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Autore: AxXx    14/02/2014    6 recensioni
Salve, popolo di EFP e amanti della Percabeth in particolare. Questa storia parla di un mondo senza genitori divini, Dei o mostri vari a cui dare peso.
Annabeth è una ragazza ricca che desidera diventare architetto, ma un giorno la sua vita cambia radicalmente e lei si ritrova isolata dal mondo, senza memoria e senza nulla che glielo faccia ricordare. Solo una persona la aiuta: un ragazzo di nome Percy Jackson.
Il passato, però, torna sempre a tormentarci e lei lo scoprirà nel modo peggiore.
[Percabeth]
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                       Allenamento Romantico

 

 

 

 

 

Leo mi aveva mostrato un sito internet dove si spiegavano le regole del torneo, ma capii subito che non era il mio genere di sport. Non mi piaceva la lotta, preferivo qualcosa di meno pericoloso. Non era proprio un torneo ufficiale, ma, a quel che sentivo, era una sorta di raduno per appassionati di arti marziali. Il fatto è che, alla fine, c’era anche un torneo che, però, non era ufficiale. Il fatto è che il premio era altissimo. Leo sembrava entusiasta, mentre Percy non era proprio il massimo.

“Ma dai! Ho già scommesso con Travis!” Protestò il riccio messicano, facendo una faccia fintamente dolce, nel tentativo di convincerlo.

“Ti ho detto di no!” Sbottò il ragazzo dagli occhi verdi e luminosi. Fui felice che non partecipasse, anche perché vedevo che certi partecipanti si facevano parecchio male.

“Ho capito… be’, divertiti con la tua amica.” Lo sbeffeggiò lui ghignando, prima di scappare di corsa.

Lessi sul volto di Percy il desiderio di corrergli dietro, ma io allungai la mano e lo trattenni. Non volevo che se la prendesse così tanto con un amico. Dopotutto Leo era simpatico quando non filtrava in modo esagerato con me. Aveva un aria allegra ed era molto strano (In senso buono). Lui mi guardò e annuì a malapena, rimanendo al suo posto.

Mentre lui si sedeva io guardai la sua stanza, cercando di imprimere nella mia mente ogni singolo particolare. Era una stanza un po’ stretta, ma accogliente. Ero seduta su una vecchia sedia girevole, con davanti una scrivania, con un computer ed un’altra foto di Sally Jackson che teneva in braccio il figlio, coccolandolo amorevolmente. Sulla parete di sinistra c’era un armadio a tre ante, e alle mie spalle c’era un letto ad una piazza e mezzo. Il tutto era illuminato a sole da un'altra ampia finestra posta alla mia destra. Il tutto era accogliente e luminoso. Al contrario del resto della casa era colorato e luminoso. Su una delle ante c’era un poster di un qualche gruppo musicale, mentre vicino al letto c’era una chitarra.

“Mi avevano detto che sapevi suonarla… ma sembra che tu non la usi spesso.” Feci notare, guardando lo strumento abbandonato a se stesso.

“Qualche volta strimpello qualcosa, ma non sono così bravo.” Borbottò lui, prendendola in mano con delicatezza. Sembrava stranamente a suo agio con quella in mano ed ero curiosa di sentirlo.

“Suoni qualcosa? Secondo me sei bravo.” Proposi, sorridendo, facendo una faccina ironicamente dolce. Ogni tanto ci prendevamo in giro per quella cosa, ma quando la facevo lui sorrideva e accettava le mie proposte.

“Forse non è il caso…”

“Per favore?”

Sospirò. “D’accordo…” Acconsentì, un po’ giù.

