Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: MelKaine    23/03/2014    13 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Heart of everything 26
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti coloro che leggono ancora THoE e che mi incoraggiano. Fra pochi giorni dovrò sottopormi ad un piccolo intervento laser agli occhi, anche se non mi hanno dato notizie certe in merito ritengo che non potrò passare molto tempo al pc, almeno all'inizio, non che cambi niente, penserete in molti (e a ragione, direi -.- )... ah le gioie dell'autoironia. Incrocio le dita e per chi volesse farlo con me un grande abbraccio.
Piccola nota curiosa: in una recensione al capitolo scorso, perdonate non ricordo quale, veniva chiesto come mai Snape non cercasse di fare qualcosa, anche soltanto scrivere una lettera, se non ricordo male. E' curioso come il capitolo che mi accingo a pubblicare ora sia stato scritto praticamente insieme all'altro e quindi credo che chi ha scritto la recensione abbia qualche potere di preveggenza o che si sia immedesimato/a moltissimo. E' sempre assurdamente fantastico quando qualcuno ti commenta una cosa che hai già scritto o pensato di scrivere, perché rende l'idea di quanto sia possibile coinvolgere ed entrare in sintonia con la scrittura.
Ancora grazie e a presto.

Mel Kaine


 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 26 - /A demon's fate  /


 


“Signor Collins, ha intenzione di mandarci tutti in infermeria dentro una tabacchiera?”
Lo sgraziato alunno in questione s’irrigidì di colpo, ritraendo la mano che conteneva l’ingrediente sbagliato prima di poter fare esplodere la pozione gettandolo nel calderone.
A quel punto l’intera classe di Hufflepuff e Ravenclaw si aspettava una decurtazione di almeno cinquanta punti e un mese di punizione per lo sfortunato ed incauto studente, ma Snape non aggiunse altro e con un gesto della bacchetta estinse la fiamma sotto ai calderoni e mandò via tutti.
Lentamente raccolse le sue cose e si ritirò verso le proprie stanze. Vicino alla Great Hall la voce di Minerva lo riscosse.
“Severus, tutto… bene?”
Snape si volse, seccato.
“Naturalmente, Professoressa McGonagall. Aveva bisogno di me?”
Minerva sospirò.
Erano giorno che Snape si rivolgeva a stento a chiunque e quando lo faceva manteneva una distanza tale da gelare il suo interlocutore anche con una semplice risposta.
Naturalmente con tanti anni di insegnamento alle spalle ci sarebbe voluto ben altro per scoraggiarla.
“Albus desidera vederti. Puoi trovare del tempo per andare nel suo studio, diciamo, nel pomeriggio?”
“Che ‘inaspettato piacere’. Non mancherò. Con permesso”.
Severus rientrò nelle proprie stanze e subito si sedette su una delle sue poltrone. Sul tavolino accanto c’erano i resti della sua cena ed il suo imminente pranzo.
Una bottiglia di scotch.
Non voleva nient’altro che la bruciante carezza dell’alcol ed anche se non aveva ancora bevuto tanto da ubriacarsi sapeva di star andando in una direzione pericolosa.
Eppure non poteva farne a meno.
Preferiva di gran lunga il torpore mentale che il liquore riusciva a dargli all’insensatezza di quello che provava.
Aveva cercato di darsi un contegno, ma ogni volta qualcosa intorno a lui gli ricordava il momento in cui la sua faticosamente conquistata ed impensabile pace era stata distrutta da Black.
Di nuovo.
Piccoli particolari disseminati nelle sue stanze come quella dannata Infrangipalla vicino al tappeto o la scatola di latta dei suoi compiti sulla libreria. E la sua stanza.
Snape aveva lasciato tutto com’era e l’aveva sigillata.
Eppure qua e là il bambino-Potter aveva comunque lasciato dei segni della sua breve quanto profonda permanenza e Snape non riusciva a buttarli via né tanto meno a chiuderli in un ripostiglio.
Lasciava tutto com’era – perché non era una separazione definitiva, Harry, non lo era –  anche se sapeva che ogni casuale sguardo sarebbe stato una fitta di dolore nel rammarico di non aver lottato abbastanza per lui, così come non aveva potuto fare per lei.
Ironia della sorte che adesso legava la sua anima scura a madre e figlio ancor più saldamente.
Si alzò.
Era tempo di farsi compatire dal grande Dumbledore.



