Ballare assieme è peggio di amarsi.
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CAPITOLO IV ▪
Il
sole era tramontato da poco sul mare, tingendo il cielo d’arancione prima di
lasciare il suo posto ad una piccola luna, oscurata dalle luci dei locali e
delle discoteche.
Rain s’infilò la
felpa azzurra, cercando di ignorare Brice – seduto
sul letto – intento a blaterare qualcosa sul fatto che non capiva perché non
uscisse con loro, quella sera.
«La
verità è che hai un appuntamento e non me lo vuoi dire…»
borbottò infilandosi le scarpe, mentre Rain sospirava
per la centesima volta. Era tentato di dargli corda e di mentire, qualcosa come
“Sì, esco con il biondo che ti piace tanto”, ma si limitò a proferire un
«piantala di rompere i coglioni: non è un appuntamento!» – ed effettivamente
non lo era. O forse no? In qualsiasi
caso ferirlo era l’ultima cosa che voleva fare, anche se – ad essere del tutto
sinceri – trovava abbastanza improbabile il fatto che Brice
si fosse preso uno sbandata per un ragazzo con cui non aveva mai nemmeno
parlato – neppure sa se è gay, quel
pirla.
«Va
bene, come vuoi» ribatté Brice, alzandosi dal
materasso, «ma rimani comunque uno stronzo che non esce in compagnia» continuò,
lasciando poi la stanza senza aggiungere altro.
La
porta blu scura dell’Access si aprì
senza far rumore, mentre la musica – un remix abbastanza riuscito di Follow the Leader trapanava le orecchie a
tutti i presenti. Erano quasi le dieci di sera, il locale aveva aperto da
mezz’ora scarsa e, nonostante avesse vita giovane, sembrava godesse di una fama
tutta sua.
«Lavoro
qui» gli urlò all’orecchio Étienne, tenendogli la
manica della felpa per non perderlo tra la folla che entrava e usciva dal
posto. Lo tirò vicino a sé, accompagnandolo poi al bar in un lato della grande
sala illuminata di viola. Sorrise come se fosse un po’ in imbarazzo – chiunque lo sarebbe, portando un ballerino
classico in una discoteca.
E
prima che entrambi potessero dire qualcosa, una voce squillante e profonda si
fece strada a gomitate tra le persone. «Tyen!»
chiamò, e poco dopo una ragazza dalla pelle scura e i capelli ricci, tenuti
legati in uno chignon, si palesò vicino ai due – indossava un top rosso scuro
che lasciava ben poco all’immaginazione e i jeans a vita alta delineavano
perfettamente le curve delle gambe. Passò un braccio attorno a quello
dell’altro e gli sorrise, «non pensavo saresti venuto, è il tuo giorno libero…».
È la sua
fidanzata,
pensò con una nota di amarezza Rain, esasperandosi
ancora di più per il suo pensiero: ma che diavolo mi prende? Se ha una
fidanzata meglio per lui, no? Di certo non mi dispiace, pff!
L’unico che ci rimarrà di merda sarà Brice… in
realtà, e una piccola parte di lui lo sapeva, quello che ci sarebbe rimasto di
sasso sarebbe stato lui, ma scaricare le proprie disgrazie sugli altri gli
sembrava una buona tecnica per ammortizzare eventuali delusioni.
«Rain, questa è Vivienne» gli
disse Étienne, interrompendo il flusso di pensieri
dell’altro. Indicava l’amica di colore che intanto si dondolava a ritmo di
musica. I make you lose your
cabeza, Colombia…
«balliamo assieme, ogni tanto» confessò poi, liberando la ragazza dalla stretta
attorno alla spalla mentre questa faceva una giravolta.
Fantastico! pensò l’altro,
smascherandosi sempre di più – annuì sorridendo mentre nella sua testa il
pensiero di Étienne che ballava con quella certa Vivienne esplodeva in mille scintille, facendo prendere
fuoco ai suoi poveri neuroni – già alquanto provati dal continuo tunz tunz del
remix. «Ballate bene?» si limitò a chiedere – chiedendosi per quanto ancora la
ragazza avrebbe fatto compagnia. E meno
male che doveva mostrarmi cosa significa “ballare”.
«Benissimo!»
intervenne lei d’un tratto, Reinhart si irrigidì sul
posto, «glielo facciamo vedere?» chiese poi, stringendo ancora il braccio
all’amico.
No. No, no e no.
«Sì!»
acconsentì l’altro, andando esattamente dalla parte opposta ai pensieri del
ballerino, «dopotutto…» mormorò, per quanto si possa
mormorare in una discoteca, «siamo qui per questo, no?» sorrise a Rain in un modo così contagioso che l’altro non poté fare
altro che ricambiare. «Chi c’è a fare il DJ, Vivy?»
le chiese, chinandosi leggermente sul suo orecchio.
