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Autore: Water_wolf    27/02/2014    12 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Non tutti i problemi si ripiegano come origami
 
♣Annabeth♣
 
Silena si torturava le mani accanto a me. Aspettava l’arrivo di Beckendorf, attendeva che il figlio di Efesto ritornasse e smentisse ciò che l’ansia suggeriva maligna. Dalla veranda della Casa Grande, avevamo una buona vista, ma, per quanto lontano potessimo guardare, la paura che ci prendeva lo stomaco era impossibile da eliminare.
Quando una figura si stagliò all’orizzonte, Silena scattò in piedi e si lanciò contro di lei, con il cuore che correva più veloce della gambe. La seguii, cercando di contenermi il più possibile. Silena si bloccò di botto, mentre riconosceva i lineamenti del ragazzo. Il nodo alla pancia si sciolse e un sorriso genuino sbocciò sulle mie labbra, impossibile da contenere.
Percy era tornato. Eppure, avevo imparato che Percy Jackson ritornava sempre, non importava quanto difficile fosse la sua missione.
Mi resi conto in seguito, che era solo. Solo. Lo raggiunsi, guardai oltre le sue spalle, ma di Beckendorf non c’era traccia.
«Percy, perché Charlie non è con te?» domandai, mentre un nuovo timore si faceva strada dentro di me.
Possibile che non potessimo mai avere un attimo di riposo dalle emozioni forti? Prima o poi, mi sarebbe venuto un ictus. Percy si riavviò i ricci neri e mi rivolse un sorriso incoraggiante.
«Sta bene. Arriverà presto insieme ad alcuni amici» rispose, sibillino.
Silena si aggrappò alla mia spalla, cercando stabilità e appoggio. Trattenne un singhiozzo, non avrebbe pianto se non ce ne fosse stato bisogno. Per essere una figlia di Afrodite, era forte e capace.
«Che amici?» chiesi ancora, ormai sollevata.
«Quelli che mi hanno aiutato a far affondare la Principessa Andromeda.»
«Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai.
«Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Non potei più aprire bocca, perché una canzone che ben conoscevo sovrastò il tono della mia voce.
Percy sorrise e mormorò tra sé: «Sono proprio fissati coi Pirati dei Caraibi.»
Silena aveva teso l’orecchio ed era letteralmente a bocca aperta. «Ma cosa sta succedendo…?» domandò, sbalordita.
Qualcuno fischiò. Era un ragazzo dai capelli neri arruffati, occhi castano scuro da sembrare neri, sorriso da figlio di Ermes. «Madamoiselle, succede che i fighi son qua, e semineranno la loro bellezza pure là. Rima!»
«E sta’ zitto, Einar!»
Una ragazza dai capelli biondi lo raggiunse a grandi falcate e gli diede uno scappellotto.
«Ahi!» esclamò Einar, massaggiandosi la testa e scoccando alla sua compagna un’occhiata carica di risentimento.
«L-loro… sono al Campo Mezzosangue» balbettai, incredula.
«Non solo quei due» intervenne Percy, incamminandosi verso di loro, dirigendosi verso la costa.
Come un robot privo di propria volontà, lo seguii, ancora incapace di elaborare. Cosa ci faceva Einar – un norreno – qui? Perché? All’improvviso, mi ricordai delle parole di Alex, un mese prima ad Asgard, e i pezzi combaciarono.
Se non erano solo in due, come diceva Percy, allora… allora Alex era riuscito a convincere suo padre a organizzare una spedizione per aiutarci! Rinforzi freschi, che avevano già dato una mano a distruggere la Principesse Andromeda, che ci avrebbero fornito una marcia in più contro Crono. Mi trattenni dal saltare dalla gioia, lanciando un grido all’indiana.
Einar e la bionda si piazzarono davanti a noi, entrambi con un sorrisetto stampato sulle labbra. Riconobbi la ragazza, Sarah, la stessa che aveva minacciato il figlio di Loki non appena era ritornato dall’impresa. Quest’ultimo fece un breve inchino verso Silena, che si ritrasse, interdetta, quando provò a baciarle la mano. Sarah si sforzò di guardare altrove e fischiettò, nascondendo a stento un sorriso per quell’abbordaggio fallito.
«Oh, già, devi essere tu la ragazza di quello là» osservò con una smorfia. «Forza, seguitemi, la nave ci aspetta.»
Silena non fece caso a “quello là” che si riferiva a Beckendorf, troppo su di giri per pensare ad altro che alla sua salvezza.
«Siete venuti via mare, questa volta» esordii, cercando di capire come fossero arrivati questa volta.
«Esatto, abbiamo usato la mitica drakkar Skidbladnir» confermò Sarah, facendoci strada.