Harry si svegliò di nuovo di colpo, ma questa volta sapeva dare un nome e una faccia al sogno che lo aveva spaventato.
Zio Vernon era tornato a tormentarlo.
Aveva sognato che il signore lo riportava a casa dei suoi zii e poi si sedeva a guardare mentre Zio Vernon lo faceva lavorare per imparare come farlo lavorare anche lì, in quella casa buia e polverosa.
Il silenzio lo avvolgeva, ma non era come un abbraccio, era qualcosa che gli toglieva il fiato e che lo faceva sentire come ‘schiacciato’.
Non c’era mai nessuno.
Il signore spesso usciva ed Harry veniva chiamato solo per mangiare.
Era senz’alto una punizione perché Harry non aveva chiesto di lavorare. Il signore lo faceva mangiare tanto e così Harry vomitava e poi aveva di nuovo fame, ma la volta dopo mangiava di nuovo troppo e di nuovo vomitava e aveva ancora fame e così, per sempre.
Harry sapeva che avrebbe dovuto chiedere di lavorare, ma il maestro-Sevreus gli aveva spiegato che i bambini non devono lavorare, devono studiare ed ubbidire ai grandi, ma non a tutti i grandi, solo a quelli buoni. Poi il maestro aveva provato a fargli capire come riconoscere i grandi buoni, ma non era facile ed Harry non era ancora sicuro. Quello che sapeva era che il maestro era buono e forse un po’ buono era anche il signore dai capelli chiari, invece il signore non lo sembrava. Harry doveva dire, però che non era stato picchiato né nulla, ma il signore era strano, uno strano diverso da quello del maestro, che pure era strano, certo. Quello del signore era uno strano strano, nel senso che Harry non sapeva cosa aspettarsi e… non si fidava.
Il maestro aveva detto di non lavorare e quindi Harry non aveva chiesto di lavorare, ma non poteva nemmeno studiare, perché nessuno gli insegnava niente e non c’erano penne di piccione o fogli gialli in quella casa, ma solo tanti libri che Harry non poteva toccare.
E adesso erano tornati anche i brutti sogni. Harry aveva tanta paura che non se ne sarebbero andati senza l’uomo-Sevreus.
No, non ce l’avrebbe mai fatta, anche se avrebbe provato.
D’un tratto di nuovo comparve il cameriere-elfo e prima che potesse finire di parlare il piccolo Harry si era già alzato per andare a tavola.




“Desiderava vedermi, Preside?” chiese retoricamente Snape, entrando nell’ufficio del Preside come se ogni passo gli costasse sudore e sangue.

“Oh, Severus, caro ragazzo, come stai? Sono giorni che nessuno ti vede nella Great Hall. Gli elfi mi hanno detto che non stai consumando con regolarità i tuoi pasti…”

“Per favore, Preside. Se mi ha convocato per discutere delle mie abitudini alimentari, o della loro mancanza, allora posso ritenermi congedato”.

Fece per andarsene, ma naturalmente Albus non aveva che iniziato.

“Suvvia, Severus, rimani, per favore. E’ tanto tempo che non ho più occasione di godere della tua compagnia e spero così che tu possa parlarmi di come… vanno le cose”.

Severus si volse.
Un’espressione di marmo negli occhi.
Dumbledore sorrise amabilmente.

“Del tè?”




