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Autore: samubura    12/02/2014    8 recensioni
STORIA INTERATTIVA!
Questa storia nasce da una collaborazione tra me (samubura) Elly24 e Bellador, scriveremo un capitolo a testa e racconteremo la storia dei tributi che voi creerete!
(Regole e ulteriori spiegazioni nel prologo!)
I tributi sono al completo, ma restate con noi! Anche chi non è mentore avrà il suo spazio nella storia :)
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#Mietitura - parte 2


Distretto 5 – Piazza principale, 14:00

Era sempre la stessa storia. Ogni anno come tutti gli anni. Da prima che fosse nata.
Ventisei anni erano già passati dalla grande ribellione dei distretti. I discorsi dei più anziani ancora in vita testimoniavano qualcosa di diverso da quello che insegnavano a scuola, ma presto le loro parole saranno dimenticate e non resterà nient’altro che il lugubre dipinto che Capitol City descrive parlando dei giorni bui.
Il Trattato del Tradimento fu stipulato dopo la guerra. Dopo la distruzione del Distretto 13 a seguito della rivolta. Tredici distretti contro una forte Capitale. Ricca e potente.
Il Trattato del Tradimento sancisce che ogni anno, come tutti gli anni fino a che Capitol City regnerà sovrana su Panem, un tributo maschio e un tributo femmina per ogni distretto vengano estratti e rinchiusi in un’Arena per combattere fino alla morte.
-Un solo vincitore ricoperto di gloria tornerà nel suo distretto di provenienza – finì di recitare la voce squillante proveniente dal palco allestito davanti al palazzo di Giustizia – E ora, come consuetudine, prima le signore!
L’ultima esclamazione fece risvegliare Rebecca. Era adesso che si decideva tutto. Il suo nome era dentro la boccia di vetro molte, troppe volte. Dopo un po’ aveva smesso di contarle meticolosamente. Che importanza aveva? Sicuramente erano molte più di quante avrebbe voluto, ma le tessere erano state necessarie specialmente nell’ultimo periodo. L’incidente nella fabbrica che aveva ucciso i suoi nonni, sua madre e mutilato suo padre aveva caricato sulle sue spalle il peso di una famiglia non molto numerosa, ma sempre affamata. Non aveva permesso a suo fratello di prendere le tessere come faceva lei anche se quell’anno avrebbe potuto farlo al suo posto.
-Se deve andarci qualcuno, meglio che sia uno solo di noi due – gli ripeteva a ogni sua protesta. E non se ne pentiva neppure ora, ma non poteva impedire che la gola si stringesse in un nodo amaro ogni volta che la mano della donna sul palco scendeva all’interno della boccia di vetro.
-Rebecca Neville – era il suo nome. Il suo nome che rimbombava nel silenzio calato improvvisamente.
Le file in cui i pacificatori avevano disposto le ragazze del Distretto 5 si aprirono attorno a lei segnando il percorso che la portava al patibolo. Il primo passo fu il più difficile, gli altri si susseguirono misurati e composti fino al palco. La donna dal bizzarro copricapo era venuta a porgerle una mano guantata da in cima agli scalini. La strinse solo per cortesia, ma non guardò la donna. Il suo volto cosparso di trucco a nascondere i veri lineamenti le faceva quasi paura.
Tutti gli sguardi erano fissi su di lei. Erano tristi, ma metà della piazza non poteva nascondere di essere sollevata di non rischiare più per quell’anno. Qualche ragazza in fondo si tratteneva dall’esultare. Era ovvio, l’anno prossimo avrebbero avuto diciannove anni, niente più mietitura. Niente più Hunger Games.
L’unico pensiero andava alla sua famiglia, non voleva girarsi verso le prime file dove sicuramente avrebbe trovato suo fratello Declan. Fissò gli occhi blu-viola avanti a sé, fiera. Un applauso smorto accolse il suo sacrificio per i crudeli giochi.
-E ora estraiamo il tributo maschio del Distretto 5!
Si chiese come facesse quella donna a essere così felice nello scegliere dei ragazzini da mandare a morte. Ma soprattutto come facesse a indossare quel cappello.
Il ragazzo che rispondeva al nome di Jake Finnigan si fece avanti senza troppe storie. Rebecca non lo aveva mai visto e poco gliene importava poiché non sarebbe stato altro che un gradino da sorpassare. Non poteva permettersi nessuna forma di sentimentalismo. Lei doveva tornare da Declan, non c’erano alternative.
Anzi ce n’era una soltanto, ma preferiva non pensarci subito.
Jake non aveva mai visto Rebecca, l’aveva seguita con lo sguardo mentre saliva sul palco, aveva applauso senza convinzione e poi era stato colto dal terrore quando le labbra viola della donna sul palco avevano pronunciato il suo nome.
Era stato un colpo forte da togliere il fiato. E poi era salito sul palco coi pugni stretti e cercando di essere uomo come gli ricordava spesso suo padre.
Tutta la piazza taceva adesso che la buffa donna di Capitol City invitava a salutare i tributi. I ragazzi si strinsero la mano in quello che avrebbe dovuto essere un applauso.
 Altri due tributi erano stati scelti e, con grandi probabilità, non sarebbero ritornati.


