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Autore: martaparrilla    02/03/2014    5 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non avrei mai pensato di riuscire a controllarmi in questo modo. Era ancora avvolta nell'accappatoio e benchè tentassi di non pensarci non riuscivo a smettere di immaginare il suo perfetto corpo nudo sotto di esso. Ho fatto di tutto per non cedere alla tentazione di farla mia: mi ero concentrata sulla sua mano, poi sul cibo, poi sull'ordine della casa, cosa che era riuscita a fare in una sola ora.

Ma quando me la sono ritrovata a dieci centimetri da me non potevo non dirle quello che mi faceva sentire.

Quello che volevo fare.

E sarebbe successo esattamente in quel punto, accanto al frigorifero, se non fosse arrivata la pizza.

La sua voce rauca, stupita, curiosa. L'ho stretta forte a me scostando l'accappatoio dal suo corpo. La sua pelle morbida e bianca mi faceva sentire totalmente imperfetta e fragile. I suoi seni, fermi e tondi sul suo petto, sembravano quasi finti e la pulsazione dell'arteria sul suo collo...quella la rendeva ancora più eccitante, se mai questo fosse stato possibile.

Con tutta la forza che ho in corpo, mi allontano da lei per aprire al fattorino della pizza. Dopo averla convinta a rivestirsi per evitare comportamenti impulsivi che avrebbero potuto spaventarla, ci sediamo a mangiare. E' perfetta anche con un pezzo di pizza tra le mani. Vedo che si sforza di mangiare, evidentemente le settimane praticamente a digiuno l'hanno disabituata a un pasto normale ma decido di non forzarla ulteriormente: per quella giornata ha fatto già troppi passi avanti.

Io invece sembra abbia un buco allo stomaco, buco troppo grande perché una sola pizza possa riempirlo. Ma tutto ciò che lei fa, dice, trasmette, mi riempiono più di quanto qualsiasi leccornia possa fare.

Dopo qualche pezzo di pizza, mangiata rigorosamente con le mani, prende i due bicchieri e li riempie di vino, porgendomene uno.

«A cosa brindiamo?» chiedo tra una risatina e l'altra.

«A te...che mi hai salvata». Può lo stomaco contorcersi dall'emozione per così poche parole? Con l'indice della mano sinistra le faccio cenno di avvicinarsi a me e così le sfioro le labbra. Spero capisca che su me non deve avere dubbi.

«Sei la prima persona per cui sia valsa la pena rischiare» dico, sincera. Faccio tintinnare il bicchiere sul suo e bevo un sorso.

Tento di non interrompere il contatto fisico con lei. Che fosse una carezza sul viso, uno stringere la sua mano, lo sfiorare le nostre ginocchia, voglio che capisca che io ci dentro totalmente e che non ho nessuna voglia di scappare.

Ci alziamo contemporaneamente e dopo un'ancora impacciato tentativo di contatto sul divano, mi trascina in camera da letto, proponendomi una serata da perfette quindicenni: letto, tv e tante coccole. Sorrido compiaciuta, di solito le altre vogliono spogliarmi dopo dieci minuti di conoscenza. Ma lei è diversa, l'ho capito subito. Accetto ben volentieri di star sul letto adagiata su mille cuscini.

Poggio la mia schiena su di essi e subito mi abbraccia, adagiando la sua folta chioma sul mio petto. I suoi profumatissimi capelli mi inebriano. La stringo forte, dandole dei baci sulla testa. Il calore del plaid fa il resto. Eppure mi manca qualcosa: il suo sguardo. Così, scivolo nel letto, fino a che non ritrovo di nuovo i suoi occhi nei miei. Con l'ennesimo tentativo di scusarsi si approfitta letteralmente di me e della mia debolezza nei suoi confronti. Mi bacia facendomi quasi perdere il respiro. La sua mano, dal braccio passava al fianco e alla coscia...desidero che sposti l'orlo della gonna su cui si è fermata. Ma rispettiamo quello che ci siamo dette. Non voglio che abbia paura. Voglio sia tranquilla e che non abbia alcun dubbio. Io non ne ho.
Tra le sue braccia sento il suo respiro farsi sempre più lento, fino a che non si addormenta. Deve essere esausta, penso. Le carezzo dolcemente la schiena, sperando che quel mio movimento la faccia sentire protetta.