Quella notte fu la prima, la prima di molte in cui tutto sembrava finito per sempre.
La pace, la piccola serenità che Harry aveva trovato sotto la protezione dell’uomo-Sevreus era scomparsa come la neve nel Surrey quando arrivava la primavera.
Quella notte Zio Vernon era apparso di nuovo nei suoi sogni, ancor più spaventoso.
Camminava verso di lui e rideva con quel sorriso cattivo che Harry aveva imparato a conoscere e che portava sempre dolore e botte. Si muoveva verso di lui e intanto rideva e gli diceva ‘Sei di nuovo solo adesso, ragazzo. E lo sai che cosa capita quando sei solo? Adesso ti porterò vicino alle scale…’
Il terrore era stato troppo. Il piccolo Harry aveva urlato così forte da svegliarsi. Ma nessuna porta si era aperta, nessun rumore di passi che venivano a salvarlo. Nessun abbraccio nero e confortante, nessuno che lo cullasse. Niente. Niente.
E quel niente era spaventoso quasi quanto Zio Vernon o forse di più.
Perché era reale.




Albus lo aveva tormentato a sufficienza. Severus ricordava, nel buio del suo salotto, di aver contrattaccato ad un certo punto.

“Ha ricevuto notizie dai due… canidi, Preside? Circa il bambino, ovviamente…”

Albus aveva disapprovato la scelta del termine, ma non aveva potuto nemmeno apertamente confutarla.
Aveva scosso la testa, dunque, fermandosi nel gesto di riempire nuovamente la tazza di Severus quando questi aveva fatto cenno di no.
“Tristemente, niente. Ho richiesto la presenza di Remus, ma purtroppo la luna non ci è favorevole, sorgerà piena questa notte e il nostro amico avrà senza dubbio altro a cui pensare per qualche giorno”.

“Vedo che le cattive abitudini sono dure a morire…”

“Quelle di trasformarsi in un lupo, mio caro ragazzo?”

“No, le sue di affidare il bambino a degli incompetenti e poi non vigilare su di lui”.

La frase era stata come una tempesta su di un prato poco prima soleggiato.
Ma della reazione del grande e potente Dumbledore a Snape non importava.
Niente importava.

Albus chiuse gli occhi. Si era meritato quella stoccata. Lo sapevano entrambi.
“Ti prometto che mi informerò al più presto, dovessi anche presentarmi di persona a Grimmauld Place”.

“Allora farà bene a sbrigarsi, Preside – aveva risposto il giovane maestro, alzandosi. – Non vorrei che il viaggio verso quella casa fosse lungo cinque anni come il precedente”.

E con quel veleno finalmente sputatogli addosso se n’era andato.
A bere nelle sue stanze buie.



All’inizio il piccolo Harry ci aveva provato. Il maestro-Sevreus poteva essere orgoglioso di lui. Tutte le sere, prima di andare a letto o meglio, di stendersi sul tappeto ai piedi del letto, Harry faceva i suoi esercizi con la mente. Chiudeva gli occhi e respirava piano, sempre più piano e poi cercava di aprire la porta del suo luogo segreto, quello che il maestro gli aveva detto di creare e all’inizio Harry ce l’aveva fatta. Chiudeva gli occhi e all’improvviso nel buio, in fondo vedeva una luce, la luce di… un caminetto. Il caminetto del salotto dell’uomo. Tutto era uguale, tutto era come Harry lo ricordava. La piccola scrivania fatta per lui, i libri sugli scaffali, la scatola di latta, il pezzo di stoffa verde con la ‘S’ sulla parete, le piume di piccione dell’uomo, la scrivania grande e poi lì, davanti al fuoco, sulla poltrona verdeargento, proprio là, davanti a lui, l’uomo-Sevreus. I suoi vestiti neri, il suo mantello che aveva protetto Harry dal freddo quando gli uomini col cappuccio li avevano presi, il suo naso da pinguino, tutto. Poteva vedere tutto, ma durava sempre poco, durava sempre meno poi tutto scompariva ed ecco che Zio Vernon usciva dal buio e lo afferrava e lo picchiava e nessuno lo poteva aiutare.
Aveva smesso di urlare, tremava e basta, tremava come le foglie degli alberi quando soffiava il vento, ma nessuno veniva da lui.
Era solo.
E non poteva fare altro che piangere. In silenzio.



