Fine
Primo Giorno
Percy fu
condotto nell’ufficio dell’ispettore capo, mentre
io
fui lasciata sola, seduta lì a fianco, in attesa che lui
potesse uscire.
“Aspetti
qui, signorina… devo trattenere il suo amico
solo per qualche minuto.” Disse il capo della polizia Grace,
sorridendomi
freddamente, mentre metteva una mano sulla spalla del ragazzo.
Ovviamente
nessuno di noi due pensò di contraddirlo, ma
intuii che Percy non era per niente felice di quella situazione ed
anche io non
ero del tutto convinta. Infatti, a riprova dei miei sospetti, erano
passate
quasi tre ore da quando lui era chiuse lì dentro. Ogni tanto
il signor Grace
era uscito, per prendere un caffè, ma non mi aveva prestato
attenzione.
Controllai
per l’ennesima volta l’ora sull’orologio
a
muro che troneggiava sulla parete alla mia destra.
“Annabeth!
Che ci fai qui?” Chiese Talia che si fece
avanti, come se conoscesse a mena dito tutto quel posto. Era ancora
vestita con
i jeans attillati e la maglietta scollata.
“Sto
aspettando che Percy finisca… tuo padre l’ha
portato
dentro.” Risposi, facendo un cenno verso la porta.
“Oh
no…” La ragazza si dette un colpo sulla fronte con
il palmo della mano. Sembrava terribilmente dispiaciuta.
“Avrei dovuto
immaginarlo, eh sì, che lui non voleva venire. Da quanto
è lì.”
“Tre
ore, circa.”
“Cosa!?”
Mi
strinsi le spalle: non ricordavo se quell’uomo lo
potesse fare per legge, ma avevo la sensazione che non potesse. Il
problema è
che ero io, quella senza memoria, lui aveva il coltello dalla parte del
manico.
“Perché
non si sopportano?” Chiesi. Mi dispiaceva
interrogare Talia, soprattutto perché anche a lei non
sembrava piacere
quell’argomento, ma avevo bisogno di sapere.
“Mmmh…
è una parte della storia di Percy che non mi
piace. Soprattutto perché lui non c’entrava molto
e non è una bella storia. Due
anni fa, rimase coinvolto in una retata della polizia per fermare un
pericoloso
spacciatore. Lui… non ho idea del perché si
trovasse in zona, ma lui fu preso
insieme a tutti gli altri criminali. Per via di una serie di cavilli
legali,
quasi tutti i coinvolti furono scagionati, Percy compreso. Mio padre,
all’epoca, era a capo dell’operazione ed era
convinto che tutti i coinvolti
fossero colpevoli. Si è legato al dito il fatto che fossero
stati scagionati e
quindi approfitta sempre di ogni scusa per accusare Percy di qualsiasi
cosa
succeda.”
Altro
problema con cui Percy doveva occuparsi. Di nuovo
mi sorpresi che riuscisse ad avere tempo per allenare, e occuparsi di
me. Io
sospirai e abbracciai le mie ginocchia. Ormai erano le sei del
pomeriggio ed io
iniziavo a sentire la fame farsi strada e abche il desiderio di uscire
e
tornare a casa mia… o meglio, casa di Percy, visto che era
l’unico posto che
potevo considerare casa.
“Aspetta
qui, ci penso io a riportare qui quella testa
calda.” La rassicurò Talia, camminando impettita
verso la porta, aprendola di
botto.
“Ciao
papi!” Esclamò, richiudendosela alle spalle.
Sentii
provenire, da dietro la porta, delle voci,
all’inizio erano tranquille, ma poi divennero concitate e
forti, tanto che ebbi
l’impulso di tapparmi le orecchie, per non sentire, ma non lo
feci. Riuscii
solo a percepire poche parole sconnesse, ma intuii che padre e figlia
si
stavano prendendo a male parole.
“Grazie,
pa’… sono certa che starà
benissimo!” Sbottò
lei, uscendo poco dopo, con Percy che le barcollava dietro. Era sudato,
e le
palpebre sbattevano di continuo, come se fosse confuso.
