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Autore: Bloomsbury    17/02/2014    15 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo nove

"There's a limit to your care
So carelessly there
Is it truth or dare?
There's a limit to your care

There's a limit to your love
Like a waterfall in slow motion
Like a map with no ocean
There's a limit to your love."

Limit to your Love- James Blake



9. Limit to your Love


La vodka aveva fatto il giusto effetto, rendendo Jay il ritratto perfetto della leggerezza d’animo.
«Sembri molto Izaya» disse Lizzie, scoprendo le carte sul tavolo: un poker netto.
Jay sgranò gli occhi. «Ma porca miseria! Vinci da quattro mani ininterrottamente.» Scaraventò sul tavolo il suo misero tris di cinque e si lasciò consolare dall’ultimo goccetto lasciato di riserva nel bicchiere.
“Sembri molto Izaya”. Sorrise e pensò che, almeno, Izaya non aveva bisogno di bere per sentirsi leggero, ma fu fiero del suo stato mentale: seppur con un aiutino, era riuscito a vederci chiaro senza piangersi addosso.
«Un’altra partita, Hahn?»
«No! Mi rifiuto! Senti, Lizzie: se tu avessi una scala nelle mani e ti mancasse una sola carta perché questa diventi reale, cosa faresti? Rischieresti o ti terresti la semplice scala?»
«Che domanda del cazzo! Allora: se io avessi una scala, con buona probabilità potresti avercela anche tu, di conseguenza potrei rischiare di perdere o al massimo potremmo finire in pareggio… come potrei anche vincere! Insomma, Jay. Io sto!»
«In poche parole ti accontenti, non rischi.»
«Rischio solo se il piatto non è ghiotto. È questo che ci differenzia: tu perdi perché sei ingordo, io vinco perché sono coscienziosa. Se hai tanto da perdere non puoi rischiare. Comunque, giusto per essere onesta, la tua vita non è una partita a carte con una cameriera!».
Gli occhi di Jay presero il largo verso pensieri troppo più grandi di lui e il suo sguardo puntò dritto verso l’entrata dove vide apparire insieme, sorprendentemente, i due uomini che avevano occupato ogni angolo della sua mente.
Si mise dritto, attendendo il loro arrivo: “Io sono il banco. Il banco vince sempre”.
«Buonasera giocatori. Hahn, ancora speri di poter vincere?» chiese Izaya, togliendosi la sciarpa che l’aveva tenuto al riparo dal gelo della sera. I suoi occhi erano lucidi e come al solito pieni di serenità. Lo invidiò, se avesse potuto gli avrebbe chiesto disperatamente di prestargliene un po’ e quando vide Chaz fissarlo il suo cuore vacillò.
«Vado a prendere qualcosa da bere» annunciò Lizzie, cimentandosi in smorfie di incoraggiamento senza farsi scorgere dai due appena arrivati.
Izaya rivolse gli occhi verso il bicchiere vuoto di Jay e arricciando il naso chiese spiegazioni puntando il pollice verso l’oggetto del suo interesse. Effettivamente, quel bicchiere risultava alquanto strano se collocato nel contesto ordinario: non aveva mai bevuto alcolici da solo, ma quel giorno aveva deciso di concedersene più d’uno.
Jay finse di non capire e non appena Chaz prese posto difronte a lui, accanto ad Izaya, si lasciò andare ad un sospiro sperando di poter sostenere una conversazione decente.
Izaya aspettava qualcosa,
glielo si leggeva negli occhi  attendeva che Jay potesse dire o fare qualsiasi cosa in risposta alla richiesta che aveva espresso quella mattina stessa; nonostante la sua acutezza, non si accorse che negli occhi di Chaz c’era lo stesso sguardo: anche lui era in attesa, non di una risposta, ma di un momento propizio da sfruttare per porre un quesito diretto, scoprendo le sue carte. «Devo dirvi una cosa.» Lo disse così deciso da non rendersi conto di aver quasi urlato.
Lizzie accorse con il vassoio colmo di alcolici e stuzzichini e sedendosi accanto a Jay lo incalzò: «Sentiamo.»
«Non ti ho chiesto una prova di coraggio…» bisbigliò Jay, supplicandolo di non mettersi nella condizione di esporsi così, davanti a tutti.
«Mi hai chiesto di essere sincero e lo sarò» lo interruppe Chaz.
Izaya si guardò intorno chiedendosi cosa fosse accaduto in sua assenza e un lampo di consapevolezza accese i suoi grandi occhi nocciola. Aveva sempre sospettato qualcosa sui sentimenti di Chaz nei confronti di Jay, ma non credeva che sarebbe mai arrivato il momento di dovercisi scontrare direttamente. La cosa non lo dispiacque per niente e incrociando le braccia si poggiò allo schienale della sedia, accavallando le gambe. Scrutò il ragazzo accanto a sé con interesse, in attesa che quest’ultimo confessasse ciò che, in fondo, lui aveva sempre saputo.
Il cuore di Chaz cominciò a pulsare sempre più velocemente e le mani madide di sudore si poggiarono nervosamente sul tessuto ruvido dei suoi jeans cercando di trovare attraverso quel contatto il coraggio che credeva di aver perso strada facendo. Ormai era in ballo, avrebbe dovuto parlare e non appena i suoi occhi si scontrarono con quelli di Jay la sua bocca si spalancò snocciolando tutto d’un fiato ciò che per anni aveva omesso: «Insomma, Jay: ti ho sempre amato dal primo giorno e mi scuso se non sono stato sincero con te, ma speravo stupidamente che tu, col tempo, ti saresti accorto di me. Invece non è stato così e quando ho visto arrivare l’uomo barbuto al mio fianco ho cominciato a comportarmi da stronzo perché… sono geloso.»
