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Autore: Victoria93    19/02/2014    8 recensioni
Tratto dalla storia:
-"Stai dicendo che sono io la tua ossessione, signor detective...?" gli sussurrò, di nuovo vicinissima alle sue labbra.
"Non lo so...ma mi stai impedendo di pensare. E nessuno era mai riuscito a ottenere un simile risultato nei miei confronti. Direi che le probabilità che tu sia diventata la mia ossessione sono intorno al 62%".
"Odio le tue stupide percentuali" replicò lei, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
"E io amo te".- Elle è pronto per dedicarsi al caso Kira, e ben presto incontra gli agenti giapponesi e si prepara allo scontro con il colpevole, come da programma, ma stavolta...il coinvolgimento di un nuovo agente dell'FBI nelle indagini lo porterà a cambiare notevolmente le sue prospettive, in un modo che nemmeno la mente più geniale del mondo avrebbe mai potuto calcolare e prevedere. Una storia d'amore, intensa, passionale, contro cui quasi niente sarà in grado di opporsi...
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SUGAR AND PAIN'
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Capitolo 13- Just a small crime
 
Quando finalmente riuscì a rialzare gli occhi, dividendo controvoglia le sue labbra da quelle di Ryuzaki, il suo sguardo tornò a incrociarsi con quello di lui, perdendosi ancora una volta in quelle sfumature così intense e così particolari.
Per la prima volta in vita sua, si rese conto che non aveva parole. Come poteva trovare il modo per esprimere quello che provava? Come avrebbe mai potuto confrontarsi del tutto con ciò che sentiva nel suo intimo, e infine mettere a parte della cosa la persona che le stava di fronte? Quella persona…
*Me ne sono innamorata davvero…?*.
Come poteva, quella situazione così anomala, possedere una logica di qualunque genere? Non sapeva quasi nulla di lui, eppure…eppure se ne fidava, eppure lo stimava, eppure lo voleva…eppure lo amava. Era così semplice, talmente semplice da spaventarla. Era questo, dunque, che intendevano con ‘senza alcun preavviso’? Di una sola cosa era sicura, non era più avvezza ad avere a che fare con questioni inaspettate, da molto tempo…
Con sua sorpresa, si rese conto che la cosa che più le faceva battere il cuore, in quell’istante, era l’attesa precedente le successive parole di Elle. Poteva davvero essere così importante, il sentirlo pronunciare determinate cose rispetto ad altre? Avrebbe davvero fatto la differenza?
“Elle…” riuscì a dirgli infine, quasi sussurrando “Ascolta, io…”.
“Torniamo dentro” la frenò lui, con un tono a metà fra il dolce e il distaccato.
Mentre parlava, Ruri lo percepì allontanarsi dalla sua presa, in maniera delicata ma rigida.
“Siamo bagnati fradici…” aggiunse, a mo’ di spiegazione.
Ruri cercò di incrociare il suo sguardo, che Elle stava badando bene a tenere lontano da lei il più possibile, gli occhi di nuovo saldamente puntati sul cemento sotto i loro piedi; la ragazza piegò leggermente il capo, facendo per mettergli una mano sulla spalla, ma lui si scansò subito, come attraversato da una piccola scossa elettrica.
“Elle…”.
“Ryuzaki. Per favore, chiamami Ryuzaki. Te l’ho già detto…per precauzione” ribadì il detective, iniziando ad allontanarsi di qualche passo “Dammi retta, Ruri, torna dentro: rischi di prenderti una polmonite”.
Ruri lo raggiunse nuovamente e gli si pose di fronte, stringendo lievemente le dita intorno al suo braccio; ancora una volta, il giovane se ne scostò, stavolta rivolgendole un’occhiata d’avvertimento.
“Elle…scusami, Ryuzaki, cosa…”.
“Devi rientrare” ribadì ulteriormente l’investigatore, con una nota fredda nel tono “Adesso. Non vorrai trascorrere i prossimi giorni a letto con la febbre, dico bene? Pensavo che la tua priorità fosse dedicarti al caso Kira…”.
Ruri abbandonò le braccia lungo i fianchi, incredula, e dovette trattenersi dallo spalancare la bocca per lo stupore e per la frustrazione.
“Questo è tutto ciò che hai da dirmi, adesso?!” esclamò, la voce delusa e leggermente irritata.
“Che cosa pensi che debba dirti?” replicò Elle, stavolta fissandola dritto negli occhi, le mani in tasca.
Ruri ricambiò il suo sguardo, nuovamente incredula e completamente spossata dal suo atteggiamento: perché quella freddezza improvvisa e ingiustificata? Non aveva ragione d’esistere…
“Ryuzaki…” riuscì a dirgli infine, dopo un lungo silenzio, spezzato solo dal rumore della pioggia che cadeva.
“Torna dentro” le disse per l’ennesima volta, superandola definitivamente e rientrando nell’edificio, per poi chiudersi subito alle spalle la porta che conduceva sul tetto.
Invece di seguire le sue indicazioni, dopo essere rimasta immobile per un tempo che le parve infinito, Ruri si diresse verso il cornicione del palazzo, il movimento simile a quello di un automa, si sedette sul suo bordo e lasciò che la sua testa le cadesse fra le mani, i lunghi capelli scuri intenti a nasconderle il viso, rigato da un misto d’acqua dolce e salata.
 
In quello stesso momento, Ryuzaki iniziò a scendere le scale che lo avrebbero riportato alla sua suite, con una frenesia e una fretta che non gli erano mai state proprie.
Che diamine era successo? Possibile che i precedenti minuti gli fossero scorsi addosso in quel modo assurdo e privo di logica? Possibile che si fosse a malapena reso conto di quello che gli stava accadendo? Possibile che avesse perso il controllo così, senza alcuna percezione di tutto ciò che stava avvertendo? Perché si era comportato in quel modo? Perché aveva sentito così forte l’impulso di seguirla, non appena si era reso conto della sua assenza? Perché non era semplicemente rimasto al suo posto, proseguendo con il lavoro come avrebbe fatto in qualsiasi altro momento? Com’era giunto a quel risultato? Come poteva avvertire una sensazione simile all’altezza del petto, soltanto nel rendersi conto che lei non c’era, o che non stava bene?
Analizzando la cosa come osservatore esterno, in altre circostanze l’avrebbe definita una dipendenza da qualche sostanza allucinogena, da qualche strana droga pesante…ma era plausibile considerare l’idea che si potesse diventare dipendenti da una persona? Da una ragazza…?
*Non posso…non è possibile. Non posso…non mi sono innamorato di lei. Non posso esserlo…non posso averlo fatto. Me ne sarei accorto, è completamente…com’è possibile che una cosa del genere accada senza che possa aver fatto nulla per rendermene conto? Non può cominciare e basta, non può importarmi in questo modo. Non riesco a pensare, maledizione, non è…non è successo e basta. Come cavolo mi è venuto in mente di baciarla, ma dove avevo la testa?! Sto impazzendo, ecco che cosa. Probabilmente sto impazzendo. Forse…forse è solo la stanchezza, forse è solo che non sono abituato a passare così tanto tempo a contatto con una persona che non sia Watari…ma io non sono…io non la amo. Ne sono sicuro. Forse…probabilmente. Credo*.
Quella faccenda gli avrebbe fatto esplodere il cervello, ne era sicuro. D’altronde, quella sensazione di pace che provava al suo fianco…ma come poteva tutto ciò essere giusto, se lo metteva in una posizione del genere?
*No, non è giusto. È sbagliato. È la cosa più sbagliata che abbia mai fatto in vita mia. E la giustizia non fa cose che non rispondano a un giusto criterio di equità…non posso farmi coinvolgere in questo modo. Non posso risolvere questo caso, se…se perdo la testa. Non posso distrarmi, non posso permetterle di…questo ci metterebbe in pericolo entrambi. Ci metterebbe in pericolo e basta. E non ho il diritto di fare una cosa del genere, soprattutto non nei suoi confronti. Mi ha dato la sua fiducia, non la tradirò in questo modo. Non è di questo che ha bisogno. Non posso essere ciò di cui ha bisogno…io non…non posso*.
Continuando a ripetersi nella mente quelle parole, come se fossero state una sorta di mantra, e cercando con tutte le sue forze d’ignorare il peso del macigno che avvertiva sul petto, Elle si diresse nuovamente alla sua camera, sforzandosi di cancellare l’immagine di Ruri dalla mente.
 
