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Autore: Aqua_    17/02/2014    5 recensioni
Vi siete mai chiesti quale sia il lato positivo dell'essere una fangirl - o un fanboy, anche se sono decisamente di meno. O meglio, vi siete mai chiesti se ce ne sia uno? Perché, ammettiamolo, andare a dormire alle quattro di mattina, dopo una maratona di Sherlock, e alzarsi due ore dopo non è proprio il massimo. Specialmente se quel giorno hai una riunione, anzi, la riunione, quella più importante dell'anno, e l'unica cosa a cui riesci a pensare è... no, scusate, non posso dirlo, magari non avete ancora visto l'episodio, e io non voglio fare spoiler.
Comunque, quello che volevo dire è che la vita di una fangirl non è affatto facile, anzi, tutt'altro. O no?
[STORIA IN REVISIONE]
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Io. Odio. Il. Lunedì.
Davvero. Non avete idea di cosa voglia dire, per me, dovermi alzare, abbandonando il mio amorevole lettone, che cerca comunque di tenermi stretta a sé - lo fa davvero, visto che mi risveglio sempre attorcigliata al piumone, e non so mai come sia finita in quella posizione. Il lunedì, in più, mi capita sempre, e sottolineo sempre, qualcosa che non dovrebbe succedere. Qualcosa di simile alla macchinetta del caffè rotta, alla metropolitana troppo affollata e alla sottoscritta incastrata tra le porte, alla sveglia che non suona e così via. Potrei riempire un'agenda solo scrivendo cosa è successo nei lunedì della mia vita. Ovviamente, questo lunedì non si prospetta migliore degli altri, anzi, credo che sarà il peggiore nella storia dei lunedì peggiori.
Che poi, è già iniziato male.
Ho trascorso sabato e domenica a casa di mio fratello - di Martin, non di Kyle - con il resto della ciurma, ovvero i suoi tre figli. Sua moglie non mi ha nemmeno salutata, quando è venuta a portare i due che mancavano all’appello, visto che Mickey era già con noi. Adesso, posso capire che sia arrabbiata con Martin per non so quali motivi, ma io non le ho fatto assolutamente niente. Be', oddio, potrei averla chiamata "sciacquetta" un paio di volte, ma non credo che mi abbia mai sentita. Certo, questo spiegherebbe il suo comportamento, però...
Ma tralasciamo, non è di lei che mi devo occupare. Come dicevo, in questa casa, oltre a me e a mio fratello, ci sono tre adorabili bimbi. Adorabili fino a quando non vengono a svegliarti alle cinque di mattina senza un motivo apparente. Poi, come se non bastasse, si intrufolano nel letto e rimangono lì fino a quando non ti alzi, il che non è di sicuro il miglior modo per iniziare una giornata. E Martin? Lui si è accorto che i suoi figli non erano nei loro letti solo quando gliel'ho fatto notare io.
L'unica nota positiva della mattinata è stata la colazione. Magari sarà scontato da dire, ma mio fratello fa i pancakes migliori di tutta Londra. Se non mi credete, be', peggio per voi. Non avete idea di cosa vi stiate perdendo – e a me nemmeno piacciono i pancakes, per dire.
Comunque, è inutile che continui a vaneggiare. Dovrò entrare in ufficio, prima o poi. Anzi, mi conviene farlo in fretta, se non voglio arrivare in ritardo. Faccio un respiro profondo ed entro in ascensore, sperando seriamente che il capo sia a casa con il raffreddore - che poi, sarei potuta rimanere io a casa, se ci avessi pensato prima. Non oso nemmeno immaginare che cosa potrebbe accadere oggi. Adesso che ci penso, il capo potrebbe anche licenziarmi. Così, tanto per farmi un dispetto. O per ricatto.
No, no, Natalie, smettila. Non succederà proprio un bel niente. Robert non è quel tipo di persona. Credo.
«Aspetta!» esclama qualcuno, infilando prontamente la ventiquattrore tra le porte dell'ascensore, che stavano per chiudersi completamente.
Quando il "qualcuno" entra, mi ritrovo a imprecare sottovoce. Possibile che, con tutte le persone che lavorano in questa azienda, abbia dovuto incontrare proprio lui? Le opzioni sono due: o mi aspettava, o sono molto più sfortunata di quanto pensassi.
«Signor Clarkson» mi ritrovo a dire a mo' di saluto, senza nemmeno accorgermi di aver collegato la bocca al cervello. Per modo di dire, certo, nessuno se ne accorgerebbe.
«Natalie» risponde lui, e io sono assolutamente sicura di aver sentito un tremolio nel suo tono, anche se solo per qualche istante. «Vorrei parlarti. Da solo» aggiunge poi, accennando con un gesto della testa alle altre persone presenti.
