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Autore: Outlast_Amnesia    03/03/2014    9 recensioni
Spero accorrerete in molti!
Quest'introduzione sarà un po' banale, ma sarà in grado di spiegarvi il gioco.
Non vi dico altro, capirete da soli.
Tanti saluti ;))
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Al suo risveglio, Haylee si sente svenire: ciò che le sue narici annusano non è per nulla invitante. Ma, ovviamente, l'intera stanza è immersa nel buio. Non può nemmeno dire di trovarsi, effettivamente, in una stanza.
Quando cerca di muoversi, nota che qualcosa le lega le braccia e le gambe ad una sedia. Intorno a lei, dal soffitto, l'acqua cade sul pavimento e lo infanga. Ma un'altra cosa si sente nella stanza: un altro respiro, oltre al suo. Ma piuttosto ansiogeno, come il suo.
-Chi sei?- domanda Haylee, cercando di focalizzare la zona dalla quale percepisce il respiro. Nessuno risponde, anche se è sicura di sentire che la persona accanto a lei stia cercando in tutti i modi di risponderle.
Quando la luce si accende, i suoi occhi si chiudono instantaneamente, per evitare un'ulteriore sofferenza. Pochi secondi dopo, li riapre, e la prima cosa che nota è che ciò che scorre dal soffitto non è esattamente acqua: è sangue. E anche molto, a giudicare da quanto ce ne sia sul pavimento. 
Da' anche un'occhiata alla persona vicino, e capisce che è un ragazzo: ha una benda che gli impedisce di proferire parola, i capelli sbarazzini e la tuta con il numero 7 inciso sopra.
-Cosa è... successo... alla tua?- cerca di parlare Haylee, apparentemente disgustata. Subito vomita, alla vista di quell'orribile spettacolo. Il ragazzo del Distretto 7 ha perso una mano. Per fortuna, chiunque lo abbia trovato, gli ha fasciato per bene la ferita. Eppure, se quel qualcuno avesse voluto fargli del bene, perché adesso sarebbe rinchiuso in questa stanza con del sangue che scorre dal soffitto e incatenato ad una sedia dall'aspetto terrificante?
Una figura mostruosa le si piazza di fronte, attirando la sua attenzione su di sé.
-Bene bene... la nostra signorina qui ha ripreso conoscenza. Quante dita sono queste?- domanda quell'uomo, allontanandosi da lei e alzando quattro dita della mano destra.
-Quattro?
-Esatto. Per fortuna non ti ho fatta rincintrullire.
-Dove mi trovo? Perché sono bloccata? E lui chi è?- domanda troppo velocemente la ragazza, facendo irritare l'uomo.
-Silenzio, Pitfall.
-Ehi, ehi. Come sai il mio nome?
-Questo è il tuo cognome.
-E' lo stesso. Come lo conosci?
-Sono un Ibrido, mia cara. Coloro che mi hanno programmato hanno fatto sì che io fossi capace di riconoscervi al volo, affinché tessessi un bel destino, per tutti voi.
-Quindi hai... intenzione di finirmi adesso?
-No, non esattamente. Prima il giovanotto, che dici?- controbatte l'uomo, avvicinandosi al grosso ragazzo accanto a lei.


