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Autore: Himenoshirotsuki    10/03/2014    14 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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15

Nelle fauci del lupo

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 

Faceva caldo e l'aria era satura del fumo proveniente dal fuoco d'accampamento e del profumino delizioso del cinghiale arrosto. Dalle torce conficcate nel terreno divampavano allegre fiamme che rischiaravano il piccolo spazio, gettando dei bagliori rossastri sui volti degli uomini raccolti lì intorno. Alcuni di loro erano intenti a divorare la loro porzione di carne senza alcuna grazia, imbrattando le barbe ruvide di grasso animale, mentre altri tenevano lo sguardo fisso su una donna che danzava, come ipnotizzati: era giovane e le sue forme, fasciate da abiti succinti, lasciavano ben poco alla fantasia. Il suo corpo, qua e là costellato da vecchie cicatrici, si muoveva al ritmo di una musica bassa e sensuale, che ricordava molto le melodie orientali. Le ampie porzioni di pelle scoperta mettevano in mostra una carnagione chiara e gli occhi verdi come le foglie avevano il potere di ammaliare gli spettatori. 
Tutti avrebbero voluto giacere con lei quella notte, nessuno escluso, e questo Airis lo sapeva, anche se non era propriamente contenta di dover recitare la parte del diversivo.
Mosse il bacino avanti e indietro, percorrendo lentamente le curve del seno con le dita. Un uomo allungò la mano, tentando di afferrarla, ma lei con uno scatto rapido riuscì ad allontanarsi senza perdere il tempo della musica. Sculettò strisciando le cosce l'una contro l'altra e lasciò vagare lo sguardo su quello squattrinato esercito di briganti che costituiva il suo pubblico, null'altro che l'ombra dei soldati che avevano combattuto nella piana di Rashar.
Da quando era giunta lì quel pomeriggio, aveva avuto modo di farsi un'idea abbastanza precisa del numero e delle condizioni in cui versava il famigerato gruppo di predoni, che da giorni dava la caccia all'improbabile terzetto al quale si era unita. Dovevano essere all'incirca una sessantina in tutto, per lo più ex-combattenti della cinquantesima legione, seguiti da uomini che, in un modo o nell'altro, erano scampati all'ondata di devastazione portata dalla guerra, e pure da alcuni avanzi di galera, che per qualche ragione a lei ignota erano scampati ai lavori forzati sui Monti del Nord. 
"Se non fossero così tanti, potrei batterli. Oppure avrei potuto anche evitare di avvicinarmi a quell'assurdo trio e tirare avanti, mi avrebbe risparmiato una certa quantità di problemi." 
Airis scrutò di sottecchi quello che doveva essere il capo, un uomo piccolo dagli occhi porcini ravvicinati e un'unica arcata sopraccigliare che gli attraversava completamente la fronte. Stava seduto di fronte a lei e, attorniato da altri membri della banda, la fissava come se non avesse mai visto una donna in vita sua. Comprensibile, visto che madre natura non era stata generosa con lui. Anni prima, quando ancora riusciva a vedere, seppur solo vaghe ombre, non aveva mai scorto quel soldato tra i suoi. Ma forse la memoria la ingannava e aveva volutamente deciso di dimenticarsene, perché in un certo senso le ricordava Ignus: stessa espressione arcigna e saccente. Come quell'ometto fosse riuscito ad organizzare un'imboscata rimaneva un mistero. 
Rammentò ciò che Alan le aveva raccontato la sera prima, riguardo al motivo del loro viaggio. 
Erano partiti da Amount-vinya, una piccola cittadina portuale, a nord di Llanowar. All'inizio della guerra non si era rivelata di alcun interesse militare, così i suoi abitanti, grazie all'attività commerciale, avevano continuato la loro vita di sempre. Questo finché un qualcuno delle alte sfere non aveva avuto la brillante idea di renderla uno degli avamposti dell'esercito umano. Nella posizione in cui si trovava, Amount-vinya offriva continui rifornimenti, specialmente grazie agli scambi con le più grandi città del continente, e trovandosi proprio a ridosso del mare era sempre sotto stretta sorveglianza. 
Da Sershet era dunque partito un piccolo contingente, con l'ordine di fortificare la cittadina e trasformarla nel baluardo nordico delle forze umane. Nei primi tempi non era cambiato granché e, anche se il Consiglio dei cittadini non possedeva più la stessa autorità di prima, tutto era rimasto uguale. In seguito, i Generali avevano organizzato delle sortite, che però non erano mai andate a buon fine. Tuttavia, sebbene non fosse più possibile coltivare i campi, Amount-vinya era sopravvissuta senza grandi intoppi e le merci venivano sempre imbarcate al tramonto per poi partire al calare della notte verso i mercati di altre prestigiose città. 
Un giorno, però, gli elfi si erano accorti della strategia e i loro maghi avevano cominciato a distruggere ogni nave che solcava l'orizzonte che fosse in rotta verso Amount-vinya. Così, i granai si erano lentamente svuotati. A nulla erano valsi i messaggi di aiuto mandati a Sershet: la fame si era diffusa per le strade della città come la peste, riducendo gli abitanti a degli erranti fantasmi scheletrici. E con la fame era arrivata anche l'oppressione.
I soldati avevano fatto irruzione nella camera del Consiglio e, dopo aver ucciso ciascun membro, avevano instaurato un regime di terrore. Stupri, vessazioni e furti erano all'ordine del giorno e chiunque aveva provato ad opporsi o fuggire era stato impiccato nella piazza principale davanti a tutta la popolazione, un monito affinché ciascuno di loro imparasse la lezione. 
Qualche settimana più tardi si era presentato in città un forestiero, bardato in uno scuro mantello e con il volto semicelato dal cappuccio. Nessuno era stato in grado di capire quale espediente avesse utilizzato per raggirare la costante sorveglianza, per questo fu accolto con diffidenza e incredulità. Tuttavia, presto molti cittadini ormai rassegnati avevano riacquistato la speranza. Quando Alan aveva ricevuto la notizia, era corso incontro allo straniero per chiedergli delucidazioni sulla sua presenza, in cambio di una seppur fragile protezione. Ignaro della natura del nuovo arrivato, lo aveva ascoltato attentamente e così aveva appreso di un passaggio sfuggito ai controlli dei soldati corrotti, che attraversava il confine di Llanowar. In fretta e furia era stata formata una carovana, alla quale si erano uniti i pochi coraggiosi che avevano compreso che ormai nessuno sarebbe giunto ad aiutarli. Con le poche cose che avevano, erano riusciti ad evadere da Amount-vinya. Poi, pochi giorni dopo, la carovana era stata vittima di un'imboscata da parte del gruppo di briganti, alla quale erano scampati soltanto Alan, Fenrir, che altri non era che il forestiero, e Baldur. 
Dopo aver udito questa storia, Airis non aveva potuto fare a meno di offrire loro il suo aiuto.
"Uno dei tanti casi in cui dovrei evitare di dar retta al mio buon cuore.''
Si divincolò agilmente dalle braccia sudate di un uomo grasso e ubriaco e riprese a danzare.

Cantava la donna bionda,
all'alba della fiamma 
e degli steli d'oro,
muovendosi al chiarore della luna.
Delicata come una farfalla era la sua voce.


Airis puntò l'attenzione su un uomo dai capelli lunghi e grigi, con addosso un malridotto mantello di un rosso sbiadito, che sedeva a gambe incrociate poco distante da lei. Era stato lui ad aver intonato quelle strofe, una ballata che Airis conosceva: era “Il canto della farfalla”, molto diffusa tra i suoi soldati, e narrava dell'amore impossibile tra una giovane contadina e un re crudele. Subito altri briganti si unirono al canto del loro compare, dando vita a un coro stonato e incomprensibile. 
Nonostante il caos e l'allegria che regnava nell'accampamento, Airis poteva percepire chiaramente gli sguardi tristi e spenti dei cittadini di Amount-vinya, rinchiusi in celle sopra piccoli carri, legati a pali conficcati nel terreno o rannicchiati gli uni contro gli altri nel tentativo di scaldarsi contro il freddo notturno. Da una prigione all'altra, senza via di scampo. 
Un bambino con i capelli biondo scuro si avvicinò il più possibile a quella che doveva essere sua madre, una giovane donna mora, dagli occhi di un caldo color nocciola. 

Disse lei: "Ora, mio giovane
signore, mi dovete scusare,
perché io non sposerò nessuno;
per i boschi vagherò
ed eviterò la vista degli uomini."

"Se tu fossi qui, mia dama,
sarei pronto a morire."
E mentre lui giaceva morente,
udiva l'ultimo canto della farfalla.


- Ma guardate che bella pollastrella abbiamo qui! - 
Un predone le si accostò, il viso distorto in un ghigno feroce. La liberò dai lacci che le stringevano i polsi e la costrinse ad alzarsi, mentre si passava la lingua sulle labbra sottili.
- Per... per favore, lasciatemi andare... - pigolò tentando di allontanarsi, spaventata ed esausta.
- E perché dovrei? Sei così carina. - 
L'uomo la sbatté a terra e cominciò a passare le mani sporche e callose sotto gli abiti della donna, incurante delle sue suppliche e delle lacrime. 
- Se provi ad opporre resistenza, stacco la testa al tuo bel bambino, chiaro, puttana? Adesso, da brava, lasciati fottere. - la minacciò.
Poi premette i palmi sul suo seno e strinse finché un'espressione di dolore non apparve sul viso di lei, che chiuse gli occhi e, tutta tremante, attese l'inevitabile. Ma improvvisamente percepì il peso di un corpo esanime sopra il suo e un liquido caldo colare sulla sua veste. Allora spalancò le palpebre e fissò allibita la ballerina dai capelli rossi, che a sua volta la guardava con espressione glaciale. Teneva una spada lorda di sangue ben salda tra le dita, con una naturalezza disarmante, tale da dare l'idea di non aver fatto altro per tutta la vita. 
- Oggi non fotti nessuno, bastardo. - sibilò Airis.
A fatica la donna si tolse di dosso il cadavere del predone e biascicò frastornata: - Chi sei?
- Sono solo un'umile artista. - le fece l'occhiolino e le intimò di allontanarsi con un cenno della testa. 
Dopodiché si scrocchiò il collo e squadrò gli altri uomini, che lentamente stavano sguainando le armi, intontiti dal vino e dalla piega inaspettata che avevano preso gli eventi, incapaci di reagire. Dietro di loro, però, tre figure, due abbastanza alte e una molto bassa, stavano correndo di soppiatto verso i carri. Airis si mise in guardia, pronta per attaccare. Ad un tratto, udì la serratura di uno dei carri scattare e vide altre sagome scivolare fuori dalle gabbie sui carri. 
Presto il silenzio della notte venne spezzato dal clangore delle spade, insieme al vibrare dell'arco di Fenrir e il sibilare delle sue frecce. I briganti caricarono, mentre i cittadini di Amount-vinya, equipaggiati con ogni sorta di arma, rimasero immobili fino al segnale di Alan. Quando esso giunse, si lanciarono nella mischia. 
Airis mulinò la spada, squarciando il viso scoperto di un predone. Intravide Baldur che, stringendo un'ascia bipenne, sfondava i ranghi degli avversari menando fendenti a destra e a sinistra, e Alan che invece andava all'assalto di un uomo grande e grosso. La guerriera si fece largo, lo sguardo fisso nel punto dove aveva scorto il capo di quel piccolo esercito. Non appena fu abbastanza vicina, ingaggiò un duello. Tentò un affondo al basso costato, ma quello fece vorticare la sua mazza e deviò all'ultimo la stoccata. Prima che potesse contrattaccare, una freccia gli trapassò il collo. Boccheggiò sorpreso, un grido rimasto incastrato in gola, per poi afflosciarsi privo di vita sul terreno impregnato di sangue. I pensieri di Airis corsero immediatamente al Drow, ma scrollò la testa per non distrarsi. In seguito, serrò la presa sulla spada e si accinse ad affrontare uno dei nemici che la stava caricando. Impugnando l'arma con entrambe le mani, tracciò un taglio netto alla base del collo e scavò un profondo solco nella carne, deviando poi verso l'alto. Il brigante cadde agonizzante a terra, le mani che premevano sulla ferita nel tentativo di bloccare l'emorragia e gli occhi che parevano chiedere pietà. 
Uno dei prigionieri conficcò il pugnale nella carotide di un predone, per poi estrarlo con una violenza tale da aprirgli uno squarcio dalla gola fino alla clavicola. Un altro brigante riuscì a salire in groppa a un cavallo, forse sperando di mettersi in salvo, ma fu sbalzato via di sella. Ora giaceva sotto il corpo dell'animale, con una gamba rotta.
- Uccideteli tutti! - la voce di Alan sovrastò ogni rumore, dando nuova carica a tutti i cittadini di Amount-vinya. 
Uno di loro abbatté il predone che aveva di fronte, ma un altro lo pugnalò alla schiena senza lasciargli via di scampo. Airis gli fu subito addosso e lo colpì al ginocchio. Prima ancora che l'uomo potesse capire cosa stesse accadendo, la sua testa rotolò via schizzando di sangue la faccia della guerriera.
Lo scontro durò fino all'alba, quando un sole sorprendentemente caldo illuminò la foresta, portando via il freddo della notte trascorsa. I civili, stremati, deposero le armi e si lasciarono cadere a terra, respirando a pieni polmoni il nuovo profumo della libertà. 
Airis si appoggiò a un carro, osservando il paesaggio attorno a sé, soddisfatta della vittoria. Fenrir, invece, girava tra i corpi per sincerarsi che i briganti fossero tutti realmente morti, scoccando una freccia a tutti quelli che fingevano. Come ogni volta, il combattimento le era parso durare il tempo di un battito di ciglia.
Con la mente sgombra da qualunque pensiero, si avviò verso il torrente che scorreva lì nei pressi per lavare via il sangue. Ripensando alla baraonda che lei stessa aveva scatenato per un gesto di puro altruismo, si rese conto di quanto fosse stata fortunata: se Alan, Fenrir e Baldur non avessero liberato i cittadini nel momento in cui lei aveva ucciso il primo bandito, a quest'ora non avrebbe avuto tutti gli arti al posto giusto. Aveva rischiato di mandare all'aria il piano, però non avrebbe mai potuto permettere che quella giovane donna venisse stuprata. 
Si stropicciò gli occhi con due dita, sospirando. 
- Se te lo stai chiedendo, sì, hai fatto la cosa giusta. - 
Airis si girò. Appoggiato ad un albero, Fenrir la stava guardando. 
- Avrei agito anche io nello stesso modo. -
- Non penso che Baldur sia della tua stessa opinione. - rispose sarcastica, ricordando la faccia irata del nano.
- Non farci caso. Anche se tu avessi agito seguendo il piano alla perfezione, avrebbe avuto qualcosa da ridire. È scorbutico di natura. - asserì il Drow, avvicinandosi a lei e immergendo le mani nella corrente, - E smettila di preoccuparti: anche se non hai aspettato che aprissimo le porte le gabbie e armassimo quei poveracci, le cose sono andate comunque per il meglio. - sorrise incoraggiante, per poi sedersi a gambe incrociate, - Dove sei diretta? Noi andiamo verso la capitale. -
Airis si sentì smarrita e per qualche istante rimase a contemplare il nulla con aria attonita.
"Perché non ho chiesto a Lysandra dove si trova il bersaglio che devo uccidere?" 
Maledì nuovamente il Lich e le sue indicazioni tutt'altro che chiare. Facendo uno sforzo, tentò di riportare alla memoria il nome della città in cui avrebbero potuto imbattersi per prima dirigendosi a sud.
- Sono diretta a Luthien. - rispose alla fine.
- La città che si affaccia sul Logoss? - il Drow sfoggiò un'espressione confusa, - Come mai sei diretta in una cittadina di pescatori e contadini? Non avevi detto che la tua famiglia viveva a Merite? -
- Sto... sto cercando una persona. - rispose vaga. 
"Una persona che devo uccidere e di cui non conosco nulla, specifichiamo." 
Si alzò in piedi di scatto, desiderosa di chiudere lì il discorso prima di commettere un passo falso e smascherarsi da sola. 
- Scusami, ma devo andare a recuperare una cosa. - borbottò sbrigativa, già pronta a darsela a gambe.
- Oh, ti riferisci a questo? -
Fenrir le mostrò un mantello nero, piegato a formare una specie di fagotto. Non attese la risposta di Airis e le restituì i suoi averi senza chiedere niente. 
- Tranquilla. Ho notato che continui a consultare il libro che c'è qui dentro, immagino sia molto importante per te. - 
La guerriera lo guardò sbigottita. Nei due giorni in cui avevano organizzato il piano, aveva sfogliato il tomo solo di notte, mentre era sicura che gli altri dormissero, stando attenta a non farsi scoprire. Però, ancora una volta, aveva sottovalutato i sensi sviluppati di un elfo. Per fortuna pareva non essersi accorto del frammento di cristallo, ben nascosto tra le pagine del diario.
- Ricordati che vedo perfettamente anche al buio, Caillean. - le sorrise divertito, - Comunque, pure noi passeremo da Luthien per rifornirci di viveri. Quindi, se lo desideri, puoi restare. -
- Perché adesso ti fidi così tanto di me? Fino a pochi giorni fa non mi sopportavi. -
Fenrir la scrutò in tralice, poi, con voce pacata e soppesando le parole, disse: - Ho visto come ti sei comportata stanotte, come sei scattata quando hai visto cosa stavano per fare a quella donna. Un soldato qualunque avrebbe semplicemente eseguito gli ordini e lasciato che quel predone violentasse la ragazza per paura di esporsi. Nonostante tu non abbia rispettato le nostre direttive, ti sei dimostrata una persona di buon cuore. Quelle come te sono assai rare di questi tempi. Ovvio, non credo che tu sia chi dici di essere, ma non mi serve conoscere la tua vera identità per fidarmi di te. Non dopo il coraggio che hai dimostrato. -
Detto ciò, il Drow la salutò con un rapido cenno e tornò all'accampamento, abbandonando Airis in balia dei suoi pensieri.

 
  
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