Qualche ora dopo, immediatamente pochi istanti successivi il suo rientro nella propria stanza da letto, Ruri si chiuse la porta dell’ambiente alle spalle, accasciandosi contro di essa e permettendo al suo corpo di scivolare a terra, il volto di nuovo fra le sue mani.
Se lo era inventato? Era stato un sogno? Un sogno bizzarro, incredibile, intenso, persino incredibilmente bello, ma pur sempre un sogno? Com’era possibile?
L’aveva baciata…l’aveva baciata, dannazione! O forse non era stato lui, forse era semplicemente successo e basta…aveva importanza?
*Certo che ne ha! Ne ha eccome…come accidenti faccio a non ricordamelo? È successo prima o dopo che mi rendessi ridicola, dicendogli che mi stavo innamorando di lui anch’io? È successo prima che lui…che si rimangiasse tutto? Dio, ma di che sto parlando…questa persona non è…non è paragonabile a nessuna che io abbia mai conosciuto. Cazzo, sono…sono il primo essere umano con cui ha un contatto diverso da quello che potrebbe mai aver avuto con Watari. Parliamoci chiaro, sono la prima donna che abbia mai sfiorato…come posso aspettarmi che abbia un comportamento normale? Non posso pretendere niente del genere…forse l’unica da cui devo prendere qualcosa è l’idiota che adesso se ne sta sul pavimento a domandarsi dove ha sbagliato. Accidenti, credo d’aver appena vinto il premio come peggior deficiente del secolo…mi sono…mi sono innamorata di Ryuzaki*.
Alzandosi in piedi, fissò per un istante la parete di fronte a lei, per poi scagliarvi contro uno dei pesanti fascicoli sul caso Kira; i fogli che erano contenuti al suo interno ne uscirono quasi del tutto, sparpagliandosi a terra in un caos indefinito…osservandoli per un momento, Ruri non poté fare a meno di constatare che quel casino era qualcosa di molto simile al modo in cui lei stessa si sentiva, in quell’istante, dentro di sé.
*Non posso!!* cominciò freneticamente a ripetersi, andando avanti e indietro per la stanza e accendendosi una sigaretta dopo l’altra *Non posso innamorarmi di un mio collaboratore, io non posso farlo! È solo…è solo che è un casino, ecco tutto. Sono solo completamente disorientata da tutto quello che è successo a Williams, e da questo stramaledetto caso che non riesco a risolvere…Naomi è scomparsa, e nemmeno il suo cadavere è saltato fuori, ho dato le dimissioni, sono…CAZZO, perché gli ho detto tutte quelle cose su Daniel ed Eliza?! Perché gli ho detto del trapianto? Perché ho parlato di Williams? Perché gli ho raccontato tutto quello che non ho mai detto a nessuno? Nemmeno Robin…nemmeno a lei ho mai dato davvero l’opportunità di capire come mi sentissi realmente. Non l’ho mai lasciata entrare del tutto, pur sapendo che potevo fidarmi di lei…e ho permesso una cosa del genere a un semisconosciuto? Ok, sono pazza. Forse sono pazza, forse…forse dovrei prendermi una pausa…ma come posso prendermi una pausa, quando praticamente convivo con lui?! Cavolo, se solo potessi riavvolgere il tempo, se solo potessi mandare indietro quel dannato orologio…come cazzo mi è venuto in mente di baciarlo?! Come ho fatto a dirgli quelle cose?! Ma che mi è preso?! È una cosa…MERDA, NON HA IL MINIMO SENSO!!!!*.
Senza nemmeno sapere perché, gettò un’occhiata al suo orologio da polso, scostandosi i capelli ancora fradici dal campo visivo: era circa mezzanotte. Probabilmente, in quell’istante lui era ancora impegnato a lavorare, e lo avrebbe trovato nella stanza accanto, appollaiato su quella dannata sedia, secondo la sua stramaledetta abitudine…
*Forse dovrei…dovrei semplicemente parlargli. Non può cavarsela in questo modo, quantomeno mi deve una spiegazione. Non può semplicemente svignarsela e basta. Io avrò fatto la stupida, ma lui ha la sua parte di responsabilità, in questa storia. Non sono cose che si fanno da soli, senza contare quello che mi ha detto ieri sera…e quello che mi ha detto poco fa. Accidenti, sto farneticando…insomma, ci sto pensando davvero? Sto davvero pensando a lui in questo modo? Potrei davvero…posso essermi innamorata di lui?*.
Riflettendoci ancora per qualche istante, la schiena di nuovo appoggiata contro la porta, non riuscì ulteriormente a mentire a se stessa, gli occhi chiusi come in segno di rassegnazione: non poteva trattarsi di stanchezza o di frustrazione, non poteva essere stato un caso. Non poteva trattarsi di una bugia. Si era innamorata di Elle.
Di fronte alla sua mente provata e abbagliata, comparve inesorabile la sua figura, per l’ennesima volta, intenta a sorriderle nella consueta maniera enigmatica, gli occhi scuri animati da una luce assunta soltanto in sua presenza.
Sapeva di non poter aver parlato a sproposito, senza una ragione precisa. Si era confidata con lui perché l’aveva avvertita come l’unica cosa giusta da fare, perché, in quel medesimo istante, aveva compreso che era la persona che attendeva per parlarne…la stessa persona che aveva atteso per una vita intera, senza nemmeno saperlo.
Come poteva essere successo tutto in quel modo? Come poteva davvero ammettere, accettare di amarlo, di essersi ritrovata in quella situazione senza nemmeno rendersene conto? Come aveva potuto permettere che accadesse? E come aveva potuto lasciarlo andare via in quel modo, senza che si prendesse la sua fetta di responsabilità per ciò che stava accadendo, senza che la guardasse negli occhi e avesse il coraggio d’ammettere d’essersi pentito di tutto quanto?
Non era da lei, lo sapeva…ma forse, niente di tutto ciò che stava accadendo poteva davvero definirsi conforme a ciò che era sempre stata e a ciò che si era abituata a conoscere.
*Io non faccio queste cose. Non commetto errori del genere. È…è tutto sbagliato. Come posso pensare a innamorarmi in un momento simile? Non è né il posto, né il tempo adatto…come può una persona che non conoscevo nemmeno, fino a poco fa, entrare nella mia vita e basta, senza che abbia il diritto di controllare minimamente la questione? Non posso perdere il controllo…non posso…non posso smettere di pensare. Ma non ci riesco, maledizione, non ci riesco! Non riesco a riflettere…Dio, non riesco neanche a respirare…*.
Doveva calmarsi, lo sapeva. Se avesse continuato in quel modo, avrebbe finito per procurarsi un’altra crisi respiratoria, o, peggio ancora, persino cardiaca.
*Io lo amo…Dio, è una cosa così piccola, così apparentemente stupida, infantile, insignificante…come se avessi commesso un furto, o avessi fatto lo sgambetto a me stessa. Una cosa infantile, un crimine banale…diamine, un crimine? È questo quello che penso? Sì…è come se avessi commesso un crimine contro me stessa, in effetti. Non potevo fare una scelta più masochista di questa. Per non parlare di come potrebbe star vivendo lui stesso tutto questo…*.
Improvvisamente, si diede della stupida; certo non poteva dire di averlo obbligato a fare qualcosa, in fin dei conti. Anzi, a dire il vero, in quegli istanti infinitamente lunghi e incredibilmente intensi in cui si era beata del contatto con le sue braccia, aveva avuto la netta sensazione che fosse esattamente quello che voleva anche lui…
*Ma io? Posso dire di volere una cosa del genere? Posso dire di volere questa persona, o è davvero un crimine di cui devo soltanto dimenticarmi? Se fosse così, non avrei scuse per giustificarmi, nemmeno di fronte a me stessa…ma se così non fosse…mio Dio, perché sento già la sua mancanza?*.
 