La mente di Damon ha incrementato il proprio quoziente intellettivo: è da un'ora circa che sta cercando di capire come scappare da lì, e finalmente, dopo tanto tempo, l'idea gli si è presentata davanti agli occhi. Ad essere sinceri, non è stato così complicato alla fin fine, dato che, senza una mano, è facilmente sorpassabile la trappola che gli blocca le mani.
Così, al momento opportuno, tira le mani indietro e si getta su quel pazzo medico, gettandolo con la testa contro il vetro dello specchio che stava poco sopra i lavandini frammentati.
-Veloce, ragazza, fatti aiutare!- grida Damon, liberandola dai lacci di pelle. Quando anche lei si rimette in piede, e si sgranchisce le gambe, i due scappano, con quello alle calcagna. Il rumore metallico delle tronchesi procura un senso d'ansia non trascurabile dentro il corpo di Haylee.
Svoltano in un corridoio, poi in un altro, poi in un altro ancora. Ma l'uomo non smette di inseguirli, e di tanto in tanto fa anche qualche commento poco carino.
Di fronte a loro, ad un certo punto, si mostra una porta.
-Veloce, aprila, e io me la chiudo alle spalle!- urla Damon, lasciando che Haylee cominci l'opera. Qualche secondo dopo, l'uomo con le tronchesi cerca di buttare giù la porta, ma i due ragazzi hanno già spinto una cassa metallica per bloccare il suo passaggio. Finalmente, sono salvi.
Haylee, a quel punto, si lascia scappare un sospiro di sollievo, e anche di affaticamento.
-Credo di non aver mai corso così velocemente in tutta la mia vita- dice, mentre inspira ed espira rumorosamente.
-Già- annuisce Damon, appoggiandosi alla cassa metallica.
Qualche secondo dopo, aggiunge :-Cazzo, non abbiamo preso le torce. E adesso?-
-C'è qualcosa scritto lì, sul muro, Damon...- attira la sua attenzione Haylee, puntando il dito sulla parete sinistra. Il ragazzo si gira e vede che una piccola candela, posta su un tavolino molto basso, illumina tre parole. Ovviamente, scritte con il sangue.
-E' inglese, quello- mormora il ragazzo, tirandosi indietro.
-E allora?- ribatte la ragazza.
-Non sono molto bravo.
-C'è scritto "Invite the Walrider".
-E chi è questo Walrider?
-Be', credo che lo scopriremo presto. Per adesso, riposiamoci qui, che dici?- propone la ragazza, alzando le spalle.
-D'accordo- acconsente il ragazzo, sedendosi sul pavimento accanto a lei. Qualche minuto dopo, stanno già russando.
Poco dopo, accanto a loro c'è un pacco. Sopra di esso, brilla il nome di Damon, Distretto 7. Oh, i primi sponsor.


Jeremy prosegue solo, con la sua arma impregnata di sangue stretta nella sua mano.
"Stupido ragazzo, mi ha fatto perdere le mie compagne", riflette, grattandosi il viso.
Una voce, che prorompe da un altoparlante invisibile, grida :-Buongiorno tributi. Per tenervi informati, questo è il terzo giorno di permanenza nell'Arena, e sono le dieci di mattina in punto. Ma non è questa la vera notizia. Ascoltatemi bene, perché da questo annuncio ne dipende la vostra vita. Nei pressi della Cornucopia, più precisamente nelle stanze dalle quali siete partiti, dovete trovare delle maschere antigas. Ah, dimenticavo: avete solo quindici minuti per trovarle, prima che i nostri sistemi ipertecnologici iniettino aria tossica attraverso dei condotti nell'aria per adesso respirabile. Vediamo di voi sedici chi sopravvivrà- sorride la voce, prima di estinguersi con un sussulto.
-Merda, merda, merda, merda- sussurra il ragazzo, guardandosi intorno. Poi, osservando il soffitto, grida :-Come cazzo dovrei fare a trovare il punto di partenza, eh? Andate a farvi fottere, stupidi idioti!-
Si mette in marcia, con la torcia accesa ad illuminare solo corridoi dopo corridoi. I minuti scorrono, ma non può con precisione sapere quanto tempo sia passato. Ogni tanto, qualche rumore di passi riecheggia attorno a lui, ma non ha la possibilità di sprecare il tempo che ha disposizione.
Nulla da fare, nessuna traccia delle stanze o della Cornucopia. A questo punto, cosa fare?
-Dieci secondi- mormora l'altoparlante. Poco dopo, la voce si dilegua nuovamente.
-D'accordo, allora- proferisce Jeremy. Si siede a terra, incrocia le gambe, e apre lo zaino che ha sulla spalla. Prende un fazzoletto.
Cinque secondi.
Lo apre con rapidità, lo annusa.
Un secondo.
E con quello, si copre la bocca, il più forte possibile.
Improvvisamente, l'aria si fa verdognola, e sulla parete si dipingono varie lettere pian piano, che alla fine formano varie parole, scritte in una lingua che Jeremy conosce bene, dato che ha studiato bene prima di arrivare qui. Latino. 
Alea iacta est.
La famosa frase di Cesare. "Il dado è tratto". Ciò vuol dire che non c'è via di fuga. Moriranno tutti.
Ad un certo punto, gli occhi di Jeremy si arrossano rapidamente, del sangue si riversa sul pavimento dal naso, e i suoi arti non rispondono più ai comandi. Poi, questi ultimi si muovono irrefrenabilmente, sbattendo anche contro il muro al quale Jeremy si era appoggiato poco fa, prima che l'inferno iniziasse.
-Non...vale!- grida il ragazzo, in preda al dolore. Comincia a tossire incessantemente, con le labbra essiccate e la sua pelle ormai arrossata, come se avesse subito una bruciatura.
-Che.. il diavolo.. vi faccia.. suoi..schiavi- mormora, prima di morire. Il suo cuore malato, i suoi organi, tutto il suo apparato smette di funzionare. Diventa fragile, diventa debole. Come non lo è mai stato in vita sua.
E' stato sconfitto, da un po' di polvere verde. Be', a quanto pare, la forza nella vita non è tutto. Ci vuole anche intelligenza, furbizia, precisione. 
La natura, alla fine, può essere più forte dell'essere umano.