«Meglio cambiare, no?» fece Einar.
«Non fa ridere» lo stroncò la bionda.
«A me sì» ribatté l’altro.
«A me farebbe ridere vederti correre nudo per il Campo, se le regole sono queste, potrei pensare di farlo» ribatté la figlia di Eir.
«Sicura che vuoi vedermi nudo? Oppure è solo una scusa per gettare un’occhiata a qualcos’altro?» la provocò Einar.
«Non posso guardare una cosa che non c’è» si fece trovare pronta Sarah, che sospettavo avere la lingua tagliente quanto la sua spada.
Percy non riuscì più a trattenersi, scoppiando a ridere per quello scambio di battute tutto doppi sensi.
Intanto, eravamo arrivati alla spiaggia, dove una gigantesca trireme nordica era attraccata. Semidei scendevano da un’asse riutilizzata come pontile, e molti altri aspettavano il loro turno.
Cercai di contarli, ma era davvero tanti, minimo una quarantina, ognuno di loro disposto a combattere con noi. Era semplicemente fantastico. Con tutte quelle nuove forze, avremmo potuto formare nuove strategie, piani più ampi, magari non limitandoci unicamente a difendere il Campo Mezzosangue. Mi ripromisi di fare i complimenti ad Alex per il regalo che ci aveva fatto.
Uno strillo mi trapanò l’orecchio, quando Silena notò Beckendorf scendere, assistito da un altro ragazzo, e gli corse incontro. Gli gettò le braccia al collo, facendolo crollare nella sabbia, e scoppiò a piangere. Charlie rise, carezzandole i capelli e la schiena. Sorrisi; erano davvero una coppia affiatata.
«Hei, Annabeth. Hvor er du?* Come va?»
Quella voce…
«Astrid» la riconobbi, un po’ stupita un po’ amareggiata.
Nella mia lista di nordici da incontrare, lei non era in cima. Nonostante ciò, ci abbracciamo, segno che nessuna delle due aveva voglia di iniziare a litigare fin dal primo giorno.
Al mio orecchio, sussurrò: «Per favore, istituiamo una tregua.»
«Senza rancore?» proposi, sottovoce.
«Senza rancore» accettò, staccandosi da me.
Mi fece l’occhiolino, poi fece segno ad Alex, più in là, di venire a salutarmi. Il figlio di Odino mi rivolse un sorriso e un cenno del capo, continuando ad aiutare i suoi compagni a lasciare Skidbladnir. Einar emise un’esclamazione.
«Guarda un po’ chi c’è!»
Ci voltammo tutti contemporaneamente, in tempo per vedere il figlio di Loki afferrare Nico per le spalle, scuoterlo e stampargli un bacio sulle labbra. Gli diede un buffetto, concludendo il saluto con un banale “ti trovo bene”. Nico rimase fermo impalato, incapace di muoversi, il sangue defluito dal volto.
Doveva essere appena arrivato al Campo grazie a un viaggio d’ombra, e di sicuro non si aspettava quell’accoglienza più calorosa del necessario. Deglutì un paio di volte, si pulì le labbra e si avvicinò a Percy. I due si scambiarono uno strano sguardo d’intesa, dove colsi un “dobbiamo parlare, dopo”.
Scrutai Nico, cercando di capire i sottointesi, ma lui fuggì dal mio sguardo.
Una ragazza dai capelli mori, con una ciocca azzurra, venne accompagnata da un’altra semidea norrena a scendere. La riconobbi: l’avevo vista al Campo, prima che si unisse a Crono. Erano riusciti a fare prigionieri. La indicai a Percy, che mi spiegò che era una figlia di Ecate e che gli aveva rivelato alcune cose interessanti.
In quanto a cosa, mi disse che era meglio se lo scoprivo dopo, assieme agli altri. Assottigliai lo sguardo; non ero il tipo che aspettava, quando poteva ottenere una risposta più in fretta. Mi piaceva avere tutto sotto controllo.
«Danny, sono scesi tutti?» domandò Alex a un suo compagno, e l’altro gridò la domanda, cui risposero con un assenso.
Mi avvicinai al figlio di Odino e all’enorme drakkar, ammirando quella bizzarra variante di una trireme greca, che, però, aveva il suo fascino. Dopotutto, i vichinghi erano stati i primi a scoprire l’America, viaggiando su imbarcazioni come quelle, anche se non avevano insediato colonie stabili; sarebbe stato stupido non sfruttare quell’occasione per studiarne la forma.
«Non credi sia poco sicuro lasciarla attraccata qui?» domandai, dubbiosa. «È un tantino ingombrante.»
