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Autore: skippingstone    16/03/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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12. Ho abbassato le mie difese e mi hai attaccato

«Tu sei pazzo! Devi aver sbattuto la testa da qualche parte per fare una cosa del genere.»
Victor prova ad avvicinarsi a me, ma io continuo ad indietreggiare. Non voglio essere toccato da colui che doveva proteggermi.
Come ho potuto credere alle sue parole? Come potevo pensare che lui fosse l'unica persona che mi capiva e che mi aiutava? È spregevole, peggio del Presidente Morse. L'ho anche paragonato a Livius ma lui non ha nemmeno un minimo del suo carattere.
«Dovevo restare vivo, eh? Dovevo vincere perché...»
Smetto di parlare e provo a collegare le varie vicende. Se Victor non fosse altro che un leccaculo del Presidente? Se lui ha ricevuto il compito di dovermi ingannare e uccidere?
«Snow, tu devi vincere!»
Finalmente cessa di essere il finto calmo che interpreta sempre e inizia ad agitarsi. Almeno, in questo caso, ha la decenza di mostrare il suo vero io. 
Di solito leggevo insicurezza, paura e timore nei suoi occhi ma anche una forza a cui potevo far fede. Ora capisco cosa erano tutti quei comportamenti strani: guardarsi sempre attorno, cercare di capire cosa faceva e diceva il Presidente, non indossare i vestiti creati da Cosima e Caesar perché lui non fa parte del team. Lui vuole distruggere il team, vuole distruggere me.
«Snow, fermati, cazzo!»
Urla troppo forte e io mi spavento perché, così, ritorno alla realtà. Una realtà che non voglio accettare. Perché devo essere sempre io quello preso in giro? Perché devo essere sempre io quello ingannato? Cosa spinge gli altri a farmi diventare il loro giocattolo? Ho scritto in faccia "prendetemi per il culo"? 
Mi sento quasi come la madre di Livius: impotente contro gli eventi. Fortunatamente ho imparato a stringere i denti e, all'occorrenza, mordere.
«E devo fermarmi solo perché me lo dici tu? Chissà se è vera tutta quella messinscena che mi hai raccontato: i tuoi Hunger Games. Secondo me, fai bene a sentirti in colpa! Non mi stupirei se sapessi che li hai uccisi tutti tu i tributi, uno ad uno.»
Lui si blocca, le mie parole lo hanno colpito. Aveva avuto sempre ragione il mio maestro Leon: le parole sono armi più potenti della migliore spada.
«Spero che, in sogno, ti appiano tutti i volti dei tributi morti. Spero vengano, sempre, a farti compagnia.» - continuo ad inveire contro di lui.
Victor lascia cadere un flacone di qualcosa a terra e mi guarda come per dire che ormai è finita, che ho esagerato.
Senza neanche dire una parola, va via.

Nella mia testa frullano troppe cose e non so quale sia il tasto giusto per fermare tutto questo. L'unica cosa che so è che devo sfogarmi, sfogarmi davvero.
Decido, allora, di addestrarmi all'uso di armi da taglio. Seguo la spiegazione sulla sicurezza e su come portare un arma senza ferirsi. Poi arriva, finalmente, il momento di scegliere l'arma per la parte pratica e io prendo l'ascia. L'addestratore mi consiglia di usare dei pugnali perché questa è la prima volta che uso delle armi del genere ma io non gli do retta.
Reggo il manico di legno in maniera forte e decisa, la lama è verso il basso ed entro nella sala di simulazione. Si abbassano dei sacchi dal soffitto: il mio compito è distruggere tutto in un minuto. 
Scatta una campanella e sento lo scorrere delle lancette del tempo. Alzo la lama e inizio a tagliare, con difficoltà, la corda che tiene appeso il primo sacco. È più pesante del previsto sollevare l'ascia. Passo ad un altro sacco e non riesco a buttarlo giù se non dopo tre colpi. Passo avanti e mi sento ancora più stanco. Alle spalle vengo colpito da un sacco e cado. Fortunatamente ho allontanato l'ascia in tempo sennò avrei avuto anche il viso sfregiato. Mi rialzo e prendo l'arma. Stufo di questi insuccessi, dentro di me sento riscaldarsi qualcosa: è come quella volta in cui smisi di essere la vittima dei bulli del distretto.
Urlo incazzato come una bestia e butto giù un sacco, un altro ancora e mi soffermo su quelli buttati a terra. Non mi fermo neanche un attimo perché non voglio: quei sacchi devono diventare polvere, devono scomparire dalla mia vista così come tutti quelli che odio. Conficcando, però, la lama in uno dei tessuti, questa si blocca e non riesco più a tirarla su. Allora scelgo di liberare l'ascia prendendola dalla lama. Inizio a battere la parte del legno sui sacchi, l'acciaio penetra la mia cute. 
La campanella trilla e io continuo ad attaccare un altro sacco. Mi devono fermare per poter farmi smettere. Alzando lo sguardo, vedo i vari tributi che mi guardano.
«Cosa avete da guardare voi?»
Li attacco già ora. Saranno miei nemici tra pochi giorni, perché non combatterli già adesso?
Mi strappano, violentemente, l'ascia da mano e inizia a scorrere sangue dalle mani, gocce rosse cadono lentamente sul pavimento. All'improvviso un flashback: le mie mani quando hanno toccato il corpo insanguinato di Livius. Mi agito ancora di più e mi dimeno come un uomo che vuole liberarsi dalla camicia di forza.
«Lasciatemi! Lasciatemi!»
Mentre mi portano via, mando a fanculo coloro che non hanno creduto in me. Chiedo anche a mio padre se ho ancora le ossa graciline come quelle di mia madre.