Severus non riusciva a dormire.
Ormai erano notti che girava per i corridoi bui e quieti della scuola in cerca di una pace che non trovava. Dumbledore non era riuscito affatto a rassicurarlo, né il giorno in cui avevano parlato né tutti quelli dopo. Era preoccupato. Nessuno sapeva niente del bambino e Lupin non si era presentato. Non sapeva se il dannato lupo avesse realmente prestato orecchio a quel suo consiglio gettato lì dalla penombra delle scale, non sapeva se fosse successo qualcosa, non sapeva se Lupin e quell’imbecille di Black avessero notato lo strano comportamento di Harry in determinate situazioni. Non sapeva niente.
E quel niente lo turbava.
Profondamente.
Quando rientrò nei suoi quartieri fuori ormai albeggiava.
Severus si sedé al suo tavolo e prese a scrivere furiosamente.




Quel giorno Sirius non aveva stupide incombenze legali o altre seccature simili e sapeva che Remus sarebbe rientrato a momenti dopo i suoi giorni da Moony. Aveva pensato di passare il pomeriggio con lui e con Harry. Sapeva di non poterlo portare fuori, Albus era stato tassativo su quel punto, ma potevano parlare di Quidditch o giocare a scacchi. Provò a cercarlo in camera, ma la stanza non sembrava solo vuota, ma positivamente disabitata. Provò a guardare in bagno, in cucina, nella sala finché non fu costretto a chiamare il suo stupido elfo domestico per domandarglielo.
“Il bambino è sempre nella sala della biblioteca” disse Kreacher con il solito tono di disgusto.
Congedato il caustico elfo Sirius si diresse a grandi passi verso la biblioteca dei Black. Sperava sinceramente che il bambino gli avesse dato retta quando gli aveva detto di non toccare nessun libro. La collezione di testi della sua famiglia era molto preziosa e, soprattutto, pericolosa. Nel corso dei secoli i suoi antenati avevano raccolto libri magici di ogni genere e Sirius non poteva fare a meno di preoccuparsi. Harry avrebbe potuto aprire uno di quei libri proibiti di magia nera ed essere risucchiato o fatto a pezzi. Arrivò alla porta trafelato, ma una volta aperta si bloccò.
Il bambino era lì, immobile, ai piedi di una vecchia poltrona. Guardava fisso davanti a sé gli scaffali, ma appariva incolume. Non sembrava aver toccato niente, sembrava solo perso, con lo sguardo nel vuoto.
Sirius fece per entrare, ma una voce alle sue spalle lo fermò.
Remus era rientrato in quel momento.
“Il buon vecchio, simpatico Kreacher mi ha detto che potevo trovarvi qua”.
Sirius sbuffò della fin troppo gentile ironia del suo amico.
“Già, dovrei proprio decidermi a dare un calcio ed un calzino a quell’elfo”.
“Ma poi dove finirebbe tutto il divertimento?”
Risero brevemente mentre Sirius indicava a Remus il bambino.
Poi socchiuse la porta della biblioteca e si volse verso il suo vecchio amico.
“Non… non credi che Harry sia un po’… strano, Remus? A quanto ho capito sta tutto il giorno là e fissa i libri  e poi tutti quei ‘Sì, signore’ e ‘No, signore’, mi sono presentato non so quante volte e ho perso il conto delle occasioni in cui gli ho detto come chiamarmi, ma niente. Pensi che possa essere… ritardato?”
Lupin rimase interdetto.
Non aveva notato nessun comportamento pienamente anomalo, ma poteva certo affermare che qualcosa in Harry era diverso rispetto a tutti gli altri bambini.
Intanto Sirius continuava.
“No, non può essere. Albus lo avrebbe detto e poi James e Lily erano perfettamente sani, pensi che possa essere stato quel maledetto Snivellus? Che gli abbia fatto qualcosa di orribile con tutte quelle sue pozioni disgustose? Perché se così fosse…”
Remus lo fermò prima che quel pensiero assurdo potesse diventare anche minimamente rispettabile.
“Sirius, non esagerare. Penso piuttosto che Harry sia un bambino molto timido e non dimentichiamoci di cosa ha passato. Poteva anche avere un anno, ma ha visto i suoi genitori morire. Dobbiamo essere comprensivi con lui. Le cose miglioreranno, vedrai”.

