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Autore: La_Matricola    18/02/2014    0 recensioni
[Creepypasta]
questa è la storia della fine della città di Ashley, Kansas. Che se oggi tentate di trovare sulle mappe, non otterrete alcun risultato positivo.
Una fine avvolta nel mistero di un'oscurità avvolgente, e di fiamme provenienti dalla bocca di Lucifero.
CARI LETTORI, QUESTA STORIA E' UN'EVOLUZIONE A CAPITOLI DELLA CREEPYPASTA "LA SCOMPARSA DI ASHLEY, KANSAS". SPERO CHE QUESTO NON IMPLICHI PLAGIO. STO SOLTANTO AMPLIANDO LA TRAMA DELLA STORIA, CON UNA SERIE DI MISSING MOMENTS!
SPERO SOLO VI PIACCIA!
BUONA LETTURA.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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~10 AGOSTO 1952, 7:38 am.
-Distretto di Polizia di Hays, Kansas. Sono l'agente capo Derry, con chi parlo e qual'è il motivo della telefonata?-

-salve, signor Derry. Sono Mary, Mary Horace, la chiamo dalla cittadina di Ashley.-

L'agente capo Derry sbuffò quasi annoiato, ma perlopiù terrorizzato dal fatto che nel giro di qualche giorno, avesse ricevuto telefonate insolite da Ashley. Più che altro, che avessero telefonato da Ashley. Era un posto così tranquillo, un paesello di meno di mille anime, e ora sembravano tutti ammattiti, e tutti irraggiungibili. Aveva inviato l'agente Mace ad indagare direttamente sul campo, ma ad Ashley non ci era mai arrivato, tornava sempre al dipartimento di polizia.

Ancora ricordava la sua faccia incredula, quando dopo tre giri compiuti a vuoto, era ritornato ad Hays.

-te lo giuro Michael, te lo giuro! ad Ashley non ci arrivi proprio! e c'è solo una strada santo cielo!- urlò Mace con gli occhi fuori dalle orbite.

-avanti Mace, non sparare cagate. Ti sei perso!-

Mace afferrò Derry per il bavero della camicia e lo strattonò un paio di volte.

-Michael c'è una sola cazzo di strada per arrivare ad Ashley partendo da Hays, e non ci si arriva nemmeno ad Ashley! Nemmeno al cartello di Ashley. Ti dico che da qualche parte quella strada curva.-


Stava succedendo qualcosa di stranissimo, ad Ashley. Gli unici contatti possibili erano telefonici. E questo era parecchio strano. Non era avvenuta alcuna frana (e come sarebbe stato possibile, erano in pianura), nessuna alluvione. Nulla che avesse potuto interrompere i contatti via terra.

Si portò la mano sulla fronte, e sbuffò nuovamente.

-Mi dica Miss Horace.-

-si è solo un'informazione... l'alba era prevista per che ora in Kansas?-

Derry aggrottò le sopracciglia, e si voltò a guardare il bollettino meteo sulla sua scrivania, fresco di qualche ora prima.

-per le 6:56 signora-

-c'è una qualche eclissi in corso allora?- incalzò la signorina Horace. Derry si voltò sulla sedia, girandosi verso la finestra e scrutò fuori. Il giardino antistante al dipartimento era illuminato dalla fioca luce del mattino, e
di eclissi nemmeno l'ombra.

Ebbe paura di rispondere.

-...no signora Horace. Nessuna eclissi.- ci fu qualche istante di silenzio.

-la ringrazio allora, agente Derry... .- rispose la signor Horace, con la voce rotta dal terrore.

-signora Horace, cosa sta succedendo?- le chiese dunque Derry, inquietato dalla voce terrorizzata della sua interlocutrice.

-agente, non saprei... Ad Ashley non è sorto il sole, oggi. E nemmeno le stelle questa notte.-


12:43 pm, 11 AGOSTO 1952


Phebe Danielewski era una signora elegante, sulla quarantina, ed abitava ad Ashley da sempre. Si era sposata giovane, all'età di 23 anni, e aveva dovuto affrontare due gravidanze abortite. Fino a quando non nacque sua figlia, Hope. Suo marito Adam e lei avevano deciso di chiamarla così, visto che ormai non nutrivano alcuna speranza di diventare genitori, e Hope era stata la loro nuova speranza di costruire una famiglia.

Quel pomeriggio, appena dopo pranzo, si stava dedicando mollemente al lavoro a maglia, adagiata sulla poltrona del salotto. Ogni tanto contemplava la foto del marito, morto tre anni prima, in un incidente sul cantiere.

Suo marito Adam era capomastro, e stavano lavorando al cantiere del nuovo minimall di Ashley, quando fu colpito da una trave di ferro pesante direttamente alla testa. Il trauma causò la frattura di alcune ossa del cranio, e i pezzi si infilzarono nel cervello, causando una pesante emoraggia interna.
Adam morì due ore dopo, in coma.

