Allenamento
Romantico
Leo
mi aveva mostrato un sito internet dove si
spiegavano le regole del torneo, ma capii subito che non era il mio
genere di
sport. Non mi piaceva la lotta, preferivo qualcosa di meno pericoloso.
Non era
proprio un torneo ufficiale, ma, a quel che sentivo, era una sorta di
raduno
per appassionati di arti marziali. Il fatto è che, alla
fine, c’era anche un
torneo che, però, non era ufficiale. Il fatto è
che il premio era altissimo.
Leo sembrava entusiasta, mentre Percy non era proprio il massimo.
“Ma
dai! Ho già scommesso con Travis!”
Protestò il
riccio messicano, facendo una faccia fintamente dolce, nel tentativo di
convincerlo.
“Ti
ho detto di no!” Sbottò il ragazzo dagli occhi
verdi e luminosi. Fui felice che non partecipasse, anche
perché vedevo che certi
partecipanti si facevano parecchio male.
“Ho
capito… be’, divertiti con la tua amica.”
Lo sbeffeggiò lui ghignando,
prima di scappare di corsa.
Lessi
sul volto di Percy il desiderio di corrergli
dietro, ma io allungai la mano e lo trattenni. Non volevo che se la
prendesse
così tanto con un amico. Dopotutto Leo era simpatico quando
non filtrava in
modo esagerato con me. Aveva un aria allegra ed era molto strano (In
senso
buono). Lui mi guardò e annuì a malapena,
rimanendo al suo posto.
Mentre
lui si sedeva io guardai la sua stanza, cercando
di imprimere nella mia mente ogni singolo particolare. Era una stanza
un po’
stretta, ma accogliente. Ero seduta su una vecchia sedia girevole, con
davanti
una scrivania, con un computer ed un’altra foto di Sally
Jackson che teneva in
braccio il figlio, coccolandolo amorevolmente. Sulla parete di sinistra
c’era
un armadio a tre ante, e alle mie spalle c’era un letto ad
una piazza e mezzo.
Il tutto era illuminato a sole da un'altra ampia finestra posta alla
mia destra.
Il tutto era accogliente e luminoso. Al contrario del resto della casa
era
colorato e luminoso. Su una delle ante c’era un poster di un
qualche gruppo
musicale, mentre vicino al letto c’era una chitarra.
“Mi
avevano detto che sapevi suonarla… ma sembra che tu
non la usi spesso.” Feci notare, guardando lo strumento
abbandonato a se
stesso.
“Qualche
volta strimpello qualcosa, ma non sono così
bravo.” Borbottò lui, prendendola in mano con
delicatezza. Sembrava stranamente
a suo agio con quella in mano ed ero curiosa di sentirlo.
“Suoni
qualcosa? Secondo me sei bravo.” Proposi,
sorridendo, facendo una faccina ironicamente dolce. Ogni tanto ci
prendevamo in
giro per quella cosa, ma quando la facevo lui sorrideva e accettava le
mie
proposte.
“Forse
non è il caso…”
“Per
favore?”
Sospirò.
“D’accordo…”
Acconsentì, un po’ giù.
Prese
il plettro posto sulla scrivania accanto al
computer e accordò con cura lo strumento. Con le dita
saggiò le corde e iniziò
a suonare. Subito la dolce melodia proveniente dalla cassa di
risonanza, riempì
l’ambiente. Non sapevo che spartito fosse, ma intuii che non
era Rock, sembrava
una rivisitazione in chiave moderna di uno spartito più
classico. Forse Percy
non era un musicista da palcoscenico, però, per quel poco
che capivo, lo considerai
bravissimo. Non perdeva mai il tempo, mettendo concentrazione in ogni
singola
nota, rendendo la musica uniforme e armoniosa. Mi venne quasi voglia di
ballare, ma mi trattenni, anche perché non c’era
spazio per farlo.
