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Autore: Cheonefer86    27/02/2014    7 recensioni
Sono passati sette anni dalla fine della guerra e Severus Snape è da sette lunghi anni in coma in un letto d’ospedale senza alcuna intenzione di svegliarsi.
Andavano tutti a trovarlo e intorno a lui tutti erano così uniti nonostante quello che la guerra aveva lasciato dentro di loro.
Qualcuno andava più di altri a trovare il mago, in ogni momento libero tra studio e lavoro si ritrovava in quella stanza a riflettere e a parlargli come se potesse in qualche modo svegliarlo.
Inoltre, Hermione Granger – sì, proprio lei – era innamorata del suo ex insegnante di Pozioni e sapeva di essere destinata ad amare il fantasma di un uomo di cui sarebbe rimasta soltanto l’ombra, ma era proprio così? O qualcosa avrebbe potuto davvero risvegliarlo?
(EDIT: cambiato titolo provvisorio in definitivo)
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton, Un po' tutti | Coppie: Hermione/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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14 – Il valore della vita stessa

Ok, sono un po’ in ritardo con quest’ultimo capitolo, chiedo venia XD ma è stato un periodo alquanto frenetico.

Comunque adesso ci siamo, la storia finisce davvero perché questo è davvero l’ultimo capitolo, e un po’ mi mancherà, ma qui non ho più nulla da raccontare :D

Spero che il finale sia all’altezza delle aspettative e che vi piacerà ^^

Ringrazio veramente di cuore tutti quelli che hanno seguito questa storia, che l’hanno ricordata, preferita e che anche solo l’hanno letta, e ringrazio immensamente chi si è fermato a recensirla.

Siete meravigliosi!

 

Voglio dedicare questo capitolo alla mia meravigliosa nipotina che forse leggerà queste storie quando sarà grande :D, al mio meraviglioso raggio di sole nella mia vita! ^_^

 

Vi lascio all’ultimo capitolo e spero, buona lettura!

 

 

14 – Il valore della vita stessa

 

24 dicembre 2005

 

La stanza era silenziosa e avvolta completamente dall'oscurità e chiunque avrebbe fatto fatica ad orientarsi, ma non lui. Non Severus Snape che conosceva alla perfezione ogni angolo buio e nascosto, e ricordava ogni singolo sussurro che era stato compiuto e ogni singola lacrima che lui stesso aveva versato quando, assassino e traditore, aveva usurpato e corrotto quel posto che non gli era mai appartenuto e che mai lo aveva voluto.

Sarebbe stato per sempre l'assassino e il traditore?

Per un attimo chiuse gli occhi e la mente, e lentamente camminò per la stanza, posando rapide carezze su ogni superficie, veloce, come se ognuna di esse avrebbe nuovamente trasudato sangue al suo tocco. Con la sua sola presenza.

Sospirava, Severus, tra quei passi, sospirava al ricordo di tutto ciò che era stato e che aveva fatto, a quelle mani coperte di morte che avrebbero dovuto sfiorare la sua Hermione ogni giorno della sua vita.

Non avrai di nuovo dei ripensamenti, vero?

Severus sorrise alla sua coscienza, a quella parte di sé che spesso lo aveva tirato fuori dal baratro in cui era caduto molte volte e dove aveva rischiato di finire di nuovo quando aveva sbattuto Hermione fuori dalla sua vita.

No. Non aveva alcun ripensamento.

Severus Snape aveva perso troppe occasioni negli anni, per paura, per dovere, per un senso di colpa che lo aveva reso immeritevole di ogni cosa bella, ma adesso era venuto il momento di mantenere la stretta su quella, di occasione, quella che gli era entrata d’improvviso in una stanza d'ospedale.

E stavolta non l'avrebbe lasciata andare.

Sorrise nuovamente, Severus, sorrise a lei, a se stesso, alla sua nuova vita e all'amore, un brindisi inebriante sulle labbra che mai aveva fatto, un dipinto che mai gli aveva colorato il viso.

Non in quel modo e non con quel valore.

Il valore della vita stessa.

E adesso ce l'aveva a portata di mano, ce l'aveva a pochi passi.

«Allora è qui che ti sei rintanato!» quella voce l'avrebbe riconosciuta in qualsiasi luogo ed era così felice di sentirla di nuovo, che un ampio sorriso proveniente dal profondo della sua anima, gli disegnò le labbra, e l'avrebbe persino abbracciata se non fosse stato un gesto non da Severus Snape.

