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Autore: papavero radioattivo    16/02/2014    4 recensioni
[...] sembrava che lo guardasse, che lo guardasse davvero: che gli sbirciasse l’anima per dirgli “tu puoi farlo, puoi ballare”. ― DAL CAPITOLO II.
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Esiste un abisso fra un ballerino classico e uno di street dance, un divario difficile da colmare, ma forse non impossibile. Due mondi diversi che collidono, due ragazzi con la passione per la danza. Questa è la loro storia d'amore un po' da film, un passo a due fatto di promesse e carezze. Perché un solo ballo basta a farti innamorare.
Reinhart ed Étienne sono immersi in due vite opposte di Cannes, in Costa Azzurra. Tra saggi di danza, discoteche, caviglie rotte e insalate per pranzo impareranno a conoscersi e a conoscere che una birra e un pezzo di cioccolato ogni tanto non possono rovinare la carriera di un ballerino - e una verità non può essere così dolorosa come ci si aspetta.
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→ linguaggio scurrile e lievissimi riferimenti a tematiche sessuali, la storia non prenderà nessuna piega "delicata" e rimarrà piuttosto sul comico.
→ lieve presenza di elementi angst durante l'evoluzione della trama.
Genere: Angst, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Ballare assieme è peggio di amarsi.

CAPITOLO IV

 

 

 

 

Il sole era tramontato da poco sul mare, tingendo il cielo d’arancione prima di lasciare il suo posto ad una piccola luna, oscurata dalle luci dei locali e delle discoteche.

Rain s’infilò la felpa azzurra, cercando di ignorare Brice – seduto sul letto – intento a blaterare qualcosa sul fatto che non capiva perché non uscisse con loro, quella sera.

«La verità è che hai un appuntamento e non me lo vuoi dire…» borbottò infilandosi le scarpe, mentre Rain sospirava per la centesima volta. Era tentato di dargli corda e di mentire, qualcosa come “Sì, esco con il biondo che ti piace tanto”, ma si limitò a proferire un «piantala di rompere i coglioni: non è un appuntamento!» – ed effettivamente non lo era. O forse no? In qualsiasi caso ferirlo era l’ultima cosa che voleva fare, anche se – ad essere del tutto sinceri – trovava abbastanza improbabile il fatto che Brice si fosse preso uno sbandata per un ragazzo con cui non aveva mai nemmeno parlato – neppure sa se è gay, quel pirla.

«Va bene, come vuoi» ribatté Brice, alzandosi dal materasso, «ma rimani comunque uno stronzo che non esce in compagnia» continuò, lasciando poi la stanza senza aggiungere altro.

 

 

La porta blu scura dell’Access si aprì senza far rumore, mentre la musica – un remix abbastanza riuscito di Follow the Leader trapanava le orecchie a tutti i presenti. Erano quasi le dieci di sera, il locale aveva aperto da mezz’ora scarsa e, nonostante avesse vita giovane, sembrava godesse di una fama tutta sua.

«Lavoro qui» gli urlò all’orecchio Étienne, tenendogli la manica della felpa per non perderlo tra la folla che entrava e usciva dal posto. Lo tirò vicino a sé, accompagnandolo poi al bar in un lato della grande sala illuminata di viola. Sorrise come se fosse un po’ in imbarazzo – chiunque lo sarebbe, portando un ballerino classico in una discoteca.

E prima che entrambi potessero dire qualcosa, una voce squillante e profonda si fece strada a gomitate tra le persone. «Tyen!» chiamò, e poco dopo una ragazza dalla pelle scura e i capelli ricci, tenuti legati in uno chignon, si palesò vicino ai due – indossava un top rosso scuro che lasciava ben poco all’immaginazione e i jeans a vita alta delineavano perfettamente le curve delle gambe. Passò un braccio attorno a quello dell’altro e gli sorrise, «non pensavo saresti venuto, è il tuo giorno libero…».

È la sua fidanzata, pensò con una nota di amarezza Rain, esasperandosi ancora di più per il suo pensiero:  ma che diavolo mi prende? Se ha una fidanzata meglio per lui, no? Di certo non mi dispiace, pff! L’unico che ci rimarrà di merda sarà Brice… in realtà, e una piccola parte di lui lo sapeva, quello che ci sarebbe rimasto di sasso sarebbe stato lui, ma scaricare le proprie disgrazie sugli altri gli sembrava una buona tecnica per ammortizzare eventuali delusioni.

«Rain, questa è Vivienne» gli disse Étienne, interrompendo il flusso di pensieri dell’altro. Indicava l’amica di colore che intanto si dondolava a ritmo di musica. I make you lose your cabeza, Colombia… «balliamo assieme, ogni tanto» confessò poi, liberando la ragazza dalla stretta attorno alla spalla mentre questa faceva una giravolta.