-Corri, Shelk, corri!- grida Roxas, preso dal panico.
-Ci sto provando!- replica la ragazza, con il fiatone.
Il fumo si addensa sempre di più dietro di loro, cercando di penetrare nel loro corpo per ferirli mortalmente, se non addirittura per condurli nelle mani di Dio.
-A destra- ordina Roxas, svoltando e alzando un po' di polvere.
Shelk fa un colpo di tosse. -Devo fermarmi, Roxas. Non ce la faccio..-
-Non dirlo nemmeno, hai capito?- grida il ragazzo, tornando indietro e mettendosela sulle spalle. -Anche se più lentamente, troveremo le maschere! Non lascerò che, dopo Leevy, muoia anche tu, ci siamo capiti?-
-Va... va bene- mormora la dolce Shelk, arrossando. -Però non voglio che tu rischi..
-Shh, non rischieremo niente.
Dopo una chilometrica corsa, i due continuano a non trovare nessun segno della Cornucopia. Che stiano cominciando a perdere le speranze?
-Entriamo in questa stanza, Shelk; magari lì il fumo non può raggiungerci- propone Roxas, ottenendo un segno di consenso. Entrano velocemente e sbattono la porta, rimanendo intrappolati lì dentro.
-Fiu- aggiunge Roxas, allontando il sudore dalla sua fronte. 
-Io... io non credo che siamo salvi, Roxy- mormora Shelk, alzando lo sguardo dietro il ragazzo. Il fumo verde si è fatto spazio attraverso il condotto dells stanza, la quale sembra essere un ripostiglio poco ordinato. L'unica via di fuga sembra essere una piccola botola al centro della stanza. Poi, prima che il fumo riempi la stanza, Roxas intravede un pacco dietro una piantina. Lo raccoglie, e legge il suo nome scritto sopra.
-Sbrigati!- lo incita Shelk. 
Il ragazzo lo scarta, e trova una maschera antigas. Perché ce n'è una sola?
-Allora?- domanda nuovamente Shelk, fissandolo. L'aria comincia a mancare.
-Maschere antigas.
-Ottimo.
-Ma ce n'è una sola.
-Oh.
Un attimo di silenzio. Poi Shelk si riprende.
-E' giusto che la tenga tu. C'era il tuo nome scritto sopra. 
-Non lascerò che tu muoia qui. Sbrigati, apriamo quella botola!
Quando il coperchio è andato, la porta si spalanca e il fumo impedisce l'uscita, riempiendo ancora di più la stanza.
-Prima tu- dice Roxas.
-Insieme.
-Cosa?
-Insieme.
-Almeno prendi tu la maschera.
-Non voglio, Roxas!-
-Non te lo sto chiedendo, diamine!
-Ok, ok.
Poco dopo, entrambi i ragazzi sono entrati nella botola, e Shelk ha la famigerata maschera a gas a coprirle le labbra. Non c'è più segno di fumo.
-E' stato così difficile?
-No- sorride Shelk, cercando di togliersi la maschera.
-Forse è meglio se la tieni ancora per un po'- annuncia il ragazzo. Dopo qualche secondo, la ragazza gli annuisce, e insieme proseguono, con l'acqua che schizza contro la parete rocciosa del luogo nel quale si trovano adesso. Le meravigliose fogne del Manicomio.