«Già. Mi ero immerso per un attimo nel passato rimasto legato a questa stanza.»

«E di cosa ti parla adesso questa stanza, Severus?» gli chiese mentre si avvicinava a lui con passo ancora malfermo, sorreggendosi ad un bastone sul cui manico era intarsiato un leone, e quell'immagine lo fece ridere: tipica spavalderia Grifondoro!

«Di ricordi. Di dolori. Di risate. E di speranze» le rispose mentre l'aiutava a sedersi su quella sedia che anche lui aveva occupato senza alcun diritto, ma nei suoi pensieri non c'era più alcuna amarezza, perché ormai era finito il tempo per dolersi ancora di tutto ciò che era successo, ormai era il momento di andare avanti e di guardare al futuro con un sorriso sulle labbra.

«Come stai, Minerva?»

«Oh, beh, sono sempre un Grifondoro tosto. Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto!» e rise appena mentre lo guardava con quello sguardo materno che sempre gli aveva riempito il cuore e che nei giorni in cui si era impadronito di quella stessa stanza, avrebbe voluto ricevere, anche solo per pochi secondi, anche solo per un istante, uno soltanto, accennato mentre di nascosto guardava il quadro che ritraeva Dumbledore: unicamente una tavolozza di colori di un mago che non c'era più.

«Sono felice che tu stia bene. Non avrei sopportato anche la tua...»

«Andiamo, Severus, non è successo niente, si è tutto risolto per il meglio. Io sto bene, tu sei finalmente felice e innamorato: non potrei chiedere nulla di più.»

Snape le sorrise e senza dirle una parola le strinse le mani tra le sue, carezzandole appena, carezzando quella pelle che raccontava degli anni che erano passati e di tutte le battaglie che aveva vinto; le sfiorò lentamente ogni singola vena e ruga con i polpastrelli, come se volesse infondergli tutto il suo calore, come se volesse con quei gesti dirle tutto ciò che non aveva mai avuto il coraggio di dirle apertamente.

«Minerva, io...»

«Severus, è tutto a posto, non devi dire niente.»

«No. Non questa volta. Minerva, io non ti ho mai realmente detto quanto tu sia stata importante per me in tutti questi anni» e continuava ancora a stringere forte le sue mani. «Non ti ho mai detto che per me sei stata una madre, la madre che non ho mai avuto. La mia famiglia. Un punto di riferimento fondamentale della mia vita.»

Minerva si alzò a fatica dalla sedia, sorretta dalle forti braccia di Snape e iniziò a piangere, a piangere forte, ma il suo non era un pianto di dolore, erano lacrime di gioia e di felicità, perché ascoltare quelle parole da Severus, erano per lei il più prezioso dei doni che la vita le aveva concesso.

Poche parole che per lei erano il valore della vita stessa, e lo furono ancora di più quando Severus, inaspettatamente, la strinse a sé, in un forte abbraccio che aveva il sapore di tutta la loro esistenza, di tutto quello che non si erano mai detti; e di quei sentimenti contrastanti che avevano avvolto l'anziana strega in quegli interminabili mesi in cui aveva dovuto guardare giorno dopo giorno l'uccisore di Albus, l'uomo che li aveva ingannati tutti, l'uomo che aveva odiato profondamente nelle notti in cui non riusciva a darsi alcuna spiegazione.

«Pensandoci bene, però, c'è qualcos’altro che potrei chiederti.»

«Sarebbe?»

«Potresti far ballare questa vecchia scopa» parlò scostandosi appena dal petto di Snape che rise a quelle parole, rise serenamente a quel presente che lo stava aspettando.

«Sarà per me un vero onore» le rispose, e Minerva pianse tra le braccia di Severus mentre un sorriso le piegava le labbra.

Pianse felice nell'abbraccio di quel figlio che non aveva mai avuto.

 

***

 

La festa andava avanti in tutta tranquillità, la Sala Grande ospitava tutti gli studenti e gli insegnanti che erano rimasti a scuola per le vacanze di Natale, ma c'erano anche tante altre persone che si erano riunite in quel luogo che rappresentava il calore di una famiglia per molti di loro.

Hogwarts era stata ed era una casa per tutte le persone che in quel momento si trovavano tra le sue mura, tra quell'abbraccio di pietra che nonostante tutto li aveva sempre protetti.

Severus camminava tra i maghi e le streghe, stranamente sereno per quegli sguardi che riceveva e per quella festa dalla quale in un tempo lontano si sarebbe defilato in silenzio e nell'ombra, ma non in quel momento.

Non in quel presente.