«Ah! La cosa si fa interessante.» Il commento fuori campo di Izaya sopraggiunse al cuore di Chaz che, voltandosi, lo squadrò. La sua calma era quasi irritante, tanto da costringerlo a mettersi sulla difensiva: «Mi pare di non essermi rivolto a te».
Izaya alzò le mani in segno di scuse e con un sorrisetto sarcastico serrò le labbra, indirizzando il suo sguardo verso Jay che, a vederlo, sembrava un vecchietto di ottant’anni. Era bastata una frase per invecchiarlo nell’aspetto. Izaya sorrise sommessamente dispiacendosi per la bomba che lo aveva appena colpito in pieno viso, ammutolendolo; nonostante ciò decise di non sacrificarsi: «Non voglio appesantire la questione ulteriormente, ma è giusto che io metta in evidenza il fatto che io ho la precedenza.» Il tono canzonatorio di Izaya non sortì l’effetto solito perché, anziché alleggerire la cosa, scatenò l’ira soppressa di Chaz che per troppo tempo aveva messo a tacere la collera per non rischiare di scoprirsi troppo. Ormai aveva confessato, di conseguenza, non aveva più nulla da perdere: «Non mi piace metterla sul piano delle precedenze, ma se questo è il massimo che puoi fare 
caro signor saggio barbuto  allora dovrai metterti da parte, perché io sono nella vita di Jay da molto più tempo di te.»
«Che discorso intelligente, il vostro!» proruppe Lizzie incrociando le braccia e sbirciando di sottecchi Jay poté cogliere un sorrisetto inaspettato e del tutto inspiegabile. Sembrava un giocatore di poker in fase di bluff mentre guardava con aria distaccata i due contendenti dinanzi a lui. L’espressione svelava esattamente ciò che aveva nel cuore in quel momento: non era preoccupato né dispiaciuto per ciò che stava accadendo. Rimase in silenzio ad ascoltare i due ragazzi battibeccarsi.
Izaya,
con la sua solita calma, rispondeva prontamente alle provocazioni di Chaz mentre, quest’ultimo, scagliava continui e duri attacchi con la speranza di riuscire a metterlo in ginocchio e dimostrare a Jay la realtà dei suoi sentimenti, difendendo il loro rapporto con le unghie e con i denti.
All’ennesima battuta, Jay si destò dai suoi pensieri e richiamando l’attenzione di entrambi li fissò in silenzio per qualche secondo, con gli occhi intrisi di calma e posatezza. Poggiò i gomiti sul tavolo stendendosi impercettibilmente verso i due e dopo aver servito loro un lieve sorriso vittorioso schiuse leggermente le labbra, mordendo quello inferiore con gusto. Gli occhi si illuminarono, come presi da un’idea incredibilmente geniale: “Il banco vince sempre!”
«La mia risposta è no!”
Chaz e Izaya ammutolirono di colpo e il gelo calò nella sala, le uniche persone che sembravano immuni al freddo intenso che aveva ghiacciato perfino le parole erano Lizzie e il banco che, soddisfatti, scrutavano l’espressione dei due ragazzi stavolta accomunati dalla stessa sorpresa.
«Che significa: no?» chiese Chaz impacciato, quasi balbettante.
«Significa che se mi state chiedendo di scegliere uno dei due da frequentare, la mia risposta è la seguente: non scelgo nessuno dei due.»
«Vigliacco!» sussurrò Izaya con una risatina, in realtà era ancora più affascinato dalla sicurezza del piccolo Jay che seppur molto giovane dimostrava di avere più determinazione di tutti i presenti in sala.
Chaz, in un gesto di incredulità, si abbandonò sulla sedia fissando con gli occhi vuoti un punto a caso sul tavolo. Aveva confessato, ma ciò non aveva cambiato nulla; si risvegliò scottato dalla delusione e monocorde espresse il suo punto di vista: «Stavolta sono d’accordo col barbuto: sei un vigliacco. Mi hai puntato il dito in faccia questa mattina accusandomi di non essere stato sincero e adesso… te ne lavi le mani? Ma bravo, complimenti!»
«Ho i miei motivi. Innanzitutto sono stanco di ragionare e poi: sì! Sono un vigliacco forse, ma non voglio perdere nessuno dei due. Se dovessi scegliere adesso direi Izaya, non perché tu non mi piaccia, Chaz, ma perché io ti ho sempre visto come un amico e mi viene un tantino difficile pensarmi mano nella mano a passeggiare con te 
tralasciando il fatto che non potrei farlo liberamente dato che tu ti nascondi dalla tua stessa ombra. Ho deciso di non scegliere perché alla luce della tua confessione non mi sento pronto di prendere una decisione a cuor leggero. Ci devo pensare, devo cominciare a guardarti da un’ottica diversa. Se scelgo te rischierei di perdere Izaya e se scelgo lui, perderei te. Visto che sono un fottuto egoista: non scelgo nessuno».
Un silenzio tombale imperò per lunghi minuti finché la sonora risata di Izaya ruppe la quiete, elargendo a tutti i presenti un po’ della sua spontanea serenità d’animo 
eccetto a uno.
Jay trattenne un sorriso per non dover abbandonare la maschera di sicurezza che aveva appena indossato per sganciare la bomba e Chaz, del tutto spiazzato, si alzò sbuffando: «Dato che qui avete deciso di prenderla a ridere, vado fuori a fumarmi una sigaretta.»
«Ascolta, l’unico ad essere incazzato, qua in mezzo, dovrei essere io dato che per colpa tua e della tua tardiva dichiarazione d’amore mi hai scombinato tutto. Ma pazienza, no?!» esordì Izaya, parlando alle spalle di Chaz che si dirigeva verso l’uscita.
Jay si alzò di scatto e seguì l’amico all’esterno del locale.

***

La sigaretta appena accesa fu l’unica cosa in grado di consolare Chaz: il primo tiro lo salvò da un singhiozzo che stava per presentarsi involontariamente a tagliare l’aria silenziosa intorno, il secondo, dopo l’arrivo di Jay, lo strappò dal pericolo di dire qualcosa di troppo affrettato.
Jay lo fissò senza proferire parola, sapeva di avergli imboccato a forza un boccone troppo amaro da mandare giù, ma allo stesso tempo non poté rimproverarsi nulla poiché aveva agito nella più totale onestà, ammettendo i suoi sentimenti, confessando la sua incapacità di scegliere per via della paura, eppure si sentì comunque in colpa nei confronti dell’amico che in quello stesso momento tentava di soffocare con tutte le sue forze la delusione.
Aveva dichiarato il suo amore esponendo il suo animo con trasparenza e di tutta risposta non solo aveva ricevuto un rifiuto, ma anche le prese in giro di Izaya.
«Chaz…»
«Stai zitto. Non parlare. Hai detto già abbastanza.»
«Non avrei voluto farlo in quel modo, ma mi hai messo nella condizione di rispondere apertamente davanti a tutti, non potevo fare altrimenti. Il fatto è che Izaya, questa stessa mattina, mi ha chiesto…»
«Non mi interessa cosa ti ha chiesto Izaya. Io so solo che gli hai permesso di prendersi gioco di me e dei miei sentimenti. Potevi dirmi quelle stesse cose in privato…»
«Lo capisci che non me ne hai dato modo?» urlò Jay in preda al panico.
Come volevasi dimostrare, era accaduto esattamente ciò che temeva: con le sue parole aveva ferito il suo più caro amico facendo sì che il significato delle sue stesse parole venisse inteso in malo modo.
Ciò che aveva colto Chaz dal discorso di Jay non fu l’apertura di una possibilità da poter sfruttare, ma un rifiuto amaro con annessi gli scherni superficiali del suo più acerrimo nemico.
Iniziò un cantico di sbuffi e imprecazioni a fior di labbra, cosa che intenerì Jay che avvicinandosi lentamente 
come se si trovasse davanti ad un cane rabbioso che da un momento all’altro avrebbe potuto attaccarlo  afferrò la sigaretta di Chaz traendo a sé l’amico che, colto di sorpresa, non poté divincolarsi in alcun modo dalla stretta salda e decisa del ragazzo che amava e che l’aveva rifiutato pochi minuti prima.
Rimasero in silenzio, stretti l’uno all’altro, scambiandosi sospiri fin troppo familiari da ignorare. L’abbraccio di Jay era casa, era sicurezza, fermezza, era amore, e le lacrime di Chaz erano dolore, sofferenza pura.
«Cazzo, Io ti amo, Jay. Da così tanto tempo che non ricordo neanche più come si vive senza amarti.».
L’onestà di quelle parole colpirono così duramente Jay da farlo trasalire; per la prima volta, la franchezza prese il posto dei silenzi costringendolo a guardare in faccia una realtà mai neanche sospettata ma che, espressa con coraggio, condita di lacrime e disperazione, suonava come un laccio stretto intorno al cuore che solo in quel momento poté sentire chiaramente. Quel legame esisteva, ma solo dopo che Chaz ebbe strattonato quella corda fu in grado di sentirne la presa e la robustezza e si accorse che, in realtà, quella stessa corda c’era sempre stata.
   
 
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