendo quella postura
rigida che
aveva da quando era entrato.
“Quindi…
signorina, sicura che non ricorda
assolutamente nulla?” Chiese l’agente, alla fine,
rivolto a me.
“No
signore… come ho detto, non ricordo nulla di
nulla.”
Risposi scuotendo la testa. La domanda mi seccò un
po’, dato che era più o meno
la quarta volta che lo chiedeva.
“Capisco…
signor Jackson, come mai non ha chiamato
l’ospedale?”
“Era
messa malissimo, non avrebbero fatto in tempo, così
ho chiesto ad un’amica che abitava vicino a me di darmi una
mano. Come può
vedere, sta bene.” Sbottò lui, sempre
più rigido. Sembrava che la sua pelle
fosse diventata di legno.
“Ha
notato qualche particolare, sul posto dove l’ha
trovata? Tracce di pneumatici, impronte?”
“Sì,
ma erano talmente leggere che non ho idea di che
tipo fossero, inoltre nevicava e le tracce sarebbero sparite a breve.
Ho
pensato prima a lei.” Rispose.
Ha
pensato prima a me.
Quelle parole mi fecero sentire
stranamente felice. Il fatto che Percy si preoccupasse per me era un
sollievo.
Era stata la prima persona che avevo visto dalla mia perdita di memoria
e la
prima a darmi una mano. Avrei voluto abbracciarlo.
“Capisco…
firma qui, ragazzo.” Concluse l’agente,
porgendogli una trascrizione dell’interrogatorio.
Mentre
lui scriveva, l’agente mi accompagnò in un
laboratorio vicino, dove una donna in divisa medica isolante, mi fece
dei
veloci prelievi di campioni e delle foto alle ferite delle mani e ai
lividi.
“È
per capire se sono state provocate da un arma. Se
sì, lo scopriremo, inoltre analizzando il tuo sangue
potremmo cercare qualche riscontro
sui nostri database, è la procedura standard.”
Spiegò, mentre mi tamponava la
pelle ferita dall’ago.
Non
ero molto felice di essere ferita di nuovo, ma
almeno sarebbe servito a qualcosa. Mi tirai su di nuovo le maniche del
maglione
fino ai polsi e mi lasciarono uscire. Percy mi torno a fianco, ansioso
di
uscire di lì, ma quando fummo a pochi passi
dall’ascensore, una voce imperiosa,
profonda e marziale ci fermò.
“Jackson,
fermo lì!”
Ci
voltammo entrambi, per vedere un uomo alto e ben
piantato farsi avanti. Al contrario degli altri agenti, indossava un
abito da
uomo elegante: pantaloni, scarpe da sera, giacca e cravatta. Il volto
era
squadrato e i capelli neri. Gli occhi erano azzurri elettrici e
minacciosi,
come un fulmine in una tempesta.
Sentii
Percy irrigidirsi ancora di più e lo vidi
stringere i denti, mentre sussurrava: “Gioven
Grace.”
Grace…
Grace…
Talia
Grace! Ecco dove avevo già sentito quel nome!
Osservai
di nuovo quell’uomo possente farsi avanti,
fino a fermarsi davanti a noi: era il capo della polizia ed era anche
il padre
di Talia.
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[Angolo
dell’autore]
Rieccomi!
In tempo record aggiorno, tornando alla
carica con un nuovo capitolo. Finalmente Annabeth si rilassa,
nonostante le
migliaia di preoccupazione che la attraversano, poverina.
Così
si scopre che il capo della polizia è il padre
di Talia (Da notare che Gioven, sarebbe Giove, cioè, il nome
latino di Zeus,
scusate, ma non avevo molte idee ;) )
Chissà
quali altre sorprese riserveranno il futuro
di Annabeth. Riuscirà mai a ricordare chi è
veramente?
AxXx
PS:
in ringraziamento particolare a Ramosa12,
Alex_Logan e Cloud_Jas che hanno recensito! Non siate timidi e
recensite anche
tutti voi che seguite la storia ^_^