Hope aveva dodici anni, quando successe il fatto. E ne rimase traumatizzata profondamente. Per quasi un anno intero non riuscì ad accettare la morte dell'adorato padre, e continuò a comportarsi come se vivesse ancora con loro: aiutava la mamma a rifare il letto e metteva un fiorellino sul cuscino del padre come faceva da piccina, apparecchiava la tavola per tre e pretendeva che la mamma servisse anche nel piatto del padre, convinta che sarebbe tornato dal lavoro di li a poco. Quando non vedeva il padre fare ritorno, copriva il suo piatto con un coperchio e sorrideva, dicendo che probabilmente stava ancora lavorando e sarebbe tornato quando ormai lei era a scuola.

A volte gli parlava.

Anche quel pomeriggio gli parlava. Phoebe smise di sferruzzare, e tese l'orecchio. Hope era in camera sua, al secondo piano, ma aveva lasciato la porta aperta.

*ciao papà, mi sei mancato tanto. Sei mancato anche a mamma, ma sembra che ti abbia dimenticato*

-Hope?-

*no non ha un altro uomo. Non arrabbiarti papà, credo solo che faccia finta di aver dimenticato, pensando che a me facesse male. Ma sei qui ora Papà!*

papà? sta parlando ancora con suo padre? pensò Phoebe.

-Hope vieni qui per favore.- la chiamò, insospettita dal comportamento della figlia.

*devo andare papà, mamma mi chiama. Ma ci vediamo più tardi la fuori.*

Hope corse giù per le scale, fino in salotto.

-dimmi mamma.- le chiese innocentemente.

-Hope, stavi giocando con le bambole?- incalzo Phoebe, tentando di non puntare dritta al nocciolo della questione e lasciando che fosse Hope a rivelarle l'accaduto.

-no mamma.-

-eri al telefono con Martha, la tua amica di liceo?-

-nemmeno mamma, stavo semplicemente parlando con papà-

Phoebe sorrise.

-ancora parli con papà tesoro. Pensavo fossimo riuscite ad affrontare il lutto.- pronunciò lutto come se fosse una parola proibita, sottovoce.

Hope scosse la testa.

-si ci parlo mamma, ma papà era qui poco fa, l'ho salutato e mi ha detto di dirti che vi rivedrete presto. Ora scusami ma devo uscire.-

Phoebe era inorridita.

-uscire? Uscire dove che fuori è buio pesto?-

-devo andare con loro, devo unirmi a loro.- Hope parlava come se non fosse più nel salotto con sua madre.

-loro chi Hope?- le chiese Phoebe, alzandosi di scatto dalla sedia e afferrando sua figlia per le spalle, cercando di trovare un bagliore di vita nel suo sguardo catatonico.

Il lavoro a maglia cadde a terra, tintinnante.

-loro. E presto verrai anche tu.- le rispose Hope.

Phoebe la scosse, terrorizzata. Non aveva idea di chi fossero loro ma sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò.

-tu non andrai da nessuna parte, e nemmeno io. Fuori è stranamente buio pesto, le scorte di cibo le abbiamo, io e te rimaniamo qui!-

-no mamma..-cominciò la ragazza -..devo andare con loro.-

Loro.

-NO HOPE!- le tirò uno schiaffo, piangendo per il terrore e la disperazione di sentire sua figlia dire certe cose. La ragazza trasalì, e parve tornare in se. Guardò la madre con estremo spavento, e pianse a dirotto. Le due donne si strinsero una nelle braccia dell'altra.

-...noi rimarremo qui...- mormorò Phoebe.

3.48 am, 12 AGOSTO 1952.

Phoebe si alzò come suo solito nel cuore della notte, e scese al pian terreno, per prendersi un bicchiere di latte fresco. Aveva caldo e aveva molta sete.

Appena scese sul giro di scale che conduceva in salotto, un refolo l'aria fresca le solleticò le caviglie.

Scese fino al divano, guardinga. Temeva che qualcuno si fosse intrufolato in casa loro. Brandì l'ombrello che aveva poggiato sul bracciolo qualche giorno prima, quando ancora c'era luce e quando era stata sorpresa da un temporale estivo mentre tornava a casa.

Si trovò davanti quello che non si sarebbe mai aspettata. La porta d'ingresso principale completamente spalancata sul buio innaturale che imperversava ad Ashley.

Le vennero in mente le parole di sua figlia.

devo andare con loro, devo unirmi a loro.

Corse di nuovo su per le scale, e spalancò di botto la porta della camera di sua figlia.

Hope non c'era più.

Hope era andata con loro.

Un gemito di dolore si levò alto in Ashley e Phoebe capì che non era solo sua figlia ad essersi unita a loro.

   
 
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