SPARITA
Quanto
era passato da quel giorno in cui mi risvegliai
in quella stessa casa, ignara di tutto, senza nemmeno un ricordo e
senza sapere
dove mi trovassi? Un mese. Trenta giorni esatti erano passati. Trenta
giorni in
cui la mia vita era cambiata, passando dalla peggiore delle pene, al
migliore
dei premi. Ormai ero di casa.
Mercoledì:
il giorno libero di Percy, e infatti lui mi
accolse in casa abbracciandomi e dandomi un lungo bacio sulle labbra,
come se
dovesse respirare la mia stessa aria per rimanere in vita. (Non che mi
dispiacesse, dato che se non lo baciavo almeno una volta al giorno,
rischiavo
di andare in crisi di astinenza.)
“Bentornata,
bellissima… com’è andata,
oggi?” Mi
chiese, non appena si fu staccato. (Cosa che mi provocò un
gemito contrariato.)
“Lucy ti ha dato problemi?”
“Come
può averlo fatto… vivere con te mi allena a
tutto, ormai.” Scherzai, io, intrecciando le mie dita tra i
suoi capelli
morbidi. Era uno dei miei passatempi preferiti: i suoi capelli erano
bellissimi
e metterci le mani era come toccare un onda in riva al mare. Scorrevano
tra le
dita come se fossero inconsistenti, provocando un leggero solletico che
mi
rilassava.
“Mmmmh…
ora mi sto offendendo, signorina. Dimmi come
mai dovrei permetterle di tornare qui, dopo avermi dato del
bambinone?” Scherzò
Percy, fingendosi arrabbiato.
“Già…
sono proprio cattiva, ma tu sei il mio
bambinone.” Risposi, avvicinandomi,
sempre di più, lasciando che le sue mani mi stringessero la
vita. “E questo…”
Aggiunsi, dandogli un bacio. “è il motivo per cui
non mi lasceresti mai.”
Percy
sorrise e mi trascinò sul divano, abbracciandomi
forte. Mi lasciai cullare dalla sua presenza, mentre sentivo le sue
mani
percorrermi dolci la pelle della schiena e i capelli biondi.
“Sei
bellissima.” Mi disse, semplicemente.
Ispirai
il suo odore di mare, che tanto amavo e lo
guardai negli occhi.
Avrei voluto affogare per sempre nel suo mare, ma, ahimè,
bisogna occuparsi
della vita, quindi mi alzai e permisi a lui di fare altrettanto, anche
se
continuò a tenermi una mano che mi cingeva le spalle.
“Come
sta’ tua madre? Che dicono i medici?” Domandai,
pronta a tirarlo su di morale. Era una specie di rito, ormai: ogni
mercoledì
lui usava il giorno libero per andare a far visita alla madre, Sally
Jackson,
in coma. Nell’ultimo mese avevo cercato di aiutarlo, ma
quando lui tornava, con
quell’aria affranta e lo sguardo triste, mi piangeva il
cuore.
“I
medici… loro dicono che lei rimane in vita, ma non
possono fare altro.” Sospirò, lui. Voltandosi
verso di me.
Eccolo:
quello sguardo triste, come se fosse sul punto
di piangere. Potevo sentire nella sua testa la sua voce che ripeteva: Non piangere, sii forte. Non piangere, sii
forte. Non piangere, sii forte. Lui era così, era
forte. Doveva esserlo
perché lo era stato per tutta la vita. Ma io avrei voluto
che per una volta,
almeno, abbandonasse quel duro guscio di paure e angosce e che venisse
da me.
Che capisse che su di me poteva contare e che si sfogasse.
“Le
saresti piaciuta, sai?” Disse, facendomi riemergere
dai miei pensieri.
“Davvero?”
“Sì…
vi somigliate così tanto. Anche lei era una donna
forte. Nonostante non navigasse nell’oro, è
riuscita a tirarmi su onestamente.”
Disse, il ragazzo, accarezzandomi la guancia.
“Anche
a me sarebbe piaciuto conoscerla.” Sussurrai,
abbassando, tristemente lo sguardo.
Per
qualche minuto rimanemmo seduto a fianco, senza
parlare, quasi fosse un silenzo di lutto, poi lo sentii alzarsi e
sospirare.
