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Autore: wanderjess    14/03/2014    1 recensioni
Ottantacinquesimo giorno dalla battaglia di Marineford.
Edward Newgate è morto e con lui le speranze e la felicità di migliaia di persone, primi fra tutti i componenti della ciurma, i suoi amati figli.
Marco la Fenice ha ormai preso una decisione: prenderà il posto di suo padre e farà risorgere la ciurma dell'uomo più forte del mondo, anche sacrificando se stesso.
Ma cosa accade quando il tormento diventa troppo grande da sopportare, quando la disperazione si fa strada tra le pieghe di un animo già distrutto, quando anche il più piccolo dosso si trasforma in un ostacolo insormontabile?
Il capitano Marco riuscirà a reggere il peso di tutte le responsabilità e delle speranze che grava sulle sue spalle? Riuscirà a ritrovare se stesso e ad avere il coraggio di affrontare un mondo che avanza senza aspettare i più deboli?
*****
[4/01/15: con mia grange vergogna, ho abbandonato la scrittura per mesi interi; chiedo scusa ai lettori ma annuncio che la storia verrà ripresa il più presto possibile]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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One Piece

CAPITOLO 2 – parte 2:




Babbo... ora chi tra loro avrebbe potuto ascoltare tutto quello che avevo dentro? Chi sarebbe stato capace di farmi sentire parte di una famiglia, chi avrebbe saputo consigliarmi? Ogni singolo istante del tempo passato con lui mi ritorna alla mente, in un susseguirsi continuo di ricordi: le battaglie, le tranquille serate sul ponte, i pomeriggi in cui sonnecchiava nella sua cabina ed io lo raggiungevo, confidavo tutte le mie preoccupazioni, le speranze, i sogni, e lui se ne stava in silenzio ed ascoltava attentamente, senza giudicare, consigliandomi. Quel vecchio pirata aveva capito molto più della vita di chiunque altro conoscessi e io ero fiero di essere suo figlio. Ma ora il grande Barbabianca, l'uomo più forte del mondo, non c'era più.
Ero solo, a capo di una ciurma distrutta, fatta di uomini che probabilmente non avrebbero mai più avuto la stessa forza d'animo di un tempo, non avrebbero più combattuto con lo stesso ardore che li animava quando eravamo tutti uniti.
Perché? Perché aveva dovuto andare in quel modo, perché il destino aveva preso tutt'un tratto una piega avversa?
Se in quel momento il Babbo fosse stato lì con noi, se non avessimo partecipato alla guerra, se Ace non fosse stato così avventato, se Satch non fosse morto, se Teach non avesse mai solcato i mari con la nostra ciurma... allora noi tutti avremmo ancora una famiglia.
La fiamma della fenice che un tempo ardeva orgogliosa in me mi avrebbe condotto lontano, e in quel momento mi sarei trovato in qualche posto nuovo, tutto da scoprire, assieme al Babbo e i miei fratelli. Non sarei stato chiuso nella mia cabina a rimpiangere i tempi passati più con disperazione che non nostalgia. Perché quando accade un evento del genere non si può far finta di nulla ed andare avanti, e la tentazione di chiudersi a riccio e piangersi addosso è forte.

«Sbrigati, Marco: il capo dice di avere un nuovo incarico per te.»
Alzai gli occhi dall'antica mappa. Domenica? Sapevo che avrebbe potuto disporre di noi quando ne avesse avuto bisogno, ma doveva disturbarmi proprio la domenica?
Sbuffai lievemente ma mi alzai dalla sedia di legno e, indossato un giaccone, uscii di casa alla volta della villa del mio nuovo capo.
Giunsi a destinazione nel giro di pochi minuti. Le guardie mi fecero entrare e mi condussero al grande salone che dominava la casa, dove il capo mi aspettava comodamente seduto su una poltrona davanti al camino, un sigaro in bocca e lo sguardo spento.
Appena mi vide mi fece segno di sedermi di fronte a lui.
Obbedii e lo squadrai. Da noi conosciuto come Bishamon, Jigme Ogawa aveva l'aspetto di un colto e raffinato nobile, con quei suoi baffi grigi come gli occhi e il portamento austero. Agli occhi del mondo era un rispettato cittadino dell'isola di *** e un benefattore per coloro che si trovavano in difficoltà. Aveva ottenuto così, attraverso modi eleganti ma ingannevoli, la stima del popolo, che gli aveva favorito l'ascesa personale ed infine un posto tra i più potenti capi dell'isola.
«Marco, ben arrivato. Ti ho chiamato per avvisarti dell'arrivo di un nuovo carico dal mar Meridionale, vorrei che gli dessi un'occhiata. Sai come si procede, no? Prendi i più giovani, scarti chi non ci serve. Le donne mandale nei bordelli della città bassa, le più belle lasciale per Mada
me Camélie e se vuoi tieni una di loro per te. Ma assicurati che i ragazzi righino dritto. Minaccia, pesta, puoi anche uccidere chi oppone resistenza, come esempio per tutti. Intesi?»
Ed ecco che faceva la sua comparsa il mostro. Era quella la verità celata dietro all'elegante maschera: un commerciante di schiavi, il burattinaio che dall'alto manovrava i fili delle nostre vite, e noi tutti eravamo legati a lui da grosse corde impossibili da spezzare. Alcuni restavano a vita dei membri di scarsa importanza cui venivano assegnati i compiti più semplici, ma se si possedeva talento era facile fare strada e diventare i favoriti del boss. Io ero tra quei fortunati: il vecchio mi aveva inquadrato e mi teneva d'occhio da mesi, quando ancora lavoravo per un altro intraprendente signore. Era stato facile per lui assassinare il mio capo e prendere il comando di tutti i suoi uomini, me compreso. E da parte mia, io non avevo avuto particolari problemi nel passare da una direzione all'altra, tanto le regole parlavano chiaro: una volta entrati nel giro, non c'era più modo di uscirne.
«Intesi. Al solito posto?»
«Ovviamente. Invia qualcuno a far rapporto non appena avrai terminato.»
Accennai un saluto con il capo e uscii dalla villa. Il porto distava mezz'ora di cammino a piedi. Meglio volare, no?
Chiusi gli occhi, mi concentrai e cercai dentro di me. Lentamente, scorsi una piccola fiamma blu al centro del mio petto, un fuoco che si ingrandì, illuminò la mia figura ed infine mi avvolse completamente, trasformando prima le mie braccia, poi le gambe e tutto il mio corpo in una grande, maestosa fenice azzurra.
In un battibaleno mi ritrovai davanti al mare che circondava la nostra isola: acqua gelida, ghiacciata in certi punti, accanto alla costa. Feci un giro di perlustrazione, guardai l'ampia distesa azzurra ed il rudimentale porto grigio, costruito in mezzo alle rocce e celato alla vista degli abitanti della cittadina. I gruppi di guardia erano sparsi nel vicino territorio boscoso, unico accesso per chi raggiungeva il posto da terra. Una nave era ancorata nella baia: era quella la mia destinazione.
Planai , mentre qualcuno tra i miei sottoposti alzava lo sguardo al cielo e mi intravedeva, avvisando poi i compagni del mio arrivo. Quando poggiai i piedi a terra, il mio corpo era già tramutato in quello di un uomo; l'effetto doveva essere stato alquanto teatrale, poiché in molti, fra i prigionieri lì presenti, socchiusero la bocca stupiti e sgranarono gli occhi. Meglio così, se avessero avuto paura di me già da quel momento, avrei potuto evitare che qualche ragazzo coraggioso mi desse problemi.
Osservai le persone davanti a me con aria annoiata. Il solito: si trattava di un gruppo eterogeneo.
Donne, uomini, vecchi e bambini provenienti da ogni angolo dei quattro mari.
Vittime della guerra, di sequestri, orfani, vedove.
Spaventati, confusi, desolati.
«Ascoltatemi bene: d'ora in poi voi tutti siete schiavi di nostra proprietà. Sarete smistati e i miei uomini vi porteranno nei luoghi a voi destinati. Credetemi» continuai vedendo già qualche giovane adirarsi «se vi dico che è meglio che non vi opponiate al nostro volere: le guardie che qui vedete sono solo alcuni dei nostri collaboratori, non avete possibilità di ribellarvi a noi.
Non appena sarete stati divisi, i nostri medici inseriranno nel vostro corpo un microchip che vi seguirà ovunque andiate: fuggire è uno spreco di tempo ed energie...» era la solita pappardella che rifilavo ad ogni nuovo carico che arrivava. Certe volte i prigionieri erano talmente spaventati e mansueti da far quasi pena ad uno come me, ma molto spesso si trattava di persone forti, avidi di libertà e decise a non rinunciare a quella condizione per diventare schiavi. Alcuni preferivano addirittura battersi singolarmente contro di noi e morire... pazzi.
Proprio mentre mi rivolgevo ad un mio sottoposto perché iniziasse a dividerli, udii un bisbiglio provenire dal gruppo di prigionieri prima muto. Una voce si alzò su tutte le altre: «Non potete farci questo, non ne avete il diritto!»
«Chi ha parlato?» tuonai. «Fatti avanti!»
La folla tacque e si immobilizzò.
Li guardai. Paura, rabbia, terrore e rassegnazione erano le emozioni che leggevo sui loro volti, ma nessuno, dopo quel grido, osò rivelarsi o emettere alcun suono. Pareva quasi che non respirassero nemmeno.
Vigliacchi...
Mi rivolsi nuovamente a Dan: «Procedi, e fai in modo che questo non ricapiti più.» alzai maggiormente la voce, per farmi udire da tutti loro «Chiunque oserà di nuovo opporsi, riceverà una punizione esemplare. Avete capito?»
Non aspettai una risposta che non sarebbe comunque arrivata. Feci per voltarmi, quando un guizzo biondo catturò la mia attenzione. Aguzzai la vista: si trattava di uno dei prigionieri... una donna. O meglio, una ragazza dai lunghi capelli color del sole che mi osservava contrita.
La osservai stupito. Aveva qualcosa... qualcosa che mi affascinava terribilmente: sembrava così diversa dagli altri e quello sguardo chiaro che ora appariva crucciato, rivelava un'emozione profonda e indefinita, qualcosa che ancora non riuscivo ad afferrare.
«Dan, quella tienila per me. Che si faccia trovare a casa mia entro questa sera, lavata e vestita decentemente.
Oh, quando avrai finito manda qualcuno da Bishamon a fare rapporto.»
«Ok capo!»

Quella sera, una volta rientrato nella mia modesta abitazione, trovai la ragazza di qualche ora prima seduta sul divano.
«Buongiorno.»
Lei alzò improvvisamente il capo, per poi scrutarmi con cipiglio scuro. Solo in quel momento notavo l'acquamarina dei suoi occhi. Non avevo mai visto un colore così in vita mia...
«È sera, signore.» precisò, fiera.
Il tremolio della voce si notava appena, avrei voluto complimentarmi. Sembrava più giovane di me di circa cinque o sei anni, ma lo sguardo era quello intenso e profondo di una donna.
«Come ti chiami?»
«Moe.»

Bocciolo. Quello era il significato del suo nome, e inizialmente fui così cieco da non rendermi conto di come lei fosse un piccolo fiore che aspettava solo l'occasione giusta per sbocciare ed aprirsi, rivelando quanto di più bello potesse mai mostrare.
Capii che non sarebbe stato un incontro come gli altri.

Qualche settimana dopo, mi sentivo un uomo diverso. Non migliore, né tantomeno felice. Solamente diverso, strano, combattuto.
Moe mi aveva cambiato e non potevo negarlo, perché avrebbe significato mentire a me stesso, di fronte all'evidenza.
Ero tormentato, perché non sapevo più che strada avrebbe dovuto prendere la mia vita. Da una parte c'era la purezza di Moe e la luce che avrebbe portato con sé. Ma io non volevo... avevo paura di scegliere e cambiare, era troppo bella la monotona tranquillità che avevo raggiunto conducendo quella vita, sebbene una lieve voce mi suggerisse che tutto ciò fosse sbagliato.
Moe, qualche giorno dopo il suo arrivo in casa mia, mi accusò di essere infelice: «Tu non vivi: ti limiti a sopravvivere.»
Quante parole sagge da una ragazza così giovane... ed io non potei fare a meno di pensare e rimuginare le sue parole, la notte, nella solitudine della mia stanza.
Se non fossi stato quello che ero, mi sarei lasciato andare alle lacrime fin troppo spesso in quel periodo. In fondo quella ragazzina aveva ragione, ma non poteva sapere che non avevo scelta. Non riuscivo a esternare i miei sentimenti, non potevo urlarle che tutti quelli che amavo se n'erano andati e mi avevano lasciato solo, solo con i miei pensieri e solo a compiere delle scelte. Mi avrebbe fatto sembrare debole ed io non potevo permetterlo, non in quel tempo in cui ancora mi occupavo di rinforzare con il cemento armato quel rassicurante guscio protettivo che mi ero costruito durante l'infanzia.
Il risultato sembrava perfetto: all'età di ventiquattro anni ero un uomo – non più un ragazzo – forte, che pensava di riuscire a confrontarsi con tutto ciò che la vita gli avrebbe messo davanti. Ed ero così preparato a far fronte alle difficoltà, alle sfide, a uomini che tentavano di mettermi i piedi in testa, che rimasi spiazzato davanti alla dolcezza di quella che al tempo chiamai “stupida ragazzina”.
Soltanto dopo anni mi resi conto che in quel periodo buio della mia vita non mi ero tramutato in dura pietra, ma in un piccolo bruco che si era protetto creando un bozzolo attorno a sé, chiudendo la porta in faccia a chiunque cercasse di creare un legame. I primi anni della mia esistenza mi avevano profondamente segnato, ma non pensavo che dentro il bozzolo pulsasse ancora la vita, un me che spingeva per uscire ed aprire le ali.
La farfalla uscì dalla sua protezione in un giorno che ricordo tutt'ora. Il giorno in cui la ciurma di colui che venne conosciuto con il nome di Barbabianca, invase la nostra isola e liberò tutti gli schiavi sotto il dominio del nostro gruppo.
Bishamon venne ferito durante l'assalto e poi processato.
Ma ciò che mi cambiò fu ben più grave del lavoro perduto: in tutto quel caos che era diventata la mia anima, l'unico, saldo punto di riferimento era Moe... i pirati me la portarono via, mi strapparono la sola cosa che teneva assieme i pezzi del mio essere e, come un vaso colmo d'acqua che comincia a traballare, all'assenza di lei tutto in me si ruppe e si riversò all'esterno. Fu come l'infrangersi di una diga, o lo scoppio fragoroso di un pallone pieno d'aria. Mi ritrovai sorpreso, scioccato, solo in una casa che d'improvviso s'era fatta troppo grande, pieno della mia pazzia e della mia disperazione. Dopo anni passati a costruire con precisione maniacale quel guscio cementato attorno a me, la sola sua mancanza fu distruttiva e ruppe tutto: tutte le barriere, tutti gli argini tra me ed il mondo.
Quello che per troppo tempo avevo tenuto nascosto dentro di me, ripudiato dalla mia mente, scoppiò in un tormento disperato, una sensazione che corrode, che lacera e strappa... che fa dannatamente male. E quando mi accorsi di cosa mi stava accadendo, di come stavo diventando nuovamente vulnerabile, gridai: nel vuoto di casa mia urlai tutto il mio dolore, tutta la rabbia e la desolazione della mia vita senza di lei. Un pazzo, mi avrebbero potuto considerare un pazzo... ma era così forte, così impossibile da sopportare quello che provavo, che per la prima volta dopo anni, piansi. Piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto quando dovevo uccidere e malmenare i prigionieri, quando il capo mi insultava o quando, nel vedere la dignità umana calpestata in quella maniera, avevo l'obbligo di restare fermo, impassibile.
Scoppiai, gridai, piansi e mi distrussi, mi feci del male per il solo fatto di potermi ancora sentire vivo, buttai all'aria i mobili di casa mia, strappai le vesti ed urlai ancora, affinché qualcuno potesse udire il mio lamento, ma più d'ogni altra cosa per sfogare tutto ciò che sentivo dovesse uscire da me. Ed infine mi sentii vuoto, svuotato di ogni mia emozione e pensiero. Un contenitore che ormai aveva versato tutto il liquido che portava con sé ed ora era rimasto senza più uno scopo.
Ma senza quei giorni, quei terribili giorni di buio denso e nero senza uscita, non sarei arrivato punto in cui ero, decine d'anni dopo. E, nonostante tutto il dolore che avevo dovuto provare anche dopo, non ero pentito... perché sapevo d'aver vissuto, e vissuto veramente. Non mi ero limitato a sopravvivere, ne andavo fiero.
Una volta distrutto, quando ero consapevole di star lentamente morendo, provai ad sporgermi al di là dei pezzi del guscio rotto: uscii di casa un soleggiato pomeriggio, oltrepassai la porta d'ingresso e guardai la baia sotto i miei occhi, dal terrapieno dov'era situata la mia dimora. Decisi di scendere fino alla spiaggia e mi ritrovai, dieci minuti dopo, steso sulla sabbia a riflettere... perché la mia vita aveva dovuto prendere quella strada? Dopo anni passati a brancolare nel buio avevo finalmente trovato un raggio di sole ad illuminare la mia via, e mi era stato subito portata via... dai pirati.
Inutile provare a sconfiggere la ciurma di Edward Newgate: sebbene fosse agli esordi, tutti in città conoscevano la sua forza e la determinazione dei suoi uomini.
Fu quando proprio loro mi trovarono, steso sulla sabbia calda, che capii che da predatore ero divenuto preda. Non riuscivo più a trovare in me la forza di un tempo, e per loro fu facile mettermi a tacere nel momento in cui cercai di battermi, nel disperato tentativo di ritrovare una parte di me che avevo definitivamente perso.
Ma fu in quel momento che la mia vita cambiò per sempre: lo incontrai. Ebbi modo di fare la conoscenza di Edward Newgate, e oltretutto in un modo poco civile. Persi la battaglia, ma lui non rise, non lanciò sguardi carichi di disprezzo o compassione. Contrariamente a tutto ciò che avrebbe potuto dire o fare in quel momento, il gigantesco uomo se ne uscì con un unico: «Vuoi diventare mio figlio?».
Contro ogni ragionevole aspettativa, accettai ed ebbi anche occasione di rivedere Moe, addirittura più bella di qualche settimana prima.
E nemmeno due mesi dopo, stavo salpando assieme al mio capitano alla volta di nuove avventure, pieno di una rigenerata forza e di energia. Felice per la prima volta dopo moltissimi anni, leggero e aperto verso qualsiasi cosa sarebbe successa nella mia vita. Consapevole che Moe e quel saggio pirata che era Barbabianca, mi avevano cambiato per sempre.

Angolo dell'autrice:

Ehm, buonasera! So che avevo detto "due o tre settimane", ed infatti il capitolo era quasi pronto da tempo, solo che la scuola e la pigrizia mi hanno assalito alle spalle e mi ritrovo a pubblicare a quest'ora della sera, non volevo farvi aspettare ancora...
Bene, spero vi piacciano i ricordi di un'ipotetica gioventù di Marco, non so come mi sia venuto in mente ma mi piace abbastanza xD la prima parte non mi soddisfa molto, specialmente l'incontro con Moe, ma ho preferito non approfondirlo e calarmi maggiormente sulla parte che, penso, mi è venuta meglio: il punto di svolta nella vita della nostra fenice/ananas preferita :D
Ringrazio tutti voi che mi avete lasciato delle recensioni bellissime e anche i lettori nuovi!
A presto!
Kora :)

  
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