Molti lo guardavano con ammirazione, altri invece avevano sul volto ancora qualche traccia di reticenza, ma lui avanzava incurante di ogni occhiata, perché gli sguardi che realmente lo interessavano erano pochi, ed erano ciò che realmente aveva importanza nella sua vita.

Hermione era là, sorridente a parlare con i suoi amici, con quelli che erano diventati la sua famiglia da tanto tempo – e anche la tua –, felice come non la vedeva da giorni, da prima che tutto gli scivolasse nuovamente dalle mani.

Ed era stata di nuovo colpa sua, colpa delle sue paure e della sua stupida ostinazione che lo aveva portato a credere per anni di non meritare nient'altro che sofferenza e solitudine.

Invece, adesso, era tutto diverso.

Lui era diverso.

E aveva lei. Lei che sorrideva e aveva permesso a lui di sorridere, sorridere alla vita.

Afferrò un calice di vino continuando ad avanzare verso il fondo della sala, là dove per anni era stato seduto al lungo tavolo degli insegnanti, come se fosse uno di loro, come se non fosse una bambola di pezza manovrata da due diversi padroni.

Adesso, però, aveva tranciato quei fili, ed erano spariti, e non c'era nient'altro che la sua volontà in ogni passo che compiva su quella terra che lo aveva reclamato a lungo, che lo aveva reso un dormiente per sette lunghi anni.

Mandò giù un sorso di vino, lentamente, mentre guardava Hermione tra tutti gli altri, mentre la osservava voltarsi verso di lui e sorridergli con quelle labbra che voleva assaporare ogni giorno e ogni notte, e anche in quel momento avrebbe voluto assaporarle, baciarle e morderle con tutta la passione che aveva dentro.

La giovane strega gli si avvicinò e gli chiese dov'era stato fino a quel momento.

«Nell'ufficio di Dumbledore a parlare con Minerva.»

«Va tutto bene?» gli domandò preoccupandosi e ben sapendo cosa significasse ancora quel luogo per lui; d'altronde gli ultimi passi nel Castello li aveva compiuti da omicida impostore, per questo motivo non doveva essere facile per lui tornare lì, inspirare quella stessa aria che aveva respirato a lungo nel buio della sua stessa esistenza.

«Tutto bene. Adesso va tutto bene» e le sorrise, serenamente, sfiorandole il viso con le dita.

«Bene. Molto bene. Devo dirti una cosa.»

Si era ripresa, Hermione, si era ripresa come se quegli ultimi giorni non fossero mai esistiti, come se quella mattina di novembre fosse nient'altro che una fotografia sbiadita, poggiata sul fuoco a bruciare.

E lei era rimasta ad osservare le immagini del loro amore ardere sulle fiamme, guardare senza poter fare nulla, senza poter allungare le mani su tutto quello che gli stava scivolando via; su quegli occhi neri che le erano svaniti davanti al viso.

In quel momento, però, gli occhi neri di Severus erano di nuovo davanti a lei, sfumati di una felicità che forse non gli aveva mai visto addosso.

Camminarono verso un angolo in disparte per poter parlare in tutta tranquillità senza correre il rischio di essere ascoltati da tutti gli avventori della Sala Grande.

«Abbiamo un piccolo problema» gli disse mentre si torturava il vestito, nero come lo sguardo del mago che le era di fronte e la guardava sorridente, con un sorriso strano, che, ammise Hermione, nascondeva una certa sfumatura di malizia.

«Sarebbe?»

«Beh, ecco...» il suo guardare insistente quel vestito che non la copriva poi molto, la rese irrequieta, e quelle parole facevano fatica ad uscire.

«Allora?»

«È successo tutto così in fretta ed io non è che prima di te avessi avuto una vita...»

«Una vita?» la invitò a continuare con sguardo curioso.

«Una vita sessuale attiva,» ma Hermione parlò così piano che Severus non aveva capito una parola.

«Puoi ripetere?»

«E dai che hai capito.»

«Se tu parli con un tono di voce così poco udibile, mi è davvero difficile comprenderti, a meno che non diventi un pipistrello capace di captare gli ultrasuoni.» Snape si bloccò alzando entrambe le sopracciglia. «E non ti conviene fare alcuna battuta in proposito.»

Ad Hermione venne da ridere, ma cercò di darsi un contegno per non rischiare di finire affatturata da qualche parte nel Castello.

«Quindi, se gentilmente potresti ripetere ciò che hai detto, te ne sarei grato.»