Alex si batté una mano sulla fronte, come se si fosse appena ricordato qualcosa. «Non preoccuparti, Skidbladnir ha qualche effetto speciale molto utile.»
Inarcai un sopracciglio, ma preferii aspettare e vedere con i miei occhi cosa intendeva. Alex appoggiò i palmi aperti sullo scafo, l’acqua che gli lambiva la suola delle scarpe da ginnastica. Si alzò il vento, che mi scompigliò i capelli e alzò la spuma. Le vele della drakkar si ammainarono da sole, mentre l’imbarcazione si ristringeva.
Ma cosa… Si restringeva? Assistetti allo spettacolo di Alex che rimpiccioliva un’enorme nave allibita, osservando ad occhi sgranati la drakkar che ora teneva in mano. La ripiegò come si fa con un fazzoletto, infilandosela poi in tasca, come se fosse normalissimo andarsene in giro con una trireme nordica nei jeans, al posto che un pacchetto di gomme da masticare.
«Come… è-è… wow!» Percy faticava a mettere insieme le parole. Sbatté le palpebre e chiese: «Come hai fatto?»
Einar gli mise una mano sulla spalla. «Sorprendente cosa si può imparare dai corsi di origami, eh?»
Alex gli scoccò un’occhiata ammonitrice, rispondendo più seriamente: «Anche agli Dèi Asgardiani piacciono i comfort.»
Avevo un milione di domande da porgli. Era possibile rimpicciolire anche bagagli personali all’interno? Se si sedeva, poteva accidentalmente spezzare un albero? Quanto pesava? Erano in grado tutti di farlo? Era per caso un piano che potevo studiare per poi provare a metterlo in pratica con altri mezzi di trasporto greci?
Mi morsi la lingua, non era il momento adatto per assillare Alex con tutte le mie curiosità.
«Bene, direi che possiamo andare da Chirone a riferirgli tutto» esordì Percy, con il sorriso di chi sa che ha scelto un regalo meraviglioso.
Ci incamminammo verso la Casa Grande, mentre i semidei norreni parlottavano tra loro, commentando animatamente il luogo in cui si trovavano, parlando in un norvegese stretto di cui non capivo assolutamente nulla ad eccezione di alcune esclamazioni. Sperai che fossero almeno positive.
Prima di raggiungere i vari alloggi, Clarisse marciò furiosa verso di me, lo sguardo di chi moriva dalla voglia di strangolare qualcuno.
«Cosa c’è?» chiesi, leggermente preoccupata.
La figlia di Ares guardò la compagnia che mi portavo dietro, mentre la sua fronte si corrucciava sempre più. «Di immortales» invocò. «Annabeth, dimmi che non è vero. Quelli non possono essere qui, di nuovo.»
«Sono venuti ad aiutare noi» prese subito posizione Percy, incenerendola con lo sguardo. «Abbiamo bisogno di loro per sconfiggere Crono.»
Clarisse rise. «Forse tu ne hai bisogno, Jackson» replicò. «Ma noi figli del dio della guerra ce la cavavamo egregiamente anche da soli.»
«Senti –» iniziò il figlio di Poseidone, ma Alex lo interruppe. «Qualche problema?»
«Ti ricordavo più intelligente. Ovvio che c’è qualche problema.»
«Clarisse» ammonii, ma lei non mi ascoltò nemmeno.
«Punto primo, quei cretini dei figli di Apollo non vogliono ridarci il nostro carro da guerra. Punto secondo, un vagone di biondini norreni è arrivato nel nostro Campo senza invito. Punto terzo, … traditrice!» Indicò la figlia di Ecate, fermatasi poco dietro Alex.
Le marciò contro, sfoderando la lancia con tutta l’intenzione di farla fuori.
«Ehi, ehi, ehi!» la bloccò il figlio di Odino, il più vicino per intervenire. «Non toccarla!»
«È una schifosa traditrice!» protestò Clarisse, per nulla contenta di quell’intromissione.
«Non è un buon motivo per ucciderla, è già nostra prigioniera!» le fece presente Alex.
«Oh, ma fammi il piacere» sbottò la figlia di Ares. Fece roteare la lancia e la calò, puntando a trafiggerlo.
Alex fece un balzo indietro, ritraendosi veloce come un gatto, mentre l’arma di Clarisse diventava di gomma – chiaramente magia. Ancora allibita, non si accorse del pugno che volò nella sua direzione e che la colpì dritta sulla mascella.
«Don’t. Even. Dare**» sillabò Astrid, stagliandosi furente davanti al suo compagno, la mano destra ancora stretta in pugno e uno sguardo che bastava a incutere timore.
Clarisse inalò dalle narici, fece per ribattere, ma io e Percy ci frapponemmo tra le due. «Finitela» ordinò Percy. «Non potete litigare già adesso» aggiunsi io. «E, Clarisse, smettila di seminare zizzania.»
