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Autore: Farawayx    19/02/2014    9 recensioni
E' come se la tua intera vita fosse stata basata su delle bugie, un giorno sei una persona normale e l'altro vieni catapultata in un susseguirsi di eventi che ti lasciano senza fiato. Di chi puoi fidarti? Chi sa la verità?
Ma la domanda che continua a porsi Samantha Reyes è solo una: chi è realmente?
Le sue risposte sembra averle tutte una persona: Jonathan Christopher Morgenstern.
« Io non sono cattivo, ho solo il lato oscuro un po' pronunciato, mi sento come l'angelo affascinato dal buio.»
Nel buio ho trovato il mio angelo.
Un angelo pieno di paura e di odio, pieno di rancore e di voglia di vivere.
Nel buio l'ho amato, l'ho cullato, abbiamo cantato e sognato.
Abbiamo riso e ci siamo amati intensamente.
Ma alla luce mi ha annientato.
E se qualcuno insegnasse ad amare ad un angelo oscuro?
Genere: Avventura, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Jonathan, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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» Capitolo 12
                                 
«We live in cities you’ll never see on screen.
Not very pretty, but we sure know how to run free.
Living in ruins of the palace within my dreams and you know, we’re on each other’s team

-Lorde.







N
essuno era in festa come quel giorno all’istituto di New York. Era da tempo che i vari componenti aspettavano che tutto questo accadesse, di poter finalmente considerate conclusa quella storia. Erano stati tanti gli occhi ormai vitrei che si erano chiusi sul campo di battaglia, tanti Cacciatori avevano perso la vita nell’epocale scontro con il figlio di Valentine e ora, dopo tanto sangue versato, si poteva porre la parola fine.