R: Leave me out with the waste
This is not what I do
It’s a wrong kind of place to be thinking of you
It’s a wrong time for somebody new…
It’s a small crime…and I’ve got no excuse…
 
Senza attendere ulteriormente, Ruri si volse, prendendo un respiro profondo, e uscì definitivamente dalla stanza, diretta a passo spedito verso il salotto dove sapeva che, con tutte le probabilità, avrebbe trovato Ryuzaki.
Quando giunse di fronte ad esso, cercò ulteriormente di tranquillizzarsi ed entrò con la massima disinvoltura, tentando di calmare i frenetici battiti del suo cuore.
Scoprì ben presto che le sue aspettative non erano state deluse: i suoi occhi azzurrissimi corsero subito in direzione della poltroncina di Ryuzaki, dove il detective era seduto di consueto, intento a picchiettare con ritmo monotono sulla tastiera del suo portatile.
All’ingresso della giovane, udendo la porta che si apriva e si chiudeva delicatamente, il ragazzo si voltò appena, rivolgendole uno sguardo indagatore, leggermente perplesso: subito dopo, tornò a rivolgere la sua attenzione al monitor, per niente scosso da ciò che era appena successo.
Decisa a non demordere, Ruri incrociò le braccia e gli piantò gli occhi sulla schiena, in attesa che lui parlasse; avvertendo lo sguardo di lei intento a perforarlo da parte a parte, Ryuzaki finì per sospirare, bevendo un lungo sorso di caffè prima di cominciare finalmente a parlare.
“Sei venuta a pretendere le mie scuse?” le domandò alla fine, senza ancora voltarsi di nuovo.
“Sono venuta a chiederti spiegazioni” ribatté Ruri, gelida.
Finalmente, Elle si voltò nuovamente, alzandosi in piedi, le mani ancora una volta saldamente ancorate dentro le tasche, lo sguardo di ghiaccio.
“Spiegazioni riguardo a ciò che ti ho detto?”.
“Non prendermi in giro, Ryuzaki”.
“Perché sei venuta qui, Ruri?”.
“Perché volevo parlare del bacio!” esclamò Ruri, con più enfasi di quanto non avrebbe voluto.
Elle abbassò gli occhi al suolo, tentando malamente di nascondere il proprio disagio; non avrebbe mai creduto che, un giorno, si sarebbe ritrovato a dover affrontare una situazione del genere.
“Non capisco di cosa tu voglia parlare esattamente…” mormorò infine, dopo un lungo silenzio “Sarebbe troppo chiederti di dimenticare e basta?”.
Quella richiesta la lasciò senza fiato, arrivando al cospetto dei suoi sensi come una specie di tuono in mezzo al silenzio.
“Sarebbe troppo chiederti di essere sincero con me?” replicò, dopo un’altra lunga pausa, la voce intrisa di rabbia.
“Non se tu sei in grado di fare lo stesso”.
“Non sono io quella che mente, Ryuzaki. Questo mi sembra evidente” constatò la ragazza, il tono decisamente freddo.
“Stai insinuando che io lo stia facendo o che lo abbia fatto?”.
“Se proprio vuoi saperlo, sto cominciando a credere che tu ne sia capace” affermò Ruri, incrociando nuovamente le braccia e fissandolo dritto negli occhi.
Senza nemmeno rendersene conto, Elle cominciò lentamente a muovere qualche passo nella sua direzione, accorciando la loro distanza; sapeva che tutto ciò andava assolutamente contro tutti i propositi che aveva cercato di fissarsi nella mente fin da quando era rientrato nella suite, ma, inspiegabilmente, iniziava a rendersi conto che il suo corpo stava quasi smettendo di rispondere ai comandi della sua mente, guidato da una forza d’altra natura, a cui lui stesso non era ancora in grado di fornire un volto.
Quando furono nuovamente abbastanza vicini da toccarsi, Elle tornò a esaminare scrupolosamente ogni dettaglio del suo viso, tornando ancora una volta a scivolare nella profondità dei suoi occhi senza fine…
*Non posso essermi innamorato di te. Non posso amarti, Ruri…non è quello che posso o che devo fare. Ma perché, allora, non sono semplicemente in grado di smettere di farlo?*.
“Credi che io ti mentirei? Credi che potrei esserne capace?” le sussurrò, sfiorando appena il suo braccio.
Ruri lo osservò con espressione triste e malinconica al tempo stesso, la rabbia messa improvvisamente da parte.
“Non lo so…in effetti, non sono ancora certa di quanto potere tu possa disporre, in questa situazione…” ammise alla fine, lo sguardo a terra.
 
R: Is that alright, yeah?
Give my gun away when it’s loaded
Is that alright, yeah?
If you don’t shoot it, how am I supposed to hold it?
Is that alright, yeah?
Give my gun away when it’s loaded
Is that alright, yeah…with you?
 