Mi hanno medicato le mani e bendato. Per maggiore sicurezza mi hanno anche ammanettato. Hanno chiamato il mio mentore, Cosima e Caesar per farmi calmare. Peccato che uno di loro non può calmarmi ma farmi agitare ancora di più.
Vanno via i Pacificatori e vengo bombardato dalle opinioni dei due fratelli.
«Snow, porca ghiandaia chiacchierona. Tanta la rabbia che hai, che ti stanno pulsando le vene. Sembri uno tosto, un duro. Ogni giorno che passa avrei voglia di prenderti, spogliarti tutto e sco...»
«Snow, c'è un limite sottile tra rabbia e pazzia. Tu stai oltrepassando quel limite dalla parte della pazzia. Basta, dovresti calmarti.»
Come sempre, Cosima è quella che vuole solo soddisfare i propri bisogni, Caesar è quello che si preoccupa delle apparenze. E, ancora "come sempre", Victor resta nel suo angolino, non commenta e non fa niente. Sta semplicemente in questa stanza ma è come se non ci fosse. Preferirei, oltre alla sua assenza psicologica, anche quella fisica.
«E tu, Victor?» - decido di stuzzicarlo - «Non mi dici niente? Non vuoi farmi la paternale?»
Lui mi guarda e mi risponde mantenendo la sua posa composta. 
«Questa volta vorresti ascoltare o fare come tuo solito?» 
«Illuminami: qual è il mio solito?»
Lui fa un leggero ghigno e si avvicina di più a me.
«Ti fai entrare le cose da una parte e, subito dopo, te le fai uscire da un'altra perché vuoi fare  di testa tua. Non tutti sono tuoi nemici, sai?»
«No, non tutti. Ma la maggior parte lo sono.»
Vorrei dirgli che, in questa maggior parte, è incluso anche lui ma questo pezzo lo tengo per me.
Cosima si intromette nel discorso.
«Snow, noi non siamo tuoi nemici. Noi siamo qui per aiutarti, per darti mille possibilità.»
Vorrei dire a tutti che, sì, Victor mi ha offerto mille possibilità per morire.
«Scusate, ora vorrei tornare ad addestrarmi.»
Io sto uscendo dalla porta ma Caesar mi stringe per un braccio e mi ferma.
«Non fare stupidaggini.»
«Mai fatte.»
Lascio andare la sua presa con uno spintone e ritorno al Centro. Subito Søren viene a parlarmi.
«Uó, hai ucciso un gatto o ti hanno ammanettato perché hai fatto l'assassino di sacchi?»
Non la rispondo, anzi la guardo in modo infastidito come per dirle che è meglio se va via. Lei, però, non si allontana ma crede che le stia dando il permesso di parlarmi ancora.
«Ieri non sei venuto a cercarmi. Perché? Eri alla ricerca di un calmante per il tuo carattere intrattabile?» «Perché avrei dovuto cercarti?»
«Vedo che non hai preso zucchero questa mattina, solo sacchi contro la schiena e mani ammanettate.»
«Vedo che non hai capito che io e te non saremo mai alleati.»
«Distretto 2, il mio è un piano perfetto. Dovresti pensarci e non arrivare a queste conclusioni affrettate.»
«Fidati, non è una scelta affrettata questa.»
«Io credo di sì. Vabbè, vado ad allenarmi con la tua ascia distruttrice. Vieni con me? Oh, non puoi: hai le manette che ti impediscono di continuare l'allenamento.»
«No, mi fermerò da qualche altra parte.»
Lei va a destra e io continuo ad andare dritto. Mi fermo per addestrarmi con armi da fuoco. Ai Pacificatori chiedo se mi levano le manette e loro lo fanno senza fare troppe domande. Vado verso il banco dove trovo una pistola bianca. Con me c'è il tributo del distretto 3 che gioca con dei pezzi di qualcosa. Io, posizionandomi al tavolo da tiro, sparo i manichini computerizzati con i proiettili di laser.
«Devi mantenere la pistola con due mani per una mira migliore.»
Il tributo del distretto 3 mi dà un consiglio su come sparare. All'inizio non lo seguo e lui scoppia a ridere. Allora scelgo, dopo questo ennesimo fallimento, di fare come mi dice lui e, infatti, già migliora qualcosa.
Ringrazio il ragazzo e lui mi sorride. Continuo a sparare ma mi distraggo più volte perché l'altro tributo tira su con il naso in modo molto rumoroso.
«Tutto bene?»
«Perché non dovrebbe?» - mi sorride e continua a giocare con i pezzi che ha sul tavolo.
«Che hai là?»
«La pistola.»
Lo guardo un po' incuriosito. Quella che ho io è una pistola, quella che ha lui non lo è. Poi capisco che, in realtà, lui l'ha scomposta facendola in mille pezzi. 

Mi asciugo le gocce di sudore sul collo con un asciugamano. Il tributo del distretto 3, che ho scoperto chiamarsi Falloppio, mi saluta. Ricambio anche io. Esco fuori e, mentre imbocco il corridoio per entrare nella mia stanza, incontro Victor.
«Snow, dobbiamo parlare.»
«Io non credo dobbiamo. Non ne sento la necessità. Se, invece, la senti tu è un altro conto.»
«Snow, smettila di fare il bambino. Vuoi conoscere la verità o no?»
«La verità? La conosco e mi fa schifo, tu mi fai schifo!»
«Se smetti di urlare e me ne dai l'occasione, ti spiego.»
«Non voglio sentire spiegazioni!»
Litigare con qualcuno mi ha sempre destabilizzato. Mi sono sempre sentito una persona che si fa prendere dagli eventi, dalle persone e, anche questa volta, mi è capitato inevitabilmente. 
«Snow... davvero vogliamo continuare così?»
«No! Torniamo a prima quando io credevo che fossi una persona di cui fidarmi ma tu cercavi di uccidermi.»
Non voglio più ascoltare e cerco di andare via ma lui mi insegue iniziando a correre. 
«Snow, porca miseria, stammi ad ascoltare.»
Con violenza mi prende e mi incastra contro il muro. Cerco di ribellarmi ma la sua presa è forte, davvero resistente. Le sue gambe bloccano le mie, le sue mani bloccano le mie braccia.
«Beh, non ho molta scelta.»
«Bene, allora ti spiego. Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per difenderti.»
Gli rido in faccia.
«Oddio, davvero stai dicendo questa stronzata? Mi sembra la confessione di un ragazzino.»
«Mi lasci parlare e poi fai che cazzo vuoi?»
Tutta questa sua rabbia mi sembra immotivata. Dovrei essere io quello arrabbiato come una bestia, non lui.
«Lasciarti parlare? Non voglio ascoltarti. Non voglio vedere la tua faccia nemmeno da lontano, il tuo odore mi disgusta, il tuo tocco mi fa rabbrividire, la tua voce mi fa venir voglia di diventare sordo. Voglio che tu... voglio che tu sia al mio posto perché meriti di ritornare nell'Arena e vivere incubi per l'eternità.»
«Ora che ti sei sfogato, posso parlare?»
«Ma ti ascolti? Le mie parole non ti colpiscono neanche.»
«Non mi colpiscono perché quello che ho fatto, te lo ripeto, l'ho fatto per un giusto motivo!»
«Non esiste nessun buon motivo, non esistono scuse. Tu non puoi credere che sia un bene avvelenare tutti quei thè schifosi che mi facevi bere. Se fai così con tutti i tuoi amici, allora sono strani anche loro. Veleno... ancora non posso crederci!»
«Non è come sembra.»
«E come sembra, allora?»
  
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