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Autore: L_Fy    16/06/2008    24 recensioni
Quando si nasce con il gene della sfiga potenziato come il mio si possono raggiungere vette di iattura che voi umani non potreste immaginarvi: cosa che è successa oggi, fatidico venerdì 17, anno domini 2008 che, fra l’altro, è un anno bisesto e quindi funesto…
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente sola

Finalmente sola. Io, la mia parrucca da pretty woman e il mio vestito barluccicoso. L’impulso di scappare a gambe levate era diventato improvvisamente impossibile da trattenere…

“Luana?” mi ha chiamata subito Li come intercettando una sfasatura magnetica nell’aria: forse aveva usato quel suo dannato dito radar. O forse aveva attivato Mister Sopracciglio in avanscoperta telescopica per controllare la situazione. Ok, la grappa era ancora a livelli tossici nel mio sangue.

“Sì?”

“Hai bisogno di aiuto?”

Ci mancava solo quello.

“No no.” ho risposto, ma per sicurezza mi sono infilata il vestito e la parrucca, mentre pensavo febbrilmente a come risolvere la situazione. Non era proprio facilissimo, visto che avevo ancora il cervello in guazzetto nella grappa, ma vedendo la finestra aperta un guizzo di attività motoria ha infiammato i miei neuroni: potevo scappare dalla finestra!!

“Luana?” ha domandato di nuovo Li: cominciavo a pensare che quel suo dannato dito fosse un po’ troppo ricettivo per i miei gusti. Dovevo allontanarlo se volevo tentare il colpaccio.

“Sì, ehm… potrebbe portarmi un bicchier d’acqua?”

“Ti devo portare un bicchiere d’acqua in bagno?” ha chiesto Li dubbioso.

Effettivamente…

“S-no, cioè… ho mal di testa. Ha mica un’aspirina?”

“Luana, apri la porta.”

Dito ricettore o no, il momento di darsela a gambe era proprio quello: il problema era che il finestrino quadrato era tre metri sopra la mia testa e si apriva solo di un pertugio basculante da cui sarebbe passato solo il pitone di Godiva: ho provato lo stesso ad arrampicarmi sul lavandino, rischiando di fratturarmi il femore perché, furbamente, non mi ero tolta i sandaletti agopuntori dai piedi.

“Luana?”

Con un salto e qualche abile scossa epilettica degne di un acrobata spastico, ero riuscita a far passare un braccio e un ginocchio, segandomi le articolazioni sul bordo dell’intelaiatura.

“Uhmpf?”

“Cosa stai facendo?”

“Nieeeeeeenteeeee!”

Mi stavo bloccando!!

“Luana? Cos’è questo rumore?”

Era il mio culo che si incastrava nel pertugio, ma a lui mica potevo dirlo, no?

“Lo sciacquone!” ho gorgogliato, intrappolata e annaspante come una mosca avvinghiata alla rete del ragno “E’ difettoso!”

“Perché la tua voce è così soffocata?”

Diavolo d’un nipponico sospettoso!!

“Sto evacuando!” ho strillato frustrata con il telaio del basculante che mi tranciava a metà la colonna vertebrale “A lei non capita mai di avere la voce soffocata quando è compreso nello sforzo?”

Ero riuscita a far passare anche una tetta: con un ultimo sforzo… se solo Li-Sommo-Supervisore-del-Defecazio avesse smesso di farmi il terzo grado… Ho annaspato per un minuto buono con Li che misericordiosamente taceva. Forse la mia storia dell’evacuazione era stata un po’ troppo…?

“Luana.”

La voce di Li mi ha congelata sul posto, appesa al finestrino come un salame in stagionatura: vicina, troppo vicina per essere al di là della porta… Con un occhio ho sbirciato affannata dall’altra parte: un paio di metri sotto di me sul marciapiede, affiancato da un passante sbalordito in k-way plasticato trasparente e dal di lui figlio a carico nel passeggino, anch’esso doverosamente a bocca aperta, c’era Li.

Pugni stretti, bocca da Johnny Depp eroticamente imbronciata, ombrello rosso con il logo del Corda Tesa e occhi a mandorla scintillanti come fuochi d’artificio. Di rabbia, di frustrazione, ma anche di malcelato divertimento.

“Signor Li.” ho sfiatato con voce querula, rinunciando a lottare con il basculante.

“Allora? Dove pensi di andare?” 

*          *          *

Sembravamo il set per un servizio sul surrealismo postmoderno: io mezza dentro e mezza fuori dalla finestra, col basculante a sezionarmi il cranio e la parrucca bionda tutta di straverso; papà e figlio passanti ignari con le bocche aperte in angeliche “O” di muti canti gregoriani; Li con il piedino che batteva impaziente sul marciapiede; intorno, la normale attività di un piovoso venerdì pomeriggio qualunque in periferia. 

“Aiuto!” ho ansimato e lo dicevo un po’ a tutti perché quella posizione mi stava decisamente tranciando le vertebre.

Prima che qualcuno potesse rispondere, il bambino nel passeggino mi ha indicato con un dito grassoccio e ha gorgogliato felice: ”Goh!”

Sante parole, ho pensato affranta, ma il padre ha recepito tutt’altro messaggio: come se il figlio gli avesse ordinato di infilarsi un razzo nel retto, è partito spingendo il passeggino così forte che quasi faceva le scintille, lasciandomi sola in balia del basculante omicida e di Li (che, a giudicare dalla faccia, era ancora più omicida del basculante).

“Allora?” ha berciato infatti feroce.

“Ehm…” ho risposto io: non sarò sembrata brillante, ma in quel momento, oltre al basculante, dovevo anche preoccuparmi del fatto che lo champagne, la grappa e il sake, nonché i quattro mojitos che avevo ingurgitato in compagnia di Ekekazo, stavano allegramente risalendo il mio esofago e si trovavano ormai a gorgogliarmi in gola.

“Cosa?”

“Sto per vomitare.” ho sfiatato, grigiastra in faccia.

Li, di colpo, mi è sembrato quasi più preoccupato di me: rapido ed essenziale, ha posato l’ombrello per terra, mi ha infilato le mani sotto le ascelle e, con qualche appropriato grugnito, mi ha tirata fuori dal finestrino. Ho avuto qualche difficoltà residua quando un sandalo mi si è incastrato nella maniglia del basculante, ma alla fine ero di nuovo in piedi sotto la pioggia, tutta acciaccata nel mio bel vestitino luccicante e quasi spalmata addosso a Li. Il suo corpo era così solido, tiepido e confortevole… sembrava fatto apposta per appendercisi addosso, per sentirsi al sicuro nonostante la pioggia e la paura e il vomito e i tacchi agopuntori. Ma Li e il suo Sopracciglio, evidentemente, non la pensavano allo stesso modo.

“Cosa cazzo pensavi di fare?” ha chiesto infatti scostandomi bruscamente da lui con aria decisamente infuriata.

“Devo dirle una cosa.”

La sua faccia, stranamente, ha subito una metamorfosi inaspettata: da furiosa e impaziente è diventata di colpo allarmata e fragile.

“Oh, no. Tu non mi dici proprio niente, gioia: tu entri dentro e fai la Lap dance, punto e basta!”

“Non posso!”

Dio, che sollievo poter dire finalmente la verità! Però Li non sembrava condividere affatto i miei stessi sentimenti.

“Non dire cazzate: puoi eccome!”

“Signor Li per favore” ho balbettato diventando color fango termale dalla fifa e dalla nausea ma senza riuscire a fermarmi: ormai dovevo assolutamente dire la verità… o quello o vomitare. O tutte e due le cose.

“Io… io non so come dirlo… dovevo farlo prima ma non potevo… non riuscivo…”

“Non parlare… non dire niente! Entra e fai quello che devi fare, ora!”

“Ma io devo parlare!! Non posso più tacere… sono sbronza e ho paura… e non so ballare niente, nemmeno il ballo del mattone!”

“Taci!”

Ma stava per uscirmi, doloroso ed enorme come una felina palla di pelo…

“Io non sono una b-b-ballerina di lap dance!”

Li mi è venuto addosso, quasi disteso contro di me che ero indifesa con le spalle al muro: sentivo il suo profumo e la sua rabbia piovermi addosso, bombardarmi di fuoco e minaccia.

“Lo so, maledizione!” 

*          *          *

Sono rimasta doverosamente shockata: lo sapeva?

“Come? Come?” ho mormorato interdetta.

“Lo so cosa sei.” ha risposto Li ancora più piano e, se possibile, ancora più arrabbiato.

“Lo sa?”

“Sì. Porca vacca, lo so.”

Sembrava di colpo triste e stanco, come se fossi stata io a spaventarlo e strapazzarlo.

“Lo sa” ho mormorato piano “E lo stesso mi ha portata qui…”

“Ho dei compiti da rispettare.” ha risposto Li con un amaro sorriso storto.

Non sapevo se arrabbiarmi, prenderlo a sberle o baciarlo (era così dannatamente sexy, nonostante tutto). O potevo anche vomitargli addosso, che come opzione possibile era in giro già da un po’, ma non avevo né il tempo né le facoltà mentali adatti per lasciarmi andare a una qualsiasi emissione di liquidi.

“Allora mi aiuterà?” ho mormorato con una vocetta sottile sottile, piena di speranza.

Li mi ha guardata a lungo, in silenzio.

“Vuoi scherzare?” mi ha risposto, incattivito come ancora non lo avevo visto.

Neanche gli avessi proposto di far finire Ekekazo e delegazione associata nella famosa cella frigo coi quarti di manzo!

“Signor Li, la prego!”

“Non posso.”

Come non poteva? Perché non poteva? Bastava chiudere gli occhi e hop, la finta ballerina vera cerebrolesa sarebbe sparita nella pioggia come in un numero di magia. Perché non poteva? Onore nipponico? Servizio garantito al cliente? Chip sottopelle pronto a esplodere se disubbidiva?

“Perché?”

“Io aiutare te? Non esiste, gioia. Nemmeno in un universo parallelo.”

“Ma io… io devo…”

“Tu devi entrare e ballare.” ha risposto Li lapidario.

Poi mi ha presa per un braccio e ha cominciato a trascinarmi dentro. Io ho fatto un po’ di resistenza, ma tra i sandali, la pioggia e le lacrime non è che fossi proprio come un partigiano.

“Signor Li…” ho singhiozzato accorata.

“Piantala di chiamarmi signor Li.”

“Ma…”

“Piantala, ho detto!”

Siamo entrati per la seconda volta al Corda Tesa, accolti amorevolmente dal buttafuori armadiuto che aveva invero l’aria un po’ perplessa.

Sarà stata l’emozione di rivedere il cartellone con Godiva e il suo pitone… sarà stato l’odore di moquette… sarà stato che ho visto da lontano il tavolo con Ekekazo e Bonanno prontamente attrezzato con un bel palo nel centro del tavolo… fatto sta che finalmente era arrivato: il vomito, tanto temuto e minacciato nelle conversazioni tra me e Li, mi premeva sulla gola facendomi affiorare perle di sudore sul labbro e sulla fronte.

“Signor Li, sto per vomitare…” ho pigolato piano mentre la nebbia avvolgeva tutto intorno a me.

“L’hai già usata questa scusa.” ha ribattuto Li girandosi a guardarmi, ma la mia faccia doveva averlo convinto che parlavo sul serio perché si è fermato di colpo a pochi metri dal tavolo di Ekekazo.

“Luana…” ha fatto in tempo a dire: poi si è scatenato l’inferno.

*          *          *

Di colpo, l’aria del Corda Tesa si è riempita di fumo e rumori assordanti. Il locale accuratamente sorvegliato dal buttafuori con anta scorrevole si era affollato di buffi figuri in divisa blu scuro che arrivavano di corsa da tutte le parti; dall’ingresso, dal retro, dal bagno… avevano tutti il casco, deliziosi anfibi rinforzati e corte e maneggevoli mitragliette strette al petto con consumata disinvoltura. E’ stato subito chiaro che non erano lì per l’happy hour: anche perché avevano scritto in lettere bianche POLIZIA sulla schiena e persino un’analfabeta polacca come Labbrona ha capito subito che non potevano essere i nuovi California Dream Men pronti a fare uno show. Ho visto Ekekazo, con la sua faccetta da cocorita spaesata guardarsi introno stranito.

“Nan desu ka *****.” continuava a ripetere sconvolto.

Poverino, per un nanosecondo mi ha fatto quasi pena.

“Merda!” ho sentito invece dire da Li, furioso ma stranamente non spaventato “Merda! Merda! Merda!”

Stavo condividendo un po’ il pensiero di Ekekazo e molto il pensiero di Li quando i tizi in blu hanno cominciato a strillare tutti insieme come ossessi.

“Fermi!”

“Mani sopra la testa!”

“A terra!”

“Avanti!”

Voci perentorie che urlavano in contemporanea, contraddicendosi l’una con l’altra: nel dubbio sono rimasta immobile mentre la mano rassicurante di Li mi abbandonava il braccio e un casco blu mi si piantava davanti puntandomi addosso la canna di una mitraglietta corta.

“Ferma! A terra!” mi ha urlato in faccia feroce, e io avrei voluto chiedergli come facevo a stare ferma se dovevo mettermi a terra. E se mi mettevo a terra con le mani sulla testa e poi sbattevo il mento? Comunque, niente di tutto quello aveva importanza perché ormai era arrivato il momento catartico… l’apoteosi di quella giornata di sfiga cosmica, la ciliegina sulla torta, l’inevitabile glorificazione del Momento di Schifo Perfetto; quasi al rallentatore, senza preavviso, con l’occhio sbarrato come già a chiedere scusa, ho aperto la bocca e ho finalmente vomitato grappa e champagne sulla minacciosa mitraglietta puntata sul mio petto.

*          *          *

“Vuole ancora del tè?” mi ha chiesto l’agente Crisuolo.

Ho accettato con un sorriso e l’agente è corso via fischiettando: personcina davvero ammodo e gentile, quel ragazzo. Appena arrivata mi ha portato il tè, mi ha dato un plaid di pile per coprirmi (non che avessi freddo, ma il mio vestitino barluccicoso non era esattamente un burqua e al commissariato erano tutti maschi e guardoni) e mi ha dato anche un Biochetasi. Avrei voluto chiedergli pure qualcosa per struccarmi perché sentivo di avere la faccia di un procione idrofobo, ma non volevo osare troppo. Già avevo avuto il mio daffare a cercare di non piangere dalla disperazione.

Non avevo idea di cosa fosse successo al Corda Tesa dopo il mio exploit vomitifero; avevo un ricordo nebuloso di agenti, manette, lampeggianti della polizia; urla, rumori, spintonamenti… tutto ovattato e distante, come in un sogno poco interessante. Poi, il commissariato con l’agente Crisuolo. Mentre aspettavo il mio turno, ho fatto qualche congettura e ho dedotto che evidentemente Bonanno e Ekekazo non erano esattamente due gentiluomini d’affari e che era per quel motivo che eravamo tutti in galera. Li ho visti passare, Stanlio e Ollio, con le facce scure di rabbia circondati da agenti blu: sia in siciliano che in giapponese, promettevano denunce, ritorsioni, omicidi e smembramenti alle famiglie di tutti i presenti, personale delle pulizie incluso. Ho visto passare anche Labbrona che diceva “tak, tak!” e sorrideva (ma era solo una mossa per non inciampare sul suo labbro inferiore mentre camminava). Di Li nessuna traccia. Assurdamente, era questa la cosa che mi faceva più male, quella per cui faticavo a respirare: la mancanza di Li.

A parte quello, per usare un fine eufemismo, mi sentivo una merda. Fortuna che c’era quel santo ragazzo di Crisuolo a coccolarmi. Anzi, tutti al commissariato mi hanno trattata con gentilezza e deferenza, devo dire la verità. Mentre sorbivo il mio secondo tè, chiusa nella stanzetta del sovrintendente capo, ho origliato abbastanza per capire che la causa di tanto rispetto era stata la mia (come chiamarla) emissione liquida e fumante in quei del Corda Tesa.

A quanto pare, ho vomitato addosso a un certo Paventi Enrico, testa di cuoio scelta, ma per gli amici e conoscenti testa di cazzo patentata. Insomma, questo tizio stava sulle scatole a tutti e il fatto che sia tornato al commissariato coperto di bile verdastra e odorosa di grappa mi ha resa un po’ l’eroina del giorno. Per tutti, ma non per il vice commissario Santamaria che ha continuato a guardarmi con aria paziente e ottusa da dietro la scrivania.

“Allora, signorina, vogliamo riguardare il verbale?” mi ha incalzato col suo bel vocione meridionale per quella che doveva essere la duecentesima volta.

Non ne potevo più: erano ore che mi interrogavano e a parte dover ammettere per la millesima volta di essere una deficiente affetta da sfiga patologica degenerativa, proprio non avrei saputo che altro dire loro.

“Ormai lo sappiamo entrambi meglio delle poesie del Pascoli che imparavamo a scuola” ho borbottato esausta “Senta, vice commissario, quante volte glielo devo ripetere? I fatti li sa, sono stati scritti, confermati, certificati e bollati con la ceralacca. Io non c’entro niente! Sono solo la persona più sfortunata dell’intero sistema solare, asteroidi compresi, e non c’è niente che io possa aggiungere a questo!”

Santamaria ha annuito con partecipazione, poi mi ha guardata severamente.

“Allora, signorina: lei accerta e attesta senza ombra di dubbio di rispondere al nome di Luana d’Angelo?”

Avevo voglia di dargli del coglione, ma sono riuscita ancora a trattenermi.

“Sì, attesto senza ombra di dubbio che rispondo al nome di Luana d’Angelo, come d’altronde ho risposto per le quattrocento volte precedenti.”

“Afferma altresì di essere nata il 17 settembre 1985 da Antonio d’Angelo e Maddalena Patrizi?”

Aveva davanti il mio cacchio di certificato di nascita, ho constatato con rancore: perché diavolo dovevamo ripetere quella pantomima fino allo sfinimento?

“A meno che non abbiate scoperto negli ultimi dieci secondi che sono stata adottata, sì, affermo che quelli sono ancora i mie genitori.”

“E’ stata lei a incontrare un certo Li all’hotel Semiramide questa mattina alle ore 09:00?”

“Sì.”

“E’ stata lei ad arrivare al Corda Tesa in compagnia del suddetto Li alle ore 11:00 circa?”

“Sì.”

“E’ stata lei ad incontrare il signor Ekekazo Mitoki alle ore 12:00 sempre in quei del Corda Tesa?”

Ekekazo Mitoki… ogni volta che sentivo quel nome assurdo mi scappava una risatina dal naso, ma sono riuscita a rimanere quasi impassibile. 

“Sempre io. Posso fare qualche domanda io adesso? Sono stufa di ripetere sempre le stesse cose.”

“No. E’ stata lei a chiamare il 112 dal telefono cellulare appartenente a un certo Li in data di oggi alle ore 16:03?”

“Certo che no!” ho risposto scandalizzata “Erano di sicuro le 16:04!”

Santamaria mi ha guardata con una parvenza di fastidio negli occhi.

“Signorina, non le conviene fare la spiritosa.”

“E io vi ripeto che è assurdo che per quattro ore mi interroghiate sulle stesse identiche cose senza darmi uno straccio di spiegazione!” sono sbottata io di colpo, imbufalita “Perché non mi dite cosa è successo? Sono in stato di arresto? Con quale accusa? E che fine ha fatto Li? Rispondete un po’ voi, questa volta!”

Santamaria ha sospirato afflitto: ha preso in mano la cornetta del telefono e ha grugnito dentro un paio di volte; poi ha messo giù e nel frattempo è arrivato il suo degno compare, l’ispettore superiore sostituto commissario Marcello. Il quale non è stato esattamente il massimo della simpatia e della professionalità: mi ha interrogato per un’ora fissando con tanto impegno le mie tette che quasi i bulbi oculari gli cadevano sulla scrivania. Comunque, i due hanno confabulato un po’, lanciandomi ogni tanto qualche occhiata perplessa; poi alla fine Santamaria si è sporto verso di me e mi ha guardata negli occhi con intenzione.

“Signorina, lei accerta e attesta senza ombra di dubbio di rispondere al nome di Luana d’Angelo?”

Avrei voluto morire.

“No, signore, in realtà sono la regina Beatrice d’Olanda; dove sono i miei zoccoli e i miei tulipani?”

“Signorina, risponda alle domande: lei è nata il 17 settembre 1985 da Antonio d’Angelo e Maddalena Patrizi?”

“No, mio padre è Anakin Skywalker e io da grande farò lo jedi. Dov’è Li?”

“Signorina, collabori per favore. Il suo nome?”

“Dante Alighieri, gliel’ho già detto: non le è venuto il vago sospetto di soffrire di Alzheimer precoce? E comunque voglio sapere dov’è Li.”

“E’ vero che lei lavora alla Perfect Square snc di Manelli Sandro?”

“Oh, no, io lavoro all’Onu. E il mio nome è Kofi Annan, visto che è stato così villano da non avermelo ancora chiesto.”

Finalmente Santamaria si è scosso dal suo torpore.

“Signorina!”

“Mi rifiuto di scucire una sola parola inutile in più!” ho incalzato io sbattendo i pugni sulla scrivania “Io voglio sapere cos’è successo a Li! Lo state interrogando? Lo state tartassando di inutili amenità finché non gli scoppiano i testicoli come state facendo con me? L’avete sbattuto nelle segrete del castello in compagnia dei topi di fogna? Ditemi dov’è e cosa ne avete fatto o… o… o giuro che vomito di nuovo!”

Non mi veniva in mente niente di più impressionante, ma Cip e Ciop non mi sono sembrati particolarmente colpiti. Si sono scambiati un nuovo sguardo afflitto, lungo e chiarificatore: poi Marcello è sembrato finalmente capitolare con un pesante sospirone.

“Santamaria, faccia chiamare qui l’agente Wang.”

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE:

Scusate, scusate, scusate!!!

Non sono riuscita a trovare il tempo per rispondere alle Vs meravigliose recensioni…

Però in compenso sono andata al concerto di Avril Lavigne e mi sono molto divertita!!!

Ringrazio e sbaciuzzo tutti, Romina per prima e Nisibella per seconda, ricordanto a tutti del forum che vi aspetta :

http://elfiefanclub.freeforumzone.leonardo.it/

 

Vi adoro tutti, joie!!!

  
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