Adoravo
il modo in cui batteva ritmicamente il piede
per terra per tenere il tempo mentre suonava e il modo in cui inarcava
le folte
sopracciglia nere, fino quasi ad unirle. Quando finii dovetti
ricordarmi di
respirare.
“Non
dire nulla… so che è orribile.”
Sbuffò, riponendo
con cura la chitarra.
“Ma
non è vero… sei bravissimo.” Commentai
con gli
occhi sognanti. Cercai di distogliere lo sguardo, ma mi sembrava
impossibile.
“Non
esagerare sapientona… so solo strimpellare qualche
spartito.” Si schermì lui ridacchiando.
“Invece
sei troppo modesto… e smettila di
chiamarmi ‘sapientona’!”
Borbottai
corrucciata.
Il
fatto che mi chiamasse così era dovuto al fatto che,
fondamentalmente, quando ero a casa, non potevo fare mai a meno di
leggere un
libro e controllare su Wikipedia tutto ciò che riguardava un
argomento che mi
piaceva. Come quando il mio sguardo si era soffermato su un paio di
scarpe
Nike. Le calzature, di per se, non mi avevano impressionato, ma il nome
mi
incuriosì, così la sera stessa rapii il computer
di Percy e feci una ricerca a
tutto campo di quella parola.
Da allora lui mi chiamava affettuosamente
‘Sapientona’.
“D’accordo…
allora, che hai in mente di fare, oggi?”
Chiese, rimettendo a posto il plettro e sedendosi accanto a me.
“Nulla
di particolare… tu?”
“Nulla…”Ammise,
infine.
Io
mi soffermai sullo schermo del computer, ormai sul
punto di spegnersi e un’idea strana mi catturò la
mente. Non ero, o almeno
credevo di non esserlo mai stata, una tipa violenta, ma avevo la strana
paura
che il mio aggressore diventasse reale. Forse non avrei potuto fargli
nulla, ma
c’era pur sempre la possibilità che riuscissi a
difendermi, ma solo se lo
sapevo fare.
“Mi
insegni autodifesa?” Chiesi tutto d’un fiato, senza
quasi guardarlo. Non sapevo spiegarmelo, ma sentii poteva essermi utile.
Dovetti
averlo lasciato parecchio interdetto, perché
lui rimase a bocca aperta per un attimo, prima di rispondere:
“Non c’è
problema… solo… a che ti servirebbe?”
“Be’,
innanzitutto per passare un po’ di tempo… con te.
Poi sono smemorata, ma non stupida… sapersi difendere da
soli è sempre utile,
non ci sarà sempre un cavaliere come te a
difendermi.” Spiegai, facendogli un
occhiolino, concedendomi un po’ di malizia.
Percy
mi guardò confuso, come se, all’improvviso, avessi
cambiato forma sotto i suoi occhi, ma poi annuì:
“Certo… possiamo farlo.”
Decidemmo
di iniziare il giorno stesso, nonostante
fosse domenica. Percy mi condusse alla sua palestra dove mi
presentò anche il
direttore: Chiron Trainer. Era un uomo alto, sulla cinquantina, con un
po’ di
barba molto curata, gli occhi gentili ed era molto ben piazzato, con
l’aria di
uno che è abituato ad insegnare senza arrabbiarsi. Sembrava
in buoni rapporti
con il ragazzo e infatti questi mi spiegò che era stato
proprio l’allenatore a
promuoverlo a maestro, pur non avendo tutti i requisiti adatti,
permettendogli,
così, di insegnare senza problemi, a patto che i suoi
allievi avessero meno di
quattordici anni. Era anche un buon amico di famiglia, infatti aiutava
molto
Percy e parlava di lui a molte persone, facendogli avere lavoretti in
modo che
potesse tirare avanti nei periodi di magra. Non sembrò
nemmeno essere
infastidito dalla loro richiesta di prendere in prestito una parte
della sua
palestra per qualche ora.
“Basta
che non distruggiate nulla e che mi riportiate
le chiavi.” Assicurò sorridendo gentilmente.
