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Autore: heydrarry    23/03/2014    2 recensioni
 Al ballo scolastico c’è chi si annoia, chi fa scherzi e chi viene corteggiato. Ma Teri, Ria, Eles e Mel non avrebbero mai immaginato che sarebbero state inseguite da un mostro.
Le quattro ragazze si ritrovano in un nuovo mondo, con creature mitologiche e ragazzi provenienti dal futuro a cui si uniranno per evitare l’ennesima guerra tra gli dei dell’Olimpo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'T.R.E.M'
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Capitolo 11

 

ELES

 

Feci molta fatica a mangiare, quella mattina. Mi sentivo ancora molto scombussolata da tutta quella faccenda della Profezia e di partire per un’impresa. Con l’arco me la cavavo, sapevo correre veloce, ma facevo fatica a maneggiare una spada o un coltello.
Ero al Campo da troppo poco tempo e guardandomi allo specchio non vedevo altro che una ragazzina di poco più di quattordici anni, capelli lisci e castani, carnagione ambrata, costretta dalla sua nuova vita a tenere un arco in spalla.
Il succo d’arancia che avevo bevuto sembrava acqua un po’ troppo fredda, i biscotti sembravano pezzi di legno senza sapore e difficili da masticare. La profezia mi aveva sconvolta. Stavo cantando con i miei fratelli quando la ragazza dai capelli rossi si era alzata e guardando verso Teri  aveva parlato con quella voce strana annunciando una nuova profezia di cui non avevo capito quasi niente. Che diavolo significava “diventerà l’obiettivo del grande e straordinario arrivo”? L’obiettivo nel senso del bersaglio? Non avevo risposte. Will e Michael mi avevano incoraggiata, dicendo “Hey, che figata! Un’impresa la tua prima estate!” ma tra impresa e la tua prima estate sentivo aleggiare la parola “suicida”.
Dopo colazione vidi Teri, Mel e Ria alzarsi contemporaneamente e mi accorsi di averlo fatto anch’io. Ci avviamo verso Chirone.
«Bene, vedo che avete finito di fare colazione.» iniziò il centauro. «Avete molto poco tempo. Dovete risolvere questo problema negli Inferi entro il solstizio d’estate. È una data di scadenza che dovete rispettare.»
«Abbiamo una settimana di tempo?» domandò Teri, incredula. «Abbiamo una minima idea di dove sia questo posto di “Pioggia e freddo”?»
«No, ma non credo sia quella la parte difficile» replicò Mel.
«Ma urge partire al più presto» rispose Chirone.
«La profezia diceva che non troveremo il fallimento.» disse Mel. Mi sembrò troppo strana una cosa del genere. Cercai di ricordare la Profezia, recitandola mentalmente dall’inizio, ma Ria mi interruppe, chiedendomi se la ricordassi.

«Sì, ho una buona memoria» risposi, sorridendole.
«Dunque, dice Uno con il molle cerchio, uno con la borsa e uno con il sole chiuso in una morsa, con il Prescelto partiranno per il posto da cui parte il Tormento. Pioggia e freddo troveranno...»
«...Ma non il fallimento» mi interruppe Mel, lanciandomi uno sguardo fulminante. Sbuffai e decisi di ignorarla mentre recitava il resto della Profezia.
«Oh sì, ora ricordo!» esclamò Ria. «Abbiamo la vittoria in tasca e non ci ho fatto caso!»

Ma non facemmo in tempo a tirare un sospiro di sollievo.
«Non interpretatela così alla leggera. Non trovare fallimento non significa che non ci saranno pericoli. E magari per fallimento intende che non troverete il fallimento di Ade, quindi sarete voi a fallire perché non lo scoprirete» intervenne Chirone. «Dovrete comunque prestare attenzione. E tanta.»

«Il posto.» ribadì Ria, senza nascondere troppo la sua impazienza. «Lo so che lo sai, Chirone.»

Fissava dritto negli occhi il direttore delle attività del Campo. Una ragazzina coraggiosa, annotai mentalmente.
«Sì. Venite nella Casa Grande.» replicò il centauro, senza batter ciglio davanti all’impazienza della figlia di Nemesi.
Spostò la sedia a rotelle in cui era nascosta la sua parte del corpo da cavallo e si avviò verso la grande casa azzurra. Teri fu la prima a muoversi, subito dopo seguita da Ria e Mel. Presi un respiro profondo e le seguii. Come faceva Ria ad essere impaziente? E come faceva Mel a restare ragionevole? E Teri, che nonostante le occhiaie violacee sotto gli occhi e il pallore (come se fossero una novità) sembrava calmissima?
Seriamente, come diavolo facevano? Io stavo palesemente tremando e avevo il respiro corto. Inoltre avvertivo la saliva praticamente prosciugata, cosa che non mi aiutava a deglutire.
«Bene, ragazze.» disse Chirone, entrando nell’ufficio di Dioniso. «Il signor D ha qualcosa da dirvi.»
Dioniso camminava nervosamente avanti e dietro.
«Sedetevi, ragazze.» disse, fermandosi dietro la propria scrivania. Mi sembrava un po’ strano che il dio dei divertimenti stessi dietro una scrivania. Era come vedere un gatto che flirtava con un cane. Non che mi fosse capitato. Mi sedetti accanto a Ria.
«Se vi aspettate che mi congratuli con voi per aver ottenuto un’impresa vi sbagliate di grosso.» incominciò il signor D. «Ma vi aiuterò.»
«Ci dirà dove siamo dirette?» chiese Mel.
«Sì, Nel. La profezia ha parlato chiaro. Dice chiaramente pioggia e freddo troveranno.»

«Mi chiamerei Mel, signore.»
«È lo stesso. Come dicevo, il posto più umido degli Stati Uniti è lo stato di Washington» Aprì una mappa davanti a sé e indicò un minuscolo puntino dorato, che doveva essere Seattle.
«Iniziate le vostre ricerche da lì.» proseguì Chirone.
«Ne siete sicuri?» domandò Teri.
«Signorina Pari Nasica, mi sento offeso. Sta parlando con persone che hanno vissuto secoli e secoli più di lei. Si ricordi il rispetto!» ribatté Dioniso.
«Teri Nabaci, signore. Comunque questa è una sola città e gli Inferi sono un regno sconfinato!» replicò Teri.
«Giusto! Come può una forza tanto forte da destabilizzare Ade provenire da qualche grattacielo?» aggiunse Ria.
«Sta sottovalutando Seattle, signorina Jackson. Ed è l’unico posto che corrisponde meglio alla descrizione della Profezia.»
«Non fa una grinza.» disse Mel, sicura di sé. «Seattle è la nostra meta.»
Un posto di pioggia e umidità. L’ideale per una figlia del dio del Sole. Avevo come la sensazione che Mel lo facesse di proposito. Io non la conoscevo neanche prima dell’arrivo al Campo, ma lei mi aveva sempre trattata male, sin da quando eravamo usciti dalla palestra della scuola per scappare dal Ciclope. Cercavo di essere gentile e per un po’ sembrava che le stessi più o meno simpatica, poi mi trattava così. Decisi di rinunciarci e di ignorarla.
«Bene. È tempo di prepararvi, ragazze. Andate a prepararvi gli zaini. Partirete domani mattina, all’alba. Godetevi almeno la festa di oggi, ma non fate tardi.»
«Non faremo colazione qui?» chiese Teri.
«Non c’è tempo.» replicò Mel. «Io preferirei partire adesso. Si potrebbe fare se voi siete d’accordo.»
«No.» risposi. «Io ho bisogno di almeno un altro giorno qui.»
Dovevo salutare i miei fratelli, oltre che a preparare lo zaino. Volevo anche fare allenamento con la spada e nell’arrampicata. Avevo bisogno di altro tempo. Mel tentò di nascondere una smorfia.
«Certo, sua Altezza.» disse, canzonandomi. «Non si dimentichi di mettere fondotinta e tacchi a sufficienza nella sua valigia.» Avevo sempre tentato di essere gentile con Mel. Mi aveva salvato la vita, le ero debitrice. È vero, nella scuola avevo la fama di una ragazza vanitosa e superficiale solo perché ero popolare, ma perché non provare a conoscermi per quello che ero davvero e non per ciò che gli altri dicevano di me? Quindi non seppi trattenermi e mandai al diavolo la decisione di ignorarla. Scattai in piedi.
«Senti, razza di so-tutto-io che non sei altro, se dobbiamo affrontare un’impresa insieme devi imparare a conoscermi per quella che sono davvero e non per uno stupido luogo comune che dice che le ragazze popolari siano anche superficiali, chiaro? Se sei intelligente, supera questo stereotipo idiota!»
E girai i tacchi per andar via, senza aspettare la risposta.
Ero sempre stata una ragazza tranquilla, sin da piccola, nonostante il carattere aggressivo di mia madre. Faceva la poliziotta, era una tosta. Lei mi aveva raccontato che ero sempre stata una bambina tranquilla, niente capricci o piagnistei. Non litigavo mai con le amiche per le bambole. Ma dopo così tanta presunzione sfido chiunque a restare calmo.

 

Raggiunsi l’arena, la parte del Campo adibita all’allenamento con la spada. Scelsi la spada più facile da manovrare e cominciai ad allenarmi contro un fantoccio.
L’avevo quasi fatto a pezzi per la rabbia. La lama squarciava il tessuto mentre le piume continuavano a volare ovunque, alcune appiccicandosi anche sulle mie braccia sudate, altre impigliandosi nei capelli.
«Vacci piano, ragazza. Lascia qualche fantoccio per far allenare anche gli altri.» disse una voce alle mie spalle.
«Hey, sono piuttosto nerv...» Mi voltai e vidi Liam che mi sorrideva, così mi interruppi.
«Scusa» mormorai.
«Tranquilla» rispose, sorridendo.
Ricambiai il sorriso e cercai di recuperare il respiro. Liam mi porse un bicchiere di succo d’arancia.
«Grazie.» dissi, per poi finirlo tutto in un sorso. «E scusa ancora».
«Non preoccuparti. Immagino che tutta questa questione dell’impresa ti abbia scossa parecchio».
«Abbastanza» ammisi, appoggiando il bicchiere su un tavolino lì vicino.
«Ti va di allenarti con una persona in carne ed ossa?»
Mi sentii spavalda e molto più tranquilla. La rabbia stava sfumando lasciando posto alla mia solita pacatezza.
«Sei sicuro di volerti allenare con qualcuno che potrebbe farti a pezzi?» replicai, facendogli un sorrisetto e indicandogli il fantoccio. Liam rise e mi si avvicinò. Vedevo i miei occhi dorati specchiarsi nei suoi azzurri. Si chinò appena su di me e dopo avermi sfiorato i capelli si ritrasse.
«Certo che voglio, tu fai a pezzi i fantocci.» ribatté, sempre sorridendomi e porgendomi una piuma che aveva tolto dai miei capelli. Ridemmo e poi cominciammo ad allenarci.

 

Nel pomeriggio andai sulla riva di Long Island, da sola. Mi resi conto che era la prima volta da quando ero arrivata al Campo che mi prendevo un attimo per me e per i miei pensieri. Mi stesi sull’erba fresca, aprii la sacca in cui avevo messo delle fragole appena raccolte, un blocco da disegno con una matita e mi guardai intorno. Era il primo pomeriggio, quindi non era consigliabile stare alla luce del sole. Mi abbandonai sotto un albero e respirai l’aria fresca, chiudendo gli occhi.
Il rumore delle fronde mi stava pian piano cullando. Pensai che non avrei mangiato più le fragole e non avrei disegnato più niente, ma non m’importava molto. Era molto probabile che avrei fatto notte insonni dal giorno dopo fino al solstizio d’estate, quindi meglio approfittare di quel momento libero.
Riaprii gli occhi e la luce e i colori del paesaggio mi avrebbero quasi investita se non fossi stata una figlia di Apollo, i cui occhi resistono ai raggi solari. Ma quella sensazione che avvertii rivedendo il paesaggio dopo pochi minuti di buio era nuova. Sentivo le mani prudere per il desiderio di muovere la matita sul foglio.
Michael mi aveva spiegato che alcuni figli di Apollo sono portati per la medicina, altri per l’arte, altri per la musica, ma la maggior parte per un po’ di tutto.
Presi la matita dalla sacca e aprii il blocco appunti. Iniziai così a disegnare il paesaggio di Long Island, senza fretta, come se avessi tutto il tempo del mondo e il giorno dopo non dovessi partire per un’impresa nello stato più piovoso d’America. Avevo già detto che era perfetto per una figlia del dio del Sole?
Avevo ormai occupato tutto il foglio e stavo cominciando a sfumare le ombre quando fui bruscamente interrotta.
«Disturbo?» chiese una voce maschile e adulta. Sobbalzai e mi voltai. Finnick mi osservava da dietro l’albero con i suoi grandi occhi verde mare.
Sorrisi e gli feci cenno di accomodarsi.
«Vuoi?» domandai, porgendogli la sacca di fragole. Annuì e ne prese una. Continuai a disegnare, nonostante la sua presenza mi intimorisse un po’. Era pur sempre un bel ragazzo più grande di me.
«Ad un mio amico piaceva tanto disegnare» disse, ad un tratto. Si trattava di qualcuno dei suoi amici del futuro.
«Come si chiama?» chiesi, alzando lo sguardo dal blocchetto.
«Peeta. Chissà come sta...» mormorò, più a sé stesso che a me.
«Mi dispiace, Finnick. Vedrai che si troverà un modo per riportarti nel futuro» dissi, cercando di suonare il più convincente possibile.
Finnick annuì.
«So che ci tornerò». Continuavo a chiedermi perché stesse lì. Non ci eravamo mai parlati. Calò un silenzio imbarazzante.
«Ecco, mi chiedevo se...Insomma, se potresti insegnarmi a usare l’arco».
Risi a quella proposta.
«Era solo questo il problema?» domandai, sorridendo e riponendo il blocchetto e la matita. Il figlio di Poseidone li prese dal prato e me li porse di nuovo.
«No, c’è altro» ammise Finnick, abbassando lo sguardo. Prese un bel respiro, come per darsi coraggio. Alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi.
«Vorrei che disegnassi una cosa per me».

«Va bene così?» domandai, porgendogli il blocchetto. Osservò per un po’ il disegno. Era passata circa un’ora da quando mi aveva chiesto di disegnare “una cosa per lui”. Io avevo detto che avrei potuto provarci, e lui aveva accennato un sorriso. Poi il figlio di Poseidone, il semidio più grande del Campo, aveva iniziato a raccontare come era stato salvato da Percy e degli ibridi che volevano finirlo. Poi aveva aggiunto che voleva che disegnassi gli ibridi così come lui me li descriveva. Pensavo che sarebbe scoppiato a piangere, invece sembrava sereno.
«Sì, va benissimo» rispose Finnick. Staccai il foglio dal blocchetto e glielo porsi.
«Oh, no. Non è per me. È per te» disse, sorridendo. Lo guardai senza capire. Perché mi aveva fatto fare un disegno per poi farmelo tenere?
«Ho sognato che li avreste incontrati» spiegò. «Sono riusciti a passare attraverso un portale, ma sono deboli. State attente».
Finnick sorrise, poi si alzò in piedi e si allontanò, mentre io ero ancora sotto shock.
Riposi il blocchetto e tornai alla Cabina Sette per preparare lo zaino.
La faretra ci stava tutta e al suo interno avevo messo l’arco a cui avevo ordinato mentalmente di prendere la forma di un cilindro sottile lungo poco più di dieci centimetri.
Ci misi il blocchetto, la matita e la gomma, alcune magliette pulite, una bella scorta di ambrosia e nettare, dracme d’oro e soldi mortali. Infine presi il ritratto dell’ibrido - lucertola che Finnick mi aveva fatto disegnare. Il foglio era rovinato dalle cancellature, ma il ritratto era ben definito. Lo piegai a metà e lo misi nella tasca esterna dello zaino. Chiusi la zip. Mi sentii pronta per l’impresa, pronta per combattere, pronta per essere degna di Apollo.

 

Spazio autrice
Chiedo umilmente scusa per il ritardo! Purtroppo ieri il mio computer si è rifiutato di funzionare, mi dispiace tantissimo! Anyways, ecco che la responsabilità dell’impresa comincia a incombere sulle protagoniste.
Ringrazio Kalyma P Jackson per le sue adorabili recensioni, e vi ripeto di leggere la sua storia, che diventa più bella in ogni nuovo capitolo. Un enorme grazie anche agli altri che recensiscono e che mi aggiungono come autrice preferita o mettono questa fan fiction tra le preferite-seguite-ricordate. Spero di ricevere altre recensioni, -sono accettate anche le critiche-.
Un bacione e a presto!  

   
 
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