Basta questo per farmi contenta? Basta questo per far contenta lei? Mi sento tanto in pace che non penso a Henry ed è veramente tanto tempo che non succede. Non voglio andare via da lì, non voglio lasciarla sola, non voglio svegliarla e farle credere che non voglia stare li con lei. Non mi sarei mossa da li...magari mi sarei appisolata un pochino. Il mio sonno è da sempre stato leggero, mi sarei svegliata di sicuro prima di lei, le avrei preparato la colazione prima di andare a lavoro. Ora voglio solo godermi tutte le sensazioni che quella donna riesce a trasmettermi dormendo come una bambina. Lei vuole me, e io non posso essere più fortunata.

 

Apro gli occhi di scatto. Sognavo di essere con Henry, di abbracciarlo perché aveva la febbre molto alta e delirava. Emma si muove accanto a me, non mi stringe più così forte, e cercando di non svegliarla, mi sposto fino a trovare una posizione più comoda. E' bellissima. Con la testa affondata tra due cuscini, e i capelli accanto al viso, respira piano. Il braccio destro poggiato sul suo ventre e la mano sinistra a sfiorare il mio ginocchio. Il viso è assolutamente rilassato, leggermente ruotato verso di me.

Rimango a osservarla per qualche minuto. Perché è arrivata nella mia vita? Merito tanta bellezza? Io non ho mai meritato niente, nessuno mi ha mai regalato niente, eppure lei è un bellissimo regalo che ho ricevuto. Guardo di sfuggita la sveglia sul comodino, mancano dieci minuti alle 6. Sono le 6 del mattino, ho dormito poco più di 6 ore ma mi sento perfettamente riposata. Poggio di nuovo la testa sul cuscino, accanto a lei. Come se abbia sentito il mio movimento, ruota verso di me e le labbra si distendono piano in un sorriso.

«Non andartene di nuovo» sussurra nel sonno. Sta parlando nel sonno. Sta forse parlando di me?

«Regina» stringe il pugno, tesa. «Non te ne andare» sospira.

Il dolore al petto è insostenibile. Dolore fisico. Lei, così indifesa, con quelle poche parole mi ha definitivamente stesa. Un dolore mai provato, una piacevole sensazione di stretta sul mio cuore. E' lei che lo tiene stretto. Lei stringe il mio cuore tra le sue labbra, tra le sue mani. Ormai è suo.

Sfioro le sue gote rosa con due dita e lei prontamente le stringe tra le sue.

«Grazie...» non riesco a capire se è sveglia. E a dire il vero non lo capisco nemmeno io. Mi sembra tutto talmente surreale e impossibile da sembrare un sogno. Può la realtà fare questo? Può farti dubitare della tua lucidità mentale? Mi abbasso sulla sua fronte, sfiorandola con le mie labbra.

Il mio cuore sta per scoppiare. E tutto il controllo mantenuto fino a quel momento viene meno. La felicità e lo stupore prendono il sopravvento. Gli occhi iniziano a bruciare e qualche lacrima segna il mio viso.

Ma che fai Regina. Piangi di felicità? Non è da te. Eppure lei fa crollare tutto quello che sono stata fino a quel momento. Una fredda e cinica donna d'affari che nonha mai investito sui sentimenti, che rappresentano la debolezza umana più grande. Fonte di imponenti fregature e perdite di tempo.

Ma lei no. Lei è tutto quello che si può descrivere dell'amore: bellezza, sorrisi, perdita di controllo, sogno, futuro, protezione, devozione. Può tutto questo essere racchiuso in una sola persona? Non lo so. Forse si. Sento che lei riempie i miei vuoti, sento di non avere bisogno di altro se non della sua presenza, fisica e mentale.
Poggio di nuovo la testa sul cuscino e mi addormento, cullata dal suo respiro.

 

Sono immersa in un altro sogno. Stavolta non c'è Henry. C'è Emma. Emma che mi accarezza il braccio, con un dito. Il suo capo poggiato sulla sua mano, col gomito sul letto, mi scruta attenta. La sua dolce voce pronuncia il mio nome.

«Regina...». Piccoli baci si posano sul mio viso.

