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Autore: 1984    17/03/2014    0 recensioni
Iris ha voglia di andare avanti, di non arrendersi.
Perché la vita è come una stella a quattro punte.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I

Meredith mi raggiunge appena suona la campanella.
«Odio la Carf. Ma ti sembra giusto? Mi ha dato una F. Una F! Ho passato l'intero pomeriggio tra i libri per capirci qualcosa, e quando mi sembrava di meritarmi almeno una C, lei mi da una F!», dice gesticolando nervosamente. La Carf è l'insegnante di matematica, tutti i suoi alunni la odiano, ma non lo nascondono affatto, non ci provano nemmeno: lei lo sa perfettamente.

«Tutti odiano la Carf, non te la devi prendere». Ma nel momento esatto che pronuncio queste parole mi viene in mente la frase che mio nonno ripeteva fino allo sfinimento quando facevo i compiti con lui, ai tempi perpetui delle elementari “se studi per un periodo e poi non passi un esame è da considerarsi una cosa gravissima: dimostra che sei uno stupido”. Meredith non è una stupida, semplicemente si distrae facilmente e ultimamente è ancora più distratta da nientemeno che un ragazzo. E'anche  una delle poche persone che è rimasta com me anche dopo la morte di mia sorella, quindi non posso che esserle riconoscente per avermi aiutata ad accettare la mancanza di Georgia.
Getto un occhiata all'alta finestra che da sul cortile e vedo che il tempo è ancora orribile. La pioggerellina di fine settembre ha imperlato le foglie degli alberi, che hanno iniziato a ingiallire. Sbuffo. Tra meno di due settimane lascerò tutto questo. Ho una paura folle di iniziare tutto da capo. Meredith mi cammina vicino, arrabbiata per il brutto voto e il rumore che fanno i tacchi dei suoi stivaletti sul pavimento della mensa mi distraggono. So che alcuni ragazzi pagherebbero per portarla al ballo di fine anno. E' incredibilmente attraente ai loro occhi, solo che lei ignora la verità. E si dispera sempre con me di quanto io sia fortunata a essere praticamente l'opposto di lei.
Sorvolo tutte le volte perchè si da il caso che sia un disastro in tutto e per tutto.
«C'è Adam», bisbiglia Meredith spostando una sedia. Adam frequenta l'ultimo anno. E' alto, bruno, atletico. Meredith è completamente cotta di lui.
«Ehi, Mohmoh, chiudi la bocca o rischierai di sbavare», dico ridacchiando. Mohmoh è lo stupido soprannome che all'asilo avevamo dato a un bambino che piaceva a Meredith. E da allora è rimasto, solo che lo ha adottato lei. Nel nostro gergo comune 'mohmoh' corrisponde a 'pera cotta', ma per evitare equivoci diciamo semplicemente mohmoh.
«Dio». Si lascia cadere boccheggiante sulla sedia.
«Mi ha sorriso». Addenta una fetta di torta alle mele con le guancia infuocate. «Non ci crederai, ma ieri gli ho parlato».
«Beh, è una cosa positiva, no? E' un potenziale ragazzo».
«Ma va al quinto anno». Ecco la frase che le ho più sentito dire ultimamente. «Non so cosa farò quando te ne andrai». Ed ecco l'altra. Mi fissa con gli occhi lucidi. Le briciole della torta le sono cadute sul colletto della camicetta, ma io l'abbraccio senza dire nulla.

Meredith che stringe la mano a una Florence con gli occhi lucidi.
John che mi sorride e la sua piccola sorellina in braccio alla madre con gli occhi lucidi che chiede dove stia andando e se ritornerò.

