Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: pocketsizedtitan    19/03/2014    14 recensioni
Levi/Eren | Coffee Shop AU
Eren Jaeger lavora come barista nel caffé di sua madre, ed è uno specialista di Latte Art. E poi c'è Levi, che non è esattamente il cliente tipico perchè è brusco e rozzo (il che in realtà, secondo Eren, non è poi così diverso dal cliente tipico), ma che soprattutto non fa altro che confondere il tenero cuoricino di Eren.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui la traduttrice! Innanzitutto un enorme grazie a chi sta leggendo questa storia, poi un grazie a tutti quelli che l'hanno inserita nei preferiti/da ricordare/seguita e a chi ha lasciato un commento. Ogni volta vedo numeri che non mi sarei mai sognata e sia io che l'autrice siamo super felici che ci siano tutte queste persone che apprezzano la fic. Vi avviso che la settimana prossima ho un esame e pertanto ho già avuto un po' di difficoltà ad aggiornare oggi, quindi il prossimo capitolo potrebbe arrivare a fine settimana prossima ;_; (io ci provo a essere puntuale ma non prometto nulla!). Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: Quando Marco dice 'tifo l'altra squadra' in realtà non è una traduzione letterale (la letterale è 'batto per l'altra squadra' per questo Eren parla di football americano), ma tifo faceva più senso in italiano. Solita cosa sulle cose che bevono. Solita cosa sugli errori di distrazione xD


The Little Titan Café
CAPITOLO 10: Caldo e freddo

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: caffè mocha

C’era una legge non scritta che affermava che non appena eri solo a lavoro – Eren era uscito a buttare la spazzatura – sarebbero improvvisamente apparsi dei clienti, e infatti, nell’esatto momento in cui Marco ed Eren, dopo aver perso mezz’ora a cazzeggiare, avevano ripreso a fare qualcosa la campanella del negozio suonò. Fortunatamente erano solo due persone, quindi Marco Bodt pensò che sarebbe riuscito a servirli entrambi da solo senza problemi. Sorrise educatamente ad una giovane donna probabilmente della sua età, e delle fossette si formarono alle estremità dei suoi occhi, mentre diceva: “Benvenuta al Little Titan Cafè. Come posso aiutarla?”

Il campanello suonò ed un altro cliente entrò nel negozio. La donna aprì la bocca per chiedere ma fu bruscamente interrotta quando il cliente appena entrato si mise bruscamente davanti a lei, all’inizio della fila. “Vado di fretta quindi ho bisogno di ordinare.”

Marco guardò scioccato l’uomo, il suo sorriso scomparso. C’era un’aria di presunzione in lui che Marco notò nel tono di voce e nell’espressione impaziente dei suoi occhi. “Ehm, mi scusi signore, ma c’è una fila e-”

“Ti sembra che la cosa mi interessi? Prendo un decaffeinato colossale.”

“Mi dispiace signore, ma deve fare la fila.”

“C’è un posto dove devo stare. O non hai sentito che vado di fretta?”

Marco sorrise pazientemente. “Sono le dieci di sera passate, signore. Sono certo che ovunque debba andare può essere atteso. Ora potrebbe per favore spostarsi al termine della fila?”

“Ora ascoltami bene teppistello, io lavoro per una compagnia grossa, capito? Non ho un lavoro senza prospettive.” Marco fece un sospiro gentile: quindi quest’uomo era uno di ‘quel genere’. “E ho una video-conferenza con varie persone importanti da diverse parti del mondo fra poco. E se faccio tardi a questo meeting perché tu ti rifiuti di fare il tuo lavoro, ti assicuro che ti faccio licenziare. E farò anche in modo che tu non venga assunto da nessun’altra parte.”

“Signore, mi dispiace che lei abbia deciso di prendere un caffè così in ritardo anziché essere preparato in anticipo per il suo meeting, ma le devo chiedere di prendere il suo posto al termine della fila.” Il sorriso di Marco si stirò mentre lui piegò la testa da un lato, “Farà tardi al suo meeting se continuiamo a discutere.”

“E’ per questo che ti sto dicendo di fare il mio dannatissimo caff-”

“Che sta succedendo qui?” Eren era finalmente tornato. Gli altri due clienti sembravano a disagio a causa della discussione. La voce dell’uomo d’affari si alzava di più ogni volta che diceva qualcosa a Marco, e le sue guance si erano tinte di rosso dalla rabbia.

“Questo teppista si rifiuta di preparare il mio caffè.” Spiegò l’uomo.

“Questo cliente si è messo di fronte a questa signorina,” Lo corresse Marco. “E si rifiuta di rimettersi in fila.”

“Ritorni in fila.” Disse Eren con meno pazienza di Marco.

“Mi scusi?” L’uomo disse corrucciato. “Questo è un oltraggio. Dov’è il manager?”

“Ah, me lo faccia chiamare.” Eren scomparì nel retro solo per tornare indietro due secondi dopo con un sorrisetto divertito sulle labbra. “Qual è il problema?”

Il cliente colpì il bancone con il lato della mano, chiusa a pugno. “Non ho intenzione di sopportare oltre. Sai chi sono io?”

L’espressione di Eren si fece seria. “Senti un po’, stronzo. Anche se fossi il fottutissimo bambino Gesù non me ne potrebbe fregar di meno. Ora, se non hai intenzione di metterti in fila, puoi anche uscire dal mio negozio.”

“Dammi il numero del proprietario. Vi farò licenziare entrambi.”

“Buona fortuna, allora,” Sbuffò Eren. “Visto che sono suo figlio.” E provò fin troppa soddisfazione al modo in cui la faccia dell’uomo divenne di un orribile rosso. Ormai, anche l’unico altro cliente che sedeva al caffè si era tolto le auricolari che stava usando per capire a cosa fosse dovuta tutta quella agitazione. “Ve lo chiederò gentilmente solo un’altra volta: esca dal mio negozio. Sta disturbando gli altri clienti.”

L’uomo mosse lo sguardo da Marco ad Eren, chiedendosi se potesse spingersi oltre. Marco sembrava un sempliciotto con il suo atteggiamento amabile e il massimo che Eren gli aveva visto fare erano degli sguardi arrabbiati – che non erano per niente intimidatori, ad essere onesti. Ma stavolta Eren notò che l’espressione che era dipinta sul volto del lentigginoso collega non era per nulla gentile, e di una tale intensità che non permise al cliente di infastidirli ulteriormente: uno sguardo di fuoco. L’uomo deglutì. “B-bene. Ma non tornerò mai più. Avete appena perso un buon cliente.”

Eren sospirò altezzosamente quando l’uomo fu uscito dal caffè. “Infatti, meglio che te ne vada.” Poi si girò verso Marco, la cui espressione era ritornata alla solita dolcezza, e gli diede una pacca sulla spalla. “Ecco fatto. Tutto risolto.”

“Grazie Eren.” Disse Marco. Poi si girò verso la signorina che lo stava fissando sgomenta. “Mi dispiace molto. Cosa posso portarle?”

“Il tuo numero,” Disse lei in uno stridolino, e arrossendo vistosamente. “Cioè, intendevo dire… ehm, vorrei un Latte al caramello, corazzato.”

Mentre Marco prendeva gli ordini ed Eren li preparava, quest’ultimo non poté fare a meno di rimanere impressionato dal nuovo arrivato. Anche se quell’uomo gli stava praticamente urlando contro, Marco era rimasto calmo per tutta la durata della discussione. Eren ripensò a quando Sasha si era trovata a confrontarsi con il suo primo orribile cliente: sembrava sull’orlo delle lacrime e non si era calmata fino a quando non le avevano dato qualcosa da mangiucchiare. Connie aveva addirittura alzato il dito medio la sua prima volta – ma fortunatamente c’era solo Eren e comunque non molti clienti, quindi non ne era pervenuta notizia a sua madre. In ogni caso, nessuno di tutti gli altri impiegati aveva gestito molto bene il suo primo pessimo cliente, a dirla tutta. Eren aveva quasi dato un pugno al suo e non l’aveva fatto solo perché sua madre l’aveva fermato.

Si ricordava quella giornata ancora abbastanza bene. Qualche idiota aveva pensato di poterla passare liscia dopo aver affermato che Eren gli aveva dato il resto sbagliato. E questa cosa accadeva fin troppo spesso con i clienti.

“Non so come tu faccia ad essere così paziente.” Disse Eren, una volta che avevano servito tutti i clienti.

Marco fece spallucce. “Prima facevo il cameriere. Credo mi abbia temprato un po’.”

Qualcosa disse ad Eren che la cosa aveva più a che fare con la sua natura che con l’aver lavorato in un ristorante. “Avresti dovuto dare il tuo numero a quella ragazza. Era carina.”

“Ah,” Un’ombra di rossore fece spiccare le sue lentiggini ancora di più. “No. Io non… uhm… “

Eren annuì comprensivo. “Ah, no capisco. C’è già qualcuno.”

“No, no,” Marco agitò le mani in aria. “Niente del genere. E’ solo che io sono…”

“Sei…?”

“Sai…”

“So…?”

“Sono dell’altra sponda.”

“Eh?”

“Tifo per l’altra squadra.”

“Come? Scusa non me ne intendo molto di football.”

Marco sospirò. Fece un passo verso Eren e gli mise una mano sulla spalla proprio mentre la porta del negozio veniva aperta e il campanello suonava. “Eren sono gay.”

“Ah, okay.” Eren si girò verso l’entrata, sorridendo raggiante non appena vide Levi che si era arrestato sul posto. Lo sguardo di rabbia sul viso dell’uomo era intenso, e un’indecifrabile emozione guizzò nei suoi occhi mentre fissava Marco ed Eren. “Hey Le-” Eren ingoiò il resto del suo nome, chiedendosi come avesse fatto a pronunciarlo. “Ehm, bentornato.”

Marco tolse la sua mano, e un brivido freddo attraversò il suo corpo quando lo sguardo di Levi si posò su di lui. Occhieggiò il suo orologio. “Hai capito, Eren? E’ già ora di andare per me.”

“Sì, sì. Non preoccuparti.”

Marco annuì e si affrettò sul retro, nel tentativo di togliersi dalla visuale dell’uomo appena entrato. Era lui o il cliente sembrava avere intenti omicidi? Un vaga idea del perché lo fece sorridere.

“Allora cosa vuole stasera, oh uomo basso e misterioso?” Chiese Eren ghignando.

Levi si avvicinò al bancone con un ‘tsk’. Posò la borsa sul bancone con un tonfo. “Un mocha con espresso triplo corazzato.”

“Wow. Lunga giornata in ufficio?”

Levi si tolse il cappotto. “Non ho un ufficio.”

Eren stava trafficando con la macchina del caffè. “Quindi non lavori per una compagnia o cosa? Lavori a casa?”

“Sì.”

Doppio wow. Quella era la cosa più onesta che Levi avesse mai detto su sé stesso. Dopo il non avere un ufficio, ovviamente. Eren provò a pensare a tutti quei lavori che si possono fare da casa. “Sei un web-designer o simili?”

“No.”

Maledizione. “Sei un programmatore informatico?”

“No.”

“Sei uno di quei professori che insegnano online?”

“Ho già detto di no a ‘professore’ e ‘insegnante’.”

“Sei sicuro di non essere uno scrittore?”

“Sono sicuro.”

“Ci vediamo, Marco.” Eren agitò la mano mentre Marco usciva, i suoi passi più veloci quando aveva notato lo sguardo di Levi. “Certo che se ne è andato di fretta. Ma credo di non poterlo biasimare.” Eren mise la tazza di fronte a Levi.

“Sembrate in confidenza.” Disse Levi, avvicinando la bevanda a sé.

“Marco è un ragazzo simpatico.”

“Ti piacciono i ragazzi simpatici?”

“Eh? Direi di sì.” Eren corrugò le sopracciglia alla domanda. Aveva l’impressione che c’era un significato sottinteso dietro quelle parole e che lui non stava capendo.

Levi portò la tazza alle labbra e ci soffiò dentro. “Quindi ti piacciono i ragazzi.”

“B-be’, sì.” Borbottò Eren, chiedendosi come la conversazione fosse passata dalla carriera di Levi alle sue preferenze sessuali.

Levi fece un piccolo sorso. “E lui… ti piace.”

“Cosa? No! Cioè, è un ragazzo simpatico e tutto, ma è solo un amico.”

“Capisco.”

“Sei proprio strano oggi, sai? Non che tu non sia strano. Solo più strano.”

Levi posò la sua tazza, imperturbato dall’osservazione di Eren. La sua postura era rilassata, e per quello che si poteva vedere, lui sembrava tranquillissimo tranne che per l’ombra che gli aleggiava negli occhi. C’era sempre un’ombra nei suoi occhi, ma stasera era più scura. Più minacciosa. “Immagino tu abbia ragione.”

“Normalmente non sei mai d’accordo con me, oltretutto. E’ successo qualcosa a lavoro?”

“Sono affari tuoi?”

Tali parole ebbero l’effetto di una freccia nel cuore di Eren; un promemoria che lui era solo un impiegato e Levi era un cliente, e che quella era l’unica relazione che li legava. E per la prima volta da quando Eren aveva conosciuto Levi, si sentì amareggiato a causa della sua natura vaga e criptica. Qualche volta lo sentiva vicino, e qualche altra, come ora, lo sentiva distante e inavvicinabile. “No, direi di no.”

“Vuoi sapere perché non voglio dirti che lavoro faccio?”

“Eren batté gli occhi. “Sì?”

“Tecnicamente ho due lavori.”

“Be’ allora non vale. Ora devo indovinarli entrambi.” Levi era davvero strano e inspiegabilmente disponibile, ma, nonostante ciò, Eren dubitò che sarebbe riuscito a scoprire di entrambi i suoi lavori. “Ma questo non mi spiega il perché tu non voglia dirmeli. Non è che me ne vada in giro a dire a tutti che sei un poliziotto sotto copertura. Ti prometto che non prepariamo metanfetamina nel retro, anche se sembra.”

“…”

Eren posò una mano su quella di Levi, in maniera confortante. “A meno che non fai proprio questo. Vendi marijuana o cose simili? Sei uno spacciatore? E’ questo? Posso trovarti un gruppo di supporto se sei drogato.”

Lo sguardo impassibile che gli concesse Levi valse la pena perché l’ombra nei suoi occhi sembrava essere scemata. “Ti sembro un drogato o uno spacciatore?”

“Uno spacciatore elegante, sì.”

Il pugno in cui era stretta la mano di Levi si aprì, e la punta delle sue dita che sfiorava l’interno del polso di Eren fecero rendere conto al ragazzo che aveva toccato Levi. Stava per ritrarre la mano, ma quelle stesse dita si strinsero attorno al suo braccio in una presa stretta. Il suo cuore martellò rumorosamente nel petto e Eren era sicuro che Levi poteva sentirlo. “Tocchi sempre le persone così liberamente, Eren?”

Il modo in cui Levi aveva detto il suo nome fece pensare ad Eren che l’uomo era perfettamente consapevole delle sue reazioni: aveva pronunciato ogni singola sillaba, enunciato il suo nome con uno schiocco della lingua, abbassato la voce in un timbro roco. E non aiutò il fatto che il suo pollice aveva carezzato una delle sue vene in un modo che, voluto o non, aveva fatto attraversare un brivido lungo il corpo di Eren. “No.”

Eren provò a guardare ovunque, in qualsiasi posto che non fosse Levi. C’erano solo due altri clienti nel caffè, ma nessuno dei due si era accorto del suo turbamento interiore. Uno guardava assorto lo schermo del suo computer, mentre l’altro si stava preparando ad andarsene.

“Ti fai toccare dalle persone, normalmente?”

A Eren ci volle un attimo per realizzare che la domanda non era uguale alla prima. “Uhm, no. Quindi potresti lasciarmi?”

“Non hai protestato quando il tuo collega ti ha toccato.”

Eren corrugò le sopracciglia. “Marco? Di che stai parlando? Tutto quello che ha fatto è-” Quello fu il momento in cui una realizzazione lo ammutolì. Un bellissimo, glorioso pensiero che fece battere il suo cuore più velocemente, ma in un bel modo. Stavolta incontrò lo sguardo di Levi, con occhi così brillanti e speranzosi che presero l’uomo alla sprovvista. “Non è che… sei geloso?”

Levi lasciò la presa, e la sua facciata di difesa si ricompose a tutta forza. “Cosa ci sarebbe da essere gelosi? Ti sto semplicemente facendo notare che sei troppo aperto, qualcuno di cui approfittarsi facilmente.”

La frustata che Eren provò gli fece malissimo. Era incredibile quanto velocemente Levi potesse cambiare da caldo a freddo, dal bruciare le sue interiora ad avere lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelida. “E’… è la cosa più stupida che io abbia mai sentito. Non sono cose che dici ad un ragazzo.”

Levi fece spallucce. Cacciò il suo pc dalla borsa, e questo indicò la fine della conversazione.






Eren stava pulendo i tavoli in giro per il negozio, il che era una cosa buona per Levi dal momento che lui, invece, non stava assolutamente lavorando. L’ultima cosa a cui poteva pensare in quel momento era il lavoro, non quando era stato vicinissimo ad assicurarsi un biglietto di prima classe per l’inferno. Se non ne aveva già uno - e probabilmente ce l’aveva.

Cosa diavolo l’aveva posseduto quando aveva afferrato Eren in quel modo? In verità, sapeva esattamente cos’era stato. Levi non era bravo a fare lo stupido, né era stupido di per sé, e tutto quello a cui riusciva a pensare era di essere arrivato al caffè e aver trovato quel ragazzo lentigginoso toccare Eren e a come qualcosa era scattato dentro di lui. Un calo di giudizio, forse. Probabilmente anche di pazienza. Di morale, persino.

Dio, Eren aveva almeno dieci anni meno di lui e tutto quello che Levi voleva era baciare lo stupido moccioso perché aveva fatto quell’espressione speranzosa alla prospettiva che Levi fosse geloso.

Si passò una mano sul viso, fermandola a metà per proteggersi dalla concretezza della sua perversione. Stava avendo una crisi di mezza età? Era quello? Ma dannazione, lui aveva trentadue anni. Era troppo giovane per cose del genere. Okay: era anche vero che era sempre stato più maturo della sua età. Magari stava arrivando a quel punto della sua vita in anticipo.

Levi era abbastanza sicuro che Eren aveva una cotta per lui se quello sguardo speranzoso era qualcosa su cui basarsi, o se lo erano il modo in cui Eren arrossiva sempre quando c’era Levi, o se lo erano quegli sguardi che gli lanciava pensando di essere discreto.

E tutto quello che lui voleva era approfittarsi di quella innocente infatuazione.

Sì, Levi sarebbe sicuramente andato all’inferno.

Non aiutava il fatto che prima, durante la giornata, aveva parlato con Hanji del suo libro e di cosa Eren gli aveva fatto notare – di come qualcosa fosse cambiato. Era riuscito a sentire il sorriso di Hanji anche attraverso il telefono e non avrebbe voluto niente di più che strangolarla per le sue risposte maliziose. ‘Ho capito quello di cui parli, Levi… perché non mi racconti che è successo? Qualcosa di bello? Se me lo chiedi, mi sembra che tu sia innamor- ”

Aveva attaccato prima che lei potesse finire.

Nemmeno Erwin era stato di aiuto. ‘Capirai.’

Perché diavolo era ritornato al caffè? Era come se ogni volta che ci veniva, stava mettendo alla prova la sua morale e testando la sua pazienza. Era come un gioco: vediamo quante volte riesci a venire senza assalire il barista dagli occhi luccicanti.

‘Lui ne sarebbe contento’, sussurrò il vecchio pervertito dentro di lui.

E dannazione se Levi non sapeva che quella era la verità.

E perché, perché, per quale motivo aveva detto ad Eren che aveva due lavori? Aveva fatto un grosso errore. Stava iniziando ad essere troppo disinvolto, a proprio agio, troppo aperto. E Levi non si poteva permettere niente di ciò. La sua mente, il suo cuore, la sua vita erano nel caos a causa di Eren e al fatto che tutto quello che lui aveva bisogno di fare era sorridere.

Questo era il motivo per cui il suo libro lo faceva arrabbiare. Aveva bisogno di avere controllo sulla sua vita, e scrivere era sempre stata l’unica cosa su cui aveva assoluto controllo. Ma apparentemente anche quella sicurezza era finita sottosopra.

Ma ora basta. Levi doveva riprendersi sia la sua vita che il suo libro. L’ispirazione l’aveva portato a immaginare un continuo per ‘Attack on Eoten’ che parlava di un ragazzo che salvava l’umanità dai giganti. E sì, forse Levi lo immaginava con gli occhi verde-blu.

E proprio quando stava per rimettersi diligentemente al lavoro, il suo telefono vibrò sul bancone. Una volta. Due. Tre. Era un messaggio. Levi lo prese e fece un faccia contrita allo schermo.

Auruo: Capo, abbiamo un problema.

Hip-hip-dannato-urrà. Questo poteva voler dire una sola cosa.

Non erano nemmeno le ventitré e Levi doveva andarsene. Qualcuno l’avrebbe pagata cara e, possibilmente, con la vita. Levi chiuse il pc e lo rimise nella borsa e finì velocemente di bere la sua bevanda che, in realtà, era diventata fredda durante la sua crisi interiore.

“Te ne vai di già?”

Dannazione. Perché il moccioso doveva avere quel tono avvilito? Levi posò la tazza e si mise il cappotto. “E’ successa una cosa al lavoro.”

“Ah, okay. Spero niente di grave.”

Levi afferrò la borsa e si girò verso Eren. Era ovvio che il barista si stava chiedendo se non era stato lui che aveva fatto qualcosa di sbagliato, pensando che Levi stava solo cercando di essere gentile dicendogli una bugia. No. Togliti quella stupida espressione dalla faccia. Prima che potesse fermarsi – la sua mano si era mossa senza permesso – Levi stava piazzando la suddetta sulla testa di Eren. I suoi capelli erano soffici come aveva immaginato. “Non ti mettere nei guai mentre torni in macchina dopo.”

“N-non lo farò.” Balbettò Eren, chiaramente spiazzato. Le sue orecchie erano rosse, e tale rossore si diffuse anche sul suo viso non appena Levi strinse la presa e lo strattonò più vicino.

“E non ti far toccare più da nessuno. Mi hai capito?”

Aveva finito di preoccuparsi di morale o di età e di essere un adulto responsabile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per non dover sentire quella voce abbattuta o per non rivedere quello sguardo. Questo moccioso era solo suo da confondere e nessuno doveva mettersi in mezzo.

“Io… sì,” Disse Eren disorientato. “Questo non includerebbe anche te?”

“Io sono un’eccezione, moccioso.”

Levi lo lasciò e si avviò fuori dal negozio, prendendo il cellulare dalla tasca per inviare un messaggio ad Auruo.

Levi: Meglio che sia fottutamente importante.

  
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