Jocelyn Fairchild quel giorno aveva il viso più contratto del solito, nonostante il suo cuore doveva essere più leggero, era come se un masso le fosse piantato nello stomaco. Un masso così pesante che le impediva di respirare. Una domanda le passava, più e più volte nella mente, quale madre avrebbe gioito per l’imminente esecuzione del suo primogenito? Eppure tutti si aspettavano che lei fosse felice, finalmente era tutto finito. Jonathan, suo figlio, era chiuso in una cella ed era pronto a fare la fine che gli spettava, eppure, il cuore di Jocelyn non era mai stato così in conflitto con la sua mente. Forse perché quello era pur sempre il suo bambino, lo aveva odiato, ma più di lui aveva odiato suo padre per avergli fatto quello, Jonathan non aveva mai avuto l’opportunità di imparare ad amare.
-Mamma?- La voce di Clary la fece voltare verso la porta, lasciando ricadere in maniera distratta la maglietta di cotone leggero che stringeva tra le dita.
-Sì, tesoro?- Disse a stento, tentando di mandare giù il groppo che le si era formato alla gola.
Gli occhi verdi di Clary scrutavano il suo viso con una venatura di preoccupazione, i suoi capelli ricci, rossi come i suoi, erano raccolti in una crocchia sulla testa fermati da una matita. Nonostante la sua statura minuta, la guardava in un modo che le dava autorità, facendola sembrare più grande.
-E’ arrivato Magnus.- La informò sua figlia, esitando poi alcuni istanti sulla porta, e uscire.
Jocelyn si trovò ad annuire in automatico, mentre si voltava in direzione dello specchio. Lo sguardo che le tornò era quello di una donna posata e sicura, i grandi occhi verdi risaltavano contro la carnagione chiara della sua pelle, mentre i capelli rossi le scivolavano morbidi sulle spalle.
Qualsiasi cosa avrebbe voluto Magnus Bane, lei era pronta ad affrontarla, non avrebbe lasciato che l’affetto nascosto per un figlio che non aveva mai riuscito ad amare come una qualsiasi madre, l’avrebbe fermata nella sua giornata. 
La visita di Magnus non era del tutto prevista, aveva passato la mattinata a sistemare un abito che Clary le aveva chiesto in prestito per la festa organizzata all’istituto quella sera. Jocelyn aveva declinato l’invito, nel suo cuore sapeva che non c’era molto da festeggiare, non fin quando non avesse visto il corpo del ragazzo inerte. Come poteva una madre soffrire per la morte di un figlio e desiderarla nello stesso tempo?
Non appena varcò la porta della cucina, incontrò da subito lo sguardo preoccupato dello stregone.
Era vestito in modo stranamente sobrio, i capelli tirati in alto non erano cosparsi dai soliti brillantini e le gambe erano fasciate da dei jeans scuri a completo con una maglia blue notte. Con un cenno della testa le fece segno di sedersi e Jocelyn obbedì, tirando indietro una delle sedie del tavolo.
-Abbiamo un problema. - Le disse lo stregone sottovoce mentre si guardava intorno, non voleva che Clary ascoltasse la conversazione.
-Che succede Magnus?- Jocelyn usò lo stesso tono di voce, chinando appena la testa. Il suo sguardo fu subito attirato dagli occhi da gatto dello stregone, ogni strega aveva il suo segno caratteristico, e quello di Magnus aveva un che d’ipnotico.
- Mi è sfuggita, non so che fine abbia fatto. -
-Chi?- Chiese lei colta di sorpresa.
-La principessa Anastasia. – Rispose lo stregone con serietà.
Jocelyn lo fissò per alcuni minuto e non appena realizzò il suo sarcasmo, alzò gli occhi al cielo. –Come hai potuto perderla di vista?!- Esclamò a voce bassa.
-Sono passato alle maniere da padre iperprotettivo e lei è andata in escandescenza, un secondo prima era lì e poi…. Puff. – Le rispose Magnus, mimando con le mani le sue parole.
- Speriamo sappia badare a se stessa. - Disse la donna sovrappensiero.
-Non mi preoccupano le sue doti da vagabonda. - Aggiunse Magnus nervoso. – Ha legato con tuo figlio, credo che si sia presa un’infatuazione o che altro. - Sbuffò.
-Con Jonathan?- Jocelyn lo fissò stupita per alcuni istanti. –Non capisco. -
-Cosa non capisci?- La voce dello stregone sembrava irritata.
-Non capisco come sia possibile che Jonathan si sia avvicinato a questa ragazza, cosa vorrà…- Mentre la donna parlava, le parole le morirono in gola. –Tu pensi che lui sappia…?-
Magnus sollevò le spalle, per poi chinarsi verso il viso di Jocelyn. –Non ci sono altre spiegazioni. -