«Jules!»
rispose.
Il
volto del biondo si dipinse di sorpresa, un’espressione piacevole su quel suo
viso magro e sereno. Rain, invece, sembrava ancora
confuso e leggermente turbato. «Vieni» gli disse, stringendogli di nuovo la
felpa e trascinandolo tra la folla, facendosi guidare da Tyen
e, a sua volta, da Vivienne.
Abbandonarono
Reinhart davanti alla pista e, mentre Étienne andò a
parlare con questo fantomatico Jules, la ragazza fece sgombrare la pista,
lanciando pure un occhiolino al ballerino che, inebetito e ancora più confuso
dalla situazione, si limitò a sorriderle passandosi una mano tra i capelli.
Poi
Vivienne si mise al centro della pista, proprio davanti
a lui: assunse una cerca posa con un braccio sul fianco e l’altro lasciato
cadere, la gambe leggermente piegate e quella destra si appoggiava al pavimento
sulla punta del piede. *
La
musica cambiò, le luci si abbassarono mentre i sussurri di Michael Jackson
invadevano il tutto, vibrando sulla pelle di tutti – incantando i presenti. The way she came into the place, I knew right then and there. There was
something different about this girl.
Étienne apparse dietro l’altra come un’ombra, un tonfo – facente parte della
melodia – accompagnò un brusco ma gradevole cambio di posizione: Vivienne aprì le braccia come a formare una diagonale,
dietro di lei il ragazzo fece lo stesso movimento – dalla posizione di Rain si vedeva una croce perfetta.
E incominciarono dei movimenti leggeri, che senza
toccarsi sembravano carezze. Erano le mani che si muovevano, i piedi, le spalle
e persino le dita che, da sole, con un semplice gesto, trasmettevano un’energia
tale da far sembrare tutti gli sforzi fatti da Reinhart
nella scuola quasi inutili e ridicoli. Aveva ragione, lui, a pensare che il
fatto che ballassero assieme fosse peggio dell’amarsi: era una sintonia
speciale, come se il sincronizzare i gesti di uno con quelli dell’altra
richiedesse un’energia condivisa da entrambi. E non si guardavano – rimanevano
seri a fissare il nulla, come in un sogno ad occhi aperti.
Saltarono, cadendo a terra come richiedeva la
coreografia, accompagnati dal rumore del vetro che si rompeva. Il pubblico
scoppiò in un boato di complimenti, applaudendo e urlando, trascinando Rain in quell’euforia contagiosa. Étienne
si alzò, aiutando Vivienne a fare altrettanto. Jules
fece partire Can’t Hold
Us, il singolo di un rapper uscito l’anno prima,
remixandolo a dovere – lo stesso partito per caso dall’iPod del ragazzo quando si era
fatto vedere per la prima volta alla classe della Madame. La folla si sparse sulla pista e il biondo ritornò dal
ballerino.
«Vivy è andata via, aveva
delle amiche che la aspettavano» lo informò, passandosi una mano sui capelli
scompigliati, sorrideva come se danzare sulle note di Dangerous lo avesse purificato, «allora, come ti è sembrato?».
Rain non rispose subito – si limitò a guardarlo un po’ inebetito, alzando poi
gli occhi come per cercare le parole. Étienne lo
invitò a sedersi e rimasero a parlare fino a quando, come riemerso da una dolce
apnea, Reinhart non si accorse dell’orario
inaccettabile.
«Mi chiuderanno fuori e sarà la fine!» esclamò,
lasciando la birra ormai vuota sul tavolo e infilandosi la felpa.
Si salutarono velocemente con la promessa di
rivedersi quel lunedì, a lezione, e quando Rain
arrivò al dormitorio il custode stava chiudendo la portineria – appena in tempo, si disse, tirando un
sospiro di sollievo.
Quando entrò in camera, Brice
stava già dormendo.
Rain si paralizzò davanti all’insegna del locale, costringendo Régine –
attaccata al suo braccio – a fermarsi di colpo con lui. «Volete davvero entrare
qui?» domandò, sperando che almeno la ragazza – sua compagna nel pas de deux – gli
desse corda, convincendo Brice ad andare altrove.
