FOTOGRAFIE
DELLA TUA ASSENZA
…
scusa se non ti accompagno,
ma ognuno prende la strada che può.
(T. Ferro, Fotografie della tua assenza)
Se
c’era una cosa che Diego amava fare erano le
pulizie di casa. Chiaramente non si parlava di spolverare o mettere in
ordine i
cassetti, quello non amava farlo nessuno. Quello che gli piaceva era
ritrovare
vecchi oggetti che ormai si era persino dimenticato di avere, oggetti
stupidi
ma significativi, oggetti che hanno segnato qualche parte della sua
giovinezza.
Gli succedeva
sempre di ritrovare
qualcosa, persino nei luoghi più strampalati. Non era mai
stato un maniaco
della pulizia né dell’ordine e gli amici gli
avevano consigliato di prendere
una governante che lo facesse al posto suo. Ma un po’ per
pigrizia e un po’ perché
non gli andava di spendere soldi per qualcosa che poteva comunque fare
da solo,
non li aveva mai ascoltati e così, ogni volta che cambiava
stagione, si
ritrovava a dover pulire la casa da cima a fondo. Non che la sua casa
fosse
così grande. Era solo un piccolo appartamento in una
cittadina sconosciuta ai
più che distava a qualche chilometro da Firenze e non rubava
nemmeno tanti
soldi al suo stipendio mensile.
Insomma... stava
facendo le pulizie di
primavera quel giorno, tra starnuti a causa della polvere e del
detergente per
i mobili di legno che ogni tanto gli andava nel naso, aveva appena
finito di
mettere in ordine la libreria accanto alla televisione e ora si chinava
per
vedere che cosa ci fosse sotto al mobile che reggeva la tv.
Una scatola nera,
una di quelle che si
utilizzano per riporre le cianfrusaglie, quelle cose inutili che pensi
un
giorno ti potranno servire ma in realtà non le utilizzerai
mai e lo sai bene
anche tu solo che ti dispiace buttarle via. Diego ci aveva accumulato
un sacco
di roba lì dentro: metteva tutto quello che trovava e che
pensava gli potesse
servire senza neanche guardare. Semplicemente apriva la scatola quel
tanto che
bastava per infilarci dentro l’oggetto e lo lasciava cadere,
ascoltando il
tonfo che faceva quando sbatteva contro il fondo.
Ma adesso era
arrivato il momento di
scoprire la scatola del tesoro. C’erano alcuni fili per
cucire, nero, bianco e
rosso. E va be’, questo poteva servire, meglio metterlo da
parte. Poi c’era un
foglietto di carta con scritti dei numeri, probabilmente dei numeri di
telefono, ma ormai erano sbiaditi e non c’era nemmeno il nome
perciò non sapeva
nemmeno a chi appartenessero. Questo era inutile. Senza pensarci due
volte
Diego lo buttò nel sacchetto della spazzatura.
Trovò persino un vecchio disegno
che gli aveva fatto sua nipote quando era ancora molto piccola, se
considerava
che ora aveva sedici anni. Però non lo voleva buttare via,
magari lo avrebbe
appeso al frigo con un magnete.
Frugò
ancora un po’ nel fondo della
scatola quando si punse contro qualcosa di appuntito. Immediatamente
portò il
dito ferito alla bocca per asciugarsi la piccola goccia di sangue che
lo stava
macchiando. Allora ci infilò dentro l’altra mano,
ma questa volta cercò di fare
più attenzione. Quando ebbe tirato fuori
l’oggetto, scoprì che si trattava di
un pezzo di vetro che si era rotto da una piccola cornice per le foto
che non
aveva mai usato. Doveva avergliela regalata qualcuno, ma non ricordava
chi. Non
doveva essere niente di significante. Così buttò
via anche quello.
C’era
però una busta, una grossa busta
gialla con scritta una data, una data che immediatamente gli
ricordò qualcosa.