“Cosa
ti ha fatto!?” Chiesi, in ansia, cercando di
guardarlo negli occhi, che sfuggivano i miei.
“Nulla
di particolare… a parte uccidermi di parole. Ha
cercato in ogni modo di farmi confessare che ti avessi violentata, ma
non sono
così deficiente.” Spiegò lui, mentre
scendevamo l’ascensore, insieme alla
nostra amica.
“Ma
non è vero! Tu mi hai salvato la vita, quel tipo
è
un’idiota!” Pu essendo il padre di una mia amica,
non riuscii proprio a
trattenermi.
Sorprendentemente
fu proprio lei a ridere di quel che
avevo detto: “Non hai idea di quanto hai ragione. Mio padre
è un testone… però
non dire a nessuno che il candidato alle elezioni per sindaco della
città è una
testa di legno.”
Informazione
da registrare: il signor Gioven Grace era
candidata come Sindaco di New York. Non seppi perché, ma
memorizzai
l’informazione, certa che mi sarebbe tornata utile.
“Sentite…
visto che dovete mangiare entrambi, e io non
ho una gran voglia di tornare a casa, che ne dite di mangiare fuori?
Offro io.”
Propose la mora, appena uscimmo dal distretto.
Nonostante
l’aria fosse inquinata, era molto meglio
respirare l’aria inquinata fuori che quella fumante e viziata
all’interno di
quel distretto.
“Grazie,
Tal… ma se tu non vuoi tornare a casa,
dove andrai a dormire?” Chiese, Percy, dopo
avermi presa per mano. +
Nonostante
mi sentissi un po’ in imbarazzo, non potei
non sentirmi rassicurata dalla sua stretta, che mi guidava in quel
labirinto di
strade a me del tutto sconosciute. Eppure non potei non pensare che lui
lo
facesse più per non farmi perdere che per affetto: come se
mi considerasse solo
una bambina ed io non volevo che mi considerasse una bambina.
“Oh,
sono certo che i tuoi cugini mi ospiteranno
volentieri. Nico è un tipo a posto, sono certa che non mi
negherà asilo per una
notte.” Rispose lei, senza fermarsi.
Camminammo
a lungo, quasi senza meta. Mentre Percy e
Talia chiacchieravano del più e del meno, io mi tenni a lui,
guardandomi
intorno, osservando quella massa di persone che ci passavano accanto
incuranti,
come fantasmi. Ogni persona poteva essere per me un ricordo, ma nessuna
aveva
un aria familiare.
Cercavo
qualcosa che riportasse a galla il mio passato:
nei volti, nelle giacche, nei passi, nelle case e nelle ombre, ma nulla
mi dava
l’impressione di essere già stata lì.
Non avevo idea di cosa mi fosse successo:
era come se fossi nata quel giorno.
Mentre
camminavo, ascoltai la conversazione tra Talia e
Percy.
“Dovresti
tornare… la band non è la stessa senza di te,
eri la nostra chitarra, senza di te stoniamo parecchio.”
Disse Talia, dando una
pacca sulla spalla del ragazzo.
“Sai
bene che non ho tempo… ho troppo da fare.”
“Hai
sempre troppo da fare… ti rendi conto di quante
possibilità hai sprecato?”
“Non
ho idea di cosa tu stia parlando.” Sbuffò lui,
nascondendosi di nuovo, dietro i suoi capelli mossi, come il mare
durante una
tempesta.
“Invece
sì… Eri il nuotatore migliore di New York e sai
suonare la chitarra in maniera fantastica. Ma hai gettato via tutto per
rimanere ad insegnare arti marziali.” Rispose Talia,
scuotendo la testa.
“Sai
perché l’ho fatto… non avevo tempo per
aspettare
che la fortuna girasse… avevo bisogno di soldi,
subito.” Rispose senza
scomporsi.