Fantastico! pensò l’altro, smascherandosi sempre di più – annuì sorridendo mentre nella sua testa il pensiero di Étienne che ballava con quella certa Vivienne esplodeva in mille scintille, facendo prendere fuoco ai suoi poveri neuroni – già alquanto provati dal continuo tunz tunz del remix. «Ballate bene?» si limitò a chiedere – chiedendosi per quanto ancora la ragazza avrebbe fatto compagnia. E meno male che doveva mostrarmi cosa significa “ballare”.

«Benissimo!» intervenne lei d’un tratto, Reinhart si irrigidì sul posto, «glielo facciamo vedere?» chiese poi, stringendo ancora il braccio all’amico.

No. No, no e no.

«Sì!» acconsentì l’altro, andando esattamente dalla parte opposta ai pensieri del ballerino, «dopotutto…» mormorò, per quanto si possa mormorare in una discoteca, «siamo qui per questo, no?» sorrise a Rain in un modo così contagioso che l’altro non poté fare altro che ricambiare. «Chi c’è a fare il DJ, Vivy?» le chiese, chinandosi leggermente sul suo orecchio.

«Jules!» rispose.

Il volto del biondo si dipinse di sorpresa, un’espressione piacevole su quel suo viso magro e sereno. Rain, invece, sembrava ancora confuso e leggermente turbato. «Vieni» gli disse, stringendogli di nuovo la felpa e trascinandolo tra la folla, facendosi guidare da Tyen e, a sua volta, da Vivienne.

Abbandonarono Reinhart davanti alla pista e, mentre  Étienne andò a parlare con questo fantomatico Jules, la ragazza fece sgombrare la pista, lanciando pure un occhiolino al ballerino che, inebetito e ancora più confuso dalla situazione, si limitò a sorriderle passandosi una mano tra i capelli.

Poi Vivienne si mise al centro della pista, proprio davanti a lui: assunse una cerca posa con un braccio sul fianco e l’altro lasciato cadere, la gambe leggermente piegate e quella destra si appoggiava al pavimento sulla punta del piede. *

La musica cambiò, le luci si abbassarono mentre i sussurri di Michael Jackson invadevano il tutto, vibrando sulla pelle di tutti – incantando i presenti. The way she came into the place, I knew right then and there. There was something different about this girl.

Étienne apparse dietro l’altra come un’ombra, un tonfo – facente parte della melodia – accompagnò un brusco ma gradevole cambio di posizione: Vivienne aprì le braccia come a formare una diagonale, dietro di lei il ragazzo fece lo stesso movimento – dalla posizione di Rain si vedeva una croce perfetta.

E incominciarono dei movimenti leggeri, che senza toccarsi sembravano carezze. Erano le mani che si muovevano, i piedi, le spalle e persino le dita che, da sole, con un semplice gesto, trasmettevano un’energia tale da far sembrare tutti gli sforzi fatti da Reinhart nella scuola quasi inutili e ridicoli. Aveva ragione, lui, a pensare che il fatto che ballassero assieme fosse peggio dell’amarsi: era una sintonia speciale, come se il sincronizzare i gesti di uno con quelli dell’altra richiedesse un’energia condivisa da entrambi. E non si guardavano – rimanevano seri a fissare il nulla, come in un sogno ad occhi aperti.

Saltarono, cadendo a terra come richiedeva la coreografia, accompagnati dal rumore del vetro che si rompeva. Il pubblico scoppiò in un boato di complimenti, applaudendo e urlando, trascinando Rain in quell’euforia contagiosa. Étienne si alzò, aiutando Vivienne a fare altrettanto. Jules fece partire Can’t Hold Us, il singolo di un rapper uscito l’anno prima, remixandolo a dovere – lo stesso partito per caso dall’iPod del ragazzo quando si era fatto vedere per la prima volta alla classe della Madame. La folla si sparse sulla pista e il biondo ritornò dal ballerino.

«Vivy è andata via, aveva delle amiche che la aspettavano» lo informò, passandosi una mano sui capelli scompigliati, sorrideva come se danzare sulle note di Dangerous lo avesse purificato, «allora, come ti è sembrato?».

Rain non rispose subito – si limitò a guardarlo un po’ inebetito, alzando poi gli occhi come per cercare le parole. Étienne lo invitò a sedersi e rimasero a parlare fino a quando, come riemerso da una dolce apnea, Reinhart non si accorse dell’orario inaccettabile.

«Mi chiuderanno fuori e sarà la fine!» esclamò, lasciando la birra ormai vuota sul tavolo e infilandosi la felpa.

Si salutarono velocemente con la promessa di rivedersi quel lunedì, a lezione, e quando Rain arrivò al dormitorio il custode stava chiudendo la portineria – appena in tempo, si disse, tirando un sospiro di sollievo.

Quando entrò in camera, Brice stava già dormendo.

 

 

Rain si paralizzò davanti all’insegna del locale, costringendo Régine – attaccata al suo braccio – a fermarsi di colpo con lui. «Volete davvero entrare qui?» domandò, sperando che almeno la ragazza – sua compagna nel pas de deux – gli desse corda, convincendo Brice ad andare altrove.

«Perché no? Ha aperto da poco, dicono che è un bel posto!» affermò convinta la ballerina, deludendo le sue aspettative – di tutti i posti che esistevano proprio l’Access, bene. Non che qualcosa in particolare lo infastidisse, ma ricordava l’ultima volta in cui ci era stato, due settimane prima, e ricordava anche che Étienne lavorava lì: l’ultima cosa che voleva era incontrarlo con Brice in mezzo ai piedi, soprattutto ora che si erano visti quasi tutti i giorni per la questione del “devi scioglierti, amico”.

«Eddai, Rain! Non lamentarti, per una volta» borbottò ancora la ragazza, tirandolo per il braccio oltre la porta – troppo tardi! Si lasciò guidare fino al bar, tenendo la rossa saldamente per il braccio mentre Brice li precedeva, facendosi strada fra la folla. Non osava guardarsi attorno, tanto meno dietro al bancone: prima avrebbero finito, meglio sarebbe stato. Lasciò che Brice ordinasse da bere, e poi andarono a sedersi, mentre Régine ondeggiava a tempo di musica sui tacchi altissimi, rischiando di rovesciarsi il drink addosso – non sarebbe stata la prima volta, dopotutto.

«Finalmente siamo usciti tutti e tre: io con i miei maschioni» ridacchiò, poggiando il capo sulla spalla di Rain, «Anche se domani mattina abbiamo lezione presto ed io arriverò in ritardo…» borbottò pensierosa, come se per una frazione di secondo l’idea di essere uscita le fosse sembrata sbagliata, «ma non me ne frega un cazzo!» affermò poi, tornando a bere il suo drink.

«A te non frega mai un cazzo di niente, Régine» replicò Brice con un sorriso, ed effettivamente era vero: sembrava stare su un altro pianeta, perennemente fra le nuvole. Era una razza a parte, svampita ed esaltata, ma incredibilmente dolce. La serata trascorse tranquilla: Régine ballava; Brice beveva e anche Rain, dopo i primi dieci minuti, aveva trovato uno sprazzo di stabilità. Tutto proseguì per il meglio e, quando venne il momento di andare a recuperare Régine sulla pista da ballo, la voce di Brice gli trapanò l’orecchio, più di quanto avesse fatto la musica fin’ora: «Rain, guarda dov’è!» gli disse, ma il punto non era tanto il “dove”, ma il “con chi”. Alzò gli occhi nel punto in cui Brice stava indicando, e lì, dietro la console del DJ – con il DJ – c’era Régine, intenta a ballare come se non ci fosse un domani. Rimasero un attimo basiti entrambi, mentre Rain cercava di metabolizzare il fatto che aveva passato la serata ad evitare il bar, quando il suo unico vero problema era sempre stato là, dove la ragazza si stava muovendo – probabilmente ubriaca – , dove Étienne metteva i dischi. Étienne. Sì.

In effetti lui aveva detto che lavorava lì, ma non cosa faceva con precisione. Sospirò tirando la manica della felpa all’amico, chinandosi vicino al suo orecchio, «vado a recuperarla e torno!» affermò, cercando di sovrastare con il tono della voce la musica troppo alta. Si fece largo fra la gente seguito da Brice che, forse perché c’era il suo biondino, forse perché non aveva capito una parola di quello che gli aveva detto, lo seguì a ruota.

Quando la raggiunse la prese per i fianchi, portandosela vicino, «Régine, dobbiamo andare!» dichiarò categorico, cercando di convincerla ad uscire da lì, ma lei lo guardò corrucciando le sopracciglia, borbottando qualcosa di molto simile ad un «non voglio venire».

Rain sospirò esasperato, prendendola di peso mentre si lamentava: era sempre la solita storia, lei faceva così e poi rischiavano di fare tardi per un pelo. «Muoviti, su. Domani mattina mi ringrazierai…» le disse, ma prima che riuscisse a portarla via il suo sguardo incrociò quello del ragazzo che stava cercando di evitare – o forse ignorare, non lo sapeva nemmeno lui – per tutta la sera. Lo vide sorridere e alzare la mano in segno di saluto, mentre lui cercava di sollevare Régine dal pavimento sul quale si era lasciata scivolare. Non disse nulla, si limitò a ricambiare con un sorrisino sghembo, e poi si caricò Régine in braccio, uscendo dal locale.

 

 

Erano arrivati con qualche minuto di anticipo, per loro fortuna. Avevano riaccompagnato Régine fino alla sua stanza, e poi l’avevano lasciate nella mani della sua compagna – oramai avvezza allo stato in cui lei si ripresentava almeno una volta a settimana – , e poi se n’erano tornati in stanza con un imbarazzante silenzio a fare da sfondo.

Ed ora erano lì, nei due letti, cercando di addormentarsi e far riposare le orecchie martoriate dall’incessante martellare della musica. «Da quando siete così amici?» domandò d’un tratto Brice, facendo crollare quel manto di calma e tensione che si era venuto a creare.

Rain non si girò nemmeno a guardarlo, rimase con gli occhi chiusi, steso sul fianco, facendo semplicemente il finto tonto, «chi?» chiese, come se non avesse capito chi fosse il soggetto della conversazione.

«Tu e il biondino… Étienne» gli rispose l’amico, il tono della voce a metà fra l’irritato e il nervoso – sapeva sarebbe successo prima o poi, ma meglio poi che prima.

«Ci vediamo ogni tanto…» spiegò Rain, sistemandosi le coperte, «e adesso dormi, che è tardissimo» tagliò corto, cercando di distoglierlo da quel dialogo che non voleva fare.

«Certo…» borbottò Brice, rigirandosi sul materasso per dargli le spalle, facendo sospirare Rain – era bravo in quello, era una delle poche cose che sapeva fare.

«Non gli piacciono i ragazzi, e adesso smettila e dormi» ribatté piuttosto irritato, ma alla fine era la verità, o almeno, era quello che gli era sembrato nelle tre settimane in cui avevano parlato.

Seguì un attimo di silenzio che fece sperare a Rain di aver messo finalmente un punto a quella chiacchierata notturna, ma non durò molto, il tempo che Brice assimilasse il tutto e tornasse alla carica: «te l’ha detto lui?» gli chiese, il tono della voce più calmo.

«No, ma secondo me è così» ammise, cercando di trovare la posizione giusta per dormire.

«Sei un coglione…» brontolò, tirandosi le lenzuola fino al naso, «dimmi almeno se è simpatico, perché che è carino lo vedo da solo e mi basta» continuò, cercando di mascherare l’evidente rabbia che la situazione gli aveva fatto nascere. Dopotutto Rain era sempre stato primo in tutto, e anche quando non era primo stava comunque un passo avanti a lui: era una cosa che non riusciva a sopportare, e che mai avrebbe imparato a digerire.

«Non è il tuo tipo, e adesso possiamo dormire?» domandò retorico, premendosi il cuscino sulla faccia.

Brice scoppiò in una risatina pressoché isterica, «ma immagino che sia il tuo tipo, giusto?» ribatté acido, rigirandosi di nuovo sotto le coperte. «Ti detesto, davvero. Sei uno stronzo…» continuò a lamentarsi, tentato ad alzarsi e provare a soffocarlo con il cuscino, «se te lo scopi almeno fammelo sapere, te ne sarei davvero grato!» affermò ironico, aspettandosi una qualche risposta da Rain che, purtroppo per lui, non arrivò.

 

 

 

 

 

 

 

«Mi sono innamorata della danza perché è l’unica arte che si avvicina all’amore.

Si fa con il corpo, l’anima e il cuore, almeno nei casi migliori.»

Vittoria Ottolenghi

 

 

 

 

 

 

WE LIVE AND BREATHE WORDS – note d’autrici.

 

Siamo arrivate puntuali nel weekend, sebbene ci siano stati piccolo intoppi di malanni e cose del genere.

Insomma, siamo qui, e speriamo che nonostante i tagli che siamo state costrette a fare vi sia tutto chiaro, altrimenti chiedete pure. Rain e Tyen si conosco da tre settimane, oramai. Si sono visti quasi tutte le sere, perché alla fine Étienne gli sta dando una mano, e lo sta facendo in modo contiguo, ma a noi non sembrava il caso di propinarvi cinquanta capitoli tutti così, eh. Insomma, vi abbiamo alleggerito il carico, ecco.

Intanto vi diciamo che l’Access esiste davvero, è davvero a Cannes, e se cercate su Google lo trovate, sì. Mentre, questi sono Brice e Régine, se qualcuno volesse vedere i loro musini, ecco: Brice. Régine.

Il resto… non lo so, sono malaticcia e voglio bermi un latte e cacao fresco, quindi facciamo che vi indico(?), se non lo avete trovato, il link del ballo nel testo: cercatelo bene, chi cerca trova! E per il resto vi lasciamo il remix di Follow the Leader e di Can’t Hold Us – se qualcuno volesse ascoltarli. Vi diciamo anche che noi non siamo persone da discoteca, quindi è tutta Licenza Poetica, insomma.

Ecco, finito! Speriamo vi sia piaciuto, e vi ringraziamo ancora molto per le recensioni e il seguito. ~

Al prossimo capitolo. ~

 

papavero radioattivo.

   
 
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