“Potere? Pensi che sia un gioco di potere?” le domandò il detective, quasi stranito.
“Amare è sempre un gioco di potere…sempre ammesso che si tratti di questo…” disse improvvisamente lei, alzando di nuovo gli occhi e indirizzandogli uno sguardo molto penetrante “Ma se davvero tu fossi in grado di mentirmi su una cosa simile…allora significherebbe che mi sono sbagliata, sul tuo conto. O forse…il punto è che semplicemente, nessuno dei due è in grado di capire quello che sta accadendo. Ma, in effetti…dubito che ci sia molto da capire…”.
“Il punto è proprio questo” rifletté Elle, passandosi una mano sotto il mento ma evitando accuratamente di smetterla di fissarla negli occhi “Non è una cosa che posso analizzare o scomporre…non riesco a comprenderne le componenti. È come se fosse troppo, per me…mi dispiace, Ruri, ma questa è una cosa che mi sfugge”.
“Non è qualcosa che devi capire. E probabilmente, nessuno di noi la comprenderà mai fino in fondo. È soltanto…non lo so, Ryuzaki, forse è solo qualcosa da accettare…o da respingere. Dipende da quello che vuoi…e da quello che senti realmente”.
“Quello che sento…?” ripeté lentamente il detective, pronunciandosi in un sorriso amaro e dandole le spalle, per poi avviarsi verso la finestra e iniziando malinconicamente a guardare all’esterno “Tu mi stai sopravvalutando, Ruri. Stai ammirando e stai…amando…qualcosa che non esiste. Tu vuoi…tu hai bisogno di qualcosa che io non posso darti. Non posso darti una cosa simile perché si tratta di un elemento estraneo alla mia logica…e tutto ciò che rientra in una categoria del genere, è totalmente lontano dal mio controllo. Quando è così…quando non posso gestire quello con cui ho a che fare…beh, semplicemente non posso affrontarlo”.
“Non puoi pretendere di poter gestire una cosa del genere!!” sbottò Ruri, avanzando di qualche passo “Nessuno può farlo! Diamine, non hai mai provato qualcosa per qualcuno? Non hai mai desiderato stare vicino a una persona? Non parlo soltanto di amore, esiste anche l’affetto…non ti sei mai reso conto di voler bene a Watari? Non hai mai compreso quanto te ne voglia lui?”.
Elle rimase in silenzio, senza volgersi, l’espressione del volto attraversata da mille incognite di carattere enigmatico e gli occhi ancora persi nella moltitudine di luci che componeva lo spettacolo esterno.
“Non riesco a immaginare la mia vita senza Watari…” sussurrò alla fine, mentre lei si avvicinava ulteriormente “Ma non ho mai pensato che avrei potuto capitolare di fronte alla sua morte…”.
Senza alcun preavviso, Elle si voltò di scatto, afferrandola per le spalle e ponendola con la schiena contro il muro, gli occhi nuovamente incatenati ai suoi.
“Ryuzaki…”.
“Avrei dovuto capirlo fin dalla prima volta in cui abbiamo parlato del tuo trapianto…fin dal primo istante in cui mi sono reso conto che temevo che non riaprissi più gli occhi. Fin da quando ho compreso  che non desideravo più discutere del tuo cuore…non avrei più sopportato la sola ipotesi di un’evoluzione della cosa in modo…”.
Il detective abbassò appena lo sguardo al suolo, gli occhi leggermente nascosti dalla sua ribelle massa di capelli; Ruri fece per alzare stentatamente il braccio per discostarglieli, ma lui fu più veloce di lei, tornando a guardarla in volto, un’aria più sicura dipinta in volto.
“Io sono Elle. Sono a capo delle indagini sul caso del serial killer più pericoloso e più esperto di tutti i tempi; se sei qui, è perché avevo bisogno della miglior collaboratrice di cui potessi disporre. Non posso permettere che la cosa si ritorca contro di me…”.
“Credi che sia questo quello che sta accadendo? Pensi che si stia ritorcendo contro di te?” ripeté lentamente Ruri, posando leggermente le mani sulla presa di lui, ancora serrata intorno alle sue braccia.
“Penso che sia una cosa che non posso controllare” ribadì Elle, le dita strette ancor di più sulla pelle di lei “E di conseguenza, non…non posso competere con essa. Non chiedermelo, Ruri. Non ne sono in grado”.
“Non sei in grado di amarmi…?” sussurrò Ruri, la voce più flebile di quanto non lo fosse mai stata.
“Non ho mai detto di amarti…” le fece notare Elle, provocandole un leggero sobbalzo.
Quella frase, che tanto era stata in grado di ferire una parte di lei, non le permise comunque di scoraggiarsi, e, malgrado tutto, non la privò della forza di continuare.
“Hai detto che non puoi permettere che l’avermi chiesto di collaborare con te ti si ritorca contro…” lo parafrasò lentamente.
“È vero…”.
“E hai detto che non puoi sopportare l’idea che mi succeda qualcosa di male…hai detto che non avresti mai voluto vedermi morire…”.
“È vero…”.
“Hai detto che non riesci più a utilizzare la tua razionalità e la tua logica…”.
“Sì…”.
“E allora, come puoi ancora dire che non mi ami?” gli domandò, sospesa dalle sue labbra.
Con un profondo sospiro, incapace di fermarsi, Elle si avvicinò ulteriormente al suo profilo, le dita ormai intrecciate con le sue, mentre la sua presa non smetteva di bloccare contro il muro i polsi della ragazza.
“Non ho detto neanche questo…” ammise, fondendo il respiro con il suo.
“Non ti sei mai chiesto il perché tu non possa concentrarti su quello che fai? Non ti sei mai chiesto come mai nemmeno io riesca a smettere di pensare a ogni singolo minuto che passiamo insieme? Ryuzaki…” gli sussurrò, sfiorando appena le sue labbra con le proprie “Perché non lasci perdere e basta? Perché, se davvero non ti importa, mi hai seguito su quel tetto? Se davvero non sono minimamente importante, per te…perché adesso sei ancora qui?”.
Ryuzaki appoggiò la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi come in cerca di serenità.
“Non posso lasciare che questo avvenga. Non è quello di cui hai bisogno…” mormorò alla fine, la pelle ancora premuta contro la sua, il petto che iniziava lentamente ad aderire contro quello della giovane.
“Non sei tu a dover stabilire di cosa necessito davvero” lo redarguì Ruri, ma senza traccia di stizza nel tono della voce “Non farti carico di cose che non ti competono…”.
“Cose che non mi competono? Se oggi stai rischiando la vita, è perché sono io che te l’ho chiesto” le ricordò Elle, aprendo improvvisamente gli occhi e fissandola molto seriamente.
“Sono rimasta in Giappone di mia spontanea volontà…”.
“Sei rimasta qui perché ti ho convinto che eri l’unica che poteva farcela. Sei rimasta perché sono riuscito a farti capire che nessun altro avrebbe potuto prendere il tuo posto, nell’aiutarmi a risolvere questo caso. Sei rimasta essendo consapevole di ciò a cui andavi incontro…non posso lasciarti affrontare qualcosa che non avevi calcolato e pianificato. Non puoi confrontarti con una cosa del genere. Non adesso. Non dopo tutto quello che è accaduto…”.
“Per l’amor di Dio, dacci un taglio!!” sbottò Ruri, improvvisamente arrabbiata “Non sono una bambina di cui devi prenderti cura! So badare a me stessa e so decidere cosa voglio! Non ho bisogno che qualcuno stabilisca quali possono essere le cose che sono in grado di sostenere e quali sono quelle da cui dovrei stare alla larga…”.
“Tu non capisci. Ti stai commisurando con qualcosa che non conosci neppure. Vedi in me cose che non esistono, Ruri. Io non ho un cuore che possa darti qualcosa. Ho soltanto la mia mente, e per quanto tu possa ammirarla e riscontrarti in essa…non potrà mai costituire qualcosa in grado di fornirti quello che mi chiedi”.
“Non è vero, questo non è vero…” mormorò Ruri, carezzandogli il volto in maniera dolce quanto disperata “Ma non vedi che dimostri l’esatto contrario, ogni minuto che passa? La verità è che ti stai nascondendo, Elle…stai sfuggendo di fronte a qualcosa per cui non ti ritieni pronto e in merito al quale non ti ritieni all’altezza. Di cosa hai paura? Temi che una cosa del genere possa intralciare le indagini?”.
“Se dovessi rendermi conto che tutto questo è possibile…se dovessi accorgermi che quello che dici è vero…pensi che potrei mai agire senza mezzi termini, pensi che potrei mai avere la libertà di pensiero, di riflessione, la prontezza di spirito che mi è necessaria per fare ciò che devo fare? Per continuare a essere la giustizia, senza che niente si metta di mezzo…come posso permettere che la nostra collaborazione vada avanti, se capisco d’essermi innamorato di te? Come posso vivere ogni giorno con il terrore che tu muoia? Come posso mantenere la mente pulita da qualsiasi condizionamento, quando…quando guardarti mi costringe a domandarmi se il respiro che emetti possa o meno essere l’ultimo che ti vedo esalare? Come posso…” s’interruppe appena, gli occhi ancora saldamente ancorati a quelli di lei “Come posso affrontare Kira, quando la mia peggior paura rischia di divenire legata al perderti, piuttosto che al perdere la partita contro di lui?”.
“Non cambierebbe niente. Io ti aiuterei, come ho sempre fatto…Elle, io…sono la stessa persona” rispose Ruri, sempre più frastornata “Siamo…siamo sempre gli stessi”.
“Sì…sei la stessa persona che si è dichiarata pronta a rischiare la vita, pur di catturare questo assassino. Ciò che mi domando oggi è…affronterei un’ipotesi del genere con la lucidità necessaria, come avrei fatto prima di conoscerti…se adesso capissi fino in fondo che mi sono innamorato di te?”.
Ruri rimase in silenzio, incerta se cercare o meno le parole giuste per rispondergli; infine, lui la precedette, carezzandole appena il volto con il dorso ghiacciato della sua mano.
“Tu moriresti per catturare Kira…?” le domandò, sussurrando in maniera quasi impercettibile.
Con un sorriso quasi altrettanto irrilevante, Ruri chiuse gli occhi al suo contatto, tornando a guardarlo di nuovo dopo quello che le parve un secolo.
“Tu moriresti nel tentativo d’impedirmelo…?”.
I loro respiri tornarono ancora a incrociarsi, mentre i loro corpi si stringevano maggiormente l’uno all’altro, come due metà destinate a ricongiungersi malgrado tutto.
“Ruri…” sussurrò Elle, il profilo nuovamente sovrapposto al suo.
“Dillo e basta…” lo esortò la ragazza.
“Non posso…”.
“Sì che puoi”.
“Non sono giusto per te” le disse, indirizzandole lo sguardo più diretto e significativo di tutta la sera.
Ruri portò lentamente le braccia intorno al suo collo, ricambiando quel contatto visivo con la determinazione di chi non è pronto ad arrendersi.
“Non m’interessa…” mormorò, ancora più vicina alle sue labbra.
“Ruri…”.
“Ti amo…” gli confessò, prima di baciarlo di nuovo.
Incapace di sottrarsi a quel contatto, ormai divenuto così indispensabile per la sua stessa sopravvivenza, Elle cominciò a ricambiarla, stringendola in vita e continuando a bearsi dell’unione delle loro labbra e delle loro anime, in un connubio di passione, dolcezza, incertezza e profonda paura. Avrebbe mai potuto ingannare se stesso nel modo che aveva programmato? Lui non era il tipo di persona capace di fare una cosa del genere…Era una cosa sbagliata, eppure…come poteva, allora, avvertirla come così immensamente complementare alla sua stessa esistenza? Come avrebbe potuto, sulla base di tutto ciò, provare ancora a ingannarla, nascondendosi dietro la maschera che aveva indossato per una vita intera? Un piccolo crimine, soltanto un piccolo crimine…per il quale non aveva nessuna scusa…
 
L: Leave me out with the waste
This is not what I do
It’s the wrong kind of place to be cheating on you
It’s a wrong time…she’s pulling me through
It’s a small crime…and I’ve got no excuse…
 