«Perché no? Ha aperto da poco, dicono che è un bel
posto!» affermò convinta la ballerina, deludendo le sue aspettative – di tutti i posti che esistevano proprio l’Access, bene. Non che qualcosa in particolare
lo infastidisse, ma ricordava l’ultima volta in cui ci era stato, due settimane
prima, e ricordava anche che Étienne lavorava lì:
l’ultima cosa che voleva era incontrarlo con Brice in
mezzo ai piedi, soprattutto ora che si erano visti quasi tutti i giorni per la
questione del “devi scioglierti, amico”.
«Eddai, Rain! Non lamentarti, per una volta» borbottò ancora la
ragazza, tirandolo per il braccio oltre la porta – troppo tardi! Si lasciò guidare fino al bar, tenendo la rossa
saldamente per il braccio mentre Brice li precedeva,
facendosi strada fra la folla. Non osava guardarsi attorno, tanto meno dietro
al bancone: prima avrebbero finito, meglio sarebbe stato. Lasciò che Brice ordinasse da bere, e poi andarono a sedersi, mentre
Régine ondeggiava a tempo di musica sui tacchi altissimi, rischiando di
rovesciarsi il drink addosso – non sarebbe stata la prima volta, dopotutto.
«Finalmente siamo usciti tutti e tre: io con i miei
maschioni» ridacchiò, poggiando il capo sulla spalla di Rain,
«Anche se domani mattina abbiamo lezione presto ed io arriverò in ritardo…» borbottò pensierosa, come se per una frazione di
secondo l’idea di essere uscita le fosse sembrata sbagliata, «ma non me ne
frega un cazzo!» affermò poi, tornando a bere il suo drink.
«A te non frega mai un cazzo di niente, Régine»
replicò Brice con un sorriso, ed effettivamente era
vero: sembrava stare su un altro pianeta, perennemente fra le nuvole. Era una
razza a parte, svampita ed esaltata, ma incredibilmente dolce. La serata
trascorse tranquilla: Régine ballava; Brice beveva e
anche Rain, dopo i primi dieci minuti, aveva trovato
uno sprazzo di stabilità. Tutto proseguì per il meglio e, quando venne il
momento di andare a recuperare Régine sulla pista da ballo, la voce di Brice gli trapanò l’orecchio, più di quanto avesse fatto la
musica fin’ora: «Rain, guarda dov’è!» gli disse, ma
il punto non era tanto il “dove”, ma il “con chi”. Alzò gli occhi nel punto in
cui Brice stava indicando, e lì, dietro la console
del DJ – con il DJ – c’era Régine, intenta a ballare come se non ci fosse un
domani. Rimasero un attimo basiti entrambi, mentre Rain
cercava di metabolizzare il fatto che aveva passato la serata ad evitare il
bar, quando il suo unico vero problema era sempre stato là, dove la ragazza si
stava muovendo – probabilmente ubriaca – , dove Étienne
metteva i dischi. Étienne. Sì.
In effetti lui aveva detto che lavorava lì, ma non
cosa faceva con precisione. Sospirò tirando la manica della felpa all’amico,
chinandosi vicino al suo orecchio, «vado a recuperarla e torno!» affermò,
cercando di sovrastare con il tono della voce la musica troppo alta. Si fece
largo fra la gente seguito da Brice che, forse perché
c’era il suo biondino, forse perché
non aveva capito una parola di quello che gli aveva detto, lo seguì a ruota.
Quando la raggiunse la prese per i fianchi,
portandosela vicino, «Régine, dobbiamo andare!» dichiarò categorico, cercando
di convincerla ad uscire da lì, ma lei lo guardò corrucciando le sopracciglia,
borbottando qualcosa di molto simile ad un «non voglio venire».
Rain sospirò esasperato, prendendola di peso mentre si lamentava: era sempre
la solita storia, lei faceva così e poi rischiavano di fare tardi per un pelo.
«Muoviti, su. Domani mattina mi ringrazierai…» le
disse, ma prima che riuscisse a portarla via il suo sguardo incrociò quello del
ragazzo che stava cercando di evitare – o forse ignorare, non lo sapeva nemmeno
lui – per tutta la sera. Lo vide sorridere e alzare la mano in segno di saluto,
mentre lui cercava di sollevare Régine dal pavimento sul quale si era lasciata
scivolare. Non disse nulla, si limitò a ricambiare con un sorrisino sghembo, e
poi si caricò Régine in braccio, uscendo dal locale.
Erano arrivati con qualche minuto di anticipo, per
loro fortuna. Avevano riaccompagnato Régine fino alla sua stanza, e poi
l’avevano lasciate nella mani della sua compagna – oramai avvezza allo stato in
cui lei si ripresentava almeno una volta a settimana – , e poi se n’erano
tornati in stanza con un imbarazzante silenzio a fare da sfondo.