Avrei
davvero voluto potergli chiedere del suo passato,
anche solo per curiosità. Volevo sapere di quella sua vita
difficile magari per
aiutarlo, ma sentii che non era il momento giusto. Temevo che si
sarebbe potuto
arrabbiare se avesse scoperto che sapevo così tante cose su
di lui. Era strano
non sapere niente di se stessi e così tanto di
un’altra persona.
“Lo
so… mi dispiace, però… saresti potuto
diventare una
persona importante.” Disse la mora, dandogli una gomitata
amichevole. Non
sembrava volerlo canzonare, ma che dietro al sorriso della ragazza si
nascondesse sincero dispiacere.
“Lo
so… grazie per l’interessamento.”
Borbottò Percy,
continuando a camminare.
“Allora,
ti piace?”
Io
non risposi alla domanda di Talia, ma addentavo l’hamburger
che mi era stato offerto. Avevo una fame incredibile a causa di tutto
il tempo
passato nella centrale. Sapevo che avrei dovuto cercare di essere un
po’ più
educata mentre mangiavo, ma lo stomaco reclamava. La mattina non avevo
fatto
colazione e mezza pizza a mezzogiorno non mi aveva saziato del tutto.
“Dovrò
stare attento, o mi svuoterà il frigorifero.”
Commentò Percy sarcastico, mettendomi in imbarazzo.
“Non
è vero! Non mangio così tanto.”
Sbottai, pulendomi
il mento dal ketchup. “Ho solo fame!”
Lui
rise di gusto, facendomi arrossire ancora di più.
Non capivo perché cavolo dovesse comportarsi da cafone
antipatico. Sospettai si
divertisse a prendermi in giro. Sbuffai sonoramente, cercando di
ignorarlo e
addentai l’ennesimo boccone, masticando e assaporando
l’insalata e la carne del
panino. Non mi ero accorta, però, che, forse avevo esagerato
e, nella fretta di
ingoiare, il boccone mi andò di traverso.
Mi
sentii soffocare e una mano mi batté dietro le
scapole per spingere fuori dalle vie respiratorie il cibo in eccesso e,
per
fortuna, riuscii a sputare fuori tutto, tossendo alla ricerca
d’aria.
“Te
l’avevo detto di non ingozzarti.” Mi
canzonò Percy,
continuando a tenere la sua mano sulla mia spalla.
Io
non risposi, troppo impegnata ad ansimare ed
arrossire: che vergogna, ammettere che mi ero persino dimenticata come
si
mangia. Ora mi avrebbe preso in giro per tutta la vita. Ma non sembrava
intenzionato a farlo. Mi si avvicinò, pulendomi la faccia
ancora sporca con il
tovagliolo.
“Forse
dovresti mangiare un po’ più piano.”
Sussurrò,
con un sorrisetto divertito, ma senza alcuna malizia.
Stranamente,
mi sentii irritata, non sapevo perché, ma
mi dava fastidio essere trattata come una bambina di cinque anni. Mi
separai
dalla sua calda mano premuta contro la schiena e lo guardai male.
“Non
ho bisogno di una babysitter… anche se non ricordo
nulla, posso mangiare da sola.”
Lui
borbottò qualcosa che mi sembrò “D’accordo,
però sei una svampita comunque.”,
ma non risposi, anche perché non ero del tutto sicura di
quel che aveva detto. Quando
finimmo di mangiare fui quasi felice di poter tornare alla
metropolitana:
sapevo che da lì sarei tornata a casa di Percy,
l’unico rifugio sicuro in
quella tempesta di oscurità che vorticava intorno a me.
Talia scese due fermate
prima della nostra. Mi salutò, dandomi un bacio sulla
guancia e arruffò i
capelli dell’amico, facendogli la linguaccia.
“Ci
si vede e prenditi cura di Annie, altrimenti ti
strozzo.” Minacciò con un sorrisetto divertito,
come se volesse sottintendere
qualcosa sotto quelle parole.
“Non
c’è problema… lei non ha bisogno di una
babysitter.” Rispose lui, salutandola, scimmiottando la mia
voce.
Appena
la porta si chiuse gli tirai un pugno sul
braccio: “Smettila di prendermi in giro!”