Okay, di solito non mi piace prendere l'ascensore con troppe persone, ma, questa volta, sono davvero grata a tutti quelli che sono saliti con me. Almeno, sono loro grata fino a quando non scendono. Mi lasciano sola con Robert quando arriviamo al terzo piano e, sfortunatamente per me, ne mancano ancora quattro per raggiungere il nostro. Ovviamente, quasi fosse fatto apposta, nessun altro sale.
«Okay, adesso siamo soli» mormora Robert, armeggiando con la pulsantiera fino a quando l'ascensore non si ferma, tra il quarto e il quinto piano.
«Cosa hai fatto?» borbotto, nonostante sappia perfettamente cosa ha fatto. Ha bloccato l'ascensore, il genio.
«Fa' la brava, Natalie, e rispondi alle domande. Abbiamo un bel po' di tempo prima che arrivino i soccorsi.»
Anche perché non li hai ancora chiamati, penso, sarcastica.
Onestamente, di tutte le cose che potevano succedermi, questa è la peggiore. Va bene, dai, devo stare calma. D'altronde, sono solo bloccata in un ascensore con l'uomo che, nemmeno due giorni fa, ha cercato di baciarmi. Tutto normale, insomma.
«Cosa vuoi sapere?» domando, scocciata.
«Perché sei scappata, sabato?»
Di nuovo? Sul serio?
Inizio a credere che abbia una sorta di Alzheimer precoce. Sì, insomma, gli ho spiegato sabato perché non potesse esserci nulla tra di noi.
«Perché sei il mio capo, te l'ho già detto» sbuffo, tamburellando nervosamente con il piede sul pavimento.
«E allora? Dov'è il problema?» ribatte, sinceramente incuriosito dal fatto che trovi qualcosa di "sbagliato" in quella relazione.
«Il problema è che tu sei il mio capo e non dovrebbe nemmeno passarti per la testa un'idea simile!»
L'ultima parola esce insieme ad una sorta di urlo molto sgradevole a sentirsi. Non lo faccio apposta, ma Robert mi sta irritando. Davvero tanto. Voglio dire, è davvero tanto difficile credere che non voglia avere una relazione - se così la si può chiamare - con lui solo perché è il mio capo? A me non sembra poi così assurdo, o no?
«E dove sei andata?»
«Da mio fratello.»
Il capo si irrigidisce, come se quell'affermazione lo avesse messo a disagio. Lo vedo contrarre la mascella e lo sento scrocchiare le nocche, nemmeno si stesse preparando a un incontro di pugilato. Uomini, quando li capirò sarò una persona più felice, poco ma sicuro.
«Hai un fratello?»
«Tre, a dire il vero» puntualizzo.
«Ah. Dovevo immaginarlo» mormora, poi si mette nuovamente ad armeggiare con la pulsantiera fino a quando una voce gracchiante non gli risponde dall'interfono. A quanto pare si è deciso a chiamare l'assistenza e, per fortuna, non c'è bisogno di aspettare che qualcuno ci tiri fuori di lì. Schiaccio il numero sette, come ha detto la voce, e l'ascensore riparte.
Non oso nemmeno immaginare che espressione devo avere quando entro negli uffici. Probabilmente, a giudicare da come mi guardano tutti, devo sembrare mezza tramortita. Certo, anche il fatto che mi sia presentata con venti minuti di ritardo insieme al capo, entrambi accaldati ed imbarazzati, è un fattore non poco importante, ma lasciamo stare.
«Nel mio ufficio tra dieci minuti, signorina Mills» dice il capo, ritrovando la serietà che lo contraddistingue dagli altri miei colleghi.
Annuisco in risposta e mi avvicino alla scrivania di Isabel, che mi guarda con aria preoccupata. Isabel, non la sua scrivania.
«Natalie! Dove sei stata? Iniziavo a preoccuparmi!» esclama, appena mi avvicino a lei.
«Da Martin» mi limito a dire, senza la minima intenzione di spiegarle cosa sia successo. Non le dirò che il capo ci ha provato con me, non ora. È la mia migliore amica, sì, ma non è il momento – né il luogo – adatto a parlarne.
Tira un sospiro di sollievo quando realizza che non sono stata rapita per un weekend intero, cosa che ha quasi sicuramente pensato, visto che non ho risposto né ai suoi messaggi né alle sue chiamate - che, al momento, sono 394 e, no, non sto scherzando. Deve averlo fatto di proposito. Chiamarmi 394 volte, intendo.