Ritrovarsi a indossare una tuta era davvero un sollievo, pensò Alec mentre assorbiva l’acqua dei capelli appena lavati in un asciugamano. Non era passato molto da quando lui e Magnus erano ritornati dalla Londra del XIX secolo, gli sembrava tutto così irreale, eppure lui aveva combattuto con uno degli antenati di Jace, visto la Camille di cui Magnus era innamorato e conosciuto meglio una ragazza che agli occhi di tutti sembrava un vero enigma. Poi lei era sparita e lui e lo stregone avevano fatto ritorno a New York.
Non sapeva il perché, ma una brutta sensazione lo seguiva da quando erano tornati, nonostante all’istituto tutti fossero in festa, lui sentiva che non era ancora il momento di abbassare la guardia.
-Hai finito di prepararti, musone?-
Al suo della voce di Jace, Alec si voltò verso l’amico facendo un leggero cenno con la testa. –Vorrei farmi una dormita, tra passeggiate nel tempo e demoni antichi, sono un po’ stanco. -
Jace annuì appena, portando le braccia conserte al petto. –Mi sembra che tutti questi siano tanti buchi nell’acqua. –Fece una pausa per poi distendere le labbra in un sorriso. –Ma non importa, oggi possiamo segnare la fine di una era. - Annuì convinto per poi guardare nuovamente Alec.- Verrai ad Alicante con noi per l’esecuzione?-
-Sì, dopo un sonnellino. - rispose prontamente lui.
Jace scosse la testa esasperato. –Sei peggio della nonna dei Baby Looney Tunes.- borbottò uscendo dalla stanza.
Alec lo osservò per alcuni istanti andare via, dopo aver visto Jem e Will combattere fianco a fianco in quel modo, si chiedeva se anche lui e Jace agli occhi degli altri comparissero così. Come due anime legate.
Si lasciò ricadere a peso morto sul letto, chiudendo subito gli occhi, sentiva l’oscurità chiamarlo e lui voleva solo abbandonarsi a un sonno profondo…
Twinkle, twinkle, little star…
Sentì una voce canticchiare allegra.
…How I wonder what you are.
Ma cosa… Alec aprì gli occhi di scatto voltando il viso verso l’altro lato del cuscino. Il suo sguardo incrociò da subito quello dello stregone che fischiettava allegro una canzoncina dei cartoni animati.
- Up above the world so high…- Continuava lo stregone allegro.
-Magnus ti prego. - Borbottò Alec imbarazzato.
- Like a diamond in the sky.... - La mano di Alec arrivò sulle labbra dello stregone, impedendogli così di emettere alcun suono.
-Non sei divertente. –Borbottò, lasciando ricadere poi la mano.
Magnus sollevò l’angolo delle labbra in un sorriso, portandosi una mano sotto il mento. –Ma come, non ti piace che ti canti la ninna nanna?-.
Alec lo guardò con uno sguardo severo e non riuscendo a mantenere a lungo quell’espressione, rilassò poco dopo i muscoli del viso.
-Cosa c’è che ti preoccupa?- Gli chiese Magnus sollevando l’altra mano e spostando con la punta delle dita alcune ciocche di capelli che gli ricadevano lungo la fronte di Alec.
-Ho una strana sensazione. - Ammise il cacciatore portando i suoi occhi azzurri in quelli luminosi di lui.
-Goditi questo momento di allegria, Alexander, non lasciarti che la paura del domani t’impedisca di vivere appieno l’oggi. - disse sincero lo stregone.
-Come siamo saggi. - Lo punzecchiò Alec.
- Sai, ho una cosa come ottocento anni, lasciami almeno essere saggio. –
-Potrei. -
-Oh, potresti?- Un lampo di malizia percorse gli occhi verdi-gialli dello stregone che si sollevò appena, in modo da raggiungere con il viso quello di Alec. Il ragazzo restò immobile per alcuni istanti, sporgendosi poi in avanti così da catturare con le proprie labbra quelle di Magnus.
Alec si lasciò sovrastare dal peso del corpo dello stregone che premeva contro di lui, riportandolo con la schiena contro il materasso, mentre le loro bocche si muovevano una contro l’altra, dando accesso alle loro lingue, che s’intrecciavano e univano, come in una danza.