Prese il plettro posto sulla scrivania accanto al computer e accordò con cura lo strumento. Con le dita saggiò le corde e iniziò a suonare. Subito la dolce melodia proveniente dalla cassa di risonanza, riempì l’ambiente. Non sapevo che spartito fosse, ma intuii che non era Rock, sembrava una rivisitazione in chiave moderna di uno spartito più classico. Forse Percy non era un musicista da palcoscenico, però, per quel poco che capivo, lo considerai bravissimo. Non perdeva mai il tempo, mettendo concentrazione in ogni singola nota, rendendo la musica uniforme e armoniosa. Mi venne quasi voglia di ballare, ma mi trattenni, anche perché non c’era spazio per farlo.

Adoravo il modo in cui batteva ritmicamente il piede per terra per tenere il tempo mentre suonava e il modo in cui inarcava le folte sopracciglia nere, fino quasi ad unirle. Quando finii dovetti ricordarmi di respirare.

“Non dire nulla… so che è orribile.” Sbuffò, riponendo con cura la chitarra.

“Ma non è vero… sei bravissimo.” Commentai con gli occhi sognanti. Cercai di distogliere lo sguardo, ma mi sembrava impossibile.

“Non esagerare sapientona… so solo strimpellare qualche spartito.” Si schermì lui ridacchiando.

“Invece sei troppo modesto… e smettila di chiamarmi  ‘sapientona’!” Borbottai corrucciata.

Il fatto che mi chiamasse così era dovuto al fatto che, fondamentalmente, quando ero a casa, non potevo fare mai a meno di leggere un libro e controllare su Wikipedia tutto ciò che riguardava un argomento che mi piaceva. Come quando il mio sguardo si era soffermato su un paio di scarpe Nike. Le calzature, di per se, non mi avevano impressionato, ma il nome mi incuriosì, così la sera stessa rapii il computer di Percy e feci una ricerca a tutto campo di quella parola.
Da allora lui mi chiamava affettuosamente ‘Sapientona’.

“D’accordo… allora, che hai in mente di fare, oggi?” Chiese, rimettendo a posto il plettro e sedendosi accanto a me.

“Nulla di particolare…  tu?”

“Nulla…”Ammise, infine.

Io mi soffermai sullo schermo del computer, ormai sul punto di spegnersi e un’idea strana mi catturò la mente. Non ero, o almeno credevo di non esserlo mai stata, una tipa violenta, ma avevo la strana paura che il mio aggressore diventasse reale. Forse non avrei potuto fargli nulla, ma c’era pur sempre la possibilità che riuscissi a difendermi, ma solo se lo sapevo fare.

“Mi insegni autodifesa?” Chiesi tutto d’un fiato, senza quasi guardarlo. Non sapevo spiegarmelo, ma sentii poteva essermi utile.

Dovetti averlo lasciato parecchio interdetto, perché lui rimase a bocca aperta per un attimo, prima di rispondere: “Non c’è problema… solo… a che ti servirebbe?”

“Be’, innanzitutto per passare un po’ di tempo… con te. Poi sono smemorata, ma non stupida… sapersi difendere da soli è sempre utile, non ci sarà sempre un cavaliere come te a difendermi.” Spiegai, facendogli un occhiolino, concedendomi un po’ di malizia.

Percy mi guardò confuso, come se, all’improvviso, avessi cambiato forma sotto i suoi occhi, ma poi annuì: “Certo… possiamo farlo.”

 

 

 

 

Decidemmo di iniziare il giorno stesso, nonostante fosse domenica. Percy mi condusse alla sua palestra dove mi presentò anche il direttore: Chiron Trainer. Era un uomo alto, sulla cinquantina, con un po’ di barba molto curata, gli occhi gentili ed era molto ben piazzato, con l’aria di uno che è abituato ad insegnare senza arrabbiarsi. Sembrava in buoni rapporti con il ragazzo e infatti questi mi spiegò che era stato proprio l’allenatore a promuoverlo a maestro, pur non avendo tutti i requisiti adatti, permettendogli, così, di insegnare senza problemi, a patto che i suoi allievi avessero meno di quattordici anni. Era anche un buon amico di famiglia, infatti aiutava molto Percy e parlava di lui a molte persone, facendogli avere lavoretti in modo che potesse tirare avanti nei periodi di magra. Non sembrò nemmeno essere infastidito dalla loro richiesta di prendere in prestito una parte della sua palestra per qualche ora.