“Mh, sarà come dici, ma molto presto ho intenzione di tornare da Albus per saperne di più”.

“E sarà meglio farlo alla svelta anche, sono giorni che ci cerca, credo ci siano diversi suoi messaggi nella posta, hai avuto modo di controllare cosa dicessero?”

“No, sai che ho avuto molti impegni con i notai per la vendita di quelle proprietà mentre ero in prigione. Il Ministero si è appropriato di quasi tutti i beni della mia famiglia, ma li riavrò indietro, ne puoi star certo”.        

Insieme si diressero in cucina, dove Kreacher aveva raccolto la posta arrivata in quella settimana.
Sirius prese a frugare fra le lettere. Erano giorni che non aveva il tempo di fare niente con tutti quei maledetti avvocati e le sere passate a…
Non voleva soffermarsi su quello adesso.
I demoni che lo tormentavano dovevano restare chiusi dietro ai suoi occhi.
Aveva Harry a cui pensare.
Nella posta trovò quattro o cinque lettere di Albus. Tutte chiedevano la stessa cosa.
Notizie del bambino.
Tsk, perché mai Albus si preoccupava tanto? Il bambino era dove doveva essere, dove era giusto che fosse, con il suo padrino, insieme a due dei migliori amici dei suoi genitori. Non certo con quel dannato Death Eater.
Si lasciò nuovamente distrarre dalla corrispondenza arretrata fino a che non trovò fra le altre una lettera che non era indirizzata a lui.
“Questa è per te, Remus”.

Il giovane lupo alzò un sopracciglio, meravigliato.
Non riceveva molte lettere, fatta eccezione per le comunicazioni di Albus, ma quella non sembrava affatto la sua calligrafia.
Fece per aprirla, ma qualcosa lo fermò.
La ripose per poi leggerla più tardi.
Era quasi ora di cena ormai.
Sirius finì di controllare la sua posta, esclamando qui e lì per il disappunto ed inveendo contro questo e quel funzionario del Ministero.
“Ecco, un altro dei miei possedimenti venduto illegalmente” stava gridando nel momento in cui Kreacher li avvertì che tutto era pronto e che il bambino era stato chiamato.
Così anche quella cena scivolò via presto. L’unica cosa spontanea che Harry faceva era domandare di Snape e naturalmente questo faceva infuriare Sirius.
Ma quella sera il giovane mago dai capelli neri non si era arreso.
Aveva portato il bambino in salotto deciso a passare del tempo con lui, ma Harry era rimasto in piedi, non si era avvicinato né a lui né alla scacchiera e persino quando Sirius aveva cominciato a parlargli del Quidditch aveva ascoltato senza chiedere nulla, senza mostrare nessun interesse.
Lo guardava, lo guardava e basta con quegli enormi occhi verdi che sembravano scrutarlo, giudicarlo, accusarlo.
Fu Remus a porre fine alla serata prima che potesse evolversi in un disastro completo.
Dopo aver chiesto una tazza di tè per tutti congedò il bambino e consigliò a Sirius di andare a riposarsi. Il giorno dopo sarebbe stato un giorno migliore.