“Non
si preoccupi, ci prenderemo noi cura di ogni cosa…
non faremo nulla di pericolosissimo. Devo solo fare un
favore.” Disse Percy,
ringraziando.
All’interno
indossai una tuta sportiva che mi aveva
prestato Rachel e raggiunsi Percy, già in tenuta da
combattimento.
“Wow…”
Sussurrò lui, guardandomi come se non mi avesse
mai visto. “Stai benissimo! Dovevi essere una persona che si
allenava costantemente.”
“Ehmm…
non lo so. Grazie.” Sussurrai, arrossendo.
Cavolo, come lo adoravo quando diventava così dolce.
Lui
si ricompose in fretta e si avvicinò a me,
mettendosi in guardia, con i pugni alzati. Il suo sguardo
sembrò diventare
tempestoso e io mi ritrovai ad osservarlo con un po’ di
timore, ma non feci
trasparire nulla e lo imitai.
“Allora…
questa è la posizione base per la difesa. Il
braccio sinistro deve rimanere più in basso rispetto a
quello destro che
protegge il viso.” Spiegò, aiutandomi ad assumere
la posizione corretta.
“Ora…
le mosse base, per affrontare qualsiasi
aggressore devi riuscire a capire i suoi punti deboli. Di solito la
gola o la
zona in mezzo alle gambe. Ora prova a colpirmi.”
Ordinò, incitandomi.
Iniziai
a tirare pugni, cercando di colpirlo dove mi
aveva detto, ma ogni volta che incrociavo il suo sguardo, non riuscivo
ad
alzare una mano contro di lui e i miei colpi rallentavano. Lui, invece,
era la
perfezione: i suoi occhi erano un mare tempestoso che si concentrava su
di me
evitando i colpi e anticipando ogni mia mossa.
“Non
distrarti… sono un tuo avversario, ricordalo!”
Dopo
avermi spiegato le basi e le mosse base, mi invitò
a creare delle combinazioni, usando calci e pugni a ripetizione. Ero
stranamente rilassata, nonostante la fatica. Lui era molto paziente e
sopportava i miei ridicoli scivoloni, quando sbagliavo una mossa
mettendo un
piede in fallo. Dopo due ore decidemmo d smetterla e lui
sembrò molto
soddisfatto.
“Non
avrai fatto arti marziali, ma devi aver
sicuramente fatto qualche sport in passato.”
Sentenziò offrendomi un po’
d’acqua.
“Grazie…
ma come sai, non ricordo quasi nulla…”Ammisi,
uscendo dallo spogliatoio, di nuovo cambiata e afferrando la bottiglia
che mi
porgeva. Sembrava volermi proporre qualcosa, ma dal rossore intuii che
non gli
piaceva.
“Senti…
io… dovrei parlarti un attimo.” Disse,
improvvisamente serio.
Io
lo guardai interrogativa. Avevo un po’ paura che mi
volesse dire qualcosa di brutto, ma scartai l’ipotesi. Non
erano successe cose
particolarmente rilevante, in quei giorni.
“Dimmi…”
“Ecco…
mercoledì c’è un film che potrebbe
piacerti… ti
andrebbe di venire al cinema con me? Offro io…”
Mentre lo diceva, sembrava arrossire
fino alla punta delle orecchie ed io mi sentii allo stesso modo.
Cavolo!
Dov’erano
Talia e Rachel quando avevo bisogno di
consigli romantici? Perché non ricordavo nulla? Non mi
avevano mai invitato ad
un appuntamento?
“D-d’accordo…
ma… sicuro di potertelo permettere?”
Chiesi, mordendomi il labbro inferiore, un po’ ansiosa.
“Certo…
nessun problema, ho qualche soldo da parte…”
Spiegò, sempre più agitato.
“Allora
va bene… prometto che t ripagherò. Appena
ricorderò qualcosa…” Promisi, dandogli
un veloce bacio sulla guancia che lo
lasciò interdetto.
