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Autore: Amartema    26/02/2014    3 recensioni
Dall’altra parte c’ero io, con una madre che potrei definire la versione femminile e degenerata di Buck, lei vittima di uno stupro e costretta a mantenere il frutto di quella violenza: me. Ero ormai abituata ai suoi sguardi, ogni volta che mi osservava, sapevo che in me vedeva il suo stupratore, sapevo che era costretta a rivivere all’infinito quell’evento, conoscevo ormai il suo odio, palpabile sulla mia pelle. Io che involontariamente le facevo ritornare alla mente l’inferno, un inferno che puntualmente mi ritornava addosso triplicato in potenza.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Animi inversi




Il rumore dei nostri passi risuonava lungo quel corridoio ampio e lungo. Le pareti bianche e sterili di quell’ospedale sembravano quasi una sorta di cliché sin troppo scontato e presente in qualsiasi film drammatico degno di nota. Ritrovai un’insana ironia in quella determinata situazione, almeno sin quando non arrivai a metabolizzare seriamente che ogni piccolo dettaglio era sin troppo reale. Troppo.
Apparvero un fastidioso cliché anche le parole di quell’uomo alto e vestito da un camice bianco; ci osservava rinchiuso nella sua altezzosità, palesata da uno sguardo disinteressato e stanco, addirittura annoiato.

« Se non siete dei parenti non posso farvi entrare, come non posso fornirvi alcun tipo di notizia sullo stato di salute del paziente. »

Mi trovavo immobile tra Abraham e Jeremy, costretta ad accogliere in silenzio ma soprattutto impotente, la scontata legge sulla privacy imposta dal medico. Taciturna, consolata solo da una mano di Abraham posta sulla mia spalla sinistra, una stretta leggera ma nella quale non fui in grado di trovare alcuna sorta di sostegno.

« Logan Flint Howlett, posso sapere quel è il suo nome, Dottore? Fortunatamente si trova davanti all’assistente del legale del suo paziente, Robert Garner. In realtà ad accompagnarmi c’è anche la mia collega. »

Le parole di Logan giunsero inaspettate, tanto da far emergere meraviglia anche sul volto di Abraham, il quale, insieme a me e Jeremy, tentò subito di lavare via il suo stupore. Ci ritrovammo tutti e tre vittime ma allo stesso tempo complici di quella situazione imposta dal ragazzo,  in particolare io che venni additata come sua collega.
Mi ritrovai ad annuire immediatamete, reggendo quel gioco malsano, sperando dentro di me che non si sarebbe ritorto contro di noi.
Assistemmo ad un repentino mutamento nel medico: il suo atteggiamento ben più aperto e disponibile era rivolto solo a me e Logan.

« Chris Meyers, sarei il medico che ha preso in cura il vostro cliente. E gli altri due signori chi sarebbero, Signor Howlett? »
« Il signore è un affezionato cliente ed io sono un dipendente di Robert. Siamo stati noi ad avvertire l’avvocato che ha di conseguenza mandato i suoi assistenti. Noi ci siamo solo preoccupati di accompagnarli nel luogo esatto, dottore. »

Fu Jeremy a rispondere velocemente alla domanda del medico, esponendosi anche lui in quel gioco. Abraham non fece altro che annuire, confermando in tal modo le parole del ragazzo al mio fianco.

« Molto bene. Lei e la signorina potete seguirmi, gli altri sono costretti ad attendere nella sala d’attesa. Tuttavia, solo uno di voi due assistenti può entrare nella camera del paziente o meglio, potete farlo uno alla volta »

Rimasi stupita nel vedere giungere il successo così velocemente ma mi ritrovai quasi pietrificata sul mio posto, come se improvvisamente non ero più in grado di muovere un solo muscolo.
Ricevetti una piccola spinta da Jeremy, proprio all’altezza del fianco; un gesto che mi donò la forza necessaria per iniziare a muovermi seppur con un passo lento ed insicuro.
Un altro corridoio, occupato solo da noi tre, ci separava dal reparto di terapia intensiva. Per un’inspiegabile motivo mi ritrovai a temere l’ampia porta a due ante, dalla quale, tramite due vetrate alte e rettangolari, si poteva già intravedere il verde ospedaliero dei lenzuoli.