Rimasto solo Remus salì nelle sue stanze e mentre si preparava per coricarsi, riponendo la giacca su una delle antiche poltrone, si ricordò della lettera che aveva ricevuto.
Incuriosito dalla bizzarria del mittente misterioso la aprì.
La lesse in pochi minuti, avvezzo com’era, da buon professore, a divorare libri e si sorprese grandemente di trovarvi in fondo la firma di Minerva.
La Professoressa McGonagall non gli aveva mai scritto e adesso lo faceva per parlargli… delle abitudini alimentari di Harry Potter?
Sì, la lettera non era altro che una serie di gentili consigli sul bambino, su come Madam Pomfrey si fosse raccomandata con tutti ad Hogwarts di far mangiare il piccolo Harry poco e spesso, di come fosse importante favorire il suo sviluppo con alimenti sani e nutrienti, di come avesse bisogno di essere guidato in molte delle attività quotidiane perché insicuro e di come fosse essenziale, anzi ‘vitale’, diceva la lettera, non spaventarlo in alcun modo, con la voce o peggio ancora con atteggiamenti o gesti collerici. Infine concludeva, scusandosi per la sua insolita intromissione, ma aveva ritenuto cosa buona e giusta informarli di ciò che forse non avevano avuto il tempo di sapere andando via in fretta dal castello.
Lentamente Remus si sedette alla propria scrivania. Rilesse la lettera ancora una volta e poi prese a fissarla, riflettendo.
Il modo di esprimersi diretto e gentile sembrava inequivocabilmente quello di Minerva ed anche la firma pareva essere la sua, Lupin aveva avuto modo di vederla diverse volte su documenti ufficiali dell’Ordine eppure qualcosa, qualcosa di sottile allertava i suoi sensi.
Qualcosa che…
D’impulso prese la lettera e l’annusò.
No.
Quello non era l’odore dello studio di Minerva.
Non era quell’aroma un po’ antico di foglie di tè essiccate, gesso e pot-pourri.
No.
Quell’odore era più… ricordava l’infermeria, ma non la biancheria sterile dei letti o il profumo dolciastro di Madam Pomfrey, ma di qualcosa che si trovava in infermeria… come…

Pozioni!

Sì, era l’odore sottile delle erbe secche mescolate, della magia incatenata in un liquido.
Era l’odore che aveva l’aula di Pozioni nei suoi ricordi di studente, era l’odore del loro vecchio Professore.
E, presumibilmente, anche di quello nuovo.

Era l’odore di Snape.