“Oh…
davvero ti ha chiesto di uscire?”
Ero
a casa di Talia per un’altra sua ricerca
infruttuosa. Ma a quanto pare, per una volta, non era il mio passato
l’oggetto
principale della conversazione.
“Sì…
che devo fare, secondo te? Devo vestirmi in
qualche modo?” Chiesi, ansiosa. Non volevo fare brutta
figura. C’era la
possibilità che fosse il mio primo appuntamento e non volevo
fare brutta
figura.
“Vestiti
normale e parla in modo naturale… Percy non è
un tipo pretenzioso.” Susurrò, ridacchiando
maliziosa.
“D’accordo…
spero davvero di non dire stupidaggini.”
Borbottai, per nulla tranquillizzata.
“Non
dire così… senti, Percy non ha mai chiesto a
nessuno di uscire. Anche quando stava con Rachel, lui non la invitava
mai al
cinema, al massimo a casa sua. Se ti ha invitato significa che gli
piaci
davvero.” Disse la mora, sorridendo incoraggiante. Forse
aveva ragione: mi
stavo preoccupando troppo.
Mi
ero messa a leggere un sacco di cose di gossip e
siti con libri romantici e mielosi per capire cosa dovessi fare, se
dovessi
acconciarmi i capelli in qualche modo particolare, se dovessi vestirmi
in
maniera adatta o se dovessi dire o fare qualcosa. Peccato che non si
potesse
imparare l’Amore sui libri. Potevi solo viverlo.
“Io
torno a casa… ci vediamo, Tal.” La salutai, io,
dandole
un bacino sulla guancia.
Mentre
uscivo mi avviai verso l’ingresso, dove stavo
prendendo la mia giacca, ma mentre allungavo la mano, qualcuno mi
travolse. Non
mi buttò a terra, ma mi sbilanciò un
po’.
“Oh,
scusami… stavo cercando di prendere la mia giacca.”
Mi
voltai e notai che ad avermi urtato era stata la
ragazza di Jason: Piper. Non l’avevo mai vista
così da vicino. Da lontano
sembrava una specie di principessa, o forse ero io che la consideravo
tale, ma,
vedendola da vicino, non era così perfetta. Certo che
però era carina, aveva i
tratti tipici di un’indigena americana, i capelli castani
avevano un taglio
asimmetrico e gli occhi scuri mi fissavano amichevoli. Indossava un
paio di
Jeans e una maglietta rosa un po’ stinta. Non sembrava male,
come persona.
“Non
preoccuparti, nemmeno io ti avevo vista.” Ammisi,
sorridendo e prendendo la mia giacca.
“Sei
Annabeth, vero? La nuova amica di Talia.” Intuì
lei, indossando il suo. Stranamente, la trovai simpatica.
“Sì…
e tu sei Piper, la ragazza di Jason.”
“Sì…
ehm… piacere di conoscerti.” No capii cosa, ma
sembrava nervosa e anche un po’ triste per qualcosa. Che
fosse colpa mia?
“Ehi…
ho detto una cosa che non andava bene?” Chiesi,
poggiandole una mano sulla spalla, come per tirarla su.
“No…
solo che… ho appena litigato con Jason… ho
scoperto una cosa che mi ha fatto parecchio male.” Ammise
abbassando lo
sguardo.
Mi
sentii stranamente in pena per lei, così le detti
una pacca sulle spalle e le indicai la porta: “TI va di fare
una passeggiata?
Magari se mi racconti qualcosa starai meglio.”
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
Autore]
LOL
non riesco a credere che sono riuscito a mantenere questa
velocità di pubblicazione, soprattutto con un'altra idea che
mi frulla in testa
su questo fandom. Non so quanto durerà,
però… infatti ho un’altra idea, inoltre
sta per ricominciare la serie dei Semidei del Nord. Fino ad allora,
però,
dovrei avere tempo di continuare a pubblicare.
Quindi
recensite, recensite e recensite.
AxXx