La cella era completamente immersa nel buio, non che Sam si aspettasse che il sole irradiasse quelle quattro mura in cui si trovava ormai rinchiusa da tempo. Erano passati quattro giorni dal momento in cui aveva scoperto che il misterioso Fratello Zachariah in realtà era Jem, ma alla fine si era ritrovata a fare un altro buco nell’acqua, lui non sapeva il perché di quei poteri, lui voleva solo servirsene. A Sam andava anche bene, si era ripromessa di ritornare in quell’epoca solo per aiutare Jem e ora vedere che era ancora possibile salvarlo le alleggeriva il cuore. Ma quello sembrava solo un bagliore di luce nella realtà così cupa. L’altro punto era Sebastian, non era riuscito più a vederlo da quella notte, però i suoi vicini di cella ne commentavano la fine a voce alta, dicendo che ben presto i Cacciatori si sarebbero liberati di lui, più restava in quella prigione e più loro rischiavano di perdere. Infatti, era una delle domande che lei si era posta, com’era possibile che Sebastian se ne stesse tranquillo, lasciando che programmassero la sua esecuzione. Era forse una missione suicida quella?
Sospirò. Ormai non le restava da fare altro, si sollevò dalla brandina a fatica, iniziava a sentire la necessità di fare una doccia e quel piccolo lavandino non soddisfaceva per niente quelle credenziali, anzi. Mentre poggiava entrambe le mani sul ferro freddo, sentì la pelle d’oca formarsi alla base del collo e poi una forte fitta allo stomaco. Il primo pensiero che le balenò fu quello della scarsa qualità del cibo, quindi probabilmente il dolore allo stomaco era dovuto a quello ma quando aumentò d’intensità e la ragazza fu costretta poggiarsi con la schiena al muro per sorreggersi, capì che non era solo un mal di pancia.
Strinse entrambe le mani contro il busto, mordendosi con forza il labbro, cercando così di soffocare i gemiti di dolore che le si formavano infondo alla gola. Doveva essere forte e resistere, era solo una fitta e presto sarebbe passata.
Sam chinò appena il viso in direzione delle proprie mani e non riuscì a non inorridire, c’era sangue ovunque, sulla sua maglietta bianca si espandeva a macchia d’olio una chiazza scarlatta che le imbrattava anche le mani. Usciva sempre più copioso, bagnando il pavimento e facendola scivolare nel suo stesso sangue nel vano tentativo di mettersi in piedi.
Sam sciolse la presa delle braccia intorno al suo busto, cercando di capire da che punto arrivasse quel sangue, ma lei non era ferita, era come se passasse attraverso la pelle e si sentiva sempre più debole mentre cercava di aggrapparsi al lavello di ferro.
-A... iuto.- Disse a voce bassa. - Qualcuno mi aiuti. - tentò di urlare, ma era come se quella perdita le stesse tirando via tutta la forza.
La presa delle dita scivolò dal lavabo, ricadendo con un tonfo lungo il corpo ormai inerte di Sam che ormai era totalmente immerso nel rosso scarlatto del suo sangue.
Poi ci un tonfo ma ormai tenere gli occhi aperti era diventata la cosa più difficile del mondo, sembrava che avesse due pesanti dita che le premevano sulle palpebre, costringendola a chiuderle.
Ma lei voleva guardare. Voleva vedere cosa stesse accadendo, cos’era quel rumore. Però il fruscio di tenebre l’avvolse completamente, tirandola via.

Una lieve brezza faceva ondeggiare alcuni dei rami che le impedivano di vedere il cielo, ma attraverso di essi, Sam riusciva a capire che era una giornata di sole. L’erba le punzecchiava la pelle delle caviglie. Era a piedi nudi.
La ragazza si mise a sedere di scatto, non era più nella sua cella, ma intorno a se si estendevano ettari di praterie, lasciando intravedere delle morbide colline all’orizzonte. Anche se non era mai stata prima in quel posto, lei lo sentiva familiare, come se non fosse la prima volta che passeggiava a piedi nudi lungo quell’erba morbida e profumata. Non c’era più traccia di sangue, i suoi vestiti erano stati sostituiti da un leggero vestito bianco, che terminava in tanti veli, facendo sentire Sam ancora più libera. Non sapeva il perché ma si sentiva felice, era così la morte? Alberi e praterie, con un persistente odore di erba tagliata?
Tutto quello le faceva venire voglia di ridere, come non rideva da tempo, lasciarsi andare ad una risata che non era più sua, ma alla quale ora poteva concedersi. Era morta no? Perché preoccuparsi delle conseguenze, aveva già superato la soglia da tutti temuta.
Ma poi ci fu una scossa di terremoto. Sam scattò in piedi, non appena il cielo iniziò a incupirsi, all’azzurro incantevole di prima si era sostituito il colore della notte e al posto dell’odore dell’erba appena tagliata iniziava a farsi strada un forte odore di fumo.
Sobbalzò quando un fulmine rosso colpì l’albero sotto cui si era svegliata, mandandolo in fiamme e Sam non riuscì a fare altro che corre via, su un terreno che non sembrava più rigoglioso ma arido, verso le colline che ora erano delle montagne dalle cime aguzze come i denti di un ghepardo.
E Sam non poté fare altro che correre, fin quando il terreno non si aprì sotto i suoi piedi, facendola cadere nel baratro.


