Ventotto febbraio: una serata come tutte le altre.
Respiro a fondo,
inalando ad intervalli alterni il tuo profumo
- non voglio inebriarmi bruscamente, violentemente -;
mi sembra trascorsa solo una manciata di secondi
e, di nuovo, una volta in più ti vedo sparire nella pioggia,
divorato dall’oscurità della strada: ciottoli e fanghiglia
attutiscono le mie parole vuote,
fanno echeggiare i tuoi passi disinteressanti;
e io me ne vado, e tu ti allontani;
mi volto, ma tu non vedi, non senti, non capisci.
E mi dico che, nonostante tutto,
- sebbene i polmoni sussultano e il cuore langue –
è meglio così; è giusto così.
Non sognare troppo arditamente
o ti brucerai le ciocche di capelli profumati
e i polpastrelli incerti si bucheranno maldestramente
nel disperato tentativo di afferrare l’impossibile.
*