Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: monalisasmile    13/03/2014    1 recensioni
Questa storia vuole raccontare un’altra versione delle vicende di Glee. Una versione nella quale i personaggi non cominciano a interagire tra loro per via del coro, bensì tra i banchi di scuola, percorrendo i corridoi, studiando in biblioteca, giocando in palestra o partecipando a nuovi corsi. Gli eventi seguiranno più o meno il corso del telefilm. Più o meno…
Ognuno di loro, arrivato all'ultimo anno di liceo, dovrà scegliere che strada percorrere. Per farlo dovranno accantonare pregiudizi e porsi al di sopra dell'opinione comune, scoprendo se stessi: sbagliando, gioendo, piangendo, litigando e stringendo nuovi rapporti. Insomma, crescendo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Finn Hudson, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Rachel Berry, Un po' tutti | Coppie: Finn/Quinn, Finn/Rachel, Puck/Quinn, Puck/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3

 

Rachel Berry si guardò allo specchio senza vedersi realmente. Pensava. Pensava a quella strana situazione cercando d’interpretarla.

Finn Hudson, il ragazzo più popolare del suo liceo, a minuti avrebbe suonato alla sua porta. Certo non era un appuntamento galante: il suo compagno di corso le era venuto incontro, poco dopo che avevano parlato nel bagno delle ragazze, per dirle che il professor Schuester aveva deciso di dar loro una seconda possibilità, a patto che consegnassero il nuovo lavoro lunedì. Avevano concordato di trovarsi a casa Berry poiché lei era in possesso di tutto il materiale necessario.

Da quando si era allontanata però, Rachel non aveva fatto altro che arrovellarsi.

Come mai il professor Schuester aveva cambiato idea? Il giorno prima era parso più che convinto della sua decisione. Che fosse stato Finn a convincerlo? Ma come e soprattutto perché?

Viziata e coccolata fin da piccola da ben due padri che la trattavano come una principessa, Rachel era cresciuta convinta di essere una ragazza carina. Sebbene questa sua idea al liceo si fosse affievolita, non aveva perso la fiducia in se stessa.

“Non è per via del mio aspetto che vengo maltrattata, ma per l’ignoranza di quel gregge di pecoroni che sono i suoi compagni di scuola.”

Tuttavia Finn non solo era popolare mentre lei alle fondamenta della piramide sociale, ma era anche fidanzato con la ragazza da tutti ritenuta la più bella della scuola.

“Quinn Fabray è la più bella della scuola.”

E su questo nemmeno il suo egocentrismo poteva metter becco.

“Letteralmente…” pensò voltando il capo di profilo: il suo naso doveva essere almeno quattro volte quello di Quinn Fabray. Non che avesse mai avuto troppi problemi con se stessa a riguardo, dato che non puntava a diventare una superficiale reginetta di bellezza ma un’affermata artista.

Stava di fatto che se Finn Hudson aveva ottenuto una seconda chance dal professor Schuester difficilmente l’aveva fatto per se stesso, visto il suo disinteresse totale per l’argomento del corso. Dunque doveva averlo fatto per lei. Ma le risultava difficile credere di poter attrarre un ragazzo come lui, per di più fidanzato con una ragazza perfetta. E non poteva illudersi troppo nemmeno riguardo al fatto di stargli particolarmente simpatica. Perché Rachel Berry non si era mai fatta un amico da quando frequentava il liceo.

“Da piccola era più semplice. Ora tutti sono troppo impegnati a giudicare le persone e mettere i bastoni tra le ruote a quelle più in gamba. Per invidia.”

Una vocina nella sua testa le ricordò che lei stessa aveva giudicato Finn Hudson: non fosse stato per il suo pregiudizio ora non si troverebbero in quella situazione.

Il campanello suonò.

Rachel scese ad aprire la porta con un proposito ben piantato in testa: scoprire cosa si nascondeva dietro al gesto generoso di Finn Hudson.

 

Finn Hudson si guardò attorno meravigliato: al posto di una mansarda i Barry avevano un vero e proprio atelier.

Finn non era un artista e sicuramente non un architetto, ma quel posto lo metteva a proprio agio. Le pareti erano chiare, così come i tronchi a vista delle falde del tetto, intervallati da ampi lucernari. Il suo sguardo cadde sul parquet e un vago sorriso gli increspò le labbra: nonostante qualcuno tenesse quella stanza linda come uno specchio, tra le assi del pavimento erano rimaste incrostazioni colorate.

Rachel lo osservava leggermente corrucciata, forse perché condividere il suo “tempio” con un estraneo la metteva a disagio.

-          È bello questo posto. – tentò lui per rompere il ghiaccio.

-          Grazie. –

-          Ci inviti spesso i tuoi amici? –

Rachel non rispose e Finn si maledisse per la sua imbranataggine. Si guardò rapidamente attorno per cercare una via di fuga da quella situazione. Individuò un gruppo di quadretti appoggiati alla parete, di cui uno più piccolo un po’ nascosto.

-          Anche questo l’hai fatto tu? – disse indicandolo e chinandosi per vederlo meglio.

Lo estrasse con cautela, attento a non rovinarlo. Sorrise istintivamente.

Rachel doveva averlo dipinto da piccola: il soggetto doveva essere la sua famiglia, poiché la bambina stringeva le mani a due signori, sorridendo felice in un prato di fiori sotto un sole altrettanto sorridente.

-          Loro sono i miei amici. – disse Rachel, accovacciandosi accanto a lui.

-          Ah, scusa, credevo fossero i tuoi papà. –

-          Infatti… I miei papà sono anche i miei migliori amici. –

Qualcosa nel suo tono gli fece intuire che probabilmente quel “migliori” stava per “unici”. E si dispiacque per lei. Rachel era sicuramente petulante e piena di sé, ma probabilmente nascondeva un lato piacevole e gentile.

Ricordava ancora come gli era parsa tutta un’altra persona quando l’aveva vista assorta nel disegno nell’aula d’Arte del Mckinley: serena, rilassata e genuina in ogni gesto, era…

“Diversa…”

-          Mi è venuta un’idea. –

-          E-eh? – quasi sobbalzò Finn, assorto nei suoi pensieri.

-          Per il compito. Non sei qua per questo? – fece lei, in un tono che non ammetteva repliche, un sopracciglio alzato.

-          Sì, sì certo! –

-          Bene. – disse alzandosi e sistemandosi brevemente la gonna con le mani – Quando da piccola seguivo i corsi di pittura per bambini, questa è stata la prima tecnica che mi hanno insegnato. Me l’hai fatta venire in mente tu. –

-          Grazie. – sorrise lui un poco soddisfatto – È per via di quel quadretto che ho scovato là dietro che… -

-          Oh no. – si voltò inchiodandolo al suo posto con uno sguardo – Tu me l’hai ricordata, non il mio vecchio dipinto. –

Sorrideva spavalda. Ma Finn avrebbe voluto prenderla a sberle.

“Insomma mi considera un bambino!”

Non era difficile capire perché quell’antipatica arrogante non avesse amici.

-          Non sentirti sminuito da questo, Hudson. – riprese lei, impegnata a frugare in una cassa piena di colori – Dipingere è molto più difficile di quanto si pensi. Anche solo tenere correttamente il pennello in mano è più complesso di quanto sembri. Ma l’arte è meravigliosa anche per questo: non servono tecniche sopraffini per realizzare un’opera indimenticabile, basta metterci l’anima. –

“Dice poco…”

-          Ricordi la lezione del professor Schuester sugli Impressionisti? –

Finn si fece piccolo piccolo: probabilmente stava facendo qualcos’altro.

-          Probabilmente dormivi. –

“Touchè.”

-          Beh, loro usavano dipingere all’aperto, amavano i paesaggi e rappresentare lo scorrere del tempo, le stagioni. E nonostante le tecniche e le scelte di colore anticonvenzionali hanno realizzato opere che ancora oggi tutti ricordano e ammirano. La vera rivoluzione di questi artisti è stata porsi un obiettivo differente: non volevano fissare sulla tela ciò che tutti vedevano quanto ciò che loro vedevano e sentivano. – disse portandosi una mano al petto – E questo, caro Hudson, se può farlo una bambina di sei anni direi che hai buone possibilità di riuscirci anche tu! – concluse caricandolo con una tela, un cavalletto e una borsa piena zeppa di colori.

-          Su, andiamo, che il sole è già alto. –

Finn la seguì borbottando e maledicendo il giorno in cui si era recato nello studio del professor Schuester.

 

-          E ora? –

Rachel l’aveva condotto nel giardino sul retro della casa. Che avesse deciso di ucciderlo con una pennellata e occultare il cadavere dove nessuno sarebbe mai venuto a cercarlo?

-          Guardati attorno, Hudson, e scegli l’angolo autunnale che più ti emoziona. –

Lui la guardò in tralice, indeciso se lo stesse di nuovo prendendo in giro o fosse semplicemente matta.

“Magari compra erba da Puck.”

Non ottenendo alcuna reazione, lei gli tirò una piccola gomitata.

-          Coraggio, Finn! Guardati attorno e dimmi cosa di tutto ciò vorresti immortalare, cosa per te è l’autunno. –

 

Per un attimo un’espressione di sorpresa attraversò il volto del quarterback, poi Rachel lo vide distogliere lo sguardo per farlo scorrere attorno a sé. Prima svogliato, poi più assorto.

 

Finn fece qualche passo avanti, dimentico dell’armamentario che teneva tra le braccia e la brunetta scorse qualcosa di nuovo nel suo sguardo: una sorta di consapevolezza, che gli faceva abbracciare con gli occhi il paesaggio circostante come se fosse la prima volta che lo vedeva.

Il suo sguardo vagò per alcuni secondi sul paesaggio al di là della staccionata, verso i boschi che ammantavano le dolci colline costellate dai tetti a spiovente delle case. Poi parve ripensarci e tornare indietro, sulla staccionata la cui vernice bianca sgretolata lasciava intravedere il legno scuro e poi sulla siepe verde scura che cresceva sulla destra, costeggiando il prato coperto di foglie che s’infittivano alle radici di un albero. Alzò lo sguardo verso quella chioma ancora rigogliosa proprio quando un soffio di vento ne scosse i rami: decine di foglie fiammeggianti si staccarono, fluttuando nell’aria come le gonne vaporose delle danzatrici di flamenco.

 

-          Cosa vedi, Finn? – gli sussurrò lei.

-          Ballerine di flamenco… -

Subito lui arrossì, conscio di aver detto una stupidaggine. Ma lei non rise, bensì gli lanciò uno strano sguardo, come se lo stesse valutando.

-          Se vuoi prendermi in giro fallo in fretta, così cominciamo questo stramaledetto compito. – borbottò lui, a disagio.

-          Non ho intenzione di prenderti in giro, anzi. Hai un modo di vedere le cose molto… intimo. –

Non credeva fosse possibile, ma qualcosa nel tono in cui Rachel disse quella parola lo fece avvampare d’imbarazzo.

Lei sorrise.

-          Bene, dipingiamo queste gonne! –

-          E come? –

-          Con le mani, che altro? –

 

Non stava scherzando.

Finn la osservò immergere una mano nella pittura azzurra e tracciare onde e spirali sulla tela immacolata. Una parte della sua mente pensò che c’era qualcosa di terribilmente sensuale in quei gesti, ma cacciò quell’idea immediatamente.

Rachel sorrideva contenta e concentrata e il quarterback fu certo che lei avesse avuto ragione nel dire che lui non capisse nulla d’arte.

“Che diavolo…?!”

Lei si voltò a guardarlo.

-          Beh, non mi dai una mano? –

-          Scusa, Rachel, ma non capisco cosa… -

-          Le tue ballerine dalla gonna di foglie ballano il flamenco nell’aria, giusto? Fluttuano nel vento, dico bene? – indicò le scie azzurre che aveva tracciato con la mano – Questa è l’aria, il cielo, il vento. Usa un po’ di quell’immaginazione che poco fa ti ha fatto vedere in qualche foglia secca delle danzatrici vestite di seta! –

Finn non sapeva che fare. Quella sorta d’ispirazione che l’aveva colto poco prima pareva averlo abbandonato.

 

Rachel sbuffò.

-          Coraggio, Monet, ti aiuto io a sporcarti le mani. –

-          Monet? –

-          Dovresti seguire le lezioni del professor Schuester ogni tanto! – disse, ma senza il solito tono acido.

Gli prese una mano e la immerse nella tempera bianca. La brunetta venne colta da un brivido, ma si disse che doveva esser stato per via della tempera fredda. Condusse quella mano sulla tela senza che lui opponesse resistenza, lasciando che da essa nascessero grandi scie bianche.

Sorrise, vedendo quanto la mano di lui fosse grande in confronto alla sua. E un piacevole tepore le scaldò il petto.

“Probabilmente ” pensò “dall’esterno questa scena potrebbe sembrare quella della modellazione del vaso in Ghost.”

-          Ehm, Rachel? -

-          Sì? – disse con un filo di voce.

-          Oltre al cielo dipingiamo qualcos’altro? –

Imbarazzata, lasciò andare la mano di Finn.  

-          M-ma certo! Ora che hai provato e ti sarai lasciato un po’ andare possiamo proseguire! –

 

Finn seguì per lo più le istruzioni di Rachel, come un paziente manovale coordinato da un capo cantiere molto esigente. Tuttavia a tratti la moretta si comportava in maniera strana: se non fosse stato per le offese che di tanto in tanto gli lanciava, sempre ovviamente accompagnati da lodi per se stessa, avrebbe potuto giurare che Rachel Berry si fosse presa una cotta per lui.

“Se così fosse sarebbe un bel casino!”

Non tanto perché non avrebbe potuto corrisponderla, quanto per il fatto che la ragazza che già occupava il suo cuore fosse Quinn Fabray.

Ben inteso, Quinn aveva tantissimi pregi e lui li conosceva meglio di chiunque altro. Ma allo stesso modo aveva ben presente i suoi difetti e la gelosia era senza dubbio il più pericoloso. Se n’era accorto l’anno prima quando una ragazza gli aveva dedicato una poesia il giorno di San Valentino.

“Beh, per sicurezza basterà tenere Rachel alla larga...”

In questo modo avrebbe evitato sia d’illuderla inutilmente, sia di scatenare la gelosia di Quinn.

 

A metà giornata lo stomaco di Finn brontolò sonoramente e Rachel gli lanciò un’occhiata perplessa, prima di guardare l’orologio e sobbalzare.

-          Santo Cielo! Scusami, Finn, quando dipingo perdo totalmente la cognizione del tempo. Andiamo a lavarci le mani e pranziamo, proseguiremo dopo. –

Finn sorrise sollevato: ancora un po’ e sarebbe svenuto in mezzo al prato. Tuttavia qualcosa in quella moretta alta la metà di lui e concentratissima nel lavoro l’aveva fatto desistere dal farle notare il suo impellente bisogno di metter qualcosa sotto i denti.

Quando ebbe pulito le mani meglio che poteva, aiutandosi con dell’acqua ragia, un profumo delizioso lo condusse fino alla cucina. I Berry avevano una casa meravigliosa e, a giudicare dall’odore che riempiva i corridoi, anche un’ottima domestica.

Fu dunque con grande sorpresa che vide Rachel con un grembiule a fiori intenta a cucinare.

-          Ehm… posso darti una mano? – chiese indeciso.

Sua madre non l’aveva mai fatto avvicinare a un fornello, se non per prepararsi delle uova col bacon, ma gli aveva insegnato che per educazione quella domanda andava fatta.

“Sperando che al massimo ti facciano apparecchiare la tavola!” l’aveva preso in giro la donna.

Fortunatamente i Fabray avevano sufficienti domestici da non avergli fatto mai nemmeno pensare di poter “dare una mano”, o meglio combinare qualche danno. Tutto si poteva dire di Finn tranne che fosse disimpacciato e agile in un ambiente domestico.

-          Se hai voglia di apparecchiare, sul tavolo ci sono piatti, bicchieri e quant’altro. –

Finn tirò un sospiro di sollievo: tovagliette, piatti, bicchieri, posate e tovaglioli erano il suo pezzo forte. Quando ebbe messo anche la brocca d’acqua sulla tavola si sedette, mentre Rachel continuava a rigirare il contenuto di una pentola e di tanto in tanto apriva il forno per controllare il punto di cottura.

 

Quel pomeriggio Finn scoprì che guardare Rachel cucinare era piacevole quanto vederla dipingere. Meno appassionante e più rilassante. Ma ugualmente piacevole.

Distese la schiena sullo schienale della sedia, inspirando a pieni polmoni l’odore del cibo che cuoceva mischiato a quello lievemente profumato del detersivo che usavano per pulire la cucina.

Gli unici rumori erano l’occasionale clangore dei tegami e il leggero ronzio del forno acceso.

-          Tutto bene? –

-          Sì – rispose lui, ancora parzialmente assorto – pensavo che a giudicare dal profumo ciò che stai preparando deve essere ottimo. –

-          Lo spero! – sorrise lei, leggermente rossa, per poi tornare a mescolare.

-          Cucini spesso per te e i tuoi papà? –

-          I miei papà sono spesso via per lavoro… -

-          Ti capisco, anche mia madre lavora tanto. Perciò spesso ordiniamo qualcosa per cena, oppure riscaldiamo quello che è avanzato dalla sera prima. Non è un granché, ma lei torna spesso tardi stanchissima e io non sono esattamente uno chef. –

-          Se dosi gli ingredienti come fai coi colori non oso immaginarlo, Hudson! – sentenziò lei agitando il mestolo e macchiandosi il viso e il grembiule con qualche goccia di sugo.

Entrambi scoppiarono a ridere.

-          Sì, hai ragione, non sono un Monet né col pennello né col mestolo! –

Lei sorrise, tornando a occuparsi dei fornelli.

-          A me non dispiace cucinare, ma penso che la parte che mi piace di più è sedermi coi miei papà a tavola e passare una piacevole serata tutti insieme. Ogni tanto invitano qualche loro amico, sono tutte persone di fuori città e hanno sempre un sacco di argomentazioni interessanti su qualsiasi… -

-          E tu, Rachel? Non inviti mai i tuoi amici ad assaggiare i tuoi manicaretti? –

-          I-io non ho molti amici, qui… Ma intrattengo relazioni epistolari con qualche nostro coetaneo di… -

-          Non hai nemmeno un amico nel nostro liceo? O a Lima? –

Rachel valutò per un attimo se considerare il pel di carota con gli occhiali che la stalkerizzava come una sorta di amico, ma pensò che sarebbe stato anche peggio. Perciò tacque. D’altronde meglio soli che mal accompagnati, no?

 

Finn era sicuro che stava per cacciarsi in una montagna di guai. D’altro canto il visino corrucciato di Rachel era a pochi metri da lui e, sebbene sapesse che quella piccola pittrice aveva in sé abbastanza orgoglio da non darlo a vedere palesemente, era sicuro che quella solitudine fosse per lei motivo di sofferenza.

Poteva infatti essere petulante e egocentrica per la maggior parte del tempo, ma cominciava a scorgere in lei un lato dolce e fragile che, chissà perché, lo metteva a proprio agio e gli faceva desiderare di poterla aiutare.

 

-          Beh, un amico forse ce l’hai. –

-          Se ti riferisci a quel ficcanaso del giornale della scuola… - gli lanciò un’occhiataccia col mestolo a mezz’aria.

-          Ehm, parlavo di me… - si strinse lui nelle spalle.

-          Oh… -

-          Insomma, se la smetti di minacciarmi con mestoli e pennelli, direi che potremmo considerarci amici, no? –

Rachel nascose il mestolo dietro alla schiena come una bambina colta con le mani nel barattolo dei biscotti.

-          Sì, penso di sì… -

-          Solo una cosa. –

-          Cosa? –

-          Gli amici tendenzialmente si chiamano per nome. –

-          Va bene… Finn. –

-          Bene! Allora, Rachel – si legò il tovagliolo al collo – è pronto il pranzo? –

-          Solo in minuto! –

Voltatasi verso i fornelli la moretta sorrise fra sé, raggiante di felicità.

 

Quella sera subito dopo cena Rachel si chiuse nell’atelier. Avrebbe dovuto studiare per il compito di storia di lunedì, ma nella sua mente c’era posto solo per il quadro che aveva realizzato con Finn. Lo fissò a lungo. Non era perfetto, eppure le parve splendido. Forse perché dipingerlo era stato sorprendentemente divertente ed emozionante.

Ripensò a quel pomeriggio: Finn non parlava molto e i suoi argomenti non erano forse interessanti quanto i suoi, ma avevano chiacchierato un po’ e lei aveva intravisto un lato gentile e paziente che la inteneriva. Come il suo sguardo a tratti sfuggente e il suo sorriso sghembo.

“Deve essere un ragazzo timido” aveva pensato.

Quando Finn le aveva chiesto di diventare amici, Rachel aveva sentito un tuffo al cuore e aveva sorriso tanto durante tutto il pranzo che credeva le si sarebbe bloccata la mascella.

Certo non si faceva illusioni, dato che lui era fidanzato con la ragazza più popolare del Mckinley, ma aveva avvertito qualcosa di più dell’amicizia nei suoi modi.

Una cosa era certa: se Rachel Berry si poneva un obiettivo faceva di tutto per raggiungerlo e Finn Hudson era appena diventato una delle mete da raggiungere.

Certamente non era tanto meschina da “rubarlo” a Fabray, tanto più che non sarebbe stato facile sedurlo, viste le qualità della sua rivale. Si sarebbe dunque messa in luce agli occhi di Finn grazie al suo fascino d’artista talentuosa e facendogli comprendere quanto lei gli fosse vicina e lo capisse. Innanzitutto come amica, poi come ragazza.

“Una cosa, senz’altro, l’ho capita” pensò facendo scorrere lo sguardo sulle foglie che fluttuavano tra le spirali del vento.

Afferrò un carboncino e, dopo essersi assicurata che la tempera fosse sufficientemente asciutta, scrisse nell’angolo in basso:

Flamenco autunnale. R.Berry, F.Hudson

 

 

Continua…

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: monalisasmile