-Svegliati dannazione. -
Dopo un lungo silenzio fu l’unica cosa che Sam riuscì a percepire, arrivava da lontano e ovattata, ma era familiare. Sam sapeva che poteva fare uno sforzo e ritornare su per quella voce, ma non sapeva come, intorno a lei era tutto buio e non riusciva a trovare una via d’uscita. Ma poi la vide. Era come una scintilla nel buio, era stato solo un attimo ma Sam l’aveva vista e mentre si dirigeva verso quella luce, aprì gli occhi.
Si trovava distesa ancora nel bagno della sua cella, il freddo soffitto grigio fu la prima cosa che vide, si sentiva stordita e come se ogni suo muscolo fosse paralizzato. Poi il suo sguardo vagò ancora, delle mani le sorreggevano la testa sollevandole così di poco il busto e un braccio s’infilava lentamente sotto le sue ginocchia, tirandola su. Ci vollero alcuni istanti prima di riuscire a mettere a fuoco la persona che la stesse aiutando ma quando il suo sguardo incontrò degli occhi neri come l’oblio che aveva visto nei suoi sogni, sollevò leggermente una mano con la quale si aggrappò al tessuto della maglia del ragazzo. –Sebastian?- disse in un sussurro.
Il ragazzo non rispose, sollevandola del tutto da terra. In alcuni punti il sangue aveva imbrattato anche i suoi vestiti, che con sorpresa di Sam non erano più quelli rotti e sgualciti dell’ultima volta in cui si erano visti, ma la sua maglia era nuova di zecca .
Dopo alcuni istanti il ragazzo la rimise in piedi, tenendo però una mano dietro la sua schiena, sorreggendola in modo che lei non potesse cadere.
-Che è successo?- mormorò Sam con un filo di voce, aveva difficoltà a restare in piedi e sentiva la vista appannarsi sempre di più.
-No Sam, non svenire di nuovo.- Disse lui, dandole alcuni colpetti sulle guance e chinando il viso in modo da portare gli occhi di fronte ai suoi -Sam riesci a portarci fuori di qua? Non ho uno stilo e presto verranno altri Cacciatori. -
La ragazza allungò le braccia, cercando sostegno su quello di lui e stringendo così le dita intorno ai bicipiti tesi di Sebastian. –Non so dove andare. - sussurrò.
-Pensa a un posto che conosci solo tu, un posto tuo. – Le disse lui, mentre le portava una mano sula guancia, pizzicando in alcuni punti la pelle, per farla restare sveglia. –Poi potrai riposare, te lo prometto, è un ultimo sforzo. -
Sam annuì e chiuse gli occhi, cercando nella sua testa il posto più remoto in cui era stata e poi svanirono.