« Entrerà la mia collega dal paziente, io invece mi soffermerò con lei per conoscere un po’ lo stato del nostro cliente. Non avendo alcuna famiglia, siamo noi gli unici a doversene interessare, naturalmente. »

« Signorina, appena entrata troverà mascherine e un apposito camice monouso che potrà indossare, oltre naturalmente ai rivestimenti per le sue scarpe. Cerchiamo di mantenere a qualsiasi costo l’ambiente totalmente sterile. I pazienti in quel determinato stato sono sensibilissimi a infezioni e altre influenze che potrebbero introdursi dall’esterno, quindi la pregherei di seguire tale procedura alla lettera.»

Furono le parole di Logan che riuscirono a distogliere il mio sguardo da quelle vetrate, seguite poi dalla spiegazione del medico al quale risposi con un celere cenno del capo, nulla di più. Mi resi conto in quel momento di aver perso momentaneamente l’uso della parola, trasmettere qualsiasi tipo di risposta o suono, diventò improvvisamente complicato. Tuttavia il mio atteggiamento non sembrò destare dei sospetti in quel medico che prestò si dimenticò della mia presenza per dedicarsi esclusivamente a Logan.

Un soffitto bianco e mura ricoperte da piastrelle di un colore verdastro. In realtà nella zona occupata dai pazienti di terapia intensiva, tutto era verde, anche le porte erano verniciate nel medesimo colore. Mi vestii come richiesto, avvolgendomi in quel camice in tnt, completando con una piccola cuffietta del medesimo materiale, mascherina e parascarpe. Mi ritrovai al centro di quella lunga sala che vagamente ricordava la navata di una Chiesa: al centro uno spazio libero mentre ai lati erano posizionati i vari letti su cui erano risposti i pazienti.
L’opprimente silenzio nella stanza risaltava l’irritante rumore emesso dai macchinari, questi sembravano creare una singolare sinfonia che non faceva altro che accentuare l’esistenza di tutti quei pazienti immobili in uno stato bloccato tra la vita e la morte.
Iniziai a percorrere con estrema lentezza il centro di quel corridoio, costretta alla vista di esseri apparenti dormienti ma tutti bloccati in un coma profondo.
Riconoscere Robert fu difficile: il suo stato gonfio, livido aveva mutato considerevolmente i tratti del suo volto, rendendolo quasi irriconoscibile. La sua vista mi paralizzò. Il suo battito cardiaco, segnato dal fastidiosissimo “bip” di un macchinario, si mostrava particolarmente lento, proprio come il suo respiro non più spontaneo ma artificiale, sostenuto da un’ ennesima macchina che rilasciava ossigeno.
Mi ritrovai senza rendermene conto al fianco del suo letto; un lenzuolo nascondeva il suo corpo nudo, lasciandolo scoperto solo dalla vita in su, a rivelare non solo un viso deformato dalle percosse ma anche un busto gonfio e segnato da ematomi.
Allungai la mano timidamente verso quella scoperta di Robert, offrendogli un tocco non premuto, leggero, impaurita da quella fragilità che il suo corpo sembrava essere in grado di urlarmi.
Iniziai a sentirmi soffocare, il pianto coperto da quella mascherina fu in grado di rendermi seriamente difficile il respiro, costringendomi di tanto in tanto a prendere delle pause solo per concedermi profonde boccate d’ossigeno.