Alex prese per il polso Astrid, costringendola ad abbandonare il piede di guerra. Le sussurrò qualcosa all’orecchio, che suonava come “grazie, ma è meglio se non prendi a pugni chi dobbiamo aiutare”.
La figlia di Hell annuì di malavoglia, liberandosi dalla stretta del moro. C’era una strana intesa tra i due, come se, dal tempo dell’impresa di un mese fa, i due si fossero ritrovati molto più vicini.
«Va’ a chiamare i capogruppo» dissi alla figlia di Ares. «Ci rivediamo tra dieci alla Casa Grande per una riunione.»
«Per favore, cerca di non uccidere nessuno» rincarò Percy.
Clarisse annuì di malavoglia, sbuffò e si allontanò. Mi riportai un ciuffo dietro l’orecchio e sospirai. Quel giorno si prevedeva difficile.
 

«Ragazzi, calma!» sbraitò Chirone, tentando per l’ennesima volta di ristabilire l’ordine.
Per non so quale congiunzione astrale, questa volta lo ascoltammo tutti. Il centauro sospirò, si passò una mano sul viso e riprese con più calma: «Per favore, non parlate insieme, altrimenti non si capisce nulla. Ascoltiamo quello che hanno da dire Alex e i suoi compagni, poi discuteremo della disputa tra le Case di Ares e Apollo.»
Annuimmo all’unisono. Finalmente in un clima più favorevole, il figlio di Odino riuscì a raccontare della loro impresa. Quando mi resi conto che gli Dèi non avevano approvato il viaggio e che, anzi, ne erano palesemente contrariati, ma loro avevano deciso di venire comunque, mi venne un colpo.
Nonostante ci fossimo dimostrati tutt’altro che amichevoli nella maggior parte dei casi, l’ultima volta, loro stavano rischiando così tanto per aiutarci in una guerra che non li riguardava e dove avrebbero potuto perdere la vita. Percy era semplicemente sbalordito.
«Non posso credere che le vostre divinità vi abbiano lasciare andare senza conseguenze» osservai.
«No, infatti» confermò Alex, rabbuiandosi.
Astrid cercò il suo sguardo, come a voler chiedere il permesso per poter rivelare qualcosa di importante, come se volesse alleggerirlo dal peso di introdurre un discorso particolarmente spinoso. Alex scosse la testa e le sorrise debolmente.
«Mio padre Odino, il Re degli Dèi, ha promesso di bandirmi dal Valhalla nel caso fossi partito per New York» esordì. «Ovvero, se fossi un greco, nel caso morissi, andrei dritto nei Campi delle Pene, senza nemmeno poter contemplare gli Elisi.»
«Cosa!?» Percy si alzò in piedi di scatto, bianco in viso e coi pugni stretti. «Non avresti dovuto rischiare così tanto!»
«Non importa dove andrà, basta che muoia, così me lo levo di torno» borbottò Clarisse, beccandosi occhiate di disapprovazione da tutti i capi gruppi.
«È inutile che sprechi fiato cercando di fargli cambiare idea, tanto è una testa di legno» disse Astrid.
«È stupido!» protestò Percy.
«Alcuni lo definirebbero coraggioso» obiettai.
«Smettetela di parlare di me come se non ci fossi» si lamentò Alex, la voce aveva assunto un tono lamentoso che mi strappò un sorriso. Il figlio di Poseidone si risedette, per nulla convinto.
«Hai un piano per essere più sicuro, in guerra?» si informò Chirone, mantenendo un tono da diplomatico.
Lui annuì, mostrando la spada che teneva nel fodero. «Excalibur» spiegò, raccontando la storia dell’arma. Aveva un modo di parlare, di narrare, che catturava completamente la mia attenzione, soddisfacendo la mia vorace curiosità.
«Poi, qualcuno mi ha detto che non mi libererò facilmente di lei, quindi posso contare su una guardia del corpo» concluse, scoccando un’occhiata complice ad Astrid, che arrossì.
Oh, sì, c’era decisamente qualcosa di più di amicizia tra i due. Chirone annuì più volte, dopodiché procedette a spiegare come si sarebbe organizzato il Campo Mezzosangue per accogliere tutti i guerrieri.
Alcuni avrebbero alloggiato nelle Cabine con noi, a seconda della disponibilità dei letti; i restanti, avrebbero montato delle tende ai margini della collina, come i figli di Loki. Quando provarono ad accennare alla Casa di Ares, Clarisse si oppose con tutta se stessa.
Non avrebbe ammesso nessun norreno nella sua Cabina, mai. Provammo a farla ragionare, ma non c’era modo di smuoverla dalla sua posizione.
«Possiamo parlare del carro, ora?» strepitò.
«Veramente, prima dovremmo discutere di ciò che ci ha detto la figlia di Ecate…» la bloccò Beckendorf.
«E sarebbe?» fece la figlia di Ares, scocciata, convinta che sarebbe riuscita a liquidare l’argomento con facilità.
Il figlio di Efesto deglutì. «Ha detto che c’è una spia al Campo, che passa informazioni a Crono da alcuni mesi, ormai. Non ne conosce il nome, però.»
Silena, accanto a lui, divenne una statua di gesso. Clarisse ricadde sul divanetto, persino i figli di Ermes si zittirono. Una spia.
Una spia greca.
Improvvisamente, mi fu più difficile respirare. Guardai Chirone, che mi rispose con uno sguardo che voleva dire “non lo so, Annabeth, ma sono incredibilmente deluso”. Da noi o da se stesso, non lo chiarì. La questione rimase sospesa, senza che nessuno riuscisse a dire alcunché. La soluzione si intese così: quando avremmo avuto dei sospetti concreti sulla possibile spia, avremmo agito tempestivamente, anche se si trattava dei nostri.
Si passò all’argomento che premeva di più a Clarisse: la biga che i figli di Apollo non volevano restituire. Avevano compiuto insieme una missione, comandata dai figli di Ares, ma erano quelli di Apollo ad aver avuto un ruolo decisivo ed aver ottenuto la vittoria. Clarisse sosteneva che il carro spettasse a lei e ai suoi fratelli, Michael Yew l’esatto contrario.
Lui e la ragazza iniziarono a urlarsi contro, rendendo impossibile capire qualcosa di più o provare a calmare i due. Alex si pose dalla parte della figlia di Ares, ma non tutti la pensavano come lui, e ben presto si scatenò il putiferio.
«Adesso basta!» gridò Clarisse, superando il volume della voce di ognuno di noi. «Se la Casa di Ares non riavrà il carro, nessuno dei miei fratelli combatterà! Spero sappiate scegliere con cura cosa vi conviene» minacciò, uscendo come una furia dalla Casa Grande, sbattendo la porta.
L’aria era tesa, le questioni da discutere finite, così Chirone ci lasciò liberi di andare e mettere in pratica il piano stabilito per accogliere in norreni.
 

La sera arrivò in fretta, ma, per fortuna, i semidei del nord erano stati sistemati per tempo. La cena fu allegra, come testimoniavano le fiamme dei fuochi delle offerte, parecchio alte. La maggior parte dei greci era felice di quei rinforzi e di quell’inaspettata solidarietà. Percy masticava una pizza, alterandola con della Coca-Cola.
Osservava i capelli blu di Petra con occhi persi, come se stesse per chiederle da un momento all’altro se poteva mangiarli. Era un maniaco riguardo questo tipo di cose.
Nonostante l’allegria e le risate, non riuscivo a divertirmi completamente. Pensieri come la perdita della Casa di Ares e la spia mi assillavano, occupando la mia mente ogni volta che potevano. Era stressante.
A circa metà serata, mi alzai da tavola e tornai alla Cabina 6. Intravidi, mentre mi allontanavo, Alex avvicinare la sua mano a quella di Astrid; la ragazza, però, si ritrasse di scatto, slittando un po’ più in là.
Scossi la testa, avevo già molto su cui riflettere.
 

L’intera Cabina 6 era immersa nel silenzio, a eccezione del lieve russare di uno dei miei fratelli e dei cigolii che provenivano dal letto sopra il mio, quello che avevo offerto ad Astrid e dove lei si era coricata. Non riuscivo a prendere sonno.
Il pensiero della spia al Campo mi assillava; chi, tra di noi, che era rimasto a combattere contro Crono, gli stava passando informazioni? Era stato costretto o l’aveva fatto volontariamente? E perché? Non ero capace di giudicare i miei amici e compagni senza subito dirmi che era impossibile che si trattasse di loro. Ma non pensavo lo stesso di Luke, prima che tentasse di uccidere Percy?
Sbuffai, rigirandomi nel letto, senza riuscire ad abbandonare le mie considerazioni e addormentarmi. Cercai di focalizzarmi sui respiri dei miei fratelli e sorelle, magari così mi sarei calmata e sarei scivolata nel sonno senza nemmeno accorgermene. Se neanche questo avesse funzionato, mi sarei rassegnata a contare centinaia e centinaia di pecore.
Chiusi gli occhi e tesi l’orecchio. Ora, percepivo perfettamente il fiato di tutti gli addormentati, mentre i cigolii sopra di me erano cessati, sostituiti da un flebile rumore di… pianto sommesso?
Aprii gli occhi, mi sollevai su un gomito e mi accertai di aver udito bene. Feci scivolare le gambe fuori dalle coperte, appoggiando silenziosamente le piante dei piedi sul pavimento. Mi misi sulle punte, scrutando nell’oscurità l’occupatrice del letto superiore.
Dovetti abbassarmi repentinamente, quando un pugno volò nella mia direzione. Ringraziai mentalmente l’iperattività dei semidei che mi aveva salvato dall’avere il naso rotto.
«Annabeth?»
La voce di Astrid era appena udibile, mentre mi chiamava, sporgendosi oltre il bordo.
«Che cavolo!» sibilai, mantenendo il tono il più basso possibile. «Volevo solo assicurarmi che stessi dormendo, mi era sembrato di sentire che stessi piangendo.»
Astrid emise uno strano verso di gola, a metà strada tra un ringhio e un gemito. Scostò le coperte in fretta e si calò giù dal letto a castello, mi mise una mano sulla spalle e passò oltre, biascicando: «Scusa, ho bisogno di una boccata d’aria.»
Corrugai la fronte, confusa. Cercai una felpa – che trovai ripiegata sulla testiera del letto – e seguii la ragazza oltre la porta. Individuai la sua figura che si allontanava verso il laghetto dei naiadi. Rabbrividii per l’aria fresca della sera, così mi infilai la felpa mentre le andavo dietro. La raggiunsi a pochi passi dal lago e la richiamai.
«Torna a dormire, Annabeth. Va tutto bene» mi scacciò, calcando troppo su quel “va tutto bene”.
«Lo dubito fortemente» replicai, affiancandomi a lei. L’acqua era così scura che era impossibile vedere il fondo.
«Forza, sputa il rospo» incalzai.
Si voltò verso di me, i suoi occhi illuminati da un bagliore di rabbia. «Cosa non è chiaro nella frase “torna a dormire, va tutto bene”, Annabeth?» ringhiò.
«Capisco quando le persone mentono» ribattei secca, senza odio, però.
Volevo solo scoprire cosa c’era sotto, non scatenare una lite.
«Già, mi ero dimenticata che le figlie di Atena sono estremamente intelligenti» mi provocò, invano.
«Non sarebbe più facile dirmi perché stavi piangendo e farla finita?» le feci notare.
«Stai scherzando?» Emise una risatina isterica. «Perché dovrei mai dire a te i motivi per cui stavo piangendo? Ammesso che lo stessi facendo, e si dà il caso che non è così.»
«Come no» sbuffai. «Se è successo qualcosa di grave, potrei sempre chiederlo ad Alex, e non credo che sarebbe più facile spiegare a lui quello che è accaduto questa notte.»
Astrid deglutì rumorosamente, lasciandosi cadere per terra. Mi sedetti accanto a lei, sentendo sotto le dita nude l’erba solleticare. Era una bella sensazione, come se mi stessi fondendo con la natura.
«È Alex il problema, non è vero?» intuii.
La figlia di Hell osservava la costellazione della Cacciatrice, ignara che prima fosse stata una ragazza, Zoe Nightshade. Le stelle che la componevano brillavano fulgide, donando un bagliore freddo alla notte.
«No» rispose, abbandonando le difese. «Almeno, non solo lui. In gran parte, il problema sono io. Sono sempre io.»
«È una tua prerogativa essere in qualche modo colpevole? Voglio dire, ti conosco poco, ma quando ci sei di mezzo tu, succede sempre qualcosa di complicato e non si è mai sicuri se darti la colpa o meno.»
«Credimi, me lo domando anch’io» ridacchiò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«Allora, questo grande problema? Le figlie di Atena hanno sempre un piano, sono sicura che potrei aiutarti.»
Cos’era quello spirito d’iniziativa da crocerossina? Da quando mi interessavano i casini in cui si era cacciata la ragazza che aveva baciato Percy? Che gli ha salvato la vita, mi corressi subito dopo. E perché non è solo “quella ragazza”.
Astrid sospirò. «Alex mi piace» buttò fuori d’un sol colpo. «Tanto, anche.»
«E…?» la invitai a continuare.
«Non credo valga lo stesso per lui.»
Rivissi quella giornata, ogni situazione in cui avevo visto i due insieme. Mi ricordai del mese prima, quando era palese che Alex non fosse indifferente alla figlia di Hell. Mi venne fuori una risata che non riuscii a trattenere.
«Lo trovi divertente?» chiese, punta intimamente. Mi lanciò uno sguardo di fuoco. «’Fanculo.»
«Ehi!» protestai, ma mi resi conto che ero io quella dalla parte del torto. «Scusa, hai ragione. Solo che lo trovo così… stupido. Si vede lontano un miglio che gli piaci.»
«È quello che pensano tutti» confermò. «Ma, ecco, io gliel’ho chiesto. Non mi ha risposto.»
«Oh» esclamai, colta di sorpresa. «Forse perché non lo sa. I maschi sono lenti a capire certe cose.»
«Non credo» replicò, e dalla sua voce trasparì quanto era affranta.
I sentimenti che mostrava erano la metà di quelli che provava davvero. Si sdraiò sull’erba, fissando le stelle. Feci come lei, sentendo un cuscino morbido sotto i miei capelli e, da quella posizione, le stelle sembravano vorticare sopra di me come in un planetario.
«Non aveva la faccia di chi non lo sapeva» continuò. «Era stupito. Punto. Non aveva mai pensato a me in quel modo, capisci? Perché io sono solo sua amica. La sua schifosissima migliore amica innamorata di lui.»
Non seppi come ribattere. Astrid conosceva meglio di me Alex e, anche se mi sembrava impossibile che lui pensasse a lei come un’amica, non potevo essere davvero certa del loro rapporto. Desiderai avere delle prove per dimostrarle che si sbagliava, per infonderle nuova speranza.
Non ebbi tempo di dire altro, perché lei iniziò a parlare a ruota libera.
«Credo che sia il primo ragazzo da anni per cui mi sono presa una vera cotta. Non era qualcuno che mi aspettavo, qualcuno che volevo entrasse nella mia testa, perché ci ha pensato lui. Io… non piango per i ragazzi. Le femminucce piangono per questo, non le guerriere, non io. Sono sempre riuscita a tenere tutto dentro di me, a rispecchiare la mia idea di forza, a rifiutare l’aiuto di tutti per dimostrare che ero capace di farcela da sola.»
Pensai al Partenone, che era in piedi da anni, eroso dal tempo, certo, ma in piedi, non importava a quanti terremoti o catastrofi avesse assistito. Era così che voleva sentirsi Astrid, capace di resistere, nonostante tutto e tutti. Ma era impossibile – quel tipo di donna esisteva solo nei libri, non erano persone vere.
Perché, per quanto possiamo ostinarci a negarlo, siamo fragili e abbiamo bisogno d’aiuto. Non possiamo reggerci in piedi da soli per sempre, prima o poi arriverà quella sfida a cui non sapremo tenere testa. Quel terremoto che farà crollare la struttura portante dell’edificio.
«Mi sento debole, Annabeth» riprese Astrid. «Sai quanto ho resistito contro le lacrime, per Alex? Due giorni. Quarantott’ore. Nei vostri miti, Atlante regge il peso del mondo da secoli. Io sono una nullità a suo confronto.»
Rise, ma con una sfumatura amara, il più diversa possibile dall’allegria.
«La conosci quella sensazione, Annabeth? Quella che ti prende la notte, quando non riesci ad addormentarti e ciò che devi sopportare ti sembra troppo per le tue spalle? E allora vuoi piangere, ma non ci riesci, perché sei orgogliosa, perché non vuoi ammettere che quel peso ti ha schiacciata e continua a schiacciarti. Desideri gridare, ma la voce non ti esce, perché qualcuno potrebbe sentirti, e tu non vuoi che gli altri si accorgano che hai bisogno d’aiuto. Così, non ti resta che fissare il soffitto nella speranza di trovare la forza di farcela da sola, o almeno di avere quella per continuare a fingere di sorridere, che tutto vada bene, quando in realtà è tutto il contrario. E le lacrime che non hai versato ti si bloccano in gola, ti impediscono di respirare, ti avvelenano da dentro. Preferisci morire così, essere uno spettro, piuttosto che permetterti di essere debole. Di essere come tutti gli altri. Perché da te vuoi di più, vuoi essere di più, ma anche quando Lucifero peccò di superbia cadde dal Paradiso e finì negli Inferi. È lì, lì che ti aspetti di andare.»
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Quello che aveva detto era vero, faceva parte anche di me. Era quasi un’ironia che dietro tutto questo ci fosse un ragazzo, qualcuno per cui provavi dei sentimenti forti.
Senza quasi accorgermene, le raccontai di Luke. Le dissi che era la mia famiglia, che forse non gli bastavo più, che era disposto a stare dalla parte di Crono, che il titano ormai era dentro di lui, che tutti pensavo che il vero Luke non esistesse più, persino Percy e Talia, ma io no, continuavo a credere che lui fosse vivo.
Ammisi, per la prima volta ad alta voce, che mi ero sentita anch’io così, debole ma orgogliosa, e che la mia paura più grande era che gli altri avessero ragione e che ormai andassi avanti a credere che Luke fosse vivo solo per non sentirmi rinfacciare che avevo sbagliato.
Le rivelai che pensavo di amarlo, ma che non ne ero certa, che ero troppo legata a Percy. E sì, certe notti mi sentivo morire dentro e non avrei mosso un dito per cambiare la situazione.
Astrid sapeva ascoltare, come tutte le persone che avevano bisogno che qualcuno le confortasse. Quando finii, rimanemmo in silenzio per un po’, ad ascoltare i rumori della notte.
«Se Luke è dentro Crono, se è ancora vivo ed è la persona che tu mi hai raccontato, allora devi stare certa che si ribellerà» esordì di punto in bianco.
Sentii un magone all’altezza dello stomaco sciogliersi nel più puro sollievo.
«E se Alex non ti dirà che è innamorato di te, vorrà dire che ha deciso di saltare i preliminari e passare direttamente allo stadio successivo.»
Voltai la testa verso sinistra, incrociando il suo sguardo. Ci sorridemmo e ridacchiammo.
«Sono confusa. Noi due dovremmo odiarci, non essere amiche» osservai.
«Tu definisci questa conversazione da gruppo di sostegno per ragazze con problemi amicizia?» chiese.
«Siamo state davvero così melodrammatiche?» domandai.
«Peggio che in una telenovela spagnola» confermò lei.
«Da quando sei un’esperta di telenovele spagnole, Astrid?» la punzecchiai.
La figlia di Hell rise. «Vedo che stai imparando come rispondere a tono, brava.»
«Ho una buona insegnante.»
Mi tirai su, mi sistemai la felpa e le offrii una mano per alzarsi. Astrid accettò, sciolse le spalle e si riportò indietro dei ciuffi ribelli.
«Credo sia meglio se andiamo a dormire» disse.
«Ah-ah» concordai.
Fianco a fianco, camminammo verso la Casa di Atena, lasciandoci alle spalle il laghetto delle naiadi e molto altro.

*Hei/ Hvor er du? = ciao/ come stai? (traduzione di google italiano-norvegese)
**Don't even dare = non osare nemmeno (inglese, tutta farina del mio sacco)

koala's corner.
Eccoci di nuovo qui con un nuovo capitolo! Ringraziamo tutti per le splendide recensioni che ci lasciate, siamo lenti a recensire e ci dispiace.
I giorni di aggiornamente dovrebbero essere il lunedì e il mercoledì/giovedì, a seconda dei ritardi di Water perché io sono puntuale :P. Speriamo vivamente di riuscire a mantenere questo ritmo :D
Innanzitutto, vorrei spendere due paroline sull'ultima parte di questo capitolo perché, davvero, io non so quando sia nata questa vena melodrammatica. Magari ve le tagliate voi, le vene, per colpa mia^^" Anyway, il personaggio di Astrid viene delineato ancora di più, mostrando il suo dentro e il suo fuori, quello che è e quello che vorebbe essere. E' complicata, certo, perché cerco sempre di dare spessore ai miei pargoli.
Senza contare i tanti filmini mentali che aggiungiamo per i fini della storia e della Alrid.
Già *sorride maligna* Cogliete gli accenni Einar/Nico! Cogliete quelli Einar/Sarah!
No. Non fatelo. Per il vostro bene, no.
*cercano di zittirsi a vicenda*
Ehm, verde scrittrice, hai altro da dire.
Verde occhi di Percy, koala.
*AxXx sbuffa dietro le quinte commentando che tanto quel colore non c'è su EFP*
Giusto, secondo: c'è tanta di quella che potremmo definire Lukabeth. Premetto che non li shippo, per niente. Ma, per essere IC, devo rispettare la Annabeth riordiana. Se lei è ancora indecisa su Luke, non posso farla mortalmente sicura con Percy. Quindi, anche se sì, potrei modificare questo particolare, non descriverò un'Annabeth OOC.
Ultimo, ho la mania delle lingue, scusatemi se avete dovuto scorrere sotto per leggere la traduzione "ufficiale" ^^

E a voi non parla in tedesco ._. L'inglese ancora ancora, ma quella lingua è complicata quanto certi nomi degli dèi norreni. Piccola parentesi sulla mitologia: Skidbladnir si poteva vermante rimpicciolire tanto da entrare in una tasca. Forse i vichinghi facevano origami
Ok, il prossimo capitolo verrà pubblicato lunedì, vi aspettiamo!

Soon on VdN: Per la prima volta, POV Einar e POV Alex, che è un povero sfigato malvoluto da Freyja. Chi ha voglia di rientrare completamente ne "Lo Scontro Finale"?
  
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