“Basta che non distruggiate nulla e che mi riportiate le chiavi.” Assicurò sorridendo gentilmente.

“Non si preoccupi, ci prenderemo noi cura di ogni cosa… non faremo nulla di pericolosissimo. Devo solo fare un favore.” Disse Percy, ringraziando.

All’interno indossai una tuta sportiva che mi aveva prestato Rachel e raggiunsi Percy, già in tenuta da combattimento.

“Wow…” Sussurrò lui, guardandomi come se non mi avesse mai visto. “Stai benissimo! Dovevi essere una persona che si allenava costantemente.”

“Ehmm… non lo so. Grazie.” Sussurrai, arrossendo. Cavolo, come lo adoravo quando diventava così dolce.

Lui si ricompose in fretta e si avvicinò a me, mettendosi in guardia, con i pugni alzati. Il suo sguardo sembrò diventare tempestoso e io mi ritrovai ad osservarlo con un po’ di timore, ma non feci trasparire nulla e lo imitai.

“Allora… questa è la posizione base per la difesa. Il braccio sinistro deve rimanere più in basso rispetto a quello destro che protegge il viso.” Spiegò, aiutandomi ad assumere la posizione corretta.

“Ora… le mosse base, per affrontare qualsiasi aggressore devi riuscire a capire i suoi punti deboli. Di solito la gola o la zona in mezzo alle gambe. Ora prova a colpirmi.” Ordinò, incitandomi.

Iniziai a tirare pugni, cercando di colpirlo dove mi aveva detto, ma ogni volta che incrociavo il suo sguardo, non riuscivo ad alzare una mano contro di lui e i miei colpi rallentavano. Lui, invece, era la perfezione: i suoi occhi erano un mare tempestoso che si concentrava su di me evitando i colpi e anticipando ogni mia mossa.

“Non distrarti… sono un tuo avversario, ricordalo!”

Dopo avermi spiegato le basi e le mosse base, mi invitò a creare delle combinazioni, usando calci e pugni a ripetizione. Ero stranamente rilassata, nonostante la fatica. Lui era molto paziente e sopportava i miei ridicoli scivoloni, quando sbagliavo una mossa mettendo un piede in fallo. Dopo due ore decidemmo d smetterla e lui sembrò molto soddisfatto.

“Non avrai fatto arti marziali, ma devi aver sicuramente fatto qualche sport in passato.” Sentenziò offrendomi un po’ d’acqua.

“Grazie… ma come sai, non ricordo quasi nulla…”Ammisi, uscendo dallo spogliatoio, di nuovo cambiata e afferrando la bottiglia che mi porgeva. Sembrava volermi proporre qualcosa, ma dal rossore intuii che non gli piaceva.

“Senti… io… dovrei parlarti un attimo.” Disse, improvvisamente serio.

Io lo guardai interrogativa. Avevo un po’ paura che mi volesse dire qualcosa di brutto, ma scartai l’ipotesi. Non erano successe cose particolarmente rilevante, in quei giorni.

“Dimmi…”

“Ecco… mercoledì c’è un film che potrebbe piacerti… ti andrebbe di venire al cinema con me? Offro io…” Mentre lo diceva, sembrava arrossire fino alla punta delle orecchie ed io mi sentii allo stesso modo.

Cavolo!

Dov’erano Talia e Rachel quando avevo bisogno di consigli romantici? Perché non ricordavo nulla? Non mi avevano mai invitato ad un appuntamento?

“D-d’accordo… ma… sicuro di potertelo permettere?” Chiesi, mordendomi il labbro inferiore, un po’ ansiosa.

“Certo… nessun problema, ho qualche soldo da parte…” Spiegò, sempre più agitato.