-E' stata una fortuna trovare questa camera blindata- mormora Coralyn, sistemandosi i capelli con un gesto piuttosto altezzoso.
-Già- concorda Crystal, privandosi della sua maschera. Poi, aiuta anche Coralyn a togliersela. 
-Menomale che eravamo vicine alla Cornucopia, eh?- ride di gusto la ragazza dell'1, avvicinandosi ad un vecchio computer.
-Infatti- risponde Coralyn, perlustrando la stanza.
-Ehi, qui c'è un pulsante sul quale c'è scritto "Exit". Che dici, lo premo?- esulta Crystal, richiamando l'attenzione di Coralyn. Quest'ultima si avvicina alla ragazza dagli occhi smeraldo.
-Sì, vediamo che succede.
Così, Crystal pigia il pulsante, e su uno dei numerosi schermi lì presenti appare una barra di caricamento, che si colora di blu pian piano.
-Ah!- grida Coralyn, con lo sguardo puntato sullo schermo in basso a destra. Un uomo, piuttosto calvo e con un grembiule macchiato di sangue, si avvicina ad una leva e, sorridendo alla telecamera, la abbassa. Poi, tutto intorno alle due ragazze diventa buio.
-Che diavolo è successo?!- si imbestialisce Crystal, tastando l'area circostante.
-Be', siamo state fregate- replica l'altra.
Poco dopo, una luce molto luminosa irradia nuovamente la stanza, ma l'esterno continua ad essere buio. La porta metallica dalla quale erano entrate qualche minuto fa adesso trema rumorosamente, come se qualcuno stesse cercando di buttarla a terra. 
-Dentro l'armadietto, veloce!- grida Coralyn, spingendo Crystal in un continentore bucherellato con sé. Subito dopo aver chiuso l'anta, il portone cade a terra, innalzando un muro di polvere, e si intravede attraverso i piccoli spazi dell'armadio un gigantesco bestione, simile ad un enorme maiale. Di fatto, subito grugnisce infuriato.
-Ehi, piccole porcelline. Siete qui, non è vero?
Si avvicina all'armadietto accanto al loro, e lo apre violentemente. Non trovando nulla, si allontana dalla stanza, e svolta alla sinistra del corridoio dal quale è giunto.
-Ma è stupido come un orco?- chiede a voce bassa Coralyn.
-Sì, anche se gli orchi non esistono- risponde Crystal.
-Be', negli Hunger Games può esistere di tutto.
-Questo anche è vero.
Qualche secondo di silenzio.
-Adesso possiamo uscire.
-Sono d'accordo.
Le due ragazze riaprono l'anta e si gettano fuori, inspirando a pieni polmoni.
-Ehi, il gas si è dissolto.
-Meglio così. Dai, proseguiamo- mormora Crystal, prendendo ugualmente le maschere antigas.


Leaf sta correndo con le gambe che si lamentano continuamente. I suoi sospiri si fanno sempre più frequenti ad ogni passo in più che fa, mentre la nebbia verdognola dietro di sé si fa sempre più aspra e più maligna.
I suoi occhi si stanno addirittura adattanto al buio, purché la sua anima non abbandoni il suo corpo. E' questo il patto che ha fatto con se stessa, quando aveva ascoltato l'annuncio. E adesso, è la lotta contro la morte per una promessa a tenerla in vita. Solo quella.
Ad un certo punto, la sua mano si allunga per spingere una maniglia verso il basso ed entra nella porta, consapevole che fra non molto la nebbia la butterà giù.
"Pensa, Leaf, pensa".
Nella stanza di fronte a sé, può osservare un condotto d'aria. Ovviamente, quel passaggio è escluso. Ci sono molte scatole, apparentemente inutili. E poi, una botola per terra. Proprio al centro della stanza. Luccica, come luccica un punto di salvezza dopo una tempesta. O quello è l'arcobaleno? Bah.
Impugna entrambi i lati della botola e spinge, ma la fragilità dei suoi dodici anni si fa sentire.
-Dai!- si autoincita, invano. Comincia a prendere a calci gli appigli, mentre la porta cade sul pavimento.
"Non mi resta che nascondermi in una di quelle casse" riflette, aprendo le ante di una di quelle e infilandosi all'interno. Sembra fatta apposta per lei, se non fosse per il fatto che c'è uno spiffero aperto. Con la pressione di un dito, cerca di bloccare il passaggio d'aria, ma il veleno che contamina quella brezza le brucia il polpastrello.
-Ahi!- grida, stringendo i denti, ma non mollando. Dopo un po', si addormenta, vedendo il mondo che la circonda oscurarsi con una innaturale rapidità.
Al suo risveglio, la nebbia sembra essersi dileguata. Spalanca le ante, e caccia il suo capo all'esterno. Tutto pulito. "Avrò riposato per un paio d'ore?", riflette, cercando di trovare un'affermazione a questa domanda. 
Si avvicina allo spazio aperto dove prima c'era la porta e lo attraversa.
Svoltando a destra, intravede una vetrata enorme. Lì dentro, sono state esposte due gigantesche croci, sulle quali giacciono due giovani, parzialmente preoccupati. Ai loro piedi, ci sono numerosi pezzi di legno.
"Dio, non ce la faccio a guardare" si gira la ragazza, cambiando direzione.
"Almeno se muoiono, ho più probabilità di vincere", pensa, vedendo il lato positivo della sua scelta.


Amy e Micheal si fissano l'un l'altro; la ragazza ha le lacrime agli occhi.
-Mi dispiace, Amy, tu non hai idea di quanto io mi senta male per averti portata qui- si imbroncia Micheal, cercando il perdono della giovane sedicenne.
-Micheal, non voglio morire. Ti prego, fa' qualcosa.
-Io... sto pensando.
-Ehi, ehi, smettete di parlare!- grida il rapitore, inarcando le sopracciglia. Sempre che quelle siano sopracciglia. 
-Ma certo,- si ispira Micheal. -Tu non sei un paziente di questo ospedale. Sei un medico. E con il cancro, a quanto pare.
-Non essere indisponente, stupido ragazzo. Ti farò pentire di quella parola che hai detto!- grida l'uomo malato, emettendo un colpo flebile di tosse. -Fatevi avanti, schiavi. Bruciate queste due anime. Che vadino all'Inferno!- continua ad urlare.
Una marmaglia di persone si ammassa sotto le due enormi croci, con delle torce spente impugnate saldamente. 
-Stolti! Quante volte vi devo ripetere che quando vi chiamo dovete avere le torce già accese?! Mi sembra di essere in un Manicomio!- strilla l'uomo, grattandosi il capo calvo. Poi si allontana dalla sala, mandando di tanto in tanto una bestemmia.
-Però, è sveglio- commenta Micheal, ottenendo uno sguardo rattristato da Amy. Dunque, si affretta ad aggiungere :-Non morirai, te l'ho promesso. Basta solo che collabori. Quanto sono larghe le stringhe che ti bloccano le mani?-
Amy si smuove.
-Non molto.
-Bene, allora continua a smuoverti.
-Ma così cado. Saranno cinque metri circa.
-No, non preoccuparti. Tu stammi a sentire. 
Dopo qualche minuto, la ragazza si libera dalla morsa e cade di pancia sui pezzi di legno, che per fortuna attutiscono la caduta.
-Come stai?- subito domanda Micheal, fissandola. Lei si rialza lentamente, grattandosi la pancia.
-Insomma. Non è stata la peggiore caduta che abbia mai fatto,- sorride la ragazza, in stato un po' confusionario. -E adesso? Come faccio a liberarti?
-Be', se sono saliti loro per metterci in croce, puoi salire anche tu. Cerca una scala, veloce- la esorta Micheal, con un tono alquanto disperato.
Gli uomini nudi sembrano avere la testa fra le nuvole: anche se Amy li attraversa, loro non ci fanno poi tanto caso, e non cercano altremodo di bloccarla. Ha libero accesso a ciò di cui necessita. Poco dopo, trova la scala.
-Eccola!- esclama, avvicinandosi al diciassettenne.
Appoggia lo strumento alla scala e si arrampica fino in cima. Slega rapidamente le stringhe di Micheal, il quale cade violentemente sul terreno, e resta lì, addormentato.
-Tu, ragazzina, cosa credi di fare?!- grida l'uomo, che ha fatto ritorno. Dietro di sé, si estende una gigantesca coltre di fumo verde. Ad un certo punto, questa lo aggredisce e lo uccide in un istante, lasciando di quell'uomo solo un mucchietto di ossa e carne bruciacchiata.
-Alzati, Micheal, dobbiamo andarcene! Veloce!- urla Amy, raccogliendo Micheal e aiutandolo ad uscire. Insieme, varcano la soglia della porta che fino a un paio d'ore fa era chiusa e corrono, fino a che il tempo e la fortuna glielo concedono.


Bricyll prosegue, con le mani nella tasca. La sua torcia continua a funzionare, magicamente, e riesce ad illuminare quasi pienamente l'area che la circonda. E' convinta di essere già stata in questo corridoio, ma tanto oramai ciò che conta è sopravvivere. Fino a che tutti gli altri non si abbandoneranno alla morte. A quel punto, sarà la vincitrice di quest'Edizione degli Hunger Games, e potrà tornare a casa per riabbracciare il padre e la piccola Violet. Da quando ha messo piede nell'Arena, le canzoni che la bambina le recitava la sera, quando il fuoco del camino scoppiettava allegro e le due sedevano sorridenti attorno al tavolo che il padre aveva costruito appositamente per loro, le ritornano in mente, con un ritmo tanto incessante quanto melodioso. Avrebbe voluto vedere la sorellina crescere, trovarsi un ragazzo, e magari anche vederla diventare una celebre cantante nel suo Distretto. Con la voce che aveva, non era poi un desiderio così remoto. Eppure, adesso è qui, a combattere per la vita. Il dolore della puntura dello scorpione non è svanito, e anzi sembra perseverare. Di tanto in tanto, è costretta a fermarsi, a chiudere gli occhi per qualche ora. Poi, quando qualche suono sinistro si presenta di nuovo, si rialza e riprende il cammino. Ma poi il dolore ritorna, e lei esegue sempre la stessa, noiosa routine. A questo punto, perfino morire sarebbe meglio. Meno doloroso, ma anche meno allettante. No, no, no. Lei vincerà; sbaraglierà gli avversari. Perché lei, Bricyll Daisy Webster, non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Ed è in quel preciso momento che del fumo di colore verde scuro le annebbia la vista.
-Ma cosa...?- si chiede, sporgendosi in avanti. Poi, prima che avvenga il contatto, capisce, e comincia a correre nella direzione opposta, gridando la famosa parola "Aiuto". Sebbene sappia, inconsciamente, che nessuno giungerà in suo soccorso. Ormai, dopo la morte di Konan, è rimasta più che sola.
La lotta per la vita è continua, per una ragazza come lei. Ma il ritorno a casa, il ritorno in patria, la possibilità di rivedere i suoi coabitanti. La sua famiglia. Sua madre. Sua sorella. E soprattutto, la possibilità di terminare la lettera della madre, ancora inconclusa nella sua preoccupata mente.
Ma ecco che, in quell'istante, il mondo le crolla addosso: il veleno iniettato attraverso il suo piede ha raggiunto nuovamente le parti dove il dolore si intensifica, per poi svanire solo dopo un po' di tempo.
-Non... adesso- cerca di sussurrare Bricyll, ma anche il fiato le manca. Qualche lacrima le bagna il volto, pallido come non è mai stato. Anche i suoi capelli stanno perdendo tonalità. Il suo cuore batte forsennatamente, ma il dolore è insostenibile. La porta che le brilla davanti agli occhi sembra essere la sua unica salvezza. La getta a terra senza fermare la sua corsa, ma davanti a sé, c'è il vuoto più totale. Solo una finestra.
La ragazza si avvicina a quest'ultima e vede che sotto c'è un pavimento stradale. Ma si può intravedere anche la cupola, famosa per essere conosciuta come la parte estrema di un'Arena. La sua corsa è terminata.
Si volta, per l'ultima volta nella sua vita.
Il suo sguardo si spegne, mentre il veleno le penetra attraverso le narici, attraverso gli apparecchi uditivi. La sua pelle brucia, si sfrantuma sotto quella dolorosissima nebbia.
-Aaaaaah!- E' il suo grido, che va perdendosi qualche secondo dopo. Il suo corpo, esanime, crolla sul pavimento, ma il suo cuore batte, ancora per un po'. Ha il tempo di formulare qualche pensiero.
-Mamma...- inizia. -Mi dispiace per non aver,- tossisce, mentre la voce diventa più roca. -Avrei voluto leggere tutta la lettera, ma... sono morta, vero? Ho fatto la stessa fine di Philip. Io...- emette un altro colpo di tosse, mentre un pianto liberatorio fuoriesce dai suoi occhi, candidi come la neve.
-Violet... tu... promettimi che diventerai una grande cantante e...- cerca di concludere, ma non c'è più nulla che possa dire. Le parole le muoiono in gola, dove le si forma un groppo. Anche questa volta, la morte ha beccato la sua famiglia.
-Vi... amo,- sono le sue ultime parole, prima che anche il suo cuore smetta di battere. Il colpo di cannone adesso è più spaventoso del solito, e anche questo giorno un angelo sale in cielo, incapace di vivere una vita come avrebbe voluto.