Come sempre l’impatto non fu dei migliori, doveva lavorare sul metodo di atterraggio, pensò Sam mentre ruzzolava in direzione di un muro, sbattendo con l’osso sacro contro lo spigolo. Sollevò appena lo sguardo e con meraviglia vide che Sebastian era del tutto indenne, nella sua solita posa fiera che si guardava intorno con una leggera curiosità.
Il primo tentativo di Sam di alzarsi fallì del tutto, sentì il bisogno di riposare come non lo aveva mai avvertito nella sua vita così chiuse gli occhi, abbandonandosi contro quella parete fredda.
Ma qualcosa la riportò alla realtà. Due grosse mani si erano poggiate sulle sue spalle, aiutandola a mettersi in piedi. Peccato che riuscì a restare dritta per dieci secondi prima che le sue ginocchia cedessero ancora, facendola ricadere in avanti. Fortunatamente Sebastian non aveva dei rifessi di un bradipo come lei e la afferrò prontamente, portando due dita sotto il suo mento, sollevandole la testa.
-Sei ferita?- Gli chiese lui chinando lo sguardo in direzione della sua pancia, dove sulla maglia si estendeva una chiazza scarlatta di sangue ormai secco.
Sam si portò istintivamente le mani sullo stomaco e sentì la pelle del tutto intatta e liscia contro le sue dita. –No.- Mormorò scuotendo appena la testa.
-C’era parecchio sangue. - Insistette lui.
-Non ho idea di cosa sia accaduto. - controbatté lei. –Ma non sono ferita. -
-Dove siamo finiti?- le chiese Sebastian dopo alcuni istanti di silenzio.
Sam non aveva idea di dove li avesse spediti, ma quando alzò lo sguardo, guardando oltre la spalla del ragazzo, ebbe un tuffo al cuore.
Nonostante quel posto ormai aveva l’aspetto di un edificio abbandonato, almeno dal suo interno cupo e le pareti del tutto ricoperte da ragnatele con scatoloni sparsi ovunque, Sam avrebbe riconosciuto quegli spazi ovunque.
-Era il mio vecchio orfanotrofio. - sussurrò.
-Non ci vive più nessuno?- Chiese lui, scrutando la stanza.
Lei scosse la testa, quel posto era chiuso ormai da anni, ricordava ancora il giorno in cui lesse la notizia del fallimento, e ogni qualvolta che ripassava, con il signor Reyes, davanti all’ormai vecchio edificio in rovina, non riusciva a non associare a esso la sua infanzia.
-E’ abbandonato da anni. - Spiegò lei iniziando a sentire sempre maggiore il bisogno di sedersi a riposare da qualche parte. –Sebastian…- mormorò. – Non mi sento molto bene... -



Aprì lentamente gli occhi e sbatté le palpebre tre volte. Le faceva male la testa e aveva molta sete. Sentiva la bocca secca e un odore insopportabile di muffa. Cercò di guardarsi intorno, senza alzarsi, senza alzare la testa. La stanza era avvolta dai colori del tramonto, lei si ritrovava sdraiata su un letto posto in mezzo ad un camerone, dove altri letti sgualciti e rovinati erano sistemati lungo le pareti. Risvegliarsi in quel posto la soffocò così tanto di ricordi che si sollevò di scatto, ritrovandosi da sola. Sebastian dov'era?
Il senso di debolezza era passato, nonostante il suo stomaco brontolasse richiedendo del cibo, così Sam si sollevò dal letto, sedendosi sul bordo di esso. Aveva ancora addosso i vestiti completamente sporchi e del sangue secco incrostava in alcuni punti i suoi capelli.
-Ti senti meglio?- La voce di Sebastian la fece voltare in direzione della porta.
Annuì lentamente mentre il ragazzo avanzava nella sua direzione, stringendo tra le mani un fagotto di carta che porse poco dopo a Sam.
Lei lo strinse con riluttanza tra le mani, per poi aprirlo e trovare al suo interno un panino con del formaggio. –Dove l’hai preso?- chiese la ragazza.
-In giro. - rispose lui, tenendo il suo solito tono vago.
Lei lo guardò per alcuni istanti ma poi la fame prese il sopravvento e si portò il pane alle labbra, dandogli un morso.
-Allora. - iniziò Sebastian muovendo alcuni passi nella sua direzione, sino a sedersi sul bordo del letto sul quale era seduta Sam. –Ti va di dirmi cos’è successo?-
Sam non ne aveva idea, era stata una fitta allo stomaco e poi per poco non moriva dissanguata, in seguito aveva fatto quel sogno del tutto irreale, ma niente aveva una spiegazione logica che Sebastian potesse capire. –Non lo so.- disse poi.
-Bene. - Fu tutto quello che rispose lui, chiudendo così quella conversazione.
Restò lì a osservarla mentre Sam terminava il suo panino, fin quando la ragazza non portò nuovamente lo sguardo sul viso di lui. –Posso farti una domanda?-
-Certo. -
-Perché ti fai chiamare Sebastian?-
Lui s’incupì per alcuni istanti, per poi lasciare spazio alla sua solita espressione signorile. – Preferisci Jonathan come nome?- disse lui invece.
-Non è questo. - borbottò lei. –Non parlavo del nome che ti sta meglio ma…-
-Jonathan Christopher Morgenstern è una persona che non vuoi conoscere, fidati. - tagliò corto lui.
-Ma sei sempre tu, è solo un nome. - commentò lei. –Non credo ci sarebbero differenze nella mia personalità se il mio nome fosse, non so, Marie invece di Samantha.-.
-Oh, Sam piantala. - Scattò lui.
Lei lo guardò sorpresa, sbattendo istintivamente le palpebre per alcuni istanti. - Piantare di fare cosa?- lo provocò.
-Di cimentarti nel suo assiduo tentativo di portarmi dal lato delle persone buone. -
-Io non stavo…- sussurrò lei.
-Oh sì invece, tenti di trovare una giustificazione alle cose che ti hanno raccontato su di me, chiedendoti quale oscuro motivo possa avermi scosso tanto da uccidere e fare del male a tante persone. - fece una pausa. –Ma l’unico motivo per cui io lo faccio è perché mi piace, provo piacere nel vedere la gente che soffre per mano mia, è nella mia natura. - concluse lui atono.
-E’ solo un copione che ti piace recitare. - ribatté lei, sollevando lo sguardo sul viso di lui.
-Smettila di illuderti. - disse lui con tranquillità.- e non meravigliarti nel sentirti dire che ho provato piacere anche a uccidere un bambino, sai il fratello del tuo amico. -
Quelle parole furono seguite da un tonfo. La mano di Sam aveva colpito con forza la guancia del ragazzo, lasciando al suo passaggio un segno rosso che andava formandosi sulla pelle di Sebastian.
-Visto?- commentò lui mentre distendeva le labbra in un sorriso. - Ho un debole per le ragazze violente. - Aggiunse poi leccandosi le labbra con la punta della lingua.
Il petto di Sam si sollevava velocemente, mentre teneva lo sguardo fisso negli occhi di Sebastian. –Smettila di fare l’idiota. –fu tutto quello che riuscì a sputare fuori. – Ne guadagneresti. -
Il viso del ragazzo sembrò essere attraversato per alcuni istanti da un alone di sorpresa, ma si limitò a restare in silenzio.
-E’ così che respingi le persone, facendo loro l’elenco di quelli a cui hai fatto del male?- disse lei. –Ti facevo più intelligente. –
-Sam.- disse lui a denti stretti, ora sembrava irritato.
-Cosa?- rispose lei, sfidandolo.
-Non provocarmi. -
-Oppure, quale tortura della tua lunga lista adopererai su di me?- controbatté lei sarcastica.
-Dovresti avere paura di me.- Disse lui, glaciale.
-Non mi hai mai messo nella condizione di averne. - rispose Sam, senza spostarsi di un centimetro.
Sebastian a quelle parole sembrò scattare, annullando del tutto la distanza che c’era tra i loro corpi, e guardandola in un modo che, per quanto Sam non volesse ammetterlo, le gelava il sangue nelle vene.
Lentamente, però, lo sguardo di lui si addolcì e tirò un lungo respiro, come se avesse trattenuto il fiato fino ad allora. - Sei un’idiota. - le sussurrò, mentre poggiava la fronte contro quella di lei.







NOTE D’AUTRICE 
Sera a tutte! Come ve la passate? Spero bene! Io ultimamente non ho un pochettino di tempo libero, che agonia t.t
Passando alla storia, allooora, fatemi sapere cosa ne pensate!
E’ successo qualcosa di davvero strano in questo capitolo non trovate? Beh, ogni cosa al suo perché, non dimenticatelo mai.
Vi ringrazio sempre per recensire i mie capitoli, siete dolcissime <3

Se volete (dai sususu) potete aggiungermi su facebook: Qui
La canzone che Magnus canta ad Alec, è questa: Twinkle Twinkle Little Star.






Credits
: Per la barra prima delle note a : yingsu

 

   
 
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