Era la data del suo compleanno, il ventuno marzo, solo che era di
vent’anni fa
quando aveva compiuto diciotto anni. Se lo ricordava benissimo quel
giorno, a
dire il vero si ricordava molto bene gran parte della sua giovinezza.
Era stato
un bel periodo, uno dei migliori. Andando avanti, crescendo, le cose
erano
soltanto peggiorate.
Si
accomodò meglio sul pavimento duro
del suo salotto e tirò fuori le foto. La prima che gli si
mostrò davanti
rappresentava un gruppetto di ragazzi in fila indiana che, attaccati
gli uni ai
fianchi degli altri, ballavano su una musica sicuramente piuttosto
movimentata.
Riconobbe la sua figura immediatamente, i suoi capelli biondi e ricci,
gli
zigomi pronunciati già a quell’età. Era
stato un ragazzo piuttosto attraente, a
scuola più di qualche ragazza si girava a guardarlo. Non che
adesso fosse
brutto, però, con quella barba un po’ lunga e quei
capelli un po’ spettinati
gli sembrava di assomigliare più a un barbone che ad un uomo
rispettabile. Ma
la cosa interessante era che non glene importava.
Riconobbe
qualche altro viso, ma per
lo più alcuni gli erano sconosciuti. Non c’era da
stupirsi, a quella festa
erano venute molte persone che aveva solo sentito nominare o anche no:
amici di
amici, fratelli, cugini… sfogliò qualche altra
foto, tutte più o meno simili
che ritraevano gruppetti di persone, di ragazzi che ridevano, che
parlavano,
che ballavano, che bevevano, che facevano cose stupide come solo a
quell’età
oseresti fare, ed a ogni volto che riconosceva, ad ogni ricordo che,
improvviso
come un fulmine, gli sovveniva alla mente, un sorriso un po’
malinconico gli
piegava le labbra. C’erano un sacco di foto sue, molte con
Monica, la sua amica
di allora. Monica era la classica ragazza della porta accanto, quella a
cui
bussi per chiedere un po’ di zucchero. Era carina con quel
naso a patatina e
gli occhi dal taglio allungato. Lei era stata quell’amica che
chiamava di notte
quando aveva voglia di piangere o quando doveva copiare dei compiti o
farsi
spiegare un argomento di matematica. Lei era quella che lo faceva
sorridere e
che gli dava speranza, una spinta per andare avanti. Tutti dicevano che
si
dovevano mettere insieme perché sembravano perfetti come
coppia, anche se
magari loro non provavano niente di più oltre ad una buona
amicizia, perché
così andavano le cose quando c’era una perfetta
sintonia tra un maschio e una
femmina, era la regola naturale delle relazioni interpersonali.
Ma loro mica ci
pensavano, loro mica
rispettavano le regole. Stavano bene così, perché
avrebbero dovuto rovinare
quel bellissimo rapporto che c’era già? Erano
sicuri che la loro amicizia
sarebbe durata per sempre, oltre il tempo. Ma il tempo era andato
avanti e non
si era mica fermato ad aspettare loro due.
Diego mise la foto
con Monica insieme
alle altre, quando gli si parò dinanzi un’altra
foto, bellissima, la più bella
che fosse stata scattata quella sera. Ritraeva lui e Tommy.
Tommy… insieme a
Monica era l’altro suo migliore amico. Solo che con Tommy
c’era qualcosa di
diverso, qualcosa che… non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno
lui, né allora
quando aveva diciott’anni, né ora che si ritrovava
di vent’anni più vecchio.
Tommy era… era bellissimo con quei capelli scuri, sempre
spettinati ad arte,
gli occhi azzurri e il fisico slanciato. Le ragazze impazzivano per
lui, se
voleva uscire con qualcuna non gli serviva altro che chiedere alla
prima che
trovava in giro nei corridoi ed era fatta. Ma soprattutto era
l’opposto di
Diego: estroverso, divertente, orgoglioso, testardo, sicuro…
e loro due insieme
erano una forza.