Due pacchi cadono ai piedi di Geralt e Sophie, mentre altri vanno in diverse direzioni, pronti per essere aperti e per salvare le vite di altri. 
Sophie si affretta per aprire il suo, mentre Geralt raccoglie il suo con molta calma.
Dopo aver tolto la carta, Sophie esclama :-Sì, diamine!- E tira fuori un set di coltelli.
-Li sai usare?- domanda il compagno.
-Più o meno. Ma sono comunque mortali, no?
-Certo.
Il ragazzo, invece, all'interno dello scatolo trova un cappuccio, che ha un'aria alquanto minacciosa.
-E a cosa dovrebbe servirmi, se siamo in un dannato luogo chiuso?- si infuria, gettandolo a terra.
-Ehi, ehi, prendilo subito di nuovo!- replica Sophie, come se fosse un ordine.
-Come, scusa?
-Hai sentito bene. Prendilo. Non si nega l'offerta di uno sponsor.
-Ferma, ferma, ferma. Tu vorresti dire a me come comportarmi con quei bastardi lì fuori? Tu vorresti dire a me cosa fare e cosa dire? Tu... tu... ma chi ti credi di essere, tu, eh, Sophie?
-Senti, vedi di non scaldarti. Hai sentito l'annuncio prima. Dobbiamo procurarci delle maschere e il cappuccio...
-Non dire sciocchezze. Siamo nelle fogne. Qui non può raggiungerci il fumo.
-E tu cosa ne sai?- domanda pensierosa Sophie.
-Ho visto prima due ragazzi scendere e solo la ragazza aveva una maschera. Ma poi, il fumo non li ha più inseguiti.
-Ottimo. Allora cammina e basta.
Geralt incrocia le braccia, impugnando la sua arma.
-Sophie, ascoltami. Io non voglio arrivare al punto di ucciderti, d'accordo? Tutto ciò che devi fare è stare in silenzio, zitta. Perché non mi sta bene che qualcuno impartisca ordini al sottoscritto. Spero di essere stato chiaro.
-Non prenderti troppa confidenza, Rive. Avrò anche confessato la mia attrazione nei tuoi confronti, ma ciò non vuol dire che esiterò nell'ucciderti. Fa' un passo falso e...
-E cosa?
-E sei morto. Morto- ripete, portandosi un dito sulla gola e facendo il segno di tagliarsela.
-Spiritosa. Cammina, muoviti.
Qualche minuto dopo, si sono allontanati da lì e hanno preso il percorso che va verso est.
-E ades...?- comincia Sophie, ma poi cade a terra, con un tonfo. Dietro di lei, Geralt ha la spada in aria, con l'elsa puntata dove prima c'era la testa della ragazza.
-Sei fortunata che non ti abbia ucciso. E vedi di non seguirmi.