Sono queste le immagini che mi rimangono impresse mentre mio padre gira la chiave e mette in moto la macchina e mia madre fissa la strada con gli occhi vuoti. Mi sporgo dal finestrino, la cintura slacciata, e fisso le persone che più mi sono state accanto praticamente dall'asilo con gli occhi lucidi e i capelli che vengono fatti svolazzare selvaggiamente dal vento.
I miei hanno venduto la casa un mese fa e ieri li ho aiutati a chiudere gli ultimi scatoloni. Mi è parso così strano vedere tutta la mia vita e quella della mia famiglia chiusa e sigillata in quelle tristi scatole. Poi mi sono alzata di scatto dal pavimento gelido della mia camera e ho fissato quelle nuvolette per l'ultima volta. Papà aveva già rimosso le stelline dal soffitto e quelle nuvolette erano un po' come il più sincero ricordo che Georgia aveva lasciato di sé. Può sembrare una cosa stupida, ma io la pensavo proprio così in quel preciso momento.

Mamma scoppia a piangere. «Non possiamo farlo, avremmo dovuto rimanere, avremmo dovuto farlo per Georgia», dice. Mi fa rabbia vederla così vulnerabile; è incredibile vedere le reazioni che hanno i vivi nei confronti della morte di una persona cara. Quando mia sorella era ancora viva mamma si faceva forza, non piangeva mai e dico mai in sua presenza. L'aiuto ad alzarsi e l'abbraccio. «Penso che Georgia non avrebbe voluto vederci tristi per causa sua», dico tutto d'un fiato. Mamma mi sorride e si asciuga gli occhi con la manica, un gesto così infantile che le sorrido di rimando.

La casa è bianca e ha il tetto rosso mattone, come ho visto centinaia di volte nelle foto che mio padre ha fatto prima di decidersi a comprarla. Mia madre e io non siamo mai andati a vederla dal vivo e devo dire che da l'idea che tutto sia proporzionato e grazioso: le persiane sono rosse, curate e il portone è di legno massiccio. Adoro questa aria retrò che si respira dentro casa, il pavimento è rivestito di un parquet di colore scuro. Non so molto sui vecchi proprietari, ma è probabile che fossero anziani, data la quantità enorme di mobili in legno che hanno lasciato perchè deceduti. Mio padre ha acconsentito di occuparsi lui stesso della mobilia, in parte perchè ha notato che è di ottima fattura e poi per farci scegliere se tenere qualcosa. La notte scende in fretta e dopo aver posizionato, montato e scaricato scatoloni e mobili ci siamo riuniti tutti e tre sul divano a mangiare cinese, il cibo preferito di Georgia. Guardo mia madre che mangia involtini di riso con le dita e sorride tristemente. Papà mangia con forchetta e coltello – non ha mai imparato a usare le bacchette.
E d'un tratto mi rendo conto che Georgia manca e mancherà sempre: mancano la sua risata fragorosa e i suoi splendidi capelli d'oro intrecciati con maestria, manca la sua presenza qui, con noi, proprio in istanti come questi. Ma ho intenzione di andare avanti, il che è una cosa che mia madre non sembra aver ancora concepito. E' rimasta attaccata al passato. Come mio padre. Ma è proprio per questo che siamo venuti qui, per andare avanti, per iniziare tutto da capo. Prima di andare a letto attacco una foto che ritrae mia sorella sorridente a cinque anni con una me, appena nata e frignante tra le braccia, alla parete che ho deciso di dedicare alle foto. Mi stendo sul letto e fisso il soffitto al buio. Poi mi alzo, apro almeno sei scatoloni prima di trovare quello che cerco: una piccola stella fosforescente. Ne ho tenuta una, alla quale avevo rotto una punta da piccola e l'attacco vicino alla foto di me e mia sorella, poi spengo la luce. Fisso la piccola stella luminescente a quattro punte e poi bisbiglio: «buona notte piccola stella», pensando a Georgia.


-- Salve a tutti!
Qui è 1984 - autrice indaffarata di questo romanzo iniziato da poco - che vi scrive. 
Non ho molto da dire, tranne che, wow, se siete arrivati fin qui meritate la mia stima, quindi grazie.
Alla prossima, gente temeraria :)

   
 
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