Lui
scrollò le spalle, facendo finta di niente ed io mi
voltai dall’altra parte, sospirando esasperata. Non ricordavo
che la vita
potesse essere così complicata e stancante, ma forse ero io
che ero debole. La
mia testa era un affollamento di domande e nessuna risposta. Mi
chiedevo sempre
le stesse cose, cercando, invano di riportare alla mente qualcosa che
mi
ricordasse la mia vita, ma nulla mi faceva venire in mente qualcosa di
utile.
Tornati
a casa Percy iniziò ad armeggiare con il divano:
lo spinse contro il muro, spostò il tavolino e il futon, per
poi aprirlo
rivelando un divano letto. Non era molto grande, ma almeno era
accogliente. Lo
aiutai a sistemare lenzuola e coperte, così che potesse
assomigliare di più ad
un vero letto.
“Finché
non ricordi qualcosa potrai rimanere qui. Casa
mia non sarà grande, ma posso tenerti con me, per un
po’, non sono il tipo da
lasciarti dormire per strada.” Spiegò, una volta
che ebbe finito.
“Grazie,
Percy… mi dispiace disturbarti.” Dissi,
sincera. Non sapevo cos’atro dire, ma a lui non
sembrò importare, perché si
avvicinò a me e mi appoggiò una mano sulla
spalla.
“Stai
tranquilla… posso solo immaginare come ti senti,
anche io sarei disperato e smarrito, se perdessi la memoria, ma per
quel che
vale, conta pure su di me. Non ti chiuderò la porta in
faccia.” Mi rassicurò
con un sorriso stanco. I suoi occhi verdi erano l’unico faro
di certezza in
quel mare di nulla che mi circondava. Avrei voluto abbracciarlo, ma mi
imposi
un minimo di contegno. Non potevo somigliare ad una ragazzetta
svenevole, che
si lascia subito andare. Questo non mi impedì,
però, di sorridere in risposta.
“Sei
molto gentile… prometto che, appena ricorderò
qualcosa, farò di tutto per restituire questo
favore.”
“Non
ce n’è bisogno… ricorda
presto.”
Detto
questo andò in camera sua, dandomi la buonanotte.
Lo sentii cambiarsi e mettersi a letto, così decisi che era
inutile rimanere sveglia
ancora. Sentivo le palpebre pesanti e la testa ciondolare,
così mi tolsi il
maglione e i jeans e mi misi sotto le coperte, tirandomele su fino al
mento. Affondai
la testa nel morbido cuscino, sentendo il mio corpo invaso dal dolce
tepore che
precedeva il sonno. Per un attimo ebbi paura di chiudere gli occhi,
temendo di
dimenticare anche quel giorno.
Se
il giorno dopo mi fossi svegliata di nuovo senza
ricordare nulla?
Scacciai
quel pensiero, mentre mi concentravo su Percy,
Talia, Rachel e Grover. I loro volti amichevoli mi rassicurarono,
allontanando
la paura irrazionale del buio.
E
finalmente, chiusi gli occhi, ponendo fine a quel mio
primo nuovo giorno.
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[Angolo
dell’autore]
Salve
a tutti, popolo di EFP! Come promesso,
capitolo arrivato alla velocità della luce. Finalmente il
primo giorno di
Annabeth si è concluso e lei può riposare
dolcemente, in attesa del secondo. Vi
sono piaciuti i personaggi fin ora? Avevo in mente di mettercene
qualcun altro,
ma preferisco aspettare. Dopotutto è ancora presto, ma non
temete. Ci saranno
tutti, a poco a poco.
E
tornerà anche Luke, ovviamente ;)
Quindi,
recensite tutti!
AxXx
PS:
Ringraziamentissimi speciali a Ramosa12, _Serefic_,
Clouds_Jas che hanno recensito tutta la storia fin qui. Attendo altre
vostre
bellissime recensioni :D E non solo loro, ovviamente, ma anche di tutti
quelli
che seguono questa storia così orribile. :3