Daniel, il capogruppo, avanza, con i due piccoletti dietro di sé. Melissa non sembra molto convinta del travestimento.
-Era proprio necessario segnarci delle linee sulla faccia con del sangue?
-Sì!- risponde prontamente Willy, con un volto di compiacimento. Daniel, davanti a loro, si è anche procurato un nuovo costume: si è tolto la maglietta, e al posto dei pantaloni di seta nera ha una specie di gonnellino indiano, che ha trovato in un armadio qualche ora fa. Formano proprio un trio perfetto.
Daniel, ad un certo punto, però, si ferma. -Indietreggiate,- ammonisce. -E anche velocemente- aggiunge, cominciando a correre come un pazzo. La coltre di fumo provoca un senso di paura nei due ragazzini, che se la danno a gambe levate, nella speranza di trovare un posto sicuro.
-Stupidi strateghi- mormora Daniel, con il fiatone. Melissa e Willy sembrano riuscire a stare al suo passo, anche se hanno i polmoni più ristretti dei suoi. Fra poco, non saranno più capaci di correre. E infatti, come previsto, appena svoltato un angolo, Melissa si accovaccia a terra, cercando di convincere Daniel a proseguire. Ma anche Willy non ce la fa più, e il suo volto è impallidito.
-Io... posso portarvi entrambi. Salite sulla mia schiena, veloci!
Si mette in groppa Melissa, ma arrivato il punto di Willy, il suo dorso scricchiola leggermente.
-No, Daniel, non preoccuparti. Porta al sicuro lei, io cercherò di cavarmela.
-Stammi dietro, Willy, e non perdermi, ti prego- lo incoraggia Daniel, per poi voltarsi avanti e riprendere la corsa. Ma Willy ha ben diverse intenzioni. Tratterrà il fumo, affinché i suoi amici si salvino. Affinché Melissa, la sua prima vera amata, raggiunga l'altra parte di questo luogo viva e vegeta. Cosa che lui, al contrario, non farà.
Il fumo lo ha raggiunto, e in un attimo lo ha già inglobato, fino a soffocarlo. Willy non riesce più a respirare, né a gridare, né a muoversi. E' diventato un essere non essere. C'è, ma non c'è. 
Nella sua mente vorticano vari ricordi, ma non riesce a non pensare principalmente a lui. Si immagina in un prato fiorito, con Melissa accanto a lui. I loro occhi pieni di gioia, pieni di vitalità. Un meraviglioso panorama montuoso seppur alberato si staglia di fronte a loro, e i due raggiungono la vetta di un albero. Con la sua abilità felina, riesce a portare fino in cima la piccola Melissa, e insieme osservano lo scenario.
-Non è bellissimo?- domanda piano Willy, abbracciandola, come se fosse il giorno più bello della sua vita.
-E' fantastico. Ma dov'è che siamo?
-Questo è il posto dove avrei voluto vivere il resto della mia vita. Con te.
-Non ti sembra un po' esagerato? Dopotutto, siamo solo tredicenni.
-Non c'è età per descrivere l'amore. Io ti ho guardata negli occhi, nell'Arena, e ho capito che eri tu. Quella con cui avrei voluto vivere, comprare una casa, avere dei figli. Ammalarmi, e anche morire. Tutto questo, però, solo con te. E con nessun altro.
Quando il veleno raggiunge il cuore, l'immagine comincia a sbiadirsi.
-Dove vai?- domanda Melissa, guardando il suo corpo svanire nel vuoto.
-Vado dove il mio corpo è richiesto. Ti aspetto, cucciola mia.
Alla fine, spara il cannone. E in quell'immagine, sopra l'albero, adesso c'è solo Melissa, con le lacrime agli occhi, che rimugina sul passato.



-Spazio autore.

E dopo non so quanti giorni, eccomi qui con un nuovo capitolo!
Probabilmente, mi ucciderete alla fine di questa lettura. Io... mi dispiace tantissimo, voi non potete avere idea. Mi si è spezzato il cuore. Come può un essere umano così malvagio? I famosi quesiti della nostra esistenza.
In ogni caso, spero di aver reso la morte di questi fantastici tributi almeno un po' accettabile.
Ecco i caduti del terzo giorno nell'Arena:

Jeremy Jonson, Distretto 1
Willy Winterfall, Distretto 6
Bricyll Daisy Webster, Distretto 11

Aaaaaah, vi prego, non pugnalatemi, né lanciatemi sassi. Io devo farne vincere uno solo, porca paletta. Perdonatemi. 
In ogni caso, scusate per il ritardo. Anche qui avete diritto ad almeno un voto, come sempre.
Spero che il capitolo vi piaccia, e correggetemi eventuali errori, perché, detto sinceramente, mi scoccio di rileggerlo, sebbene sia più piccolo di tutti gli altri capitoli.
Grazie a chi leggerà e a chi recensirà <3
Al prossimo capitolo,
-Outlast_Amnesia

P.S: Siamo già solo a tredici :O Caspita.

  
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