Non seppe per quanto tempo il loro bacio andò avanti, incurante di qualsiasi contatto con la realtà che li circondava, ma infine, dopo averla a lungo abbracciata ed essersi aggrappato al contatto che lei si stava rivelando in grado di fornirgli, riuscì a staccarsi dalle sue braccia, indietreggiando di qualche passo, con l’atteggiamento di chi si è appena scottato.
“Elle…”.
“Non posso. Mi dispiace, Ruri…non posso”.
Dette queste parole, le voltò definitivamente le spalle e uscì dalla stanza, chiudendosi dietro la porta; dopo qualche istante i cui suoi occhi non smisero di contemplare il vuoto, Ruri si lasciò dolcemente scivolare a terra, gli occhi chiusi, il cuore pesante, e un costante, pedissequo desiderio di piangere, che, malgrado tutto, non riusciva ad esaudire…
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
If you don’t shoot it, how am I supposed to hold it?
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
I giorni successivi trascorsero in modo quasi del tutto irreale; la squadra del quartier generale sembrò accorgersi che qualcosa di strano doveva essere successo, fra Ruri ed Elle, ma nessuno, in apparenza, pareva in grado di capire di cosa si trattasse. I due non parlarono più di quello che era accaduto la sera della morte di Williams, cercando di concentrare tutte le loro energie sulla risoluzione del caso; i loro occhi evitavano mortalmente d’incontrarsi, così come i loro proprietari, ben attenti a non restare più da soli senza la presenza di qualcun altro.
Dal canto proprio, Ruri aveva deciso di rassegnarsi di fronte alla decisione di Ryuzaki: se davvero non voleva stare con lei, di certo non avrebbe tentato di costringerlo. D’altronde, aveva avuto la sua occasione di parlarle, di poter esprimere liberamente i suoi sentimenti, e non lo aveva fatto. Forse, la verità era davvero connessa alla mancanza di alcuna forma d’emozione nei suoi confronti…ma allora, perché quella voce strana, incessante nel rimbombarle nella testa, non la smetteva di ripeterle che le cose non stavano così?
Più volte era stata tentata di chiamare Robin e di raccontarle ciò che era accaduto, ma alla fine aveva sempre rinunciato: in quei giorni, la sua migliore amica l’aveva contattata più volte, chiedendole se avesse novità e chiacchierando ininterrottamente riguardo al suo tirocinio e alla pessima serata che aveva trascorso con il dottor Goldbien, del reparto di ginecologia, ma ogni volta in cui si era sentita pronta per confidarle tutto e per chiederle un consiglio, si tirava sempre indietro, limitandosi a sorridere, ad annuire e a continuare a parlare di ciò che riguardava la sua interlocutrice. Seppellire la cosa dentro di lei, nasconderla in un angolo buio, far finta che non fosse nemmeno successa, le sembrava il modo migliore per poter, alla fine, riuscire a dimenticarla del tutto…non aveva pianto, dopo che Ryuzaki se n’era andato senza dirle più una parola, ma il dolore non le era mai evaporato dal petto, rimanendo piantato in esso come un coltello affilato, provocandole ancora dolorose e intense fitte ogni volta in cui le capitava di pensarci o di dover stare a contatto con lui. Sapeva che la cosa che più di tutte la faceva soffrire era rendersi conto che il volto di Ryuzaki non presentava il minimo cambiamento d’espressione, quando le capitava di parlargli o semplicemente di sfiorarlo per sbaglio…per tutta la vita, aveva analizzato il comportamento degli esseri umani e aveva tentato di penetrarne la psiche. Adesso che più che mai quel potere le era necessario, ne avvertiva la privazione sulla pelle come un marchio a fuoco…o forse, la verità era semplicemente di fronte ai suoi occhi, ma troppo difficile da accettare.
Fu in un pomeriggio di pioggia, durante il quale le sue ricerche non avevano cessato di proseguire e la frustrazione per la mancanza di risultati si era andata a sommare a tutti i sentimenti contrastanti che ospitava dentro di sé, che le cose cambiarono per sempre.
Era rimasta sola con Matsuda, seduto a poca distanza da lei, dopo che Ryuzaki aveva annunciato d’aver bisogno di lavorare nella tranquillità della sua stanza deserta, ordinando a tutti gli altri di dirigersi sul posto dell’ennesimo omicidio di Kira e chiedendo a Watari di riprendere a esaminare alcuni documenti dalla sua base operativa; il giovane poliziotto, dal canto proprio, si era offerto di aiutarla con l’ennesima analisi del profilo psicologico del killer, e lei non si era sentita in grado di negarglielo, considerando quanto avesse insistito nel sostenere che avrebbe davvero voluto poter avere l’occasione d’imparare qualcosa da lei.
Dopo un lungo silenzio successivo all’esposizione delle ultime conclusioni della ragazza, Matsuda alzò improvvisamente lo sguardo, rivolgendole un sorriso affettuoso, che la profiler ricambiò con un’occhiata stranita.
“Va tutto bene, Matsuda?” gli domandò, alzando un sopracciglio.
“Sì, certo. È solo che stavo pensando…”.
“Cosa?”.
“Che sei davvero in gamba. Mi piacerebbe tanto raggiungere il tuo livello, un giorno. Sono convinto che avresti molto da insegnarmi; non hai mai pensato alla possibilità di entrare a far parte della polizia giapponese, una volta che il caso sarà risolto?”.
Oltremodo sorpresa da quella richiesta, Ruri si passò una mano dietro il collo, come nel tentativo di prendere tempo.
“Matsuda…” iniziò alla fine, con un sorriso che esprimeva in pieno tutto il suo disagio “Apprezzo molto quello che hai detto, ma…sono venuta qui soltanto perché l’organizzazione di cui facevo parte aveva accettato di occuparsi della questione e del caso Kira. Vivo in America da sempre, e…beh, è quella casa mia. Capisci?”.
“Certo” annuì Matsuda, con un altro sorriso, stavolta leggermente deluso “Capisco perfettamente, è solo che…speravo che, nel frattempo…trovassi una buona ragione per rimanere. Tutto qui”.
Ruri non gli rispose, mordendosi lentamente il labbro inferiore e immaginando già dove volesse andare a parare.
“Mi dispiace” gli disse all’improvviso, facendogli di nuovo volgere gli occhi verso di lei, con molta sorpresa “Mi dispiace per quello che ho detto, qualche giorno fa…sono stata…beh, sì, in effetti sono stata orribile. Non avevo il diritto di trattarti in quel modo…mi dispiace molto, davvero…”.
“Ah, non fa niente” cercò di sdrammatizzare il ragazzo, con una risatina, la mano dietro la nuca e un’espressione scherzosa in volto “Sono abituato a fare la parte del capro espiatorio del gruppo, non è poi così pesante. Immagino che ci sia sempre bisogno di sfogare le tensioni represse, ho ragione?”.
“Sì, credo…ma comunque, non è giusto farlo su chi non ha nessuna responsabilità al riguardo” gli fece notare Ruri, stringendosi nelle spalle.
“Non prenderla in modo così duro. Non è successo niente, davvero” ribadì Matsuda, con un ulteriore sorriso.
In quell’istante, la porta che dava sulla stanza da letto di Ryuzaki si socchiuse leggermente, ma nessuno dei due parve farvi caso.
“Comunque…non ce l’ho con te. Volevo che lo sapessi” concluse Ruri, con un altro sorriso.
Il volto di Matsuda s’illuminò con enfasi, mentre il ragazzo si affrettava ad annuire con vigore; Ruri fece per distogliere gli occhi e riprendere a lavorare, ma quello che udì la trattenne dal suo proposito.
“Stavo pensando…” cominciò lentamente il poliziotto, arrossendo in modo piuttosto evidente “Se…se…beh, intendo dire, una volta che le indagini saranno chiuse, ovviamente, ecco…se ti andasse di…beh, potremmo…uscire insieme, qualche volta…sai, bere qualcosa, andare a cena…”.
“Matsuda…” tentò d’interromperlo lei, ma lui parve non udirla, gli occhi ancora saldamente piantati sulla moquette del pavimento e le mani giunte in avanti, intente a tormentarsi le reciproche dita.
“Insomma, lo so che non ci conosciamo da molto e che abbiamo cominciato in modo non troppo…beh, hai capito…ma…io…io credo che tu…beh, sì, ecco…credo che tu mi piaccia molto”.
Lo aveva detto in modo molto ingenuo e semplice, arrossendo ancora di più nel pronunciare quella piccola dichiarazione; dal canto proprio, Ruri non poté fare a meno di pensare che la sua espressione era molto dolce.
“Insomma, lo so che non sono proprio il massimo…io combino sempre disastri, dico sempre la cosa sbagliata, sono inopportuno, ignorante, probabilmente incapace, anche se faccio del mio meglio, e tu…beh, tu sei bellissima. S-sei bellissima…” ripeté, alzando finalmente gli occhi e donandole uno sguardo timido “E…sei così intelligente, e…e brava, e io non…s-sicuramente ti sembrerà un’idea folle, ma magari…”.
“Matsuda” disse la ragazza con tono più risoluto, facendo sì che lui interrompesse il suo flusso sconnesso di parole.
Tota la guardò, con attesa trepidante: sospirando, Ruri si alzò in piedi e andò a sedersi accanto a lui, sul divano, cercando di trovare le parole giuste.
“Senti…non vorrei che tu ti facessi un’idea sbagliata di quello che sto per dirti. Voglio dire, io sono convinta che tu sia una persona con molte qualità. Dico davvero, sei…beh, fai sempre del tuo meglio, sei molto disponibile, affidabile e sei un buon poliziotto. Ma vedi, il fatto è che…”.
“Il fatto è che rimango sempre Tota Matsuda” constatò lui, con un sorriso a metà fra l’amarezza e la rassegnazione “Sì, capisco quello che vuoi dire…”.
“Tu sei un bravo ragazzo” gli disse, posandogli una mano sul braccio e facendogli voltare la testa verso di lei “E sono sicura che ‘essere Tota Matsuda’ sia davvero una bella cosa; sei una persona buona, e cerchi di fare il tuo dovere sempre e comunque. Hai accettato di prendere parte alle indagini relative a un caso che potrebbe costarti la vita: sei stato coraggioso. Non dipende da te, Tota. È solo che…”.
“È solo che io non sono Elle” la bloccò Matsuda, annuendo lentamente e regalandole un altro sorriso triste.