« Non puoi morire, sappi solo che non puoi morire. »

Fui in gradi di sussurrargli solo quelle poche parole dato che il pianto divenne più agitato e incontrollato. Strinsi appena quella mano prima di scappare letteralmente via dal reparto. Strappai  via quel camice e gli altri componenti, liberandomene subito e senza curarmi di riporli nell’apposito contenitore.
Nonostante il mio volto non era più oppresso da quella mascherina medica, nonostante non fossi più tra quei letti, l’aria continuava a mancarmi, rendendomi presto conto di essere preda di una sorta di sensazione claustrofobica che era l’intera struttura ospedaliera a donarmi. Corsi via, guidata solo da quello che altro non era che un attacco di panico. Abbandonai quei corridoi, oltrepassando anche l’ala d’attesa, ritrovandomi presto fuori, oltre le porte scorrevoli dell’ingresso. Una volta all’aperto iniziai ad accogliere ampie boccate d’aria con la sola speranza di ritrovare il respiro e normalizzarlo, cosa che avvenne solo quando una mano si posò contro la mia schiena chinata in avanti.

« Calmati, è passato. E’ passato tutto. »

Il tocco e la voce di Jeremy contribuirono a normalizzare il mio respiro ma non a calmare il mio stato d’animo, il quale esplose una volta che adocchiai Abraham e Logan raggiungerci. Fu proprio sull’ultimo che mi avventai, colpendo il petto del ragazzo con una ferocia che mai prima di quel momento aveva fatto parte del mio essere.

« Non è passato proprio niente! Robert è in coma! Come potrebbe essere passato. E tu! chi diavolo sei? Che cosa vuoi da me, da tutti noi? Perché cazzo ti intrometti in delle vite che non ti interessano minimamente? Chi cazzo sei, dimmelo! Perché tutto sembra essere peggiorato proprio da quando sei comparso tu! »

Scaraventai tutta la mia frustrazione contro Logan, il quale si sbilanciò appena sotto i miei colpi ma non osò bloccarmi in alcun modo, subendo quell’attacco sia fisico che verbale. Furono Abraham e Jeremy ad intervenire e allontanarmi dal ragazzo, il quale immediatamente con una strana calma iniziò a sistemare il colletto stropicciato della propria giacca, con l’inutile intento di appiattire quelle pieghe.

« Jèjè, cerca di calmarti, dare spettacolo è l’ultima cosa che dobbiamo fare in questo momento. »

Ero bloccata fra le braccia di Jeremy, busto e braccia erano serrate nella sua morsa, impedendomi qualsiasi altra azione nei riguardi di Logan. Le parole di Abraham scivolarono su di me senza sorbire alcun tipo di effetto, proprio come il suo volto contrito dal dispiacere.
La tensione dei muscoli scivolò presto via, ritrovandomi con un paio di gambe tremanti in grado di sostenermi a malapena; mi ritrovai così sorretta soprattutto da Jeremy che non allentò in alcun modo la presa, anzi, la rafforzò.

« Ti prego. Dimmelo. »

Questa volta il mio tono non fu imperativo ma mi ritrovai letteralmente a supplicare, abbandonandomi poi ad un nuovo pianto incontrollato. Potevo avvertire lo sguardo di Logan impresso su di me, da questo trapelava uno strano coinvolgimento, rivelato da occhi arrossati. Sospirò profondamente, talmente tanto che riuscii ad avvertirlo nonostante il mio pianto. E mi rispose, proprio a seguito di un mio ulteriore sguardo supplichevole, rivelando una verità che smise di far battere per alcuni istanti il mio cuore stanco.

« Sono tuo fratello. Fratello gemello a dir la verità. »







NOTA DELL'AUTRICE: Abbiate pietà di me, l'ho scritto alle quattro di notte e pubblicato
dopo due letture. Domani lo rileggo bene per correggere eventuali errorini.
E comunque... io ve l'avevo detto che d'ora in avanti ci sarebbero
stati scossoni nella trama e che ogni puzzle sarebbe
andato al suo posto.
Ve lo aspettavate?

Vi lascio i miei contatti:
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Gruppo Facebook : Spoiler, foto, trame delle mie storie.
Ask : Inutile specificare, no?

Altra storia in corso : Io, Artista

Inoltre, la mia mente malata e quella di Malaria, ricordano che:
   
 
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