Sbuffo, do un'occhiata all'orologio e vado nell'ufficio del capo. Un po' in anticipo, forse, ma non sembra che gli importi. Anzi, a dirla tutta, non sembra nemmeno che si sia accorto della mia presenza.
«Ehm...»
Robert alza la testa dal giornale che sta leggendo – bel modo di lavorare, il suo, e ha anche il coraggio di prendersela quando io faccio una cosa del genere – e mi fa cenno di sedermi. Adesso, in questo preciso istante, è completamente diverso dal ragazzo che ho visto nell'ascensore. Mi viene quasi da pensare che stesse fingendo.
«Dunque, signorina Mills, le farà piacere sapere che le ho trovato un ufficio» inizia, sospirando.
Oddio, è tornato a darmi del lei. No, un momento, perché ho detto "oddio"? Va più che bene!
«Be', grazie» mormoro, spostando lo sguardo sull'enorme libreria che il capo ha deciso di mettere al posto dei quadri che c'erano prima. Devo dire che ha fatto bene, anche se mi piacevano. I quadri, intendo.
«Chieda a Leah di accompagnarla» dice poi, invitandomi poco cortesemente ad uscire.
Esco dall'ufficio sbattendo la porta, ma senza farlo apposta. No, okay, non è vero, era più che voluto. Insomma, un momento prima blocca l'ascensore per parlare e un momento dopo mi tratta come se nemmeno mi conoscesse. Non mi lamento, per carità, era quello che volevo, ma un minimo di coerenza è chiedere troppo? Se proprio devi essere così freddo, comportati sempre così, non solo quando ti pare. Insomma, fa la stessa cosa che faccio io in quei giorni, ma io sono giustificata. A meno che non abbia il ciclo anche lui, e allora sarebbe giustificato, ma mi sembra un po' improbabile. Certo, mai dire mai.
«Natalie, Natalie, cara. Il signor Clarkson ha detto che devo farti vedere il tuo ufficio!» trilla Leah, raggiungendomi e distogliendomi da pensieri poco consoni all'ambiente lavorativo. Legittimi e sensati, sì, ma che farei meglio ad evitare.
«Sì, devi accompagnarmi» brontolo, cercando di non dar troppo a vedere quanto quel fatto non mi entusiasmi affatto - perdonate il gioco di parole.
La biondina petulante mi prende a braccetto come se fosse la mia migliore amica e mi trascina letteralmente verso l'ascensore.
«Allora, Nat, cos'hai fatto di tanto speciale per meritarti un ufficio tutto tuo?» sussurra, maliziosa.
Oh, fidati, se lo sapessi sarei una persona più felice.
«È un mistero anche per me» rispondo, iniziando a tamburellare nervosamente con il piede sul pavimento, per la seconda volta in questa mattinata. Per quale motivo l'ascensore deve impiegare tanto tempo ad arrivare?
«Oh, andiamo, Nat, a me puoi dirlo» insiste Leah, stringendosi morbosamente a me.
«Primo, non chiamarmi Nat; secondo, non è successo nulla» ribatto, spazientita, e sul suo volto si forma un'espressione offesa. Poco male, almeno starà zitta per un po'.
«Sai che ti dico? Trovatelo da sola, l'ufficio» dice, per poi voltarmi le spalle ed andarsene.
Oh, fantastico. Ci mancava solo questa. Adesso come lo trovo questo fantomatico ufficio, io?
Cerco di richiamare Leah per scusarmi, mentre provo ad inventarmi una qualche storia da raccontarle, ma non c'è verso di farla tornare indietro. Mannaggia a me e alla mia boccaccia. Quando imparerò a tenerla chiusa sarà troppo tardi, ne sono sicura.
Va bene, proviamo a ragionare. I primi due piani sono utilizzati da un'altra azienda, quindi sono da escludere. Il terzo piano è il magazzino, quindi devo escludere anche quello. Quarto piano, contabilità; quinto piano, uhm, non ne ho idea. Be', per fortuna sono solo due i piani da controllare. Be', teoricamente ci sarebbe anche il piano di sopra, ma quello è off-limits per la sottoscritta - e anche per tutti gli altri, a meno che non siano pezzi grossi.
Quando arrivo al sesto piano, tiro un sospiro di sollievo. Esattamente davanti alle porte dell'ascensore, c'è una porta con sopra attaccato un cartello con la scritta "Mills" enorme. Direi che ho trovato il mio ufficio.
Okay, lo ammetto. Onestamente, è tutto il contrario di quello che mi aspettavo. Posso capire la polvere, certo, ma sembra di essere appena entrati in una cantina chiusa dal 1400. E io, ovviamente, sono allergica alla polvere, motivo per cui inizio a starnutire come ogni volta che Isabel fa le pulizie in casa - una volta all'anno, per intenderci. Appunto per me: trovare qualcuno che pulisca questa stanza gratuitamente. Oh, e anche dire al capo che "sgabuzzino" non è la stessa cosa di "ufficio".