Ed ora erano lì, nei due letti, cercando di
addormentarsi e far riposare le orecchie martoriate dall’incessante martellare
della musica. «Da quando siete così amici?» domandò d’un tratto Brice, facendo crollare quel manto di calma e tensione che
si era venuto a creare.
Rain non si girò nemmeno a guardarlo, rimase con gli occhi chiusi, steso sul
fianco, facendo semplicemente il finto tonto, «chi?» chiese, come se non avesse
capito chi fosse il soggetto della conversazione.
«Tu e il biondino… Étienne» gli rispose l’amico, il tono della voce a metà fra
l’irritato e il nervoso – sapeva sarebbe successo prima o poi, ma meglio poi
che prima.
«Ci vediamo ogni tanto…»
spiegò Rain, sistemandosi le coperte, «e adesso
dormi, che è tardissimo» tagliò corto, cercando di distoglierlo da quel dialogo
che non voleva fare.
«Certo…» borbottò Brice, rigirandosi sul materasso per dargli le spalle,
facendo sospirare Rain – era bravo in quello, era una
delle poche cose che sapeva fare.
«Non gli piacciono i ragazzi, e adesso smettila e
dormi» ribatté piuttosto irritato, ma alla fine era la verità, o almeno, era
quello che gli era sembrato nelle tre settimane in cui avevano parlato.
Seguì un attimo di silenzio che fece sperare a Rain di aver messo finalmente un punto a quella
chiacchierata notturna, ma non durò molto, il tempo che Brice
assimilasse il tutto e tornasse alla carica: «te l’ha detto lui?» gli chiese,
il tono della voce più calmo.
«No, ma secondo me è così» ammise, cercando di
trovare la posizione giusta per dormire.
«Sei un coglione…»
brontolò, tirandosi le lenzuola fino al naso, «dimmi almeno se è simpatico,
perché che è carino lo vedo da solo e mi basta» continuò, cercando di
mascherare l’evidente rabbia che la situazione gli aveva fatto nascere.
Dopotutto Rain era sempre stato primo in tutto, e
anche quando non era primo stava comunque un passo avanti a lui: era una cosa
che non riusciva a sopportare, e che mai avrebbe imparato a digerire.
«Non è il tuo tipo, e adesso possiamo dormire?»
domandò retorico, premendosi il cuscino sulla faccia.
Brice scoppiò in una risatina pressoché isterica, «ma immagino che sia il tuo
tipo, giusto?» ribatté acido, rigirandosi di nuovo sotto le coperte. «Ti
detesto, davvero. Sei uno stronzo…» continuò a
lamentarsi, tentato ad alzarsi e provare a soffocarlo con il cuscino, «se te lo
scopi almeno fammelo sapere, te ne sarei davvero grato!» affermò ironico,
aspettandosi una qualche risposta da Rain che,
purtroppo per lui, non arrivò.
«Mi sono
innamorata della danza perché è l’unica arte che si avvicina all’amore.
Si fa con
il corpo, l’anima e il cuore, almeno nei casi migliori.»
– Vittoria Ottolenghi –
WE
LIVE AND BREATHE WORDS – note d’autrici.
Siamo arrivate puntuali nel weekend,
sebbene ci siano stati piccolo intoppi di malanni e cose del genere.
Insomma, siamo qui, e speriamo che nonostante
i tagli che siamo state costrette a fare vi sia tutto chiaro, altrimenti
chiedete pure. Rain e Tyen
si conosco da tre settimane, oramai. Si sono visti quasi tutte le sere, perché
alla fine Étienne gli sta dando una mano, e lo sta facendo in modo contiguo, ma a noi non
sembrava il caso di propinarvi cinquanta capitoli tutti così, eh. Insomma, vi
abbiamo alleggerito il carico, ecco.
Intanto vi diciamo che l’Access esiste davvero, è davvero a Cannes, e se cercate su Google
lo trovate, sì. Mentre, questi sono Brice e Régine,
se qualcuno volesse vedere i loro musini, ecco: Brice. Régine.
Il resto… non lo so, sono malaticcia
e voglio bermi un latte e cacao fresco, quindi facciamo che vi indico(?), se
non lo avete trovato, il link del ballo nel testo: cercatelo bene, chi cerca
trova! E per il resto vi lasciamo il remix di Follow
the Leader e di Can’t Hold Us – se qualcuno volesse
ascoltarli. Vi diciamo anche che noi non siamo persone da discoteca, quindi è
tutta Licenza Poetica, insomma.
Ecco, finito! Speriamo vi sia piaciuto, e vi
ringraziamo ancora molto per le recensioni e il seguito. ~
Al prossimo capitolo. ~
papavero radioattivo.