“Allora va bene… prometto che t ripagherò. Appena ricorderò qualcosa…” Promisi, dandogli un veloce bacio sulla guancia che lo lasciò interdetto.

 

 

 

 

“Oh… davvero ti ha chiesto di uscire?”

Ero a casa di Talia per un’altra sua ricerca infruttuosa. Ma a quanto pare, per una volta, non era il mio passato l’oggetto principale della conversazione.

“Sì… che devo fare, secondo te? Devo vestirmi in qualche modo?” Chiesi, ansiosa. Non volevo fare brutta figura. C’era la possibilità che fosse il mio primo appuntamento e non volevo fare brutta figura.

“Vestiti normale e parla in modo naturale… Percy non è un tipo pretenzioso.” Susurrò, ridacchiando maliziosa.

“D’accordo… spero davvero di non dire stupidaggini.” Borbottai, per nulla tranquillizzata.

“Non dire così… senti, Percy non ha mai chiesto a nessuno di uscire. Anche quando stava con Rachel, lui non la invitava mai al cinema, al massimo a casa sua. Se ti ha invitato significa che gli piaci davvero.” Disse la mora, sorridendo incoraggiante. Forse aveva ragione: mi stavo preoccupando troppo.

Mi ero messa a leggere un sacco di cose di gossip e siti con libri romantici e mielosi per capire cosa dovessi fare, se dovessi acconciarmi i capelli in qualche modo particolare, se dovessi vestirmi in maniera adatta o se dovessi dire o fare qualcosa. Peccato che non si potesse imparare l’Amore sui libri. Potevi solo viverlo.

“Io torno a casa… ci vediamo, Tal.” La salutai, io, dandole un bacino sulla guancia.

Mentre uscivo mi avviai verso l’ingresso, dove stavo prendendo la mia giacca, ma mentre allungavo la mano, qualcuno mi travolse. Non mi buttò a terra, ma mi sbilanciò un po’.

“Oh, scusami… stavo cercando di prendere la mia giacca.”

Mi voltai e notai che ad avermi urtato era stata la ragazza di Jason: Piper. Non l’avevo mai vista così da vicino. Da lontano sembrava una specie di principessa, o forse ero io che la consideravo tale, ma, vedendola da vicino, non era così perfetta. Certo che però era carina, aveva i tratti tipici di un’indigena americana, i capelli castani avevano un taglio asimmetrico e gli occhi scuri mi fissavano amichevoli. Indossava un paio di Jeans e una maglietta rosa un po’ stinta. Non sembrava male, come persona.

“Non preoccuparti, nemmeno io ti avevo vista.” Ammisi, sorridendo e prendendo la mia giacca.

“Sei Annabeth, vero? La nuova amica di Talia.” Intuì lei, indossando il suo. Stranamente, la trovai simpatica.

“Sì… e tu sei Piper, la ragazza di Jason.”

“Sì… ehm… piacere di conoscerti.” No capii cosa, ma sembrava nervosa e anche un po’ triste per qualcosa. Che fosse colpa mia?

“Ehi… ho detto una cosa che non andava bene?” Chiesi, poggiandole una mano sulla spalla, come per tirarla su.

“No… solo che… ho appena litigato con Jason… ho scoperto una cosa che mi ha fatto parecchio male.” Ammise abbassando lo sguardo.

Mi sentii stranamente in pena per lei, così le detti una pacca sulle spalle e le indicai la porta: “TI va di fare una passeggiata? Magari se mi racconti qualcosa starai meglio.”

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo Autore]

LOL non riesco a credere che sono riuscito a mantenere questa velocità di pubblicazione, soprattutto con un'altra idea che mi frulla in testa su questo fandom. Non so quanto durerà, però… infatti ho un’altra idea, inoltre sta per ricominciare la serie dei Semidei del Nord. Fino ad allora, però, dovrei avere tempo di continuare a pubblicare.

 

Quindi recensite, recensite e recensite.

AxXx

 

  
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