Quando era
iniziato tutto quel delirio? Ah sì, giusto, un paio di ore
prima, quando Tommy,
con una scusa ben escogitata, l’aveva trascinato in quel
posto da barboni per
festeggiare niente poco di meno che il suo compleanno, con una festa a
sorpresa
anche.
Lui gli aveva
detto che non era un
grande amante dei compleanni e che non gli interessava festeggiare, ma
tanto
quella testa dura del suo migliore amico non lo stava mai a sentire.
“I
compleanni vanno sempre festeggiati,
sono importanti. Ogni anno segna un momento importante della tua
vita”.
“Sì,
il momento in cui mi avvicino alla
tomba”.
“Come
sei ottimista”.
Ma così
era Tommy ed era impossibile
incazzarsi con lui. Ti sorrideva in quel suo modo dolce e innocente che
ti
lasciava completamente spiazzato e tutto d’un colpo ti
dimenticavi del perché
dovevi essere in collera con lui. Tommy, Tommy… a volte si
chiedeva come
potesse essere diventato suo amico, poi però ci pensava bene
e si rendeva conto
che lui, senza Tommy, non avrebbe avuto senso, la sua vita sarebbe
stata noiosa
e inutile.
E ora, guardandosi
attorno, non poteva
che essergli grato per quella festa perché, anche se
c’era gente ubriaca che
non sapeva più quello che stava facendo, anche se
c’era una musica
spaccatimpani che non gli piaceva, anche se c’era del cibo
preconfezionato che
non faceva venire l’acquolina in bocca a nessuno, lui si
stava divertendo.
“Dai, Diego,
sorridi!” urlò Filippo puntandogli addosso
l’obiettivo. Filippo, il futuro
fotografo, come amava definirsi, non aveva fatto altro che scorrazzare
in giro
per la stanza, o meglio, lo scantinato di una casa abbandonata, a
fotografare
cose e persone, apparentemente puntando l’obiettivo a caso.
“Diego!”
si
sentì chiamare dalla voce di Tommy che gli correva incontro
dall’altra parte
della stanza. Lo vide reggere in mano un bicchiere colmo di una
sostanza
marrone scuro e mettergliela sotto il naso non appena gli fu davanti.
“Tieni,
bevi! Ti piacerà!” Diego non ne era tanto sicuro
e, conoscendo Tommy, c’era
anche da avere un po’ di paura. Chissà quanta dose
di alcool c’era in quella
cosa e di certo non era un cocktail conosciuto nei bar. Ma non aveva
bevuto
niente da quando era arrivato lì e avrebbe scommesso
qualsiasi cosa che non
avrebbe trovato niente che non avesse dell’alcool dentro,
nemmeno l’acqua. E
guardando la gente intorno a lui, probabilmente era così.
Diego si decise a
prendere in mano la
bibita; in fondo, non poteva deludere il suo amico che lo guardava con
un’espressione così piena di aspettativa. Anche se
forse sarebbe stato meglio
non farlo. Il cocktail era decisamente buono, dolce come piaceva a lui,
ma,
come sempre vanno a finire queste cose, uno attira l’altro e
dopo un altro paio
di bicchieri, forse qualcuno in più, cominciò a
non capire più niente, a
iniziare a dare confidenza anche alle persone che non aveva mai visto,
a
ballare su quella musica orribile e chissà che altro.
Solo dopo un paio
di giorni era
riuscito a ricordarsi tutto quello che aveva combinato e alcune cose
gliele
avevano dovute raccontare i suoi amici. Come quando, ad un certo punto,
era
salito sulla schiena di Tommy e questi si era messo a correre in giro
per la
stanza reggendolo per le gambe e gridando: “Sono il drago!
Sono il drago!”
mentre lui fingeva di essere una via di mezzo tra un Hobbit e Daenerys
Targaryen e brandiva un rotolo di carta igienica consumato a
mo’ di spada. E
così andavano in mezzo agli invitati e lui fingeva di
staccare la testa a
tutti.
Poi Mimmo, un loro
compagno di classe
piuttosto sovrappeso, si era unito al loro delirio, più
ubriaco di loro due
messi insieme, e aveva chiesto che lo aiutassero a cercare la sua lente
a
contatto. La cosa comica era che lui non le portava nemmeno, le lenti a
contatto. Ma Diego e Tommy l’avevano seguito e si erano messi
a gattonare per
terra ispezionando ogni macchia, ogni patatina o goccia di alcol. Tommy
aveva
pure tirato fuori una lente di ingrandimento, non si sapeva da dove
né mai si
era saputo, e diceva di essere il miglior detective su questo mondo e
che Diego
era il suo dottor Watson e che dovevano subito andare nel loro Tardis
perché se
no la lente a contatto di Mimmo sarebbe esplosa.
E alla fine si
sono ritrovati a
rotolare per terra in preda a un attacco di risate isteriche e tutti i
presenti
li hanno guardati indecisi se ridere anche loro o chiamare
un’ambulanza.
Solo Monica era
riuscita a farli
riprendere dopo che tutti gli invitati erano andati via. Aveva
preparato ad
entrambi due tazze di caffè forte e li aveva riaccompagnati
a casa di Tommy, i
cui genitori per fortuna quella sera erano fuori città e non
avevano mai
scoperto niente. Non che a loro sarebbe importato qualcosa,
però.
Ma risvegliandosi
la mattina dopo,
Diego si era ritrovato nel letto di Tommy, abbracciato a lui che
dormiva ancora
pesantemente. Quella era una parte della serata che ancora gli mancava
e forse
non sarebbe mai riuscito a ricordarsela, così come non aveva
mai capito se il
segno che gli era spuntato sul collo fosse un livido o
qualcos’altro.
Filippo sembrava
non essersi perso
niente della serata e li aveva immortalati in ogni modo con la sua
macchina
fotografica, così erano venute almeno un centinaio di foto
che ritraevano solo
loro due.
E ora, a
vent’anni di distanza, Diego aveva
di nuovo quelle foto in mano, quelle foto che non era più
riuscito a guardare e
che era quasi riuscito a dimenticarsi.
Un sacco di
ricordi lo stavano
assaltando in quel momento e gli mancava tutto quello, gli mancavano
quegli
anni, quegli amici, gli mancava Monica. Da quanto tempo era che non la
sentiva?
Da quella volta che era cambiato tutto, forse. Non l’aveva
più chiamata e lei
aveva rinunciato a farlo quando aveva capito che a lui non interessava
più. Ma
non era vero. Non era vero per niente, lui voleva solo dimenticarsi
tutto e
andare avanti, o quantomeno provarci.
La
verità era però un’altra. La
verità
era che lui non era andato avanti per niente, non si era mai scordato
di quello
che era successo, così come non si era dimenticato di
Monica, né tantomeno di
Tommy.
Rimise le foto
nella scatola e si passò
una mano sugli occhi umidi. Maledetta polvere e maledetto polline
primaverile
che gli facevano allergia!
MILLY’S
SPACE
Ciao,
Roxy! Buon compleanno ancora : ) probabilmente non
è la storia che ti aspettavi ma non sono riuscita a fare di
meglio. In questo
periodo non riesco a scrivere cose molto allegre, spero tu possa
comprendermi.
Spero ti piaccia lo stesso. Lo so che mi avevi chiesto qualcosa di
fantasy, ma
in poche pagine non ci riesco. Un fantasy deve essere fatto bene o
niente.
Magari la prossima volta farò di meglio.
Un bacione,
Milly.
Ai
lettori,
spero che questa storia vi sia piaciuta. Non è niente di
pretenzioso, è solo un
semplice regalo di compleanno : ) ma siccome mi piace condividere
quello che
scrivo anche con altri eccomi qui, a pubblicare l’ennesima
fanfiction su questo
sito. Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete voglia venitemi a
trovare sulla
mia pagina Facebook (https://www.facebook.com/MillysSpace)
così
potrete sapere le altre storie che ho in corso, se questa vi
è piaciuta.
Un
bacione,
M.