“Hai
progetti per oggi pomeriggio e sta’ sera?” Chiese,
passandosi il braccio sul viso. Cercò di farlo passare come
un gesto
noncurante, ma ebbi la certezza che si stesse asciugando della lacrime.
“Oggi
ho un appuntamento con Rachel e Piper, voglio che
si conoscano. Tu?”
“Anche
io avrei un appuntamento: Nico e Leo mi hanno
chiesto una cosa sulla mia moto, e vogliono che vada in officina con
loro a
darle un’occhiata.” Rispose, sorridendo. Finalmente
stava tornando normale.
Sapevo che non poteva fare a meno di essere triste per la madre, ma
vederlo
così a pezzi mi faceva venire l’angoscia.
“Che
ne dici di vederci insieme tutti sta’ sera? Bianca
chiama per aggiornarci sul campionato di tiro con l’arco.
Sembra sua in
vantaggio.” Aggiunse, avvicinandosi a me e accarezzandomi la
guancia.
“Certo…
sono certa che a Piper piacerebbe.” Sospirai,
allungando il collo verso la sua mano, come un gatto che cerca carezze.
“D’accordo…
allora a sta’ sera, bellissima.” Mi
salutò
lui, dandomi un bacio sulla guancia.
Da
quando Piper era diventata amica mia, aveva iniziato
a frequentare anche Rachel che sembravano andare molto
d’accordo. Ci eravamo
messe tutte insieme per aiutarla a ritrovare un po’ di
affiatamento con Jason,
anche perché Piper era ancora molto dubbiosa sulla
veridicità delle sue parole.
Sospettava che il ragazzo la volesse solo per divertirsi e lei non
voleva essere
sfruttata.
Così
si era rivolta a noi per poter avere aiuto. Rachel
era sincera, gentile e diretta, andava sempre al sodo e questo aiutava
ad
affrontare meglio le cose.
Quel
pomeriggio arrivai al centro commerciale con
l’aria primaverile che si faceva sentire anche
nell’inquinatissima New York.
L’aria si era riscaldata e il freddo aveva lasciato il posto
ad un tepore
fresco e rilassante. Ormai mi ero abituata a vivere lì.
Avevo
persino chiesto a Talia di smettere di cercare
informazioni.
Ormai
avevo perso le speranze di tornare indietro, dopo
un mese senza informazioni. Nemmeno la polizia aveva trovato nulla,
così mi ero
rassegnata. Non che la cosa mi dispiacesse, soprattutto
perché c’era una cosa
(o meglio una persona) che mi tratteneva lì. Il suo nome
iniziava con la P e
finiva con la Y.
“Annabeth!”
Mi salutò Rachel, agitando la mano,
sorridendo, con i riflessi del sole tra i capelli che li facevano
sembrare in
fiamme.
“Rachel!”
Risposi, correndole in contro baciandole la
guancia. “Ti trovo bene! Come va’ la raccolta di
firme?”
“Abbastanza
bene… questa volta io e Grover ci siamo
dato da fare… poi si è unita a noi una certa
Juniper Green, una ragazza vivace
che sembra molto decisa in questo senso. Ci ha dato una
mano.” Disse, mentre
camminavamo lungo il viale. Avevamo appuntamento con Piper al parco,
così
approfittammo per raccontarci qualcosa, dato che ultimamente non
l’avevo vista
molto.
“Allora…
come va’ con Percy?”
Sussultai.
Non volevo iniziare con quel
particolare argomento. Lei era stata con Percy, in passato, ma
poi si erano lasciati. Una parte di me si sentiva in colpa con la rossa
perché
mi sentivo come se le avessi rubato il posto.
“Lascia
stare.” Mi anticipò, intuendo i miei pensieri.
“è meglio per tutti. Non era destino che stessimo
insieme. Lui aveva bisogno di
una ragazza che tenesse davvero a lui e che lo capisse. A quanto pare
tu sei
caduta dal cielo a posta per lui.”
“Però…
scusa se te lo dico, ma lui stava con te. Non ti
dispiace che io… be’, chiunque se la prenderebbe.
Sarebbe umano.” Le feci
notare io. Non che non fossi contenta, ma era un comportamento che non
mi
aspettavo.
“Ma
io non sono chiunque. Lui ha bisogno di essere
felice, ha sofferto molto per la madre e per ciò che ha
passato in passato.
Saperlo felice rende felice me, quindi, se tu lo rendi felice, allora
sono
felice anche io.” Rispose Rachel con un gran sorriso.
Io
la abbracciai: “Grazie.”
Arrivammo
al parco verso le quattro del pomeriggio,
proprio l’ora in cui avremmo dovuto incontrare Piper, che,
però, non era
presente.
“Che
strano… di solito è
puntuale…” feci notare,
guardandomi intorno, alla ricerca dell’inconfondibile
capigliatura asimmetrica
e la carnagione color cioccolata.
“Già…
magari ha incontrato traffico. O la metropolitana
ha avuto un contrattempo.” Ipotizzò Rachel,
sedendosi su una panchina.
“Forse…
forse hai ragione.” Dissi, sottovoce, cercando
di non far trasparire i miei timori.
In
questi giorni avevo visto il ragazzo con la
cicatrice che ci seguiva sempre più spesso. Non ero sicura
che mi avesse
riconosciuta, ma temevo che lui non stesse guardando me. Si concentrava
su
Piper. Una volta, per curiosità, l’avevo seguito e
lui l’aveva seguita fin
sotto casa (Un appartamento in centro).
I
miei timori erano che la mia amica fosse in pericolo.
La
cosa peggiorò quando lei non apparve, nonostante
passassero i minuti fino a che non arrivarono le cinque e mezzo.
“Ma
dove può essere!? Se lo sarà
dimenticata?” Chiese
Rachel, perplessa, mentre controllava l’ora sul suo cellulare.
“Aspetta…”
No,
non le è successo nulla, se lo sarà sicuramente
dimenticato. O magari è con
Jason. O forse si è sentita male e si è
dimenticata di disdire. Dai, Annabeth,
non essere disfattista. Presi il cellulare e digitai il
numero di Piper.
Suonava.
Nessuna
risposta.
Di
nuovo, ma nulla.
Dai,
rispondi… dove sei finita!?
Nulla
nemmeno la terza volta.
“Non
risponde?” Chiese la rossa. Anche lei sembrò
improvvisamente preoccupata.
Scossi
la testa: “No… sono un po’ in
ansia.”
“Forse
è con Jason… ultimamente cercavano di
riallacciare i rapporti.” Propose, poco convinta Rachel.
Intuii che anche lei
stava cercando di non pensare alle ipotesi peggiori.
Decidemmo
di andare a cercarla, pur sapendo che, forse,
non era nulla. O almeno lo speravamo. Ci dirigemmo alla più
vicina stazione
della metropolitana e prendemmo il primo mezzo per il quartiere della
famiglia
Grace, mentre il mio cervello stava affogando nel timore per la mia
amica. Non
potevo credere che stesse succedendo qualcosa del genere e
più andavo avanti,
più mi sembrava di sentire una sensazione di Deja Vu che non
avevo mai provato.
Come se avessi avuto un esperienza del genere.
Doveva
centrarci sicuramente il tipo che seguiva Piper,
perché era l’unica cosa, del suo passato, che
ricordava con una certa
precisione, anche se non erano sensazioni felici.
Arrivate
a casa, però, le mie preoccupazioni sembrarono
avverarsi come nel peggiore dei miei incubi: Jason era attaccato al
cellulare,
come se stesse cercando di contattare qualcuno. A quanto pare aveva
beccato la
segreteria telefonica.
“Che
succede?” Chiesi, temendo la risposta.
Il
ragazzo si voltò verso di me, quasi spaventato:
“Wow… che ci fate voi qui?”
“Stavamo
cercando Piper… non si è presentata ad un
nostro appuntamento.” Spiegò Rachel,
affiancandomi. “Pensavamo vi foste
riappacificati e foste insieme.”
“Magari…”
Sospirò il biondo abbassando lo sguardo,
sconsolato. “Oggi, dopo scuola, avremmo dovuto incontrarci.
Ieri sera ci eravamo
parlati, e lei si era decisa a darmi una seconda
possibilità. Ma non si è
presentata. L’ho chiamata almeno dieci volte, ma non
rispondeva mai. Poi, circa
mezz’ora fa, ho beccato solo la segreteria
telefonica.”
Io
e Rachel ci guardammo in ansia: Piper era sparita.
Non poteva aver mancato due appuntamenti in un giorno solo.
“Forse
è malata?”
Talia
spuntò da dietro un angolo, con le braccia
incrociate, e un cipiglio deciso.
“Ma…
allora perché non ha risposto alle nostre
telefonate?” Protestò il fratello, lasciandosi
ricadere sul divano.
“Potremmo
andare a vedere come sta’… parlate come e
l’avessero rapita.” Protestò Talia.
Effettivamente era un’idea un po’ strana,
ma che ci potevamo fare? Avevo quella strana sensazione di pericolo che
mi
premeva contro il cranio che non mi permetteva di pensare ad altro.
“Sentite…
forse hai ragione, Tal, andiamo a casa sua,
so dove abita. Se sta male, dovrebbe essere
lì.”Proposi, cercando di non
pensare al peggio.
“D’accordo.
Andiamo!” Ci incitò subito, Jason,
conducendoci al garage che si apriva sul fianco della casa. A quanto
pare aveva
la patente quando si mise alla guida.
Non
fu difficile attraversare le strade della città.
Essendo pomeriggio, la maggior parte della gente era ancora in ufficio
o a
lavoro e le macchine che circolavano erano, per lo più, taxi
e veicoli da
trasporto. La macchina di Jason attraversava il traffico senza
difficoltà,
scivolando da una corsia all’altra. Dovetti ammettere che era
un buon
guidatore.
“Ci
siamo.” Dissi, indicando il palazzo. Fu più
problematico trovare parcheggio, ma alla fine, accostammo in un
vicoletto non
troppo sporco e decidemmo di lasciare lì l’auto.
Arrivati
davanti alla porta dell’appartamento ci
fermammo tutti quanti. Bussai alla porta, ma non ricevetti risposta.
Bussai di
nuovo e ancora nulla.
Iniziavo
a preoccuparmi sul serio.
“Entriamo.”
Sentenziò Jason, con un cipiglio deciso.
“Wow…
ehi, cowboy! Non ci pensare, questa porta non è
tua, non la puoi sfondare.” Scherzò Talia,
ridacchiando. In effetti sembrava
davvero intenzionato a buttarla giù.
“Ma
che dici!?” Domandò lui, sbattendo le palpebre
perplesso. Estrasse, allora, un mazzo di chiavi e ne infilò
una nella toppa,
aprendo la porta. “Piper me ne ha dato una copia.”
Appena
entrai mi resi conto che qualcosa non andava: la
casa sembrava deserta, ma le tende erano chiuse, come se nessuno le
avesse
scostate da quella mattina. Di solito Piper aveva l’abitudine
di lasciare la
borsa sulla sedia accanto alla porta, ma su di essa non c’era
nulla.
Setacciammo
la casa e io mi diressi in camera da letto.
Della mia amica non c’era traccia. Il letto era rifatto, ma
era freddo.
Controllai il guardaroba, ma non trovai la giacca che ieri portava.
Non
c’era.
“Ragazzi…
di lei non c’è traccia!”
Sbottò Rachel,
mordendosi nervosamente le unghie.
Già…
A
quanto pare lei, ieri sera, non era mai riuscita a
tornare a casa.
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[Angolo
autore ]
Questo
capitolo è diverso dagli altri, quindi,
cercate di essere buoni con me. *Occhioni da cucciolo* ops…
ehm… Piper è
sparita, e noi sappiamo bene chi è stato.
Annabeth inizia a ricordare, ma nessuno le crede, per questo dovrà essere lei a salvare l’amica (Perché c’è un certo capo della polizia troppo occupato in una campagna elettorale, per stare dietro ad una ragazza scomparsa)
Quindi,
continuate a seguire la storia che si avvicina alla fine e ricordate
che c'è anche la mia altra storia che mi piacerebbe se tutti
voi ci andaste a dare un'occhiata. Vi prego, ho bisogno sempre di
recensioni *Occhioni da cucciolo*
AxXx