Quelle parole la spiazzarono, portandola leggermente a sbiancare e a rivolgere al suo interlocutore uno sguardo un po’ sbigottito.
“Lo so…” si strinse nelle spalle il poliziotto, distogliendo gli occhi ed evitando di cancellare il suo sorriso “Vedo il modo in cui lo guardi…e se proprio vuoi saperlo, vedo anche quello in cui lui guarda te”.
“Matsuda…”.
“Lascia stare, non dire niente. Dico davvero, è ok. Lo sapevo già” disse il ragazzo, con l’ennesimo sorriso “È solo che…mi sembrava giusto dirtelo. Tutto qui. Non mi sono mai aspettato nulla…”.
“Tu sei un bravo ragazzo” ripeté Ruri, stringendogli brevemente la mano “Sul serio, non ti sto prendendo in giro”.
“Lo so. Tu non sei una persona in grado di mentire. Non riguardo a quello che pensi sugli altri, comunque” constatò Matsuda, con un sospiro “Ryuzaki è un tipo fortunato…” aggiunse poi.
Ruri si lasciò scappare una risatina amara, che strappò al suo interlocutore uno sguardo perplesso.
“Non credo che lui la pensi così…” mormorò, bevendo lentamente un sorso di caffè.
“Che cosa vuoi dire?” le chiese Matsuda.
“È complicato…” si strinse nelle spalle la ragazza, rimanendo sul vago “In ogni caso, credo che tu abbia preso un abbaglio. Non penso affatto che Ryuzaki sia innamorato di me. E non lo sarà mai, puoi starne sicuro”.
“Non puoi parlare sul serio!” sbottò Matsuda, vicino al ridere “Voglio dire, è talmente evidente…se vuoi la mia opinione, credo che se ne siano accorti anche gli altri. Non starai affermando che voi due non avete una storia, vero?”.
“Mai avuta e mai l’avremo” ribadì Ruri.
“Che cosa?! Stai dicendo che…”.
“Sto dicendo” disse lei, con tono dolce ma perentorio “…che non mi va troppo di discuterne. In effetti, preferirei che non ne parlassi più. Sul serio”.
“Va bene” si affrettò a dire lui, sorridendole ancora “Scusami, Ruri…”.
“Non fa niente” scosse il capo lei, ricambiandolo.
“Quindi, considerando che voi due non state insieme, potrei ancora nutrire qualche speranza di…”.
“Matsuda…”.
“Va bene, va bene, stavo solo scherzando!” esclamò il ragazzo, ridacchiando e sollevando le mani in segno di resa “Immagino d’aver perso completamente la partita…d’altronde, stavo giocando contro Elle. Difficile credere che avrei vinto…”.
Gli occhi del giovane si fissarono in quelli di lei, provvisti di uno sguardo tenero e leggermente malinconico.
“Tu lo ami?”.
Ruri avvertì un groppo in gola di fronte a quella domanda, ma decise d’ignorarlo diplomaticamente, rivolgendo un altro sorriso al poliziotto e regalandogli una carezza sulla guancia.
“Stai andando bene” gli disse, accennando ai fascicoli che avevano esaminato fino a quel momento “Sul serio, è…beh, ottimo lavoro, direi”.
Matsuda distolse lo sguardo, annuendo lentamente e concedendosi un lungo sospiro.
“Lo immaginavo…ho un certo intuito per queste cose”.
Ruri gli rivolse un altro sorriso di circostanza, carezzandogli il braccio e infine posandogli un bacio sulla gota, che lo fece arrossire vistosamente.
“Mi dispiace” gli disse di nuovo.
Prima che il detective di polizia potesse replicare, la porta della suite si aprì, permettendo a un composto Watari di entrare nella stanza; entrambi si alzarono in piedi per andargli incontro, ansiosi d’avere notizie. Nessuno di loro si accorse che, nel frattempo, l’uscio socchiuso della camera di Ryuzaki era di nuovo tornato a chiudersi in modo compatto.
“Ci sono novità?” domandò subito Ruri, mentre Watari poggiava da parte un piccolo pacco e cominciava lentamente a sfilarsi il soprabito, rivelando il suo impeccabile completo di tweed.
“Nessuna di particolare rilievo. La scientifica sta ancora esaminando la scena del delitto, ma dubito che siano molto lontani dal finire. Soichiro e gli altri si stanno occupando degli ultimi dettagli…a proposito, Matsuda, mi hanno chiesto di chiederti a che punto eri, vorrebbero che li raggiungessi” concluse l’anziano, rivolgendosi infine al giovane poliziotto.
“Agli ordini! Eseguo immediatamente! Sempre che, voglio dire…” si corresse subito Matsuda, rivolgendo a Ruri uno sguardo gentile “Hai bisogno che io rimanga? Posso chiamare il capo e dirgli che abbiamo ancora da fare…”.
“Non essere sciocco, posso cavarmela da sola. Coraggio, sbrigati: non lo sai che non è educato far aspettare un cadavere?” ridacchiò Ruri, scuotendo la testa.
“E pensare che mia madre non faceva che ripetermi una frase del genere in riferimento alle ragazze…è strano come le cose possano cambiare nell’arco di qualche anno!” rise Matsuda, infilandosi la giacca “Beh, allora io vado. Ci vediamo più tardi. Ah, Ruri” le disse poi, facendola voltare per l’ultima volta “Grazie di tutto. Sei…beh, lo sai”.
“Lo so” annuì la ragazza, donandogli un ultimo sorriso “Su, sbrigati, o ti perderai il resto dello spettacolo”.
L’agente salutò lei e Watari per l’ultima volta e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Il volto esausto, Ruri rivolse un sorriso stanco a Watari, tornando a sedersi sul divano.
“Le ho portato un piccolo pensiero” iniziò Watari, posando di fronte a lei lo stesso pacchetto che gli aveva visto in mano poco prima e cominciando ad aprirlo “Ho pensato che potesse avere fame”.
Pochi secondi dopo, di fronte ai suoi occhi comparve una graziosa e raffinata torta di fragole alla panna.
“L’ho fatta io” aggiunse il vecchio, con una punta d’orgoglio nel tono di voce.
“Oh…grazie, Watari, lei…lei è davvero molto gentile. È solo che…non ho molta fame” ammise Ruri, indirizzandogli uno sguardo di scuse, accompagnato da un altro sorriso provato.
“Ha bisogno di mangiare, Miss. Mi perdoni se glielo dico, ma non ha un bell’aspetto; in effetti, mi sembra che sia dimagrita, nelle ultime settimane. Si sente bene?”.
Esaminando la realtà dei fatti, nessuno avrebbe potuto smentire Watari su ciò che aveva appena detto, e sicuramente Ruri ne era del tutto consapevole. In quegli ultimi tempi, non era passato un giorno senza che avesse avuto modo di constatare quanto la sua immagine apparisse sempre più sciupata, con il trascorrere delle ore…il suo colorito sembrava ancora più pallido del solito, aveva ulteriormente perso peso, i suoi occhi erano ben presto stati appesantiti da un paio di fastidiose occhiaie scure, e il suo sguardo appariva sempre più spento. In più d’un occasione, Watari stesso aveva avuto modo di accorgersi quanto il respiro della ragazza apparisse, di volta in volta, più affannoso con il passare del tempo…
“Sto bene, Watari” mentì Ruri, con un sorriso provato, mentre il vecchio signore si sedeva accanto a lei “È soltanto un po’ di stanchezza…immagino che mi sentirò meglio…quando avremo qualche risultato fra le mani. Mi è successo altre volte, è soltanto una fase passeggera…”.
L’inventore la scrutò dal di sotto dei suoi occhialini, indirizzandole un’occhiata molto penetrante.
“Ne è sicura?” le domandò poco dopo, quasi a bruciapelo.
Ruri alzò un sopracciglio, fissandolo sorpresa.
“Ma certo…perché me lo chiede?”.
“Beh, le confesso che sono un po’ preoccupato per lei…” cominciò con lentezza Watari, congiungendo appena le mani dal di sopra delle gambe, sporgendosi appena in avanti.
“E…posso domandarle nuovamente il perché?” insisté Ruri, fingendo di non comprendere.
“In realtà, non posso esserne del tutto certo nemmeno io. È solo che non ho potuto fare a meno di chiedermi…se ci fosse qualcosa di cui avrei dovuto essere informato”.
Il cuore di Ruri saltò un battito, ma la ragazza cercò di mantenere la calma.
“Non capisco di cosa stia parlando…” tentò di dirgli, ma Watari la bloccò subito, scuotendo leggermente il capo, come in segno di disapprovazione.
“Lei non è brava a mentire, Miss, mi spiace doverglielo far notare. Soprattutto perché ritengo che sia una delle poche qualità che le manchino” aggiunse, con un ulteriore sorriso paterno “So che con un’affermazione del genere rischierò di apparirle molto inopportuno, ma…ormai devo confessarle che mi sono reso conto di ciò che è accaduto fra lei e Ryuzaki”.
“Le ripeto che non so di cosa stia parlando, Watari, dico sul serio” ribadì Ruri, il tono di voce leggermente stridulo “Sicuramente deve aver frainteso…”.
“Mi dispiace, Miss, ma io non fraintendo Ryuzaki. Non potrei nemmeno se lo volessi. Conosco quel ragazzo fin da quando aveva otto anni, e le garantisco che non avevo mai assistito a niente del genere. Lei lo sapeva che, subito dopo il suo arrivo in Giappone, ha cominciato a chiedermi di fornirgli il maggior numero possibile d’informazioni sul trapianto cardiaco e sulle cure da seguire, dopo un’operazione del genere? O che ha trascorso ore, accanto al suo letto, dopo alcune delle sue crisi? Lei è una profiler, Ruri, è perfettamente in grado di analizzare la psiche delle persone…crede che sia comune, per un individuo come Ryuzaki, passare l’intera notte a stringere la mano di una donna che a malapena conosce? O crede, infine, che non mi sia mai accorta del modo in cui la guarda?”.
“Lei non sa di cosa sta parlando” ribatté Ruri, lo sguardo lontano dal suo e le braccia incrociate “E, in ogni caso, non capisco proprio dove voglia andare a parare…”.
“Mi scusi, le avevo preannunciato che sarei stato indiscreto. Il fatto è che…vorrei soltanto che ci fosse un modo per farle accettare la cosa. Mi rincresce molto dover assistere a tutto questo…” dichiarò Watari, con un sospiro triste.
“Non sono io che ho problemi ad accettare la cosa…” mormorò Ruri, con la massima amarezza.
“Ruri…”.
“Senta” lo interruppe Ruri, rialzando improvvisamente lo sguardo “Io…io apprezzo molto quello che sta cercando di fare. Ma le assicuro che non può aiutarmi…immagino che dovrò convivere con quest’assurda situazione, finché…finché non sarà sparita nel nulla, ecco tutto. Si tratterà soltanto di tenere duro per un po’…queste cose non durano in eterno, dico bene?”.
 