«Tutto bene?»
Sussulto quando sento una mano sulla spalla e mi giro di scatto.
«Uhm, sì» borbotto, facendo un grande sforzo per non starnutire davanti allo sconosciuto - un gran bel pezzo di sconosciuto, devo ammettere.
«Scusa tanto, ma non sembra» ribatte lui, sorridendo.
«Sto bene, è solo un po' di allergia.»
Lui mi guarda, scettico. Effettivamente, sembro più una persona in punto di morte che una con un po' di allergia. Non posso farci niente, è così.
«Mi chiamo Jake, comunque» dice, allungando la mano.
«Natalie» rispondo, stringendola, forse un po' troppo forte.
«Wow, che presa!»
Ecco, lo sapevo. Arrossisco di colpo e mi volto, in modo da non darlo a vedere.
«Era un complimento» mi rassicura lui, entrando nella stanza e guardandosi attorno. «Vuoi una mano con le pulizie?» aggiunge poi, passando un dito su quella che dovrebbe essere la mia scrivania e lasciando traccia del suo passaggio in mezzo ad uno spesso strato di polvere.
«Sì, direi di sì» mormoro, iniziando a domandarmi per quale motivo voglia aiutarmi. Cioè, è liberissimo di farlo, a meno che non voglia qualcosa in cambio e sì, con "qualcosa" intendo quel qualcosa.
«Io vado a prendere uno straccio, tu, be', vai a prenderti un caffè, mi sembri stanca» dice, appena prima di scomparire in una stanza lì vicino.
Seguo il suo consiglio e torno nuovamente al piano di sopra. So perfettamente che, sullo stesso piano in cui mi trovo, ci sarebbe caffè gratis, ma non ho alcuna voglia di incontrare l’assiduo frequentatore della sala comune - ovvero Robert – cosa che potrebbe, effettivamente, accadere. E poi, ammettiamolo, non posso tradire i miei amati distributori.
Come sempre, non c'è nessuno a fare la coda per un sanissimo e santissimo caffè, quindi lo prendo abbastanza in fretta. Mentre cerco di tornare in ufficio, quello vero, mi imbatto in Isabel, che mi fa un veloce cenno di saluto con la testa. Sta parlando al telefono e, a giudicare dalla sua espressione, l'altro interlocutore è James.
«Cazzo!»
Oh no. No, no, no, e no. Non è successo davvero.
«I-Io, scusa, mi dispiace.»
Non so se disperarmi per via del caffè che è finito sulla mia camicia - bianca, ovviamente - o ridere per l'espressione mortificata del capo. Mi è venuto addosso, se ve lo state chiedendo, e, come è giusto che sia, il caffè è magicamente volato sulla mia camicia.
«Mi dispiace, mi dispiace» continua a ripetere, mentre tira fuori dalla tasca un fazzoletto di stoffa e cerca inutilmente di pulire il disastro che ha combinato. Senza farlo apposta, mi auguro.
«No, no. Lascia stare» dico, allontanando le sue mani dal mio petto - anche perché si stavano trattenendo troppo in posti in cui non sarebbero dovute essere.
«Vai nel mio ufficio, Natalie, vedo di rimediarti una camicia» mi dice, per poi letteralmente mettersi a correre verso l'infinito e oltre non so dove. Lo imito, andando a nascondermi nel suo ufficio, con la speranza che riesca a trovare davvero una camicia.
Il capo arriva dopo una ventina di minuti, con in mano un qualcosa che sembra tutto meno che una camicia.
«Ecco» dice, porgendomelo.
Guardo l'abito che ha recuperato, chiedendomi 1) dove diavolo l'abbia trovato e 2) chi si metterebbe mai un pezzo di stoffa tanto corto. Sospiro, pensando che probabilmente non c'era nulla di meglio. Anzi, probabilmente è un miracolo che abbia trovato questo.
Mi sbottono tranquillamente la camicia, dando le spalle alla finestra. Siamo al settimo piano, sì, ma i guardoni arrivano ovunque. Come in quella pubblicità, com'è che si chiamava? Oh, non mi ricordo. Era di un qualche profumo, però, ne sono sicura.
«Ehm, Natalie...»
Dannazione.
Cioè, non era uscito?
Alzo lo sguardo in un modo assurdamente lento, sperando di avere le allucinazioni. Invece no, Robert è davvero di fronte a me. E io sono in reggiseno.
Non so perché, ma ho come l'impressione che lo spettacolo gli piaccia.

 
   
 
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