Naturalmente se Remus non fosse stato un licantropo non avrebbe mai potuto percepire quel lieve aroma rimasto intrappolato nella pergamena anche dopo ore di volo di un gufo.
Ma, fortunatamente o sfortunatamente, Lupin poteva e ne aveva la certezza.
Quella lettera non era di Minerva.
Era semplicemente impensabile credere che la Professoressa McGonagall si fosse fatta invitare da Severus Snape nei suoi quartieri solo per usare la sua carta da lettera.
E poi alla riunione Albus non aveva parlato del coinvolgimento degli altri Professori nella cura del bambino. Anzi quasi tutti i presenti erano sembrati all’oscuro persino della sua esistenza…
Restava da capire perché mai Snape fosse arrivato a tanto.
Quello che poteva essere affermato con sicurezza era che quei consigli non sembravano una trappola.
Bastava guardare il bambino. Se possibile sembrava ancor più magro di quando era arrivato, nonostante tutta la roba che Sirius gli faceva mangiare. Probabilmente la strategia migliore con un bambino così piccolo e sottopeso era proprio quella di permettergli di mangiare più spesso e in quantità minore. Eppure non ci avevano pensato.
La realtà era che loro non avevano nessuna idea di cosa volesse dire crescere un bambino.
Nessuno di loro ne aveva esperienza, nemmeno in famiglia.
Erano sempre stati, per un motivo o per l’altro, e ironicamente, due lupi solitari e non riuscivano neppure ad immaginare cosa volesse dire rivoluzionare la loro vita per occuparsi di Harry.
Non era così facile come sembrava su quel foglio di affidamento.
Non lo era affatto.
Oltretutto, a rendere più gravosa una situazione che non aveva affatto bisogno di essere ulteriormente complicata, c’era anche la pura e semplice verità che Harry stesso non desiderava affatto stare con loro. Naturalmente non lo aveva mai detto e non lo avrebbe fatto, aveva troppa paura, si vedeva, ma lo pensava, era chiaro, traspariva da ogni suo gesto, da ogni suo silenzio.
Remus ricordava bene l’espressione di pura gioia che aveva visto su quel piccolo viso quando era andato ad Hogwarts per parlare con Albus il giorno in cui avevano portato via il bambino.
Il suo sorriso era radioso quel giorno sulla neve ed i suoi occhi verdi non vedevano che… Severus Snape. A lui aveva rivolto quell’espressione felice, a lui anelava, sua era la mano che Harry aveva cercato, afferrato.
Mentre di Sirius rifiutava persino di ricordarsi il nome e, ancor più certamente, non lo avrebbe preso per mano, non lo avrebbe toccato.
Certo, Sirius era il padrino di Harry, l’uomo scelto da James e Lily per vegliare sul bambino in quei tempi oscuri, ma forse non era la decisione più giusta.
Oh, Dio.
Era così difficile pensare, così complicato vivere, scegliere, fare la cosa migliore.

Ripose la lettera in un cassetto e spense le luci.
L’indomani avrebbe cercato altre risposte.
In Harry.



Il silenzio era completo e totale. Una lama che affondava nel suo petto, trafiggendolo in un letto di sudore in cui non trovava pace. Ogni volta che desiderava anche solo un attimo di chiudere gli occhi immagini di quello che aveva perduto lo tormentavano, strappando le sue carni incatenate al cotone.
Pensava a lui, a quel piccolo pezzo di paradiso scomparso. Se respirava abbastanza profondamente poteva vedere con gli occhi della mente il suo sorriso candido, sembrava quello di lei, in tutto e per tutto. Uguale, ma diverso.
Un dolore profondo colorava di malinconia quegli occhi sul visetto pallido.
Lontano, lontano da lui.
Come la pioggia che cadeva sulla terra metri sopra il suo letto.
Da lì non poteva udirla, mai.
Così come non poteva vedere più il bambino di quel giglio.
Non poteva salvarlo.
Harry.

‘Maestro Sevreus’

Si alzò dal letto di scatto, nel buio delle sue stanze.
Si guardò attorno prima di mormorare un ‘Lumos’ con labbra quasi tremanti.
Eppure… eppure aveva udito la sua voce.
La voce del suo bambino-Potter.
Come se fosse lì, con lui.

Si prese la testa fra le mani, lasciandosi andare sulla sponda di un letto vuoto come il suo cuore.
Troppo poco sonno, troppo liquore, troppo dolore.
Doveva essere stato un parto della sua mente sconvolta dall’impotenza.
Si ripiegò quasi su se stesso.
Un verme, non era che un nero, sudicio, vigliacco verme.
Avrebbe dovuto prendere la bacchetta e smaterializzarsi a Grimmauld Place adesso, prendere Harry, portarlo via ed invece era… inutile.

Inutile.




Inutile, era tutto inutile. Non aveva più lacrime, ormai. Ma la paura lo soffocava tanto da fargli pensare che non sarebbe mai andata via. E provava ancora, nonostante tutto, provava tutte le notti a visitare il suo posto segreto, quello che altro non era che la stanza del maestro. E lo vedeva sulla poltrona, tutte le notti, ma non poteva toccarlo, non poteva farsi rassicurare dal suo abbraccio, dalla sua voce.
E lo chiamava, lo chiