Ok, sono un
po’ in ritardo con quest’ultimo capitolo, chiedo venia XD ma è stato un periodo
alquanto frenetico.
Comunque
adesso ci siamo, la storia finisce davvero perché questo è davvero l’ultimo
capitolo, e un po’ mi mancherà, ma qui non ho più nulla da raccontare :D
Spero che il
finale sia all’altezza delle aspettative e che vi piacerà ^^
Ringrazio
veramente di cuore tutti quelli che hanno seguito questa storia, che l’hanno
ricordata, preferita e che anche solo l’hanno letta, e ringrazio immensamente
chi si è fermato a recensirla.
Siete meravigliosi!
Voglio
dedicare questo capitolo alla mia meravigliosa nipotina che forse leggerà
queste storie quando sarà grande :D, al mio meraviglioso raggio di sole nella mia
vita! ^_^
Vi lascio all’ultimo
capitolo e spero, buona lettura!
14 – Il valore della
vita stessa
24 dicembre 2005
La stanza era silenziosa e avvolta
completamente dall'oscurità e chiunque avrebbe fatto fatica ad orientarsi, ma
non lui. Non Severus Snape che conosceva alla perfezione ogni angolo buio e
nascosto, e ricordava ogni singolo sussurro che era stato compiuto e ogni
singola lacrima che lui stesso aveva versato quando, assassino e traditore,
aveva usurpato e corrotto quel posto che non gli era mai appartenuto e che mai
lo aveva voluto.
Sarebbe stato per sempre l'assassino e il
traditore?
Per un attimo chiuse gli occhi e la
mente, e lentamente camminò per la stanza, posando rapide carezze su ogni
superficie, veloce, come se ognuna di esse avrebbe nuovamente trasudato sangue
al suo tocco. Con la sua sola presenza.
Sospirava, Severus, tra quei passi,
sospirava al ricordo di tutto ciò che era stato e che aveva fatto, a quelle
mani coperte di morte che avrebbero dovuto sfiorare la sua Hermione ogni
giorno della sua vita.
Non avrai di nuovo dei ripensamenti,
vero?
Severus sorrise alla sua coscienza, a
quella parte di sé che spesso lo aveva tirato fuori dal baratro in cui era
caduto molte volte e dove aveva rischiato di finire di nuovo quando aveva
sbattuto Hermione fuori dalla sua vita.
No. Non aveva alcun ripensamento.
Severus Snape aveva perso troppe
occasioni negli anni, per paura, per dovere, per un senso di colpa che lo aveva
reso immeritevole di ogni cosa bella, ma adesso era venuto il momento di
mantenere la stretta su quella, di occasione, quella che gli era entrata d’improvviso
in una stanza d'ospedale.
E stavolta non l'avrebbe lasciata andare.
Sorrise nuovamente, Severus, sorrise a
lei, a se stesso, alla sua nuova vita e all'amore, un brindisi inebriante sulle
labbra che mai aveva fatto, un dipinto che mai gli aveva colorato il viso.
Non in quel modo e non con quel valore.
Il valore della vita stessa.
E adesso ce l'aveva a portata di mano, ce
l'aveva a pochi passi.
«Allora è qui che ti sei rintanato!»
quella voce l'avrebbe riconosciuta in qualsiasi luogo ed era così felice di
sentirla di nuovo, che un ampio sorriso proveniente dal profondo della sua
anima, gli disegnò le labbra, e l'avrebbe persino abbracciata se non fosse
stato un gesto non da Severus Snape.
«Già. Mi ero immerso per un attimo nel
passato rimasto legato a questa stanza.»
«E di cosa ti parla adesso questa stanza,
Severus?» gli chiese mentre si avvicinava a lui con passo ancora malfermo,
sorreggendosi ad un bastone sul cui manico era intarsiato un leone, e
quell'immagine lo fece ridere: tipica
spavalderia Grifondoro!
«Di ricordi. Di dolori. Di risate. E di
speranze» le rispose mentre l'aiutava a sedersi su quella sedia che anche lui
aveva occupato senza alcun diritto, ma nei suoi pensieri non c'era più alcuna
amarezza, perché ormai era finito il tempo per dolersi ancora di tutto ciò che
era successo, ormai era il momento di andare avanti e di guardare al futuro con
un sorriso sulle labbra.
«Come stai, Minerva?»
«Oh, beh, sono sempre un Grifondoro
tosto. Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto!» e rise appena mentre lo
guardava con quello sguardo materno che sempre gli aveva riempito il cuore e
che nei giorni in cui si era impadronito di quella stessa stanza, avrebbe
voluto ricevere, anche solo per pochi secondi, anche solo per un istante, uno
soltanto, accennato mentre di nascosto guardava il quadro che ritraeva
Dumbledore: unicamente una tavolozza di colori di un mago che non c'era più.
«Sono felice che tu stia bene. Non avrei
sopportato anche la tua...»
«Andiamo, Severus, non è successo niente,
si è tutto risolto per il meglio. Io sto bene, tu sei finalmente felice e
innamorato: non potrei chiedere nulla di più.»
Snape le sorrise e senza dirle una parola
le strinse le mani tra le sue, carezzandole appena, carezzando quella pelle che
raccontava degli anni che erano passati e di tutte le battaglie che aveva
vinto; le sfiorò lentamente ogni singola vena e ruga con i polpastrelli, come
se volesse infondergli tutto il suo calore, come se volesse con quei gesti
dirle tutto ciò che non aveva mai avuto il coraggio di dirle apertamente.
«Minerva, io...»
«Severus, è tutto a posto, non devi dire
niente.»
«No. Non questa volta. Minerva, io non ti
ho mai realmente detto quanto tu sia stata importante per me in tutti questi
anni» e continuava ancora a stringere forte le sue mani. «Non ti ho mai detto
che per me sei stata una madre, la madre che non ho mai avuto. La mia famiglia.
Un punto di riferimento fondamentale della mia vita.»
Minerva si alzò a fatica dalla sedia,
sorretta dalle forti braccia di Snape e iniziò a piangere, a piangere forte, ma
il suo non era un pianto di dolore, erano lacrime di gioia e di felicità,
perché ascoltare quelle parole da Severus, erano per lei il più prezioso dei
doni che la vita le aveva concesso.
Poche parole che per lei erano il valore
della vita stessa, e lo furono ancora di più quando Severus, inaspettatamente,
la strinse a sé, in un forte abbraccio che aveva il sapore di tutta la loro
esistenza, di tutto quello che non si erano mai detti; e di quei sentimenti
contrastanti che avevano avvolto l'anziana strega in quegli interminabili mesi
in cui aveva dovuto guardare giorno dopo giorno l'uccisore di Albus, l'uomo che
li aveva ingannati tutti, l'uomo che aveva odiato profondamente nelle notti in
cui non riusciva a darsi alcuna spiegazione.
«Pensandoci bene, però, c'è qualcos’altro
che potrei chiederti.»
«Sarebbe?»
«Potresti far ballare questa vecchia
scopa» parlò scostandosi appena dal petto di Snape che rise a quelle parole,
rise serenamente a quel presente che lo stava aspettando.
«Sarà per me un vero onore» le rispose, e
Minerva pianse tra le braccia di Severus mentre un sorriso le piegava le
labbra.
Pianse felice nell'abbraccio di quel
figlio che non aveva mai avuto.
***
La festa andava avanti in tutta
tranquillità, la Sala Grande ospitava tutti gli studenti e gli insegnanti che
erano rimasti a scuola per le vacanze di Natale, ma c'erano anche tante altre
persone che si erano riunite in quel luogo che rappresentava il calore di una
famiglia per molti di loro.
Hogwarts era stata ed era una casa
per tutte le persone che in quel momento si trovavano tra le sue mura, tra
quell'abbraccio di pietra che nonostante tutto li aveva sempre protetti.
Severus camminava tra i maghi e le
streghe, stranamente sereno per quegli sguardi che riceveva e per quella festa
dalla quale in un tempo lontano si sarebbe defilato in silenzio e nell'ombra,
ma non in quel momento.
Non in quel presente.
Molti lo guardavano con ammirazione,
altri invece avevano sul volto ancora qualche traccia di reticenza, ma lui
avanzava incurante di ogni occhiata, perché gli sguardi che realmente lo
interessavano erano pochi, ed erano ciò che realmente aveva importanza nella
sua vita.
Hermione era là, sorridente a parlare con
i suoi amici, con quelli che erano diventati la sua famiglia da tanto tempo – e
anche la tua –, felice come non la vedeva da giorni, da prima che tutto gli
scivolasse nuovamente dalle mani.
Ed era stata di nuovo colpa sua, colpa
delle sue paure e della sua stupida ostinazione che lo aveva portato a credere
per anni di non meritare nient'altro che sofferenza e solitudine.
Invece, adesso, era tutto diverso.
Lui era diverso.
E aveva lei. Lei che sorrideva e aveva
permesso a lui di sorridere, sorridere alla vita.
Afferrò un calice di vino continuando ad
avanzare verso il fondo della sala, là dove per anni era stato seduto al lungo
tavolo degli insegnanti, come se fosse uno di loro, come se non fosse una
bambola di pezza manovrata da due diversi padroni.
Adesso, però, aveva tranciato quei fili, ed
erano spariti, e non c'era nient'altro che la sua volontà in ogni passo che
compiva su quella terra che lo aveva reclamato a lungo, che lo aveva reso un
dormiente per sette lunghi anni.
Mandò giù un sorso di vino, lentamente,
mentre guardava Hermione tra tutti gli altri, mentre la osservava voltarsi
verso di lui e sorridergli con quelle labbra che voleva assaporare ogni giorno
e ogni notte, e anche in quel momento avrebbe voluto assaporarle, baciarle e
morderle con tutta la passione che aveva dentro.
La giovane strega gli si avvicinò e gli
chiese dov'era stato fino a quel momento.
«Nell'ufficio di Dumbledore a parlare con
Minerva.»
«Va tutto bene?» gli domandò
preoccupandosi e ben sapendo cosa significasse ancora quel luogo per lui;
d'altronde gli ultimi passi nel Castello li aveva compiuti da omicida impostore,
per questo motivo non doveva essere facile per lui tornare lì, inspirare quella
stessa aria che aveva respirato a lungo nel buio della sua stessa esistenza.
«Tutto bene. Adesso va tutto bene» e le
sorrise, serenamente, sfiorandole il viso con le dita.
«Bene. Molto bene. Devo dirti una cosa.»
Si era ripresa, Hermione, si era ripresa
come se quegli ultimi giorni non fossero mai esistiti, come se quella mattina
di novembre fosse nient'altro che una fotografia sbiadita, poggiata sul fuoco a
bruciare.
E lei era rimasta ad osservare le
immagini del loro amore ardere sulle fiamme, guardare senza poter fare nulla,
senza poter allungare le mani su tutto quello che gli stava scivolando via; su
quegli occhi neri che le erano svaniti davanti al viso.
In quel momento, però, gli occhi neri di
Severus erano di nuovo davanti a lei, sfumati di una felicità che forse non gli
aveva mai visto addosso.
Camminarono verso un angolo in disparte
per poter parlare in tutta tranquillità senza correre il rischio di essere
ascoltati da tutti gli avventori della Sala Grande.
«Abbiamo un piccolo problema» gli disse
mentre si torturava il vestito, nero come lo sguardo del mago che le era di
fronte e la guardava sorridente, con un sorriso strano, che, ammise Hermione,
nascondeva una certa sfumatura di malizia.
«Sarebbe?»
«Beh, ecco...» il suo guardare insistente
quel vestito che non la copriva poi molto, la rese irrequieta, e quelle parole
facevano fatica ad uscire.
«Allora?»
«È successo tutto così in fretta ed io
non è che prima di te avessi avuto una vita...»
«Una vita?» la invitò a continuare con
sguardo curioso.
«Una vita sessuale attiva,» ma Hermione
parlò così piano che Severus non aveva capito una parola.
«Puoi ripetere?»
«E dai che hai capito.»
«Se tu parli con un tono di voce così
poco udibile, mi è davvero difficile comprenderti, a meno che non diventi un
pipistrello capace di captare gli ultrasuoni.» Snape si bloccò alzando entrambe
le sopracciglia. «E non ti conviene fare alcuna battuta in proposito.»
Ad Hermione venne da ridere, ma cercò di
darsi un contegno per non rischiare di finire affatturata da qualche parte nel
Castello.
«Quindi, se gentilmente potresti ripetere
ciò che hai detto, te ne sarei grato.»
«Ho detto: “vita sessuale attiva”! Hai
capito, adesso?» ma Hermione stavolta aveva parlato con un tono di voce troppo
alto che fece voltare tutti.
«Temo che adesso abbiano capito tutti» e
sorrise cercando di rimanere il più serio possibile. «Cosa c'è che non va nella
tua vita sessuale?» aggiunse piuttosto piccato, incrociando le braccia al petto
come se fosse un bambino capriccioso qualunque, e se non fosse stata una
situazione piuttosto seria, Hermione sarebbe di certo scoppiata a ridere.
«Io non ho detto che la mia vita... oh,
Merlino...» sospirò così a lungo da rimanere senza fiato. «Credo di essere
incinta.»
«Cosa?» anche stavolta la giovane strega
aveva parlato solo con se stessa.
«Sono incinta!»
«Ti è così difficile mantenere una conversazione
privata, “privata”?» le disse mentre tutti si erano voltati di nuovo a
guardarli con espressione piuttosto sbigottita. «Aspetta un attimo. Che cosa
hai detto?»
«Io... mi dispiace. È successo, non so
come. Cioè, lo so come, ma è stato tutto così... così veloce ed io non ho
pensato minimamente a ciò che sarebbe potuto succedere. Agli inconvenienti.
Avrei dovuto prendere delle precauzioni.»
«Hai finito?»
Ma Hermione neppure lo stava ascoltando e
continuò a parlare. «Sono stata così stupida e inesperta, e tu... mi dispiace,
davvero.»
«Hermione la smetti di parlare?»
«Non avrei dovuto metterti in questa
situazione. Mi dispiace.»
«Smettila!»
La giovane strega alzò a fatica gli occhi
da terra, anche se non aveva il coraggio di guardarlo in viso, e bloccò la
vista sul suo petto: era stata davvero un'incosciente e adesso aveva davvero
paura delle conseguenze. L'avrebbe allontanata di nuovo?
Severus Snape rimase in silenzio,
guardandola con un sorriso sulle labbra che lei non riusciva a vedere, e in un
attimo la strinse a sé, con forza e con amore. Con tutto l'amore di cui era
capace.
«Ci saranno davvero degli Snape alla
conquista – e distruzione – del mondo! Insieme ai Potter.» alcune lacrime di
felicità gli scesero sul volto mentre non riusciva a smettere di ridere, e non
gli importava che tutti lo stessero guardando, non più, ormai. Avrebbero potuto
dire o pensare ciò che volevano e potevano anche fissarlo mentre piangeva
stringendo tra le braccia la donna che lo aveva riportato alla vita.
«Cosa?»
«Lo avevo detto ad Harry sulla tomba di
Dumbledore.»
«Sarà anche un o una
Granger, sai?»
«E di questo ho già paura!»
Risero entrambi mentre erano ancora
stretti l'una nell'altro, e il mondo intorno a loro aveva smesso di muoversi e
di gridare, mentre una donna se ne stava appartata in un angolo a sorridere e
piangere nell'osservare quell'uomo; dopo tanto dolore e solitudine, era
riuscito ad abbracciare quell'amore e quella felicità che avevano il volto di
una giovane donna determinata e innamorata che gli aveva permesso di vivere per
la prima volta e veramente la sua vita, come mai aveva fatto.
E risero nel momento in cui la piccola
porzione di quel mondo levava alta i calici verso il cielo sopra di loro,
festeggiando quel Natale che stava accogliendo una nuova vita.
***
5 ottobre 2006
«Ciao, mamma. Ciao, papà.»
Il cimitero era deserto e silenzioso, e
la prima pioggia del giorno iniziava a cadere su quelle tombe che
resistevano a fatica alle intemperie del tempo.
Alcune di esse stavano inesorabilmente
crollando a terra, mentre altre sporgevano dal suolo come vecchie radici di
alberi ormai morti che la luce del sole non avrebbe risvegliato né l'acqua del
cielo li avrebbe più nutriti.
«Non sono mai venuto a trovarvi, è vero,
anche se molti direbbero che non posso essere biasimato per questo, ma io so
che non è così. È un'altra delle mie mancanze che ho accumulato nella vita,
un'altra colpa di cui è costellata la mia esistenza.»
Guardava le lapidi piegate e sporche con
uno sguardo che non nascondeva alcuna nostalgia, perché non c'era rimpianto in
quel passato, nessuna malinconia legata a ciò che erano stati per lui quella
madre e padre custoditi dalla terra, che non era mai riuscito a chiamare con
serenità in quel modo.
Alla parola “padre” aveva sempre
associato il viso di Dumbledore, e lo avrebbe fatto anche allora, in piedi davanti
a quelle tombe, e persino alla parola “madre” non era mai riuscito a vedere a
lungo il volto di Eileen così simile al suo: era un'immagine che durava il
tempo di un istante perché quel viso veniva in un attimo soppiantato dal
sorriso e dagli occhi di Minerva.
Era una reazione inconscia che non poteva
controllare.
«Ma non sono qui a chiedervi perdono, no.
Forse perché siete voi che per primi dovreste chiedermi scusa, ma non importa
neppure questo. Il mio perdono lo avete ottenuto da tempo, anche se non sono
persona che può arrogarsi il diritto di concederlo o no. Io non l'ho meritato
per lungo tempo e ancora penso di non meritarlo per molte cose che ho fatto
nella vita.»
Osservava immobile l'ultima dimora dei
loro genitori, osservava come mai aveva fatto in tutti quegli anni, troppo tormento
intriso in quelle pietre dove non c'era il frammento di una luce, di un ricordo
piacevole come quelli che lo colpivano quando andava a trovare Lily o si fermava
alla tomba di Dumbledore.
«Adesso, però, è tutto diverso. Adesso
c'è lei. Adesso ci sono loro» un cenno di pianto interruppe Snape che sorrise,
sorrise tranquillo, mentre si voltò appena a guardare la giovane donna che lo
stava aspettando all'ombra di un albero.
«Lei è Sarah,» e delle manine si
agitarono appena tra le braccia di Severus. «È ciò per cui è servita la mia
vita, è il dono di tutti questi anni di dolore e solitudine, è il motivo per
cui sono ancora qui. Per cui ho sopportato innumerevoli sofferenze.»
Strinse a sé quella piccola vita, la
strinse e la avvicinò al suo viso per darle un delicato bacio sulla fronte,
come aveva fatto tante volte fin da quando era nata e l'aveva stretta tra le
braccia timoroso sentendosi inadatto per quel ruolo; era bastato vedere quelle
piccole dita agitarsi appena per cancellare ogni paura, era bastato guardare
gli occhi ancora chiusi di sua figlia per dissipare ogni briciolo di buio
rimasto nella sua anima.
«È il valore della vita stessa.»
Severus s’inginocchiò sulla terra bagnata
dalla pioggia per sfiorare quelle lettere che erano ciò che rimaneva dei suoi
genitori, il loro ricordo e quel poco di bello che gli era rimasto nel cuore.
Stette per alcuni minuti immobile ad
osservare la loro tomba mentre stringeva sua figlia tra le braccia, assonnata
nel tepore del suo abbraccio, rimase lì mentre alcune rose che sua madre tanto
amava, si stavano aprendo, rosso su quella pietra sporca.
La pioggia sembrava voler dare un po' di
tregua quando Snape si alzò e in silenzio si allontanò dai suoi genitori, e
smise di cadere mentre camminava verso Hermione che lo attendeva poco lontano
con un tenero sorriso sulle labbra.
Si allontanarono da quel luogo chiudendo
i conti con quell'ultimo passato che gli era rimasto dentro, con le ultime
ombre della sua vita e si allontanò, con sua figlia stretta nel suo abbraccio e
le dita della donna che amava legate alle sue: un intreccio che non era solo di
carne, ma di corpo e anima e dell'essenza delle loro vite che come un fiume in
piena li aveva travolti entrambi.
«Ti amo, Hermione» le disse mentre la
piccola Sarah allungava le braccia per afferrargli i lunghi capelli neri.
«Ti amo anch’io, Severus» e lo baciò, con
quella stessa passione che aveva provato la prima volta che aveva posto le
labbra su quelle del mago, e lo baciava ancora quando sua figlia iniziò ad
agitarsi e a piangere.
«Amiamo anche te, Sarah, stai tranquilla.
Mamma e papà ti amano tanto e ti ameranno per sempre» e sorrisero quando si
calmò sfregandosi distrattamente gli occhi, quello sguardo del tutto identico a
quello del mago.
Era stato per sette lunghi anni
addormentato in un letto d’ospedale mentre, senza saperlo, una giovane strega
si era presa cura di lui, giorno dopo giorno e notte dopo notte.
Adesso erano lì, in quell’intimo
abbraccio che li legava l’uno all’altra con il frutto dei loro più profondi
sentimenti tra le mani, stringendo tra le loro anime quell’anno che lungo e
difficile li aveva portati a scoprire finalmente l’amore.
Perché quando due persone sono destinate
ad appartenersi, è sufficiente poco tempo per innamorarsi, per amarsi
veramente, e a loro erano bastati dodici meravigliosi e intensi mesi.