«Regina....».

Apro gli occhi. Stavolta faccio decisamente fatica. Non è un sogno. O meglio, sognavo ciò che sta accadendo.

«Buongiorno...». la sua mano calda poggiata sul mio viso mi riporta definitivamente alla realtà.

«Ciao...» la mia voce flebile e assonnata. Mi avvicino al suo petto, cercando protezione.

«Devo essere un mostro, da quanto mi fissi?» ci abbracciamo.

«Eri una meraviglia, altro che mostro. Mi dispiace solo che abbia dormito vestita, ma ho pensato che svegliandoti saresti potuta andar a casa tua a cambiarti e poi potevamo fare colazione insieme» dopo aver detto questo affonda le sue labbra sul mio collo e inizia ad annusarlo.

«Per caso puzzo?» dico scostandomi. In realtà il suo fiato sul mio collo mi aveva fatto rabbrividire.

Inclina il viso all'indietro, ridendo.

«Assolutamente no, profumi esattamente come ieri» mi sfiora la guancia. Mi lascio accarezzare mentre sorrido quasi inebetita per la situazione. Mi raddrizzo, poggiando la schiena nella spalliera del letto.

«Ho dormito benissimo con te accanto» le prendo la mano. «Stasera vieni a cena da me?».

«Speravo me lo chiedessi» dice subito, felice.

«Potevi chiedermelo tu di nuovo».

«Non volevo pensassi che stiamo correndo troppo».

«Diciamo che facciamo quello che sentiamo, così va meglio?» le sfioro il palmo della mano con le labbra mentre la guardo e lei fa cenno di si con la testa.

«Ora è meglio che mi vada a cambiare altrimenti non possiamo fare colazione insieme, giusto?».

«Giusto>> scosta il plaid dalle nostre gambe e lentamente, un po' intontite, ci alziamo. Mi infilo le scarpe e la aspetto accanto alla porta. Arriva porgendomi la mano, pronta a stringere la mia. Così, come due adolescenti, ci dirigiamo verso l'ingresso.

«Un'oretta per rimetterci a nuovo, che dici?» le sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Direi che è il massimo che posso resistere lontana da te» mi risponde.

Come sa farmi battere lei il cuore, mai nessun'altro ci è riuscito. Arrossisce mentre pronuncia quelle parole.

«Vorrei dire qualcosa ma non trovo le parole adatte, per cui ti dico solo grazie» le sfioro le labbra con un bacio. Apre la porta e io mi dirigo verso il pianerottolo. A malincuore le lascio la mano e inizio a scendere le scale. Alla fine della prima rampa la trovo che ancora mi guarda.

«Torna dentro, se continui a guardarmi cadrò dalle scale per l'imbarazzo» le dico in tono basso, per evitare di svegliare mezzo palazzo.

Lei come unica risposta mi manda un bacio con la mano.Ha anche socchiuso gli occhi per farlo. Ho una voglia matta di tornare indietro e baciarla, ma c'è un problema: devo lavarmi i denti. Meglio controllare le mie voglie. Le rimando il bacio e non mi volto per vedere se ancora mi fissa, così poco dopo sento la porta chiudersi.

Faccio le ultime tre rampe con aria quasi sognante, ripercorrendo tutto quello che è successo. Dal suo corpo nudo, alla pizza, dalle parole agli abbracci ai baci. Dio i suoi baci. E se quelli sono i suoi baci chissà...no Regina. Smetti di pensare a queste cose. Scuoto la testa mentre cerco le chiavi e le infilo nella toppa della porta, facendo scattare la serratura. Mi sento in pace col mondo. Poggio con poca delicatezza la borsa sul tavolo mentre mi tolgo le scarpe. Le avrei rimesse dopo al loro posto.

Ho bisogno di una bella doccia. Calda. Anzi no, fredda, per cercare di bloccare quel desiderio incessante di averla. E la stretta allo stomaco al pensiero di dovere aspettare. Quanto è difficile. Come si può resistere a quel seno? A quella bocca? Come ci sono riuscita?

No, devo assolutamente fare qualcosa per interrompere quella meravigliosa tortura. Posso partire tre giorni? Devo riuscire a non cedere per un tempo diciamo opportuno. E mentre metto lo shampoo sui capelli un'idea mi balena in testa.

«Ma certo!» dico a voce alta, rischiando di soffocare per l'acqua che mi arriva direttamente in bocca. Inizio a tossire e ridere allo stesso tempo. Se qualcuno mi vedesse penserebbe che sono pazza. Superato il pericolo soffocamento, insapono tutto il corpo per poi risciacquarmi (avendo cura di chiudere la bocca stavolta).

Avvolta nell'accappatoio blu notte, mi ricordo di avere a lavare della biancheria e che forse è il caso di stenderla. Avrebbero fatto compagnia, una volta asciutti, alla montagna di vestiti che dovrei stirare.

Allora, il mio piano prevede la partenza il giorno dopo per la casa in campagna, portarmi quella montagna di roba da stirare e prepararla per quando avrei invitato Emma, diciamo quel fine settimana. Tre giorni lontane serviranno a capire la veridicità di quello che proviamo. Tutto questo mentre mi lavo con cura i denti.

Asciugo come al solito i capelli facendo una piega perfetta, per poi vestirmi e truccarmi per l'ufficio. Butto tutta la roba da stirare in una valigia rigorosamente blu notte, dove aggiungo due tute da ginnastica e una camicia da notte per dormire. Avrei portato quella valigia in campagna quella sera stessa, prima di cenare con lei. Porto il tutto in macchina, sperando che non mi veda dalla finestra, per poi risalire. Una volta aperte le porte dell'ascensore me la ritrovo di fronte. Stivali neri e jeans stretti, maglioncino verde scuro che le arrivava poco sotto la cintura e giubbino di pelle rosso, immancabile.

«Signorina Mills» dice salendo in ascensore.

Signorina Mills? Non mi ha mai chiamato così. Alzo le sopracciglia e ruoto il corpo verso di lei, guardandola. Sta trattenendo un sorriso, non riesce a nasconderlo. Mi fissa mentre le porte si chiudono.

« Da quando mi...» non riesco a terminare la frase. Le sue labbra sulle mie, il suo corpo sul mio e la mia schiena sulla parete dell'ascensore. Le sue mani aggrappate quasi alla schiena, mentre io cerco solo le sue labbra, avvicinando il viso con le mani.

«Credevi ti salutassi in quel modo freddo?» dice dandomi dei piccoli baci sul collo.

Ci risiamo. Sento che voglio ardentemente perdere il controllo. Vedo il pulsante "stop" dell'ascensore. Lo sto per premere quando le porte si aprono. Benedetto ascensore.

Cerchiamo di ricomporci, non aho idea in che condizioni abbia il rossetto o la giacca o la gonna. Le tolgo un po' del mio rossetto dal labbro inferiore prima di uscire dall'ascensore.

«Comunque avevo capito che mi stavi mentendo» mento.

«Non ci credo nemmeno morta, la tua faccia era tutta un programma, non dire bugie» pronuncia quelle parole aprendo il portoncino del palazzo e facendomi passare per prima.

Le faccio una smorfia mentre le passo davanti e ci dirigiamo verso il bar di fronte. Cappuccino e cornetto. Rigorosamente alla crema il suo. A me bastava un tè e una ciambella con granella di zucchero.

«Colazioni enormemente differenti le nostre» le faccio notare.

«Vero» manda giù un pezzo di cornetto.

«Ma a me piace anche il tè e le ciambelle con lo zucchero, è solo questione di abitudine» fa spallucce.

«Sei sporca di zucchero a velo sul naso» la pulisco con un fazzoletto. Perfetta nella sua imperfezione. Il suo sguardo non si sposta dalla mia bocca. Sento le labbra bruciare.

«Smettila di fissarmi» sussurro.

«Non ci penso nemmeno» dice lei con aria di sfida. Sorrido compiaciuta e poco dopo ci alziamo.

«Allora ci vediamo stasera? Ti scrivo appena rientro» le dico aprendo la macchina.

«Non fare troppo tardi» dice lei avvicinandosi tantissimo al mio viso. Pericolo imminente. Così, dopo un tiratissimo e misero bacio sulla guancia, mi allontano, sperando che quella giornata passasse il prima possibile.

  
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