L: Is that alright?
Is that alright with you?
 
Watari la fissò per un lungo momento, come cercando di decifrare ogni singolo frammento della sua espressione; infine, emise un lungo sospiro e cominciò a frugare nella sua tasca destra. Quando ebbe trovato ciò che cercava, sorrise con mestizia e le porse l’oggetto in questione: era una fotografia d’epoca, in bianco e nero, probabilmente risalente agli anni ’50.
Ritraeva una ragazza dalla bellezza molto delicata, provvista di un bel sorriso e di un volto gentile e ben delineato; la giovane indossava un vestito dal disegno floreale e un cappello di paglia, e sullo sfondo alle sue spalle era possibile intravedere le onde del mare infrangersi contro la riva.
“È bellissima…” commentò Ruri, sfiorando appena l’immagine “Chi è?”.
“Mia moglie” rispose semplicemente Watari, con un sorriso malinconico.
Ruri lo fissò sorpresa, sbattendo confusamente le palpebre.
“Oh…non sapevo che lei fosse sposato…” ammise, sorridendo timidamente.
“Non lo sono più. Abbiamo divorziato quarantadue anni fa…” aggiunse Watari.
Assolutamente incapace di trovare qualcosa da dire, Ruri si affrettò a stringergli brevemente la mano.
“Watari, mi dispiace molto…davvero, sono…”.
“Sono passati tanti anni” concluse per lei l’inventore, ricambiando la sua stretta e trattenendole la mano.
Dopo una breve pausa, Ruri ricominciò lentamente a parlare.
“Posso chiederle che cosa…”.
“Oh, lei non approvava il mio lavoro. Diceva sempre che ero troppo preso dalle mie ricerche, dalle mie indagini, dai miei studi…sosteneva che non avessi mai tempo per la mia famiglia, che volessi stare ovunque tranne che a casa, che non mi sentissi in pace nel luogo dove mi trovavo. Mi ripeté per anni che, nel caso in cui avesse deciso di andarsene, probabilmente non me ne sarei nemmeno accorto…pensavo che con la nascita della bambina le cose sarebbero andate meglio, ma…”.
“Lei ha una figlia?” lo interruppe Ruri, ancora più stupita.
“Sì…” rispose Watari, sorridendo nuovamente ed estraendo un’altra foto; stavolta, l’immagine raffigurava una neonata paffuta di circa un anno, intenta a succhiarsi le dita delle piccole mani, lo sguardo attento e intelligente.
“Oh, è…è bellissima” ripeté la ragazza, quasi commossa “Le somiglia molto…”.
“Lei crede?” domandò Watari, orgoglioso.
“Ha il suo stesso naso” constatò Ruri, con una piccola risata “Immagino che sia fiera d’avere un padre come lei…”.
Improvvisamente, Watari si chiuse in un silenzio malinconico, mentre la presa sulla mano di Ruri si faceva inaspettatamente più forte.
“Watari…” iniziò lei, percependo a un tratto il suo disagio.
“Christine crede che io sia morto. Sua madre…è che me ne sono andato quando aveva solo pochi mesi, e…immagino che per Vivienne fosse troppo doloroso doverle dire la verità. Probabilmente, è stato più semplice per tutti…”.
Quella rivelazione scioccante la lasciò sbigottita e incapace di replicare; fu solo dopo qualche secondo che rafforzò ancora di più il loro contatto, cercando di infondergli un po’ di consolazione.
“Sono…mi dispiace moltissimo, Watari, io…vorrei sapere che cosa dire…”.
“Deve scusarmi” le disse a un tratto il vecchio, mettendo via la foto e regalandole un sorriso meno triste “Non le ho raccontato questa storia per peggiorarle ulteriormente l’umore. È solo che…quello che ho di fronte agli occhi mi sta mettendo alla prova, mi sta ponendo di fronte il quadro che rappresenta la mia vita, e vedere che tutto rischia di ripetersi di nuovo…”.
Watari fece una pausa, passandosi una mano di fronte al volto, mentre Ruri rimaneva in silenzio, attendendo che continuasse.
“Io amavo Vivienne. L’amavo molto, deve credermi. Per tutta la vita, non ho fatto altro che dedicarmi a quello che sapevo sarebbe stato il mio lavoro fino alla fine dei miei giorni. La mia non è una professione dalla quale si va in pensione…era il mio dovere, era il mio ruolo, ed ero felice d’averlo scelto per me. Mi ero illuso che una decisione del genere, e le sue rispettive conseguenze, potessero essere conciliabili con quelle di un’altra persona, ma…Vivienne era diversa. Voleva un marito che tornasse a casa da lei tutte le sere, che si occupasse della sua famiglia e del suo matrimonio, che considerasse il proprio lavoro come il semplice mezzo per vivere…ma non è mai stato così. Eravamo diversi…eppure, io l’amavo. E mi creda, non ho mai smesso di amarla”.
“Watari…”.
“Mi manca ancora. Mi manca tutti i giorni” sussurrò l’inventore, nel momento in cui una lacrima solitaria gli scivolò sul viso “E non si tratta di un dolore che svanisce con il tempo, o che in alcuni momenti è più flebile che in altri…lei mi manca sempre. Continuamente…questa è una cosa che non posso cambiare e che mai cambierò. Ma, nonostante questo, so di poter ancora fare qualcosa di utile non soltanto per gli altri, ma anche per me stesso. Ruri” le disse, rivolgendole uno sguardo determinato “Sei una ragazza intelligente, di talento, acuta e perspicace, e hai un grande cuore. Non permettere che tutto questo venga sprecato. Non fare i miei stessi errori. Ti prego. Se non vuoi farlo per te stessa, almeno fallo per me”.
Ruri gli rivolse uno sguardo intenso e profondamente mortificato, del tutto inabile nel trovare qualunque parola che potesse esprimere il turbinio di emozioni che le albergava nel cuore; finalmente, aprì bocca per replicare, ma un rumore improvviso la costrinse ad alzare gli occhi, facendo così in modo che il suo contatto con Watari si rompesse definitivamente.
Elle era appena entrato nella stanza, le mani in tasca e lo sguardo fisso sulla giovane, gli occhi animati da una luce diversa da quella che aveva albergato in quelle settimane al loro interno…la stessa luce che gli aveva visto nell’animo in quella sera piovosa in cui si erano baciati per la prima volta…
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
If you don’t shoot it, how am I supposed to hold it?
 
