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Autore: Delirious Rose    03/03/2014    6 recensioni
Ginny ha undici anni e presto andrà a Hogwarts.
Ginny ha un amico speciale che è sempre al suo fianco: la aiuta con i compiti, la tira su di morale, la sprona a inseguire i suoi sogni e a fare tutto il possibile per realizzarli.
Ginny ha un amico speciale che forse è diventato qualcosa di più.
Ginny, però, non sa che le rose fioriscono per morire.
{Questa storia partecipa al contest "E così, con un bacio, io muoio" di ielma.}
[15/12/2021: Capitolo 5 riscritto ed esteso, dato che ho ripreso in mano la storia per continuarla fino alla fine di CoS]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Le rose fioriscono per morire

 

 

b Di Frutta e Piume a

 

La bambina aprì lentamente gli occhi, fissando il baldacchino del letto come se lo vedesse per la prima volta. Sollevò a fatica una mano e flesse le dita, per sincerarsi d’essere capace di usarle. sedette con difficoltà, inghiottendo aria più che respirare. Era fredda, polverosa quanto bastava a pizzicare il naso, e aveva un odore di legno bruciato e profumo di scarsa qualità. Entrava attraverso la bocca, le accarezzava la gola per dissolversi nei polmoni—usciva calda, carica di umidità.

Le cuciture del vestito le davano un certo prurito in alcuni punti, e la lana delle calze era ruvida contro la pelle. Il velluto verde, invece, era morbido e soffice, piacevole sotto i palmi delle mani.

Pose i piedi per terra, ebbe una vertigine tale che dovette appoggiarsi a una colonnina di legno scolpito. Un vuoto le attanagliò lo stomaco con un brontolio crudele.

Fame.

Quando era stata l’ultima volta che aveva provato la fame?

Si guardò intorno, cercando qualcosa—qualsiasi cosa—che avrebbe potuto assopire quella sgradevole sensazione quasi dolorosa. C’era della frutta su una toletta, vicino la grande psiche al lato opposto della stanza.

Quando sentì le proprie gambe abbastanza forti da reggerla, accennò qualche passo. I primi furono incerti, traballanti, come quelli di un infante che impara a camminare, ma lentamente assunsero sicurezza e divennero decisi, lenti, come quelli di un lupo in imboscata.

Sul piatto c’era una mela sbucciata e imbrunita, due arance, e dei fichi dalla buccia violetta liscia e intatta e dal picciolo sodo. Ne prese uno, assaporando la morbidezza del frutto turgido come un sesso pronto all’amplesso. Premé con le dita, delicatamente; la fessura creatasi rivelò una polpa di un rosso intenso e carnoso, cosparsa di piccoli acheni e lucida di nettare.

Avvicinò il frutto alle labbra, fremendo le narici al suo profumo sciropposo e rassicurante. Scorse la lingua sulla polpa, lambendo l’icore zuccherino, mentre gli acheni la solleticavano. Morse il frutto socchiudendo gli occhi, godendo dell’aroma fruttato e cremoso che gli invadeva la bocca e il naso—la succosità della polpa—la croccantezza degli acheni. Masticò con languore; deglutì con un leggero mugolio di piacere. Si terse il mento e l’angolo delle labbra con il pollice—suggette il nettare dalle dita.

La bambina colse il proprio riflesso nello specchio.

Osservò la propria figura con la solennità di un giudice sul punto di pronunciare una condanna a morte.

Fece scorrere le dita umide sul viso, sulle labbra appiccicose di fico e lucidalabbra, lungo il collo, sulle clavicole esposte dallo scollo a barchetta, con la leggerezza delle foglie morte e con una sensualità che non le poteva appartenere, indugiando sui seni in boccio che a malapena riempivano i suoi piccoli palmi. Fissò lo sguardo nei propri occhi. Occhi che non erano color delle castagne, occhi che non potevano essere di Ginny, perché erano di un verde putrido, marcio, con la qualità liquida di un veleno mortifero e una luce maligna e malevola.

«Una bambina», sibilò con disprezzo e con una voce che era e non era la sua.

Non poteva indugiare oltre. Non aveva idea di quanto tempo avesse a disposizione e di certo era stato stupido ad indulgere nei propri piaceri.

Ma come avrebbe potuto fare altrimenti? Era la prima volta in cinquant’anni che era circondato da altri odori che non fossero carta e inchiostro—che sentiva il caldo e il freddo, uno spiffero che drizzava i peli sulla pelle esposta—che assaporava del cibo vero.

No, non doveva lasciarsi distrarre. Era sempre stato fiero del proprio autocontrollo, non era il momento di lasciarsi andare. Era solo stato colto di sorpresa da quelle sensazioni.

«Una bacchetta.»

Trovò subito quella della bambina, vicino al diario. La strinse, percependone la magia lambirgli la mano, riconoscendo il tocco con esitazione, come se la bacchetta avesse percepito qualcosa di alieno nella sua padrona.

«Ostentempora

Sulla punta della bacchetta apparve un quadrante, con le lancette che segnavano le sette e trentadue. Sbuffò, avvolgendo un mantello attorno alle spalle e nascondendo il diario nella tasca interna. Si bloccò non appena strinse la maniglia; tornò indietro e individuò la boccetta di pozione fra le pieghe della coperta. Vi puntò la bacchetta contro, focalizzando la sua attenzione sul liquido blu pavone.

«Evanesco

Gli infastidiva dover sprecare dell’ottima pozione, ma aveva dovuto imparare a essere prudente. Tanto che, quando il rumore delle scarpe non fu attutito più dai tappeti del dormitorio, eseguì un incantesimo di occultamento sulla propria persona. Non lo avrebbe nascosto completamente, ma fintanto che si fosse spostato d’ombra in ombra, nessuno di sarebbe accorto di lui. Scivolò fuori la Sala Comune, lo sguardo fisso sul gruppo di studenti che si passava una bottiglia davanti al camino; poi seguì un vecchio percorso di ronda che gli avrebbe evitato di perdere tempo con le scale mobili.

Per prima cosa, doveva verificare che il guardiacaccia non possedesse galli e, in caso contrario, provvedere ad eliminarli. Poi avrebbe dovuto occuparsi di Ophion: probabilmente non aveva avuto un pasto decente da quando l’altro sé stesso si era diplomato—i galli avrebbero fatto l’affare. Poi avrebbe dovuto farlo uscire dalla Camera dei Segreti, più per riabituarlo e ispezionare le tubature che per epurare la scuola.

Cinquant’anni prima non aveva avuto un piano preciso. Era stato troppo entusiasta, troppo impaziente, e solo un colpo di fortuna gli aveva permesso di gettare la colpa su Rubeus Hagrid e la sua acromantula. Questa volta, invece, sarebbe dovuto andare con calma; riflettere con attenzione prima di fare un passo e prepararsi a ogni evenienza.

Un certo fastidio gli pizzicò il naso.

Era stato un idiota a sottovalutare la Bambina. Quando le aveva parlato della pozione, non aveva pensato che ci avrebbe messo così poco per prepararla. Diamine, lui era riuscito ad aggirare gli incantesimi protettivi della Serra Sette solo al quarto anno! Forse era perché prima di quella scommessa non aveva avuto alcun interesse nella serra proibita; e probabilmente la bambina era stata più motivata di lui.

Avrebbe dovuto aspettare che lei fosse stata almeno al quarto anno per parlarle della pozione. Avrebbe dovuto sopportare le sue paturnie per qualche altro anno, accontentarsi del po’ di Magia e Vita di cui quel disgustoso inchiostro rosa acceso. No, se Tom avesse fatto le cose come voleva lui, il diario sarebbe dovuto finire nelle mani di uno studente del quarto o quinto anno.

Che diamine era venuto in mente all’altro sé stesso di affidare il diario ad una undicenne? Che fosse già senile all’età di sessantasei anni?! No, lui era troppo astuto per fare una stupidaggine del genere. La colpa era di chiunque fosse stato incaricato di custodire il diario.

Non importava, almeno per il momento.

Gli era stata offerta la possibilità di uscire dal diario e sarebbe stato stupido non sfruttarla. Per cominciare, doveva verificare che l’architettura del castello non fosse stata modificata in quegli anni; quali tra i passaggi segreti che conducevano fuori dalla scuola fossero ancora funzionali, e ce ne fossero di nuovi. Per tutto quello che non sarebbe riuscito a scoprire quella sera, avrebbe manipolato la bambina.

Le finestre della capanna del guardiacaccia emettevano un barlume dorato. Un improvviso abbagliare lo sorprese a pochi passi dal pollaio.

«Cosa c’è, Fluffy? Torna qui!»

Scoppiò quasi a ridere, nel riconoscere la sagoma e l’accento di Rubeus Hagrid. Non sapeva chi avesse avuto la geniale idea di assumerlo, né gli interessava scoprirlo. La cosa certa era che, in caso di “incidenti”, Rubeus Hagrid sarebbe stato il sospetto numero uno.

«Lumos Minimum

La bacchetta emise un fioco bagliore, appena sufficiente a illuminare il pollaio. Il puzzo di escrementi e paglia era disgustoso, ma sopportabile. Trovò un gallo appollaiato su un posatoio.

«Silencio

Lo afferrò per il collo con un movimento predatorio, forzando il becco ad aprirsi—la bambina doveva aver già acchiappato dei polli, se riusciva a trattenerlo così saldamente. Prese dalla tasca interna del mantello le forbici e, così come aveva visto fare dalla cuoca dell’orfanotrofio, le infilò nel gozzo e tranciò deciso. Un fiotto di sangue sgorgò dal becco del gallo, che si contorse sbattendo le ali, spargendo piume tutto attorno a loro. Dovette aspettare qualche minuto prima che l’animale smettesse di dibattersi. Uccise altre tre galline nello stesso modo, spennandole e raccogliendo il sangue con un incantesimo.

Controllò l’ora. Erano le otto e dodici minuti.

Tornò al castello, stizzito che i passi della bambina non fossero la sua falcata di lupo. Passò per le serre e la porta che accedeva al cortile nord, entrando dentro l’edificio attraverso una finestra piuttosto che una porta per evitare una coppietta. Dovette aspettare che Peeves si fosse allontanato prima di dirigersi verso le scale di servizio. Queste sembravano più large e più ripide di quanto ricordasse—la bambina era almeno un buon piede più bassa di lui.

Finalmente, giunse al corridoio al secondo piano.

Finalmente, era dinanzi alla porta del bagno fuori servizio.

Esitò prima di girare la maniglia. Di sicuro Moaning Myrtle era alla festa di complemorte cui la bambina s’era lamentata; eppure…non si confaceva a un ragazzo entrare nei bagni delle ragazze.

Tom dovette ricordare a sé stesso che quello non era il suo corpo; che agli occhi di un altro lui era sono una bambina di undici anni—quel corpo aveva il diritto di accedere quella porta.

Il bagno non era cambiato dall’ultima volta in cui vi era stato, solo più trascurato di quanto ricordasse. Evitò la pozzanghera davanti ai cubicoli centrali e cercò più con le dita che gli occhi lo stemma di Salazar Slytherin impresso sul rubinetto, lì dove nessuno avrebbe potuto vederlo.

«Apriti…»

L’ingresso della Camera dei Segreti lo accolse con la sua oscura umidità. Solo quando sentì lo strisciare della pietra sulla pietra e l’oscurità più totale avvolgerlo, Tom abbandonò ogni precauzione.

Facendosi luce con la bacchetta della bambina, corse attraverso i cunicoli, attento a non mancare i punti di riferimento che aveva lasciato cinquant’anni prima. La seconda porta della Camera dei Segreti apparve in fondo a un rettilineo, patinata di verderame. E dietro di essa, l’Anticamera, con le sue colonne di serpentino e la statua di Salazar Slytherin che la dominava dal fondo. Nascosta alle spalle della statua, ritrovò la porta che conduceva alla Camera vera e propria.

Ophion dormiva acciambellata su sé stessa; le scaglie di un verde intenso e brillante rilucevano alla luce delle torce. Aveva tre corni in più di quanto ricordasse. Pose i polli vicino alla testa, e prese un respiro profondo.

«Sssvegliati…» sibilò con tono deciso.

Per un attimo non successe nulla. Poi, la lingua biforcuta fece capolino fra la fenditura della bocca. Ophion tastò l’aria, sfiorando il viso della bambina, esitante.

“Sssh… Missssss…”

Tom serrò le labbra. Il basilisco aveva usato il femminile solo perché stava possedendo il corpo della bambina.

«È “padrone”, Ophion», ribatté lui.

“Sssì… Missssss…”

«Ho detto che è “padrone”!»

“Come desssideri, Missssss…” Il sibilo di Ophion suonava quasi come una risata irriguardosa, mentre il basilisco lambì i polli.

«Il corpo sssarà di una bambina, ma sssono io, l’Erede di Sssalazar Ssslytherin! Devi chiamarmi “padrone”!»

Le ossa dei polli scricchiolarono sotto le fauci di Ophion, che rispose solo dopo aver inghiottito il volatile.

“Sssicuro, Missssss.”

Se non sapesse che Ophion era molto più intelligente di quanto sembrava, le avrebbe dato dell’imbecille. Forse lo stava prendendo in giro perché era costretto a possedere il corpo di una bambina; o forse per vendicarsi di qualcosa che l’altro sé stesso le aveva detto o fatto. Oppure perché, anche lei, non aveva incontrato nessun altro per cinquant'anni. Tom alzò le braccia in un gesto stizzito.

«Ah! Non ho tempo da perdere con queste sciocchezze!» sbottò infine.

Il basilisco ridacchiò, dedicandosi al suo pasto. Tom, nel frattempo, controllò l’ora —le otto e quarantasette—e la Camera.

A giudicare dallo stato della scrivania e dalle pile di libri vicino al fainting couch di noce e cuoio, l’altro sé stesso doveva aver continuato ad usare la Camera dei Segreti fino a quando non si era diplomato. La cosa più fuori luogo era un pacco, ancora sigillato, dimenticato sulpavimento con una lettera appallottolata accanto. Un fiotto di bile amara gli invase la bocca, riconoscendo la calligrafia di Mrs. Cole che informava l’altro sé stesso che, per il compimento del suo diciottesimo anno, aveva ricevuto gli effetti personali che sua madre possedeva all'arrivo in orfanotrofio.

Perché l’altro sé stesso non aveva aperto il pacco? Per quanto potesse odiare Mrs. Cole e l’orfanotrofio, il suo contenuto era probabilmente l’unica cosa che lo legava alla sua famiglia materna.

Una leggera vertigine lo colse, obbligandolo ad appoggiarsi alla scrivania. Che l’effetto della pozione avesse già iniziato a scemare? Doveva essere la dose, in fondo aveva detto alla bambina di non berne più di un piccolo sorso. Era buono saperlo per la volta successiva. Inoltre, avrebbe dovuto insegnarle un incantesimo di conservazione: la pozione sarebbe rimasta stabile per tredici lune, se ben imbottigliata, ma era meglio fare le cose con calma e aspettare il quarto anno della bambina.

“Missssss?”

«Vieni», disse con tono di comando. Usato con la vocetta della bambina aveva un effetto ridicolo—Ophion emise un sibilo che sembrava una risatina.

Uscirono dalla Camera e raggiunsero la prima ramificazione. Quello a destra riconduceva al bagno delle ragazze, mentre gli altri due conducevano all’ala Ovest e i sotterranei. 

«Quesssta volta faremo un po’ di terrore, giusssto per alimentare le paure della bambina; e non attaccheremo ssse non necessssssario. I mocciosssi dell’orfanotrofio erano cosssì terrorizzati quando sssuonava l’allarme antiaereo…», Tom istruì, con un sorriso ferino sulle labbra infantili. «E più la bambina avrà paura, più vorrà confidarsssi come me, e più facilmente io potrò possssssederla—»

“Perché sssolo possssssederla, ssse può procurarti un corpo tutto tuo?” Ophion suggerì, seria. 

Sapeva a quali incantesimi Ophion si riferisse, ne aveva letto durante le sue ricerche sugli Horcrux. Per quello più semplice da eseguire, la bambina avrebbe potuto fornirgli la “carne di servo”, una volta che fosse riuscito a manipolarla per bene; quanto al sangue di nemico, era normale per un giocatore di Quidditch come Harry Potter di ferirsi durante gli allenamenti o una partita. Ma le “ossa del genitore” …

Forse tra gli effetti personali di sua madre ci poteva essere qualcosa che gli indicasse dove vivesse quello sporco Muggle—dove potesse essere sepolto. Forse, se avesse avuto quell’informazione, avrebbe potuto manipolare la bambina per recuperare l’ingrediente mancante durante le vacanze.

Non era il momento, quello. Avrebbe avuto modo di rifletterci con comodo, una volta l’effetto della pozione svanito e lui tornato dentro il diario.

Esattamente come cinquant’anni prima, le tubazioni erano sufficientemente larghe solo fino al secondo piano, poi Tom sarebbe stato costretto a usare un incantesimo di restringimento o passare per i corridoi. Tornarono verso il bagno fuori servizio con una certa fretta per separarsi. Tom sentiva il proprio controllo sui muscoli e sulle articolazioni della bambina farsi più deboli e doveva rientrare in dormitorio prima che svanisse completamente.

Stringendo la bottiglia con il sangue di pollo, Tom controllò che il corridoio fosse deserto. Quindi con un movimento meno preciso ed elegante del solito, schizzò il sangue sul muro formando una scritta.

 

LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTA 
TEMETE, NEMICI DELL'EREDE

 

Sarebbe bastato a diffondere terrore e incertezza nel castello? Forse, o forse no.

Un soffio felino lo colse di sorpresa. Un gatto grigio e arruffato lo fissava con occhi gialli e cattivi. Doveva essere Mrs. Norris, la gatta del custode. Se doveva dar fede ai racconti della bambina, la gatta avrebbe chiamato il suo padrone—anche se fosse riuscito a sfuggirli in quel momento, il dannato felino avrebbe potuto riconoscere la bambina come l’autrice della scritta. Chiuse gli occhi.

«Ophion, uccidila! —NO!»

La gatta rimase rigida, come pietrificata, lo sguardo fisso su Tom—sul riflesso della finestra alle sue spalle. Pietrificata, come le prime vittime di cinquant’anni prima.

Non era il momento di chiedersi che cosa gli fosse preso, del perché aveva dato quel contrordine. Con un movimento goffo e impreciso, fece levitare la gatta pietrificata fino a una torcia ed evocò delle corde per legarla.

Corse il più velocemente verso la Torre Gryffindor, cercando di non inciampare. Biascicò col fiatone la parola d’ordine—la bambina gliel’aveva rivelata, nel caso in cui lei l’avesse scordata. Gli studenti con la bottiglia erano ancora davanti al camino, ma le loro risate erano brille e non o notarono. Arrancò su per le scale, aggrappandosi con tutta la sua forza di volontà al corpo della bambina.

Tutto attorno a lui vorticò; le membra si fecero sempre più insensibili.

Stramazzò sulla soglia. Il colpo alla fronte lo stordì ancora di più—il dolore non era più che un’eco lontana. Digrignò i denti, strisciando verso il letto—aggrappandosi alle tende del baldacchino.

 

 

E poi il buio, odorante di carta e inchiostro vecchio.

 { 

 

Note dell’autore

E siamo finalmente giunti alla fine: avrei preferito andare più avanti nel tempo, descrivere il resto dell'anno scolastico, ma sarei andata decisamente fuori traccia, quindi ho preferito fermarmi alla prima volta che Tom prende possesso di Ginny per aprire la Camera dei Segreti. Tuttavia, non escludo la possibilità di continuare la storia una volta che i giudizi del contest siano pubblicati, ma è da vedersi: ho anche fin troppe long/serie per le mani in questo momento - io e la mia fissa di allungare e riscrivere XXDDD - E onestamente trovo più interessante come progetto da sviluppare "Verde Veleno", in cui parto dal What if "E se Harry fosse arrivato nella Camera dei Segreti 5 o 10 minuti più tardi?". Sì, la prospettiva di un Tom Riddle, giovine dalla mentalità da anni '40, che si trova confrontato con la società odierna mi stuzzica parecchio e mi permette di crogiolarmi nel mio OTP e di dare spazio anche ad altri crack pairing.


15 Dicembre 2021

Per procrastinare le correzioni del mio romanzo originale Mi mancava il mio Tom e di scrivere di lui, per cui ho deciso di riprendere in mano questa fanfiction e portarla avanti almeno fino alla fine canonica de La Camera dei Segreti. Chissà, forse la colpa è dell'anno di emme che ho passato che mi spinge a sfogare il mio Lato Oscuro (con biscotti senza glutine e senza zucchero). La cosa buffa è che mi sono venute in mente delle idee niente male, cose che Diary!Tom scoprirà ma che resteranno ignote a Zio Voldie e che riguardano la loro famiglia: dico solo che ho già buttato un occhio alla Rivolta Olandese, che ho fatto dei calcoli, e che la linea maschile di Salazar Slytherin non è proprio estinta estinta. tutta robetta che incrocerò con "House of Riddles", la What If in cui Mary Riddle non caccia a calci in culo Merope per ragioni che non spoilero, ma che non sono la sua magnanima mansuetudine (non ho neanche deciso se, alla fin della fiera, Merope crepa o meno).
Cercherò di attenermi al romanzo il più possibile, ma non nego che delle licenze letterarie possano rivelarsi necessarie. E chissà, forse è la volta buona che poi metto mano a "Renaissance", altro What If che ho nel cassetto da anni ormai.

Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.

 

Cordialmente,

 

D. Rose

   
 
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