«Ho detto: “vita sessuale attiva”! Hai capito, adesso?» ma Hermione stavolta aveva parlato con un tono di voce troppo alto che fece voltare tutti.

«Temo che adesso abbiano capito tutti» e sorrise cercando di rimanere il più serio possibile. «Cosa c'è che non va nella tua vita sessuale?» aggiunse piuttosto piccato, incrociando le braccia al petto come se fosse un bambino capriccioso qualunque, e se non fosse stata una situazione piuttosto seria, Hermione sarebbe di certo scoppiata a ridere.

«Io non ho detto che la mia vita... oh, Merlino...» sospirò così a lungo da rimanere senza fiato. «Credo di essere incinta.»

«Cosa?» anche stavolta la giovane strega aveva parlato solo con se stessa.

«Sono incinta!»

«Ti è così difficile mantenere una conversazione privata, “privata”?» le disse mentre tutti si erano voltati di nuovo a guardarli con espressione piuttosto sbigottita. «Aspetta un attimo. Che cosa hai detto?»

«Io... mi dispiace. È successo, non so come. Cioè, lo so come, ma è stato tutto così... così veloce ed io non ho pensato minimamente a ciò che sarebbe potuto succedere. Agli inconvenienti. Avrei dovuto prendere delle precauzioni.»

«Hai finito?»

Ma Hermione neppure lo stava ascoltando e continuò a parlare. «Sono stata così stupida e inesperta, e tu... mi dispiace, davvero.»

«Hermione la smetti di parlare?»

«Non avrei dovuto metterti in questa situazione. Mi dispiace.»

«Smettila!»

La giovane strega alzò a fatica gli occhi da terra, anche se non aveva il coraggio di guardarlo in viso, e bloccò la vista sul suo petto: era stata davvero un'incosciente e adesso aveva davvero paura delle conseguenze. L'avrebbe allontanata di nuovo?

Severus Snape rimase in silenzio, guardandola con un sorriso sulle labbra che lei non riusciva a vedere, e in un attimo la strinse a sé, con forza e con amore. Con tutto l'amore di cui era capace.

«Ci saranno davvero degli Snape alla conquista – e distruzione – del mondo! Insieme ai Potter.» alcune lacrime di felicità gli scesero sul volto mentre non riusciva a smettere di ridere, e non gli importava che tutti lo stessero guardando, non più, ormai. Avrebbero potuto dire o pensare ciò che volevano e potevano anche fissarlo mentre piangeva stringendo tra le braccia la donna che lo aveva riportato alla vita.

«Cosa?»

«Lo avevo detto ad Harry sulla tomba di Dumbledore.»

«Sarà anche un o una Granger, sai?»

«E di questo ho già paura!»

Risero entrambi mentre erano ancora stretti l'una nell'altro, e il mondo intorno a loro aveva smesso di muoversi e di gridare, mentre una donna se ne stava appartata in un angolo a sorridere e piangere nell'osservare quell'uomo; dopo tanto dolore e solitudine, era riuscito ad abbracciare quell'amore e quella felicità che avevano il volto di una giovane donna determinata e innamorata che gli aveva permesso di vivere per la prima volta e veramente la sua vita, come mai aveva fatto.

E risero nel momento in cui la piccola porzione di quel mondo levava alta i calici verso il cielo sopra di loro, festeggiando quel Natale che stava accogliendo una nuova vita.

 

***

 

5 ottobre 2006

 

«Ciao, mamma. Ciao, papà

Il cimitero era deserto e silenzioso, e la prima pioggia del giorno iniziava a cadere su quelle tombe che resistevano a fatica alle intemperie del tempo.

Alcune di esse stavano inesorabilmente crollando a terra, mentre altre sporgevano dal suolo come vecchie radici di alberi ormai morti che la luce del sole non avrebbe risvegliato né l'acqua del cielo li avrebbe più nutriti.

«Non sono mai venuto a trovarvi, è vero, anche se molti direbbero che non posso essere biasimato per questo, ma io so che non è così. È un'altra delle mie mancanze che ho accumulato nella vita, un'altra colpa di cui è costellata la mia esistenza.»

Guardava le lapidi piegate e sporche con uno sguardo che non nascondeva alcuna nostalgia, perché non c'era rimpianto in quel passato, nessuna malinconia legata a ciò che erano stati per lui quella madre e padre custoditi dalla terra, che non era mai riuscito a chiamare con serenità in quel modo.

Alla parola “padre” aveva sempre associato il viso di Dumbledore, e lo avrebbe fatto anche allora, in piedi davanti a quelle tombe, e persino alla parola “madre” non era mai riuscito a vedere a lungo il volto di Eileen così simile al suo: era un'immagine che durava il tempo di un istante perché quel viso veniva in un attimo soppiantato dal sorriso e dagli occhi di Minerva.

Era una reazione inconscia che non poteva controllare.

«Ma non sono qui a chiedervi perdono, no. Forse perché siete voi che per primi dovreste chiedermi scusa, ma non importa neppure questo. Il mio perdono lo avete ottenuto da tempo, anche se non sono persona che può arrogarsi il diritto di concederlo o no. Io non l'ho meritato per lungo tempo e ancora penso di non meritarlo per molte cose che ho fatto nella vita.»

Osservava immobile l'ultima dimora dei loro genitori, osservava come mai aveva fatto in tutti quegli anni, troppo tormento intriso in quelle pietre dove non c'era il frammento di una luce, di un ricordo piacevole come quelli che lo colpivano quando andava a trovare Lily o si fermava alla tomba di Dumbledore.

«Adesso, però, è tutto diverso. Adesso c'è lei. Adesso ci sono loro» un cenno di pianto interruppe Snape che sorrise, sorrise tranquillo, mentre si voltò appena a guardare la giovane donna che lo stava aspettando all'ombra di un albero.

«Lei è Sarah,» e delle manine si agitarono appena tra le braccia di Severus. «È ciò per cui è servita la mia vita, è il dono di tutti questi anni di dolore e solitudine, è il motivo per cui sono ancora qui. Per cui ho sopportato innumerevoli sofferenze.»

Strinse a sé quella piccola vita, la strinse e la avvicinò al suo viso per darle un delicato bacio sulla fronte, come aveva fatto tante volte fin da quando era nata e l'aveva stretta tra le braccia timoroso sentendosi inadatto per quel ruolo; era bastato vedere quelle piccole dita agitarsi appena per cancellare ogni paura, era bastato guardare gli occhi ancora chiusi di sua figlia per dissipare ogni briciolo di buio rimasto nella sua anima.

«È il valore della vita stessa.»

Severus s’inginocchiò sulla terra bagnata dalla pioggia per sfiorare quelle lettere che erano ciò che rimaneva dei suoi genitori, il loro ricordo e quel poco di bello che gli era rimasto nel cuore.

Stette per alcuni minuti immobile ad osservare la loro tomba mentre stringeva sua figlia tra le braccia, assonnata nel tepore del suo abbraccio, rimase lì mentre alcune rose che sua madre tanto amava, si stavano aprendo, rosso su quella pietra sporca.

La pioggia sembrava voler dare un po' di tregua quando Snape si alzò e in silenzio si allontanò dai suoi genitori, e smise di cadere mentre camminava verso Hermione che lo attendeva poco lontano con un tenero sorriso sulle labbra.

Si allontanarono da quel luogo chiudendo i conti con quell'ultimo passato che gli era rimasto dentro, con le ultime ombre della sua vita e si allontanò, con sua figlia stretta nel suo abbraccio e le dita della donna che amava legate alle sue: un intreccio che non era solo di carne, ma di corpo e anima e dell'essenza delle loro vite che come un fiume in piena li aveva travolti entrambi.

«Ti amo, Hermione» le disse mentre la piccola Sarah allungava le braccia per afferrargli i lunghi capelli neri.

«Ti amo anch’io, Severus» e lo baciò, con quella stessa passione che aveva provato la prima volta che aveva posto le labbra su quelle del mago, e lo baciava ancora quando sua figlia iniziò ad agitarsi e a piangere.

«Amiamo anche te, Sarah, stai tranquilla. Mamma e papà ti amano tanto e ti ameranno per sempre» e sorrisero quando si calmò sfregandosi distrattamente gli occhi, quello sguardo del tutto identico a quello del mago.

Era stato per sette lunghi anni addormentato in un letto d’ospedale mentre, senza saperlo, una giovane strega si era presa cura di lui, giorno dopo giorno e notte dopo notte.

Adesso erano lì, in quell’intimo abbraccio che li legava l’uno all’altra con il frutto dei loro più profondi sentimenti tra le mani, stringendo tra le loro anime quell’anno che lungo e difficile li aveva portati a scoprire finalmente l’amore.

Perché quando due persone sono destinate ad appartenersi, è sufficiente poco tempo per innamorarsi, per amarsi veramente, e a loro erano bastati dodici meravigliosi e intensi mesi.

 

   
 
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