R: Is that alright yeah?
 
L: Is that alright yeah?
Give my gun away when it’s loaded
 
R: Is that alright yeah?
 
“Ryuzaki…” disse Watari, alzandosi in piedi.
“Potresti lasciarci soli, per favore?” domandò Elle, senza dar cenno di voler staccare lo sguardo dalla ragazza.
Watari spostò la sua attenzione da lui a lei e viceversa, per poi concedersi un piccolo sorriso e annuire.
“Ma certo…Miss, a più tardi. Ryuzaki, chiamami, se dovessi avere bisogno di me”.
Il loro collaboratore prese silenziosamente e discretamente la porta, chiudendosela dietro, per poi allontanarsi lungo il corridoio.
Dal canto proprio, il detective continuò a fissare Ruri per un periodo che parve indefinibile a entrambi; per alcuni minuti che a tutti e due apparirono come anni, sembrò che il tempo si fosse fermato, congelandoli in una realtà priva di senso logico o di qualunque scopo preciso. In quell’istante, l’unica cosa che poteva avere una qualche importanza era la battaglia in corso fra i loro sguardi.
Dopo una lunga attesa, Ruri si alzò in piedi, muovendo un paio di passi verso di lui.
“Hai qualcosa da dirmi…?” gli domandò, la testa alta.
Ryuzaki continuò a guardarla dritto negli occhi, come nel tentativo di scavare il più possibile in profondità dentro ciò che conosceva della sua anima, fino a scoprirne i meandri ancora ignoti.
“Ryuzaki…”.
“Sei la cosa più bella che mi sia capitata in vita mia”.
Lo aveva fatto di nuovo; una semplice frase, qualche parola, un tono di voce all’apparenza inespressivo. Possibile che tutto ciò bastasse per far collassare quel cuore che, per così tanti anni, si era impegnata a scolpire nel ghiaccio?
Beh, forse ne sarebbe valsa la pena. Forse non avrebbe dovuto arrendersi…forse, in qualche modo, avrebbe potuto provare a lottare…sì, lo avrebbe fatto.
Indirizzò un altro passo nella sua direzione, ma in quel momento i suoi movimenti si congelarono in blocco: in modo quasi del tutto inesorabile, cominciò ad avvertire una sensazione di freddo al petto, come se tutto il suo corpo stesse a un tratto sfuggendo al suo controllo. Senza alcun preavviso, iniziò ad avvertire una forte fitta al torace, mentre la testa cominciava a girarle vorticosamente…ben presto, di fronte al suo volto iniziò a comparire una nebbia compatta, in grado di oscurarle la figura di Ryuzaki alla vista, e il suo organismo cominciò a essere scosso dai brividi, costringendola a portarsi le mani al busto, premendole poi sul cuore…tentando di riprendere il controllo, cercò di darsi una spinta e di rimettersi in sesto, ma ottenne soltanto il risultato di portare le sue gambe al cedimento definitivo.
Prima che potesse toccare terra, avvertì le braccia di Ryuzaki fiondarsi su di lei, sorreggendola e impedendole di precipitare; la sua voce riprese ad arrivarle in maniera molto indistinta e sempre più confusa, come se il ragazzo stesse correndo, allontanandosi da lei sempre di più…o era la sua mente che si stava dirigendo in un altro luogo?
“Ruri!!! Mio Dio, Ruri?!? Che cos’hai?! Cristo, respira!!! Devi respirare, continua a respirare!!!!”.
“R-Ryuzaki…”.
“Non mollare!!! Hai capito?!? Qualunque cosa accada, non mollare!!! Dannazione…WATARI!!! WATARI, VIENI SUBITO QUI!!!!!!”.
“R-Ryuzaki…”.
Il detective la poggiò a terra, cominciando freneticamente a praticarle un massaggio cardiaco.
“Cazzo, sei in arresto…WATARI, È ARRESTO CARDIACO!!!! MALEDIZIONE, RURI, RESISTI!!!!!”.
Non riusciva nemmeno a rendersi conto di cosa stesse accadendo veramente…sapeva solo che quel dolore sordo che provava all’altezza del petto era veramente insopportabile, ma che, con il passare dei minuti, si stava lentamente affievolendo…chissà, forse sarebbe stata meglio.
“RURI!!! RURI, RIESCI A SENTIRMI?!? RURI!!!! WATARI!!! CHIAMA SUBITO UN’AMBULANZA!!!!”.
“Ryu-zaki…”.
“NO, NO!!! NO! RURI, RESTA CON ME!!! RESTA CON ME…”.
“Ryuzaki…”.
Il volto di Elle le apparve di fronte agli occhi per un ultimo istante, permettendole di contemplarne l’immagine e di imprimersene meglio il ricordo…senza nemmeno sapere perché, lasciò che sulle sue labbra comparisse un piccolo sorriso, in grado di cancellare ogni brandello dell’amarezza che aveva provato nei giorni precedenti…pensandoci bene, perché avrebbe ancora dovuto sentirsi così arrabbiata? Il senso di pace era tale da non avere eguali…e se una sensazione del genere fosse stata da ricondursi alla morte…allora, forse, morire non era altro che ciò di cui aveva davvero bisogno.
Prima di chiudere del tutto gli occhi, il suo sguardo fece appena in tempo a dedicargli un ultimo momento…dopotutto, aveva sempre saputo che il momento in cui avrebbe detto addio sarebbe stato in assoluto il più dolce e il più sereno di tutti…e aver avuto la possibilità di guardare Elle per l’ultima volta ne era la prova più decisiva.
 
It’s a small crime…and I’ve got no excuse…
 
E infine…venne il buio.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ET VOILÀ, IL VOSTRO INCUBO PEGGIORE (alias, la sottoscritta) È TORNATA DI NUOVO!!!!! E alors? Che ne pensiamo di questo schifo?! Ma sicuramente una schifezza ribrezzosa…non so voi, ma a me non è piaciuto per niente -.-‘’’ Mi raccomando, siate come sempre clementi, insultatemi, ma con dolcezza :DD Bene, bene, la canzone di questo capitolo era ‘Nine crimes’ di Damien Rice, ascoltandola vi renderete conto che è un duetto…la partizione è facile da collocare, ma in ogni caso le lettere R ed L parlano al posto mio XDXD Lo so, lo so, un’idea di merda, ma che volete farci…la scrittrice è quella che è, c’è crisi L(((( Oook, passiamo ai ringraziamenti: grazie mille ad Annabeth Ravenclaw, gloomy_soul, Pinkamena Diane Pie e a Zakurio per aver recensito il dodicesimo capitolo, grazie ancora a Zakurio per aver recensito anche l’undicesimo, grazie a Jjace per aver recensito il secondo e il terzo, e grazie a norahmckey per essere tornata a commentare ‘Sugar and Pain’, con le sue recensioni all’ottavo e all’undicesimo capitolo, bentornata Norina!! :DD Un nuovo ringraziamento a norah per aver aggiunto la storia anche fra le preferite, ora la tua iscrizione a ‘Sugar and Pain’ è completa, che bello :DDD Grazie a tutti coloro che hanno finora commentato ‘sta schifezz e che spero lo faranno ancora, chiedo venia se ho fatto pena più del solito e se il nostro Ryuzaki stavolta mi è proprio andato fuori dal personaggio, ma prima o poi era inevitabile ^^’’’ Prometto che tornerò prestissimo con il prossimo capitolo, anche se temo che non potrò più aggiornare con questa frequenza, non appena ricomincerò l’università, dal 5 Marzo (per tre giorni alla settimana sarò completamente inglobata dalla facoltà dalla mattina alle otto fino alla sera alle sei e passa, AIUTOOOOO :OOOOO), perciò non so quando potrò trovare il tempo per continuare a scrivere con questo ritmo, ma prometto che farò del mio meglio, e poi abbiamo ancora un po’ di tempo, gente :DDD Bene, a prestissimo con il quattordicesimo capitolo, e grazie ancora per tutto!!!! Baci baci, la vostra Victoria  
   
 
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