Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Water_wolf    14/03/2014    10 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ermes ci dà tre dritte prima di mandarci a combattere
 
♦Astrid♦
 
La sala del palazzo era enorme e, anche se ero già stata ad Asgard, mi sembrò comunque magnifica e imponente. Dodici troni disposti a U erano posti più in fondo, ma nessuno era occupato.
I nostri passi e le nostre armi rimbombavano per tutto l’ambiente. Mi sentivo a disagio, come quando sei in biblioteca e ti squilla il cellulare, sepolto chissà dove nella borsa, e tutti ti fissano con sguardi accusatori finché non lo spegni.
Gli Dèi Olimpici potevano anche essere occupati a combattere Tifone, ma ero certa che non avrebbero saputo resistere alla tentazione di schiacciare qualche semidio norreno venuto nella loro sala del trono. E sarebbe stata la seconda volta in meno di ventiquattr’ore.
In una palla di vetro, un mostro mucca metà serpente si spiaccicò sul vetro e muggì: «MUUUU!»
«Ehi, Bessie! Come va?» fece Percy, sorridendo a quella strana bestia, che rispose con un altro muggito felice.
«Perché deve avere sempre amici così… originali?» chiesi ad Alex, sottovoce.
«Li avrà incontrati nelle sue imprese. Sarà l’effetto del successo.»
«Ah-ah» replicai. «Ti farò un fischio, se ti vedrò familiarizzare con mucche-serpenti in palle di vetro, ok?»
Il figlio di Odino sorrise, ma non rise: la situazione era troppo tesa per questo. Giunti vicini ai troni, ci trovammo davanti a una donna vestita con un semplice abito marrone, gli occhi che scoppiettavano come fuoco. Percy e Annabeth si inchinarono, seguiti a ruota da tutti i greci, così lo feci anch’io.
«Divina Estia.»
La dea soppesò il figlio di Poseidone con i occhi che sembravano braci. «Vedo che hai messo in atto il tuo piano e hai assunto il peso della maledizione di Achille» esordì.
Molti dietro di noi mormorarono frasi come “cos’ha detto?” e “che c’entra adesso Achille?”. Forse era meglio se non sapevano della nostra gita negli Inferi.
«Sii prudente» avvisò Percy. « Sei sulla buona strada, ma sei ancora cieco alla verità più importante. Potresti dare una sbirciatina» lo stuzzicò, poi guardò me e Alex. «Anche tu, Alex Dahl. Sei più importante di ciò che pensi.»
Alex si irrigidì, dopodiché rispose: «Ne sarei onorato, divina Estia.»
La dea annuì in segno di approvazione. «Allora, concederò questo onore anche alle vostre due compagne.»
Mi sentii risucchiare dallo sguardo di Estia e, pochi attimi dopo, non ero più sull’Olimpo, ma in un vicolo buio tra due alti edifici; un’insegna recitava FABBRO DI RICHMOND. Due mezzosangue stavano accovacciati tra le ombre: uno era una ragazzo di circa quattordici anni, biondo e alto, l’altra una semidea di dodici dai corti capelli neri. Mi resi conto che si trattava di Talia, ma era molto diversa dalla persona che conoscevo io. Avevano entrambi un’aria affamata e trasandata. Cercai di capire chi fosse l’altro ragazzo, e lo compresi solo quando la Talia della visione lo chiamò per nome.
«Sei sicuro, Luke?» domandò, giocherellando nervosamente con la lancia.
Luke era armato di un coltello di bronzo celeste. «Sì» rispose, annuendo alla questione. «Lo sento. Là c’è qualcosa.»
Un boato risuonò nel vicolo, come se qualcuno avesse fatto cadere qualcosa sua una lamiera. I due semidei si alzarono e si avvicinarono a una piattaforma di carico, dove si trovava una pila di vecchie casse. Una lamiera ondulata tremolò, come se ci fosse nascosto un gatto. Talia guardò Luke, che mimò con le labbra “uno… due… tre!” Arrivati a quel numero, il mezzosangue strappò via la lamiera, mentre una bambina gli si scagliava contro armata di martello.
«Ehi!» esclamò Luke. Le afferrò il polso e l’arma le cadde dalle mani.
La bambina alzò i suoi occhi grigi sul ragazzo. Aveva ricci capelli biondi, tutti spettinati, e indossava solo un pigiama di flanella. Era così piccola – non avrà avuto più di sette anni – che mi fece un’immensa tenerezza, ma ero certa che avrebbe colpito Luke senza esitazione, se non si fosse fatto trovare preparato.
La bambina si dimenò e scalciò, gridando: «Basta mostri! Andate via!»
Luke faticava a tenerla ferma, tanto quella si dibatteva come un’anguilla. «Va tutto bene!» provò a calmarla, poi si girò verso Talia e disse: «Ritira l’egida, la stai spaventando.»
La cacciatrice annuì e fece ritornare il suo scudo in una forma innocua.
«Tranquilla» tentò la ragazza. «Non vogliamo farti del male. Mi chiamo Talia, mentre lui è Luke.»
«Mostri!» li accusò la piccola.
«Assolutamente no» garantì il mezzosangue. «Noi li combattiamo i mostri.»
La bambina sembrò calmarsi e smise di lottare, anche se continuava a fissarli imbronciata, valutandoli con i suoi occhi grigi e intelligenti. Mi erano familiari, come lo sono certi passanti che giureresti di aver conosciuto, anche se non è così.
«Siete come me?» domandò, sospettosa.
«Sì» confermò Luke. «Siamo…» si interruppe. Evidentemente, non era ancora a conoscenza dell’esistenza degli dèi. «Non importa, ma combattiamo i mostri. Dov’è la tua famiglia?»
«La mia famiglia mi odia» replicò la bambina. «Loro non mi vogliono. Allora, sono scappata.»
Talia e Luke si scambiarono una lunga occhiata. Sapevano perfettamente cosa intendeva dire la piccola.
«Come ti chiami?» chiese Talia.
«Annabeth.»
La saliva mi si bloccò in gola, minacciando di strozzarmi. Quella era Annabeth? L’Annabeth che era scappata di casa, prima di arrivare al Campo Mezzosangue? Dovetti concentrarmi per stare al passo con la visione. Luke sorrise.
«Un bel nome. Ti voglio dire una cosa, Annabeth: sei parecchio feroce, e noi avremmo bisogno di una guerriera come te.»
«Davvero?» La bambina strabuzzò gli occhi.
«Oh, certo» affermò Luke. Capovolse il suo coltello e offrì ad Annabeth il manico. «Ti piacerebbe ricevere la tua prima arma ammazza-mostri? Questa qui è di bronzo celeste, funziona molto meglio di un martello.»
Forse non esattamente educativo regalare un coltello a una bambina di sette anni, ma per i semidei non ci sono regole se non: sopravvivi in tutti i modi. Annabeth afferrò l’elsa, studiando il pugnale.
«I coltelli sono solo per i guerrieri più rapidi e coraggiosi» spiegò Luke. Sentii, contemporaneamente alla voce del ragazzo, anche quella di Annabeth che vi si sovrapponeva. Aveva imparato quelle parole a memoria. «Non hanno la portata né la potenza di una spada, ma sono facili da nascondere e riescono a trovare i punti deboli nell’armatura del nemico. Ci vuole un guerriero intelligente per usare il coltello. Io ho la sensazione che tu lo sia.»
Lo sguardo di Annabeth era pieno di ammirazione. «Sì!» pigolò.
Talia sorrise. «Sarà meglio andare. La nostra casa sicura si trova sul fiume James, là ti troveremo dei vestiti e qualcosa da mettere sotto i denti.»
«Voi n-non mi riporterete dalla mia famiglia?» chiese Annabeth. «Promesso?»
Luke le mise una mano sulla spalla, che sembrava così fragile. «Fai parte della nostra famiglia, adesso. Perciò, prometto che non lascerò mai che ti sia fatto del male. Io ti abbandonerò come hanno fatto i nostri genitori. Affare fatto?»
«Affare fatto!» rispose la bambina, contenta.
La visione cambiò bruscamente. Non eravamo più nel vicolo, bensì in un bosco, dove tre semidei correvano. Dovevano essere trascorse settimane, se non mesi. Avevano tutti un aspetto malconcio, come se ne avessero trascorse tante di avventure, dal loro primo incontro. Annabeth aveva nuovi vestiti: jeans e un giubbotto dell’esercito che le stava grande. Talia stava in retroguardia, brandendo l’egida per respingere il loro inseguitore. Zoppicava sulla gamba sinistra.
«Ancora un po’!» gridò Luke, e afferrò Annabeth quando questa inciampò in una radice.
Si arrampicarono sul bordo di un’altura e guardarono giù, osservando una villetta bianca. Luke si terse le fronte sudata.
«Va bene» disse. «Entro di nascosto e prendo un po’ di cibo e medicine. Voi due restate qui.»
«Luke, sei sicuro?» domandò Talia. «Avevi giurato che non ci saresti mai tornato. Se lei ti scopre…»
«Non abbiamo scelta!» ringhiò il semidio. «Il nostro rifugio più vicino è bruciato. Devi medicarti la gamba ferita. Devo ritornarci.»
«Quella è casa tua?» chiese Annabeth, sbigottita.
«Era casa mia» borbottò Luke. «Credimi, se non fosse per un’emergenza…»
«Tua mamma è davvero così orribile?» domandò Annabeth. «Possiamo vederla?»
«No!» replicò il mezzosangue di scatto.
Annabeth si fece piccola piccola, quasi che quella rabbia la sorprendesse.
«Io… scusa, mi dispiace» si affrettò a rimediare Luke. «Aspettate qui e non preoccupatevi. Vi prometto che andrà tutto bene.»
Una luce dorata illuminò il bosco, facendo urlare i tre. Una voce maschile tuonò: «Non saresti dovuto tornare.»
La visione si dissolse bruscamente, lasciandomi ansimante per tutto ciò cui avevo assistito. Mi tremavano le ginocchia, e scoprii che non solo io mi sentivo spossata, ma anche Alex e Percy. Soprattutto Annabeth. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime da un momento all’altro e si appoggiava al figlio di Poseidone come se fosse l’unico che potesse sorreggerla in quel momento. La capivo: aveva rivissuto momenti che aveva condiviso con una persona importante che ora non c’era più, che era passata dalla parte di Crono, che era Crono. Era tutt’altro che facile. Qualcuno, dietro di noi, tossicchiò, ricordandoci il motivo per cui eravamo andati lì.
«Ehm…» balbettò Percy. «Divina Estia, siamo venuti qui per una questione urgente. Dobbiamo assolutamente vedere…»
«Lo sappiamo» lo interruppe una voce.
Rabbrividii, perché era la stessa dell’ultima visione. Il dio comparve scintillando al fianco di Estia. Dimostrava sui venticinque anni, aveva i capelli ricci e brizzolati e lineamenti elfici. Indossava una divisa da pilota dell’aeronautica, con piccole ali piumate sul casco e gli stivali di pelle nera. Appoggiato a un braccio c’era un bastone, dove su serpenti si arrotolavano, intrecciandosi l’un l’altro. Intuii si trattasse di qualche postino divino, magari vestito con una tutina da supereroe tipicamente americano. Prima che potessi chiedergli qualcosa di sconveniente, Alex mi sussurrò: «È Ermes, messaggero degli dei.»
«Come fai a saperlo?» bisbigliai.
«Il caduceo» rispose, indicando il bastone.
«Ciao, Percy» salutò Ermes, ma aveva la fronte aggrottata, come se fosse arrabbiato con lui.
Sperai non volesse incenerirmi perché avevo partecipato a una visione dove c’era anche lui o, meglio, la sua voce. E pregai anche che non fosse arrabbiato con me.
«Il mio momento è finito» si congedò Estia, prima di scomparire.
Percy si inchinò, imitato presto da tutti. «Divino Ermes.»
Una voce nasale mi rimbombò nella testa. «Certo, eh, nessuno che ci saluta mai.»
«Ciao, George» disse Percy. «Ben ritrovata, Martha.»
«Mi hai portato un ratto?» chiese George, e mi stupii di capire che si trattava di uno dei serpenti che si attorcigliavano sul caduceo. Ero indecisa se sbuffare o mettermi a interrogare il figlio di Poseidone sul perché avesse degli amici così strambi. E perché dovesse farmi venire dei colpi quando li incontrava.
«Smettila!» lo apostrofò Martha. «Non vedi che Percy è occupato!»
«Troppo occupato per i ratti?» fece George, seriamente stupito. «Che tristezza.»
«Uscite fuori dalla mia testa!» sbottai.
I due serpenti emisero delle esclamazioni stupite, ma chiusero il becco. Sospirai, massaggiandomi le tempie.
«Ehm, divino Ermes» cominciò Percy. «Dobbiamo parlare con Zeus, è importante.»
Ermes lo fissò con due occhi di ghiaccio, duri e freddi. «Sono il suo messaggero, puoi dirlo a me.»
La situazione non stava andando esattamente per il verso giusto.
«Ragazzi» esclamò Percy. «È meglio se ci aspettate fuori insieme ai norreni. Noi altri arriveremo tra un po’.»
«Buona idea!» lo supportò Annabeth, che si era un po’ ripresa dalla visione. «Connor, Travis, a voi il comando!»
Nessuno dava mai loro il comando, non erano molto affidabili, ma pensai che la figlia di Atena volesse metterli in risalto nei confronti del padre. Qualcuno provò a protestare, ma abbandonò i suoi progetti e uscì dalla sala del trono con gli altri. Ora che eravamo rimasti in quattro, mi sentii in piena balia di quel dio dalla luna storta. Sapevo fin troppo bene quale tipo di idee venivano loro in mente, quando non erano di buon umore, il che accadeva abbasta spesso.
«Mio signore» riprese Annabeth, quando tutti se ne furono andati. Grazie al trucchetto di Travis e Connor, Ermes le avrebbe dato sicuramente ascolto. «Crono attaccherà New York. Sono certa che voi ne avevate già il sospetto e che mia madre avrà previsto qualcosa.»
«Tua madre» brontolò il dio. Non sembrava molto impressionato. Feci una smorfia. «È colpa sua se sono qui, anche se Zeus voleva tutti al fronte. Ma lei “no, no, è una trappola, un diversivo” e bla bla bla. Voleva venire lei di persona, ma ovviamente la prima stratega del signore degli dèi non poteva allontanarsi troppo da Tifone. Allora, naturalmente, ha mandato me.»
Da come aveva sottolineato i due avverbi, capii che era piuttosto scocciato di esseri qui a parlare con noi. Era palese che non gli piaceva sempre il suo ruolo di messaggero, essere spedito da tutte le parti come una pallina da ping-pong.
«È più che probabile che si tratti di una trappola» prese parola Alex. Non sapevo da dove tirasse fuori il coraggio. «Senza l’aiuto degli Dèi… anche con noi qui, la situazione non è rose e fiori.»
Ermes lo fulminò con gli occhi, usando il tipico sguardo assassino da Alex-Dahl-figlio-di-Odino-come-hai-anche-solo-osato-pensare-di-parlare-in-mia-presenza-eh.
«Non siamo degli stupidi e sappiamo ciò che sta accadendo» replicò, secco. «Per questo abbiamo preso delle misure di sicurezza. I venti di Eolo non permetteranno a nessuno di salire sull’Olimpo volando, lo ricaccerebbero giù. Anche per il migliore dei combattenti, seicento piani non sono una passeggiata. Se vogliono arrivare, dovranno prendere l’ascensore.»
Mi figurai l’immagine di un esercito compresso dentro l’ascensore, le facce crudeli e le armi affilate apposta per noi, mentre come sottofondo c’era Stayin’ Alive. Mi trattenni dal ridere.
«Forse basterebbe che uno di voi tornasse» suggerì Percy.
«Tu non capisci, Percy Jackson. Tifone è il nostro peggior nemico e sta devastando l’America» replicò Ermes, scuotendo la testa impaziente.
«Credevo che il vostro peggior nemico fosse Crono» mi lasciai scappare.
Mi sentii immensamente stupida, ma non potevo fare nulla per rimediare. Desiderai scomparire. Forse seicento piano non erano poi così male.
«No» mi contraddisse infatti il dio. «Non so quanto una norrena conosca della nostra mitologia» pronunciò norrena come se fosse un insulto, così rialzai la testa e cercai di mostrarmi fiera, come per dimostrargli che i miei dèi non erano affatto delle mezze calzette. «Nei tempi antichi, Tifone riuscì quasi a rovesciare l’Olimpo. Noi eravamo più potenti di oggi, ma ci siamo quasi fatti sconfiggere. È il marito di Echidna, il padre di tutti i mostri.»
«L’ho conosciuta a St. Louis» borbottò Percy, ricordando chissà quale delle sue imprese. «Una personcina adorabile.»
«Dobbiamo rallentarlo, stiamo facendo progressi» riprese Ermes.
«Progressi?» fece Percy.
«Ammetto che abbia quasi distrutto delle città, ma solo la metà del Kentucky. Sta rallentando e perde potenza» disse, con una voce che sembrava voler convincere anche lui stesso.
«La prego, Ermes» intervenne Annabeth. «Ci dica dei messaggi di mia madre riguardo a Crono.»
«Atena ha detto che siete soli, che dovete difendere Manhattan senza l’aiuto degli Dèi. Oh, ma i norreni saranno molto d’appoggio, statene certi. Uno di loro ha modificato la Grande Profezia.» Fissò Alex, poi riprese a parlare, senza spiegare altro. «Secondo, ordina di attiva il piano ventitré. Ha aggiunto che tu, Annabeth Chase, sapessi come fare.» La figlia di Atena annuì, ma si morse il labbro, preoccupata. «Ultimo, un messaggio per Percy. Ha detto “ricorda i fiume” e qualcosa che suonava come “sta’ lontano da mia figlia”.»
La frase inaspettata mi colse impreparata, così mi scappò una breve risatina. Alex fu molto più bravo di me a contenersi, ma sorrideva così tanto che sembrava si fosse fatto il botulino. Percy aveva tutte le carte in regola per vincere un premio come Faccia Più Simile A Un Pomodoro o Pomodoro A Forma Di Faccia Più Grande D’America.
«È tutto?» chiese Annabeth.
«Sì» confermò il dio.
«Grazie, divino Ermes» disse lei. «Io… io volevo anche scusarmi per Luke» aggiunse, piano.
«Non avresti dovuto toccare questo tasto» replicò il messaggero degli dèi a denti stretti, l’espressione del viso indurita.
«Pensavo di doverle delle scuse» gli fece notare, nervosa.
«Le scuse non bastano!» gridò Ermes, e sentii George e Martha sussultare. Il dio trasformò il caduceo in un bastone che scintillava come se fosse attraversato da corrente elettrica.
«Avresti dovuto salvarlo quando ne avevi avuto l’occasione. Eri l’unica che avrebbe potuto farlo» ringhiò.
Percy cercò di intervenire. «Di che cosa sta parlando? Annabeth no-»
«Non difenderla, Jackson!»
Ermes puntò contro di lui il bastone elettrificato. Sentii la paura attorcigliarmi l’intestino e legarlo con un bel fiocco. Non potevo intervenire, altrimenti sarei rimasta uccisa, ma non potevo rimanere lì a guardare che ammazzasse Percy.
«Forse non sono le persone giuste quelle contro le quali se la sta prendendo.»
Fissai Alex. Provai l’impulso di saltargli addosso e tappargli quella bocca, però, al tempo stesso, l’ammirazione mi costrinse a rimanere ferma al mio posto. Perché doveva sempre difendere gli altri? Era nobile, altruista e troppo stupido: dov’era finito lo spirito di autoconservazione? Perché si poneva in situazioni che mettevano sempre a rischio la sua vita? Mi morsi l’interno della guancia. Quelle sue caratteristiche erano le stesse che me lo facevano piacere, le stesse che mi avevano salvato più volte. Prima che Ermes potesse usare il suo bastone-laser, George e Martha strisciarono verso il suo orecchio e gli sussurrarono qualcosa. La rabbia del dio sbollì, ma il suo volto era ugualmente truce.
«Percy Jackson e Alex Dahl, poiché avete un ruolo troppo importante perché io vi uccida, vi lascerò nelle mani delle Parche. Ma tu» puntò l’indice verso il figlio di Poseidone «non rivolgerti mai più a me in questo modo, sia chiaro. E tu» lo spostò su Alex «non sei il benvenuto sull’Olimpo. Ti sconsiglio di rimetterci piede senza invito.»
Dopodiché, sparì in una luce dorata. Mi accorsi di aver trattenuto il fiato, così inalai un grosso respiro. Annabeth aveva gli occhi pieni di lacrime, ma aveva un autocontrollo davvero notevole. Lei e Percy uscirono per primi dalla sala del trono, mentre io mi trattenevo dal squagliarmela. Avrei fatto volentieri a meno di incontrare gli Dèi per i prossimi dieci anni.
Fuori, Connor Stoll ci venne subito incontro e annunciò: «Dovete venire a vedere una cosa, adesso.»
Dal tono si capiva che non era una buona notizia. Ci affrettammo a seguirlo, notando che quasi tutti i figli degli dèi greci si erano riuniti ai giardini ai bordi del monte Olimpo e guardavano giù.
Era possibile vedere l’Hudson e l’East River tagliare la forma di Manhattan, i grattacieli e l’immensa zona verde di Central Park. Connor ci condusse verso uno dei binocoli panoramici e inserì una dracma, poi fece spazio a Percy. L’espressione del suo viso cambiò varie volte in ripetizione, fece osservare anche Annabeth, e i due si scambiarono uno sguardo preoccupato.
«Cosa c’è che non va?» chiese Alex, perplesso.
«Non si sente nulla» rispose Percy. «New York non è mai silenziosa, mai. Adesso… non c’è nessun rumore.»
«Il traffico si è fermato» continuò Annabeth. «E tutti i mortali sono svenuti, accasciati sui marciapiedi a occhi chiusi.»
Guardai Alex e insieme recitammo le parole di Helen. «Non sentivo la presenza di umani
«Cosa?» fece Percy.
«La figlia di Frigg che è venuta con noi ha il dono della preveggenza. Ha detto quella frase riguardo a uno dei suoi sogni. Ha predetto ciò che sta accadendo ora.»
«Come nella Grande Profezia» ricordò Annabeth. «E mentre in un lungo sonno il mondo piombar vedrà…» citò.
Gli occhi di Percy si illuminarono. «Morfeo!» esclamò.
Connor alzò un sopracciglio. «Che c’entra Morfeo con la Grande Profezia?»
«I mortali non sono morti, ma addormentati. Morfeo li ha fatti cadere tutti in un sonno profondo.»
«Ma non è riuscita ad addormentare noi» notai. «Nessun semidio norreno o greco si è addormentato all’improvviso.»
«Perché siamo meno facili da soggiogare» spiegò la figlia di Ecate, comparendo alle spalle di Alex. «Questo incantesimo è di dimensioni gigantesche, ma per i mortali basta uno strato di magia più sottile. I semidei sono più difficili da addormentare.»
Il figlio di Odino le sorrise, come a voler dire “sapevo che mi saresti stata utile”.
«Questo significa che l’invasione è iniziata» disse Annabeth, nervosa. «Dobbiamo scendere dall’Olimpo e riorganizzarci, non possiamo venire colti impreparati.»
 
Dopo aver ripreso l’ascensore, ci ritrovammo tutti ai piedi dell’Empire State Building. Annabeth si fece consegnare da Beckendorf uno scudo lucido, apparentemente uguali a tutti gli altri. Si concentrò, e la superfice rifletté l’immagine della Statua della Libertà.
«Un’idea di Dedalo» spiegò la figlia di Atena. «L’ho fatto costruire a Beckendorf, e lui è riuscito a riprodurlo perfettamente. Se viene colpito dalla luce del Sole o della Luna in modo naturale, ti consente di vedere letteralmente qualunque cosa.»
Dalla Statua della Libertà, la visuale si spostò su Central Park, poi il ponte di Brooklyn, arrivò sopra di noi.
«Cavolo!» esclamò Alex.
«Anche noi abbiamo i nostri trucchetti» replicò Annabeth, fiera di mostrare qualcosa capace di stupire come Skidbladnir. Be’, un po’ meno di Skdbladnir. La nostra drakkar era il massimo.
«Perlustra il perimetro dell’isola» disse Percy.
Lo scudo mostrò la baia di Long Island, mostrando decine di motoscafi guidati da semidei che solcavano le acque in direzione di Manhattan. Degli strani incroci tra cani e foche, simili ai delfini, se non osservati bene, li accompagnavano. Bandiere viola con lo stemma di una falce nera erano mosse dal vento. La visuale si spostò ancora, facendo vedere la Jersey Shore, dove un carrarmato attraversava il Lincol Tunnel, scortato da giganti, due draghi sputafuoco, e diversi ciclopi. Sembrava un paesaggio surreale.
«Dove sono tutti i mortali al di fuori di Manhattan» domandò Percy.
«Non credo che tutta New York stia dormendo» disse Annabeth. Fece cambiare il riflesso dello scudo, mostrando le autostrade che portavano in New Jersey. Le macchine si muovevano a un chilometro all’ora. «Crono sta rallentando il tempo, il suo raggio d’azione è meno efficace man mano che ci allontaniamo dall’Olimpo» disse.
«Dobbiamo difendere Manhattan» affermò Percy, deciso.
«Ma è enorme» gli feci notare.
«Non molto, se vi aiutiamo noi.»
Mi voltai di scatto e sorrisi. Talia e le sue Cacciatrici erano arrivate ad aiutarci, accompagnate da lupi e falchi, mentre le faretre erano colme di frecce. Mi venne voglia di abbracciarla.
«Talia!» esclamò Percy.
«A rapporto» disse lei, avvicinandosi allo scudo. «Allora, come ci disponiamo?»
Il figlio di Poseidone le rivolse un gran sorriso, poi attirò l’attenzione di tutti i semidei su di lui.
«Michael Yew e la Casa di Apollo al ponte di Williamsburg. Katie Gardner e le figlie di Demetra prendono il Brooklyn-Battery Tunnel. Connor e metà della sua Cabina si occuperà del ponte di Manhattan. Travis e gli altri suoi fratelli penseranno a quello di Brooklyn. Silena, tu condurrai la tua Casa al Queens-Midtown Tunnel. Figli di Efesto, prendete l’Holland Tunnel. Il ponte della Cinquantanovesima Strada è per la Casa di Atena. Mettete in atto il piano ventitré. Talia, il Lincol Tunnel va a te. Io mi occuperò delle barche. Chiaro?»
Tutti i greci gli risposero battendo le armi sugli scudi. Avrebbero difeso la loro città dando il loro meglio.
Alex tossicchiò, poi divise in gruppi la sua Orda e li dispose affinché andassero con i greci nei vari punti da difendere.
«Vieni con noi, Astrid?» mi chiese Talia, visto che Alex mi aveva lasciata libera di scegliere.
Mi morsi il labbro. Non volevo lasciare da solo il figlio di Odino, non dopo che la prima parte del sogno di Helen si era avverata.
«Certo che viene con voi» disse per me Einar, passandomi accanto. Talia mostrò il pollice alzato. «Ci penso io a tenere d’occhio Alex» mi sussurrò il figlio di Loki, ammiccando e sorpassandomi.
Lo afferrai per la maglietta. «Promettilo.»
«Lo prometto» giurò.
Lo lasciai andare. Sperai con tutta me stessa che non permettesse che non gli accadesse nulla. Sospirai e mi voltai per seguire le Cacciatrici.

Annuncio koalico: pochissimo tempo a disposizione, connessione merdosa = il mio angolino verrà rimandato.
Non disperate <3
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Water_wolf