 

Distretto 6 – Piazza principale, ore 14:00

La piazza era gremita di gente. Era una cosa piuttosto insolita per il Distretto 6, ma non nel giorno della mietitura. Annabeth era assieme alle altre ragazze della sua età che non conosceva. Si guardava attorno coi suoi grandi occhi azzurri senza curarsi troppo del filmato sui grandi schermi. Un video che arrivava direttamente da Capitol City per celebrare il ventisettesimo anniversario della fine della rivolta.
La donna che, come ogni anno da quando lei si ricordava, presidiava a tutta la cerimonia attendeva impaziente la fine del firmato. Il vento faceva agitare le piume che le partivano da dietro la schiena.
Neanche Josh prestava particolare attenzione al video, stringeva i pugni fino a sentire le unghie premere sul palmo della mano. Sperava che così sarebbe riuscito a tenere a bada la paura che lo attanagliava. Non poteva essere estratto. Per sua sorella questo avrebbe significato la morte.
Dopo la scomparsa di suo padre, ex vincitore, non poteva contare molto sull’appoggio di sua madre. La responsabilità della famiglia gravava sempre di più in questo giorno così particolare. Ma il filmato presto sarebbe finito.
-Non è incredibile, quanta forza, quante emozione ci sono in queste parole? – disse la donna-piumata dall’alto del palco rivolta ai ragazzi radunati davanti al Palazzo di Giustizia. Probabilmente la domanda non ebbe l’effetto sperato perché dopo qualche attimo di silenzio la donna proseguì un po’ delusa.
-Bene – disse con tono che aveva tutt’altro significato – Scopriamo il tributo femmina del distretto 6!
“Era ora” pensò Annabeth, che, a differenza delle altre persone che aveva intorno, sembrava abbastanza annoiata. E perché avrebbe dovuto preoccuparsi? Per chi?
Era sola da molto tempo e aveva preferito restarci nonostante i numerosi inviti da parte dei vicini. Aveva scoperto che non avere legami dava numerosi vantaggi.
La mano calò nella boccia di vetro e dopo un attimo riemerse. Ci fu solo un grande sospiro e il nome di Annabeth Shell che rimbalzava sulle pareti degli edifici che circondavano la piazza.
Tutti si voltarono verso la ragazza troppo magra che camminava tranquillamente nel corridoio umano facendo ondeggiare a ogni passo i capelli castano scuro.
Josh invidiava la sua sicurezza. Dire che conosceva Annabeth era troppo, ma non c’era quasi nessuno nel distretto che non conoscesse la sua storia. Sola: genitori morti, nessun altro parente che potesse prendersi cura di lei. In quel momento avrebbe quasi desiderato anche lui di essere solo e doversi preoccupare solamente della propria vita. Ma non poteva farlo: lui aveva una famiglia da mantenere.
La donna sul palco guardò Annabeth storto. Non le si sarebbe dato un soldo di fiducia se non fosse stato per lo sguardo di fiera indifferenza che teneva altro sopra la folla. Non aveva nessuno da guardare in fondo.
-Su, facciamo un caloroso applauso per il tributo femmina che rappresenterà il Distretto 6 quest’anno!
Un battito di mani poco convinto si levò dalla folla. Dalla sua posizione privilegiata Annabeth riuscì a scorgere che c’erano migliaia di persone. In un giorno così speciale chiudevano persino le fabbriche per permettere a tutti di partecipare alla cerimonia.
Quando la donna si riavvicinò al microfono per annunciare l’estrazione del tributo maschio un silenzio carico di tensione calò nuovamente sulla piazza. Ad Annabeth non importava chi sarebbe stato estratto, non aveva amici. Conoscenti, vicini di casa, compagni d’infanzia. Ma non amici. Ed era meglio così in quella situazione. Chiunque fosse salito su quel palco sarebbe stato un ostacolo per la sua sopravvivenza.
La mano calò di nuovo nella boccia di vetro dove erano scritti tutti i nomi dei tributi maschi estraibili. La donna spiegò il biglietto davanti al microfono e Annabeth potè leggere il nome scritto in bella grafia un secondo prima che echeggiasse nella piazza.
-Josh Weidern! – trillò la donna.
Era lui. Dannazione era lui.
Le mani gli facevano male da quanto erano chiuse strette. Le nocche bianche mentre camminava mettendo un piede dopo l’altro con la testa bassa. Non poteva permettersi di piangere, avrebbe resistito. Cercava solo di pensare a quello che poteva consigliare a sua sorella. Credeva in lei, ma non in sua madre e aveva paura che da sola la piccola Lily non ce l’avrebbe fatta. Sperava che qualcuno l’avrebbe aiutata, ma non è facile aiutare gli altri dove riesci a malapena ad aiutare te stesso.
Sul palco aveva incrociato gli occhi di Annabeth per un secondo, quando si erano stretti la mano in un gesto di sportività estremamente fuori luogo. Gli Hunger Games non sono competizioni, sono massacri.
Verde nel blu, blu nel verde. Aveva trattenuto a stento un sussulto: la mano di Annabeth era gelida quasi quanto il suo sguardo.
E poi un altro triste applauso. E la loro vita era segnata per sempre. Il loro destino affidato alla sorte.
-Felici ventisettesimi Hunger Games! – gridò la donna entusiasta – E possa la fortuna sempre essere a vostro favore!
“Già, ce ne vorrà parecchia” pensò Annabeth “adesso però stai zitta arcobaleno vivente”



 
Distretto 7 – Piazza principale, ore 14:00

Joshua non era felice che suo cugino si sarebbe sposato a breve.
-Sei pazzo? - gli aveva detto quando nessuno poteva sentirli – Tra meno di un mese ci sarà la mietitura e tu vai a fare promesse d’amore che non sai di poter mantenere!
Ma non c’era stato verso di smuoverlo. E se anche ci fosse stato, era troppo tardi probabilmente.
L’amore fa questi brutti scherzi, per questo Joshua non si era mai dato tempo di pensarci. Non finché sarebbe dovuto andare ogni anno a sfidare la sorte, sia chiaro.
Così adesso che aspettava che il consueto video sui giorni bui finisse aveva voglia di mordersi le unghie per l’ansia, ma non lo faceva perché non avrebbe fatto bella figura se fosse stato estratto. La paura più grande quell’anno non era la sua possibile estrazione, ma quella di Jeremy, il cugino che era praticamente un fratello per lui.
Nell’altra metà della piazza Viola si sistemava nervosamente, ma con metodo, l’acconciatura che sua madre le aveva insegnato. Era quella delle occasioni importanti, così complicata che aveva imparato a replicare solo dopo molta pratica. Ma non aveva paragone all’abilità che aveva sua madre. Il giorno della mietitura era quello in cui sentiva di più la sua mancanza. Quando si metteva davanti allo specchio per sistemare i lunghi lisci capelli biondo cenere che sciolti le arrivavano oltre l’ombelico. Amava i suoi capelli, erano l’unica frivolezza che si concedeva in una vita completamente dedicata ai fratellini Jon e Arya.
Il volto truccato della accompagnatrice, di cui Viola non ricordava il nome, si contorse in quella che avrebbe dovuto essere una smorfia di piacere quando le ultime note solenni della colonna sonora del video terminarono. Disse qualche parola esaltando lo “splendido lavoro che Capitol City ha preparato proprio per noi” prima di pronunciare la frase che avrebbe segnato il destino delle ragazze del Distretto 7 per un altro anno. Prima le signore, è il galateo.
La mano della donna, avvolta in un guanto dello stesso verde acido del tailleur che indossava, scese mescolando i biglietti prima di estrarne uno e aprirlo impazientemente.
Le labbra, verdi anche quelle notò Viola, si avvicinarono al microfono quanto più possibile in modo che il nome del tributo femminile si sentisse meglio in tutta la Piazza.
-Viola Sand! – esclamò la donna guardando avidamente verso lo schieramento delle ragazze. Quale agnello sacrificale le era mandato quell’anno dalla dea Fortuna?
Viola lasciò cadere le mani, che aveva tenute impegnate coi capelli fino ad allora seppure non ce ne fosse bisogno, lungo i fianchi e fissò a lungo il palco. Inutile dire che non se lo aspettava. Cacciò dentro di sè il turbinio di emozioni che le gorgogliava nel petto con un profondo respiro. Adesso non servivano.
Si incamminò verso la donna-lime che la attendeva e incitava dal microfono. Le stampò un bacio “plasticoso” su entrambe le guance e le indicò dove doveva mettersi. C’era una “X” bianca.
Un’altra era neanche due metri di distanza. E aspettava il suo tributo.
Viola non sentì neanche l’applauso delle persone. Guardò le loro mani muoversi mentre cercava disperatamente tra le ultime file Jen. Lei era salva. Lei avrebbe pensato ai suoi fratelli che, per forza di cose, doveva abbandonare.
Una volta che il tributo femminile veniva estratto tra la parte maschile iniziava a esserci eccitazione e paura. Qualcuno mormorava qualcosa riguardo alla sfortunata ragazza estratta e altri se ne stavano in silenzio tremanti.
Joshua dal canto suo si guardava attorno confuso. Adesso sarebbe potuto toccare a lui. La ragazza sul palco, che sarebbe potuta essere sua compagna di disavventure, guardava con i grandi occhi marroni un punto imprecisato in fondo alla piazza.
Non si era quasi accorto che la donna era tornata al microfono con una strisciolina di carta stretta tra indice e medio.
-Jeremy Armstree! Dove sei caro?
Non era lui. L’aveva scampata quest’anno. Grandioso!
Poi si rese conto che quelli che gli erano vicini lo guardavano con aria triste. Jeremy Armstree.
Per un momento l’euforia gli aveva fatto dimenticare cosa quel nome significasse. Suo cugino aveva iniziato a camminare verso il palco ed era indubbio, anche se teneva la testa bassa, che stava piangendo lacrime di addio per la sua promessa sposa.
La mano di Jeremy si alzò senza che lui lo volesse.
-Oh..abbiamo un volontario? – chiese la donna dall’alto del suo trespolo.
-Mi offro volontario come tributo – tuonò Joshua mentre camminava più spavaldo di quanto era mai stato verso il palco. Cercò di non incrociare lo sguardo del cugino che avrebbe distrutto la sua maschera di sicurezza fondamentale per il momento.
-Meraviglioso! Meraviglioso! Meraviglioso! – esclamò la donna e per un attimo Joshua ebbe paura che un cortocircuito nel cervello dell’accompagnatrice le avrebbe fatto ripetere “meraviglioso” all’infinito.
-Come ti chiami, caro? – chiese infine con tono cordiale.
-Joshua Armstree
-Era il tuo fratellone quello là? – chiese animata da un moto di curiosità inarrestabile. Un volontario da un distretto come il 7 era abbastanza insolito.
-Mio… cugino – disse Joshua che iniziava a crollare sotto il peso della tensione. In effetti dire che lui e suo cugino erano fratelli non faceva molta differenza col rapporto strettissimo che avevano. Non voleva altro che rifugiarsi nel Palazzo di Giustizia e prendersi un po’ di tempo per pensare su quello che aveva fatto.
-Oh, fantastico! Una storia emozionante, qua nel Distretto 7! Un bell’applauso per il nostro coraggioso volontario! – esclamò la donna scuotendo Joshua per le spalle.
La mano di Joshua aveva una bella stretta. Viola se ne rese conto subito. Il ragazzo che aveva come primo avversario nella gara della morte era perfino troppo robusto per i suoi gusti, e la storia del volontario salva-cugino avrebbe riscosso grande popolarità. Male, molto male.
Ma c’era un sentimento sincero nel fondo degli occhi marrone-verde di Joshua e si sentì per un attimo in colpa per averlo valutato così freddamente. Era una persona proprio come lei.




Distretto 8 – Piazza principale, ore 14:00

Il cielo è blu.
Pensò Riace Blue Pearl.
Il cielo è blu e oggi è il giorno della mietitura. L’ultimo giorno della mietitura. L’ultimo giorno in cui i pacificatori sarebbero venuti a prenderla alla locanda per accompagnarla alla mietitura.
-Giorno Fred, giorno Rufus, qual buon vento vi porta qua da me?
-Riace, dobbiamo andare. La mietitura inizia alle due.
Era una scena non più insolita, forse era per questo che Fred e Rufus non si stupivano più tanto e anzi chiacchieravano con lei nella strada verso la piazza principale. Era il quinto anno di mietitura per Riace, sopravvivi a questa e sopravvivi per sempre. Proprio come le aveva detto Sean qualche giorno prima.
Il cielo è blu. E non può essere verde. L’erba è verde, il fuoco..
Il fuoco è rosso. Rosso come i capelli di Riace.
No, niente fuoco. Non adesso. Cercò di concentrarsi per qualche minuto sul video che tra frasi a effetto mostrava le immagini dei giorni bui della ribellione. Prima che gli Hunger Games venissero creati.
Il cielo è blu. E ci volano le ghiandaie: guizzi bianchi e neri che si inseguono nel rettangolo formato dai palazzi della piazza principale. La donna sul palco ha un vestito piumato proprio come le ghiandaie. Non spingermi.
La spallata invece le arrivò proprio un istante dopo. Una ragazza le chiese scusa e si scansò di fretta come se volesse evitarla. Quasi come se portasse sfortuna. Riace non capiva perché facessero tutti così.
Lei guardava il cielo.
Hya aveva tanta paura. E stava proprio davanti al palco. Questo lo faceva sentire in pericolo.
Come se, lì davanti, la cattiva sorte potesse vederlo meglio.
Era il primo anno che partecipava alla caotica cerimonia della mietitura. Ma aveva studiato bene, quindi non era arrivato impreparato. Ti prendono, prelevano il sangue, ti schedano. I pacificatori ti indicano dove andare: ce n’è uno pressappoco ogni venti passi.
Aveva una moneta in tasca, una moneta portafortuna. Non era speciale, era solo una monetina di poco valore, ma in quella speciale occasione era importante. Hya l’aveva lucidata quella mattina fino a farla splendere. Scegliendola tra quelle del suo piccolo gruzzolo che custodiva con cura nell’armadietto della fabbrica.
Si diceva che se lanci una monetina e la riprendi al volo prima della mietitura le probabilità che tu venga estratto sono di meno. Quando hai paura ti aggrappi a tutto.
Il video dei giorni bui si era appena concluso e Hya scelse il momento in cui la donna diceva –Felici Hunger Games, e possa la buona sorte essere sempre essere a vostro favore! – per tirare la sua piccola ancora di salvezza nel cielo. Guardarla riflettere i raggi del sole e poi vederla cadere in un tombino. Assieme a tutte le sue speranze.
Era stato Alex a spingerlo. Alex che adesso se la rideva coi suoi amici, quelli che lo prendevano in giro perché era diverso. Come avrebbe potuto non esserlo?
Hya si era cresciuto un po’ da solo e un po’ appoggiandosi a Silk, quella che, non volendo, era diventata la sua nuova mamma. Dei suoi genitori non ricordava quasi niente. Solo una vecchia leggenda che aveva chiesto a Silk di mettere per iscritto su un foglio in modo da non dimenticarla mai e averla sempre con sé.
Era arrabbiato con Alex, ma non poteva fare nulla gli lanciò un’occhiataccia e sperò con tutto se stesso che fosse lui a essere estratto per gli Hunger Games. Ma prima toccava alle signore e la voce della donna sul palco, che Hya a stento vedeva sul palco altissimo, chiamò Riace Blue Pearl.
La gente attorno a lei bisbigliava. Mentre Riace camminava verso il palco. Pensò solamente che era un peccato non avercela fatta quest’anno, a un passo dalla salvezza.
E in quel pensiero il mondo le crollò addosso.
Salva.
Sarebbe stata salva. Lei che salva era già stata una volta.
Molto tempo fa ormai, ma i ricordi incendiavano ancora le sue giornate. Il fuoco che divorava sua madre, che le urlava di mettersi in salvo. Sua sorella, suo padre. Aveva perso tutto nel bagliore di una scintilla.
Era uscita dalla catapecchia pressoché indenne, qualche ustione sulle spalle e sulle braccia le avrebbero per sempre ricordato quel giorno, come se avesse potuto mai dimenticare.
E al centro della piazza tutti videro il fuoco nei suoi occhi mentre urlava e si contorceva nella polvere.
I pacificatori che si erano occupati di lei quella stessa mattina accorsero immediatamente prima che chiunque altro potesse. Avevano un riguardo speciale per la ragazzina che avevano visto crescere e non volevano che altri pacificatori più brutali le facessero del male.
Si beccarono calci e pugni prima di riuscire a intrappolare Riace in una morsa. Nel suo volto non c’era più nient’altro che il fuoco. Era fuori dal loro mondo e non potevano farla tornare indietro.
Quindi la accompagnarono sul palco e la donna venuta da Capitol City la guardò con sdegno senza curarsi di chiedere un applauso per quella pazza furiosa.
Hya era spaventato. Le urla, il ringhio di quel groviglio di capelli rosso acceso sul palco. Ma soprattutto il suo sguardo che pareva arrivare dalla profondità della terra e scavarti l’anima. Hya era troppo piccolo per sapere la storia di Riace che invece quasi tutti nel distretto conoscevano. La vedevano serena alla locanda del distretto, che lavorava sodo perché diceva di volere una casa tutta sua.
Ma la vedevano anche crollare in pianto o gridare per la strada nel cuore della notte. I suoi capelli rossi che splendevano sotto la carezza della luna.
Anche Hya l’aveva incontrata nei suoi giri notturni per guardare le stelle. Aveva incontrato il suo sguardo di un azzurro chiaro, ma intenso. E aveva avuto paura.
-Molto bene! – aveva ripreso la donna visibilmente scossa da quel colpo di scena improvviso – Ora estrarremo il giovane uomo!
E dopo qualche secondo era già tornata a posto per leggere il nome che tutti attendevano. C’era un solo foglio nella boccia che recava il nome di Hya Denverd. E quel foglietto ora era stretto tra le dita della donna sul palco.
Alex lo schernì, ma Hya non se ne accorse neanche. In cuor suo se lo sentiva. Il rituale porta fortuna fallito era stato un segno.
Non riuscì a non piangere, la schiena sempre curva era scossa dai singhiozzi, ma quando raggiunse i gradini del palco drizzò le spalle e sostenne fiero le occhiate della piazza. Un applauso accolse i due tributi.
Quando la donna invitò i tributi a stringersi la mano gli occhi di Riace incontrarono quelli acquosi di Hya.
In quel momento, nonostante avessero quattro anni di differenza, Riace capì che avevano molto più della stessa sfortuna che li aveva fatti trovare su quel palco in comune.
 



 
Questa volta il capitolo l'ho scritto io :D
Quindi sono super ansioso di sapere se ho rispettato i vostri personaggi e se sono come (o magari addirittura meglio) di come li avevate partoriti, quindi recensite o mandateci messaggi per ogni sorta di correzione o aggiustata che volete fare al vostro tributo.
Mi sono capitati i tributi di 4 distretti poveri, non molto celebri nella trilogia originale, ma sono veramente personaggi incredibili che spero di aver portato alla vita rendendo loro giustizia. Fatemelo sapere, ci tengo particolarmente.. anche se so che fin'ora di ognuno di loro si è visto ben poco :/


AVVISO IMPORTANTE: dopo il prossimo capitolo di mietiture di Bellador inizieranno quelli dedicati ai saluti, quindi dovrete comunicarci se ci sono persone in particolare che verranno a salutare il vostro tributo e/o se riceveranno dei PORTAFORTUNA che dovranno essere descritti con cura e spiegati nei loro significati..

Ripeto la proposta che ci è stata fatta di creare un gruppo facebook, quindi chi fosse interessato è pregato di farcelo sapere a breve in modo che possiamo avviare anche questa cosa: l'idea è di mettere in relazione i vari partecipanti (e non) all'interattiva e rendere tutto un po' più dinamico :)

Detto ciò, vi ringrazio per l'attenzione e direi che possiamo salutarci qua.

-samubura-

(mi riconoscete dal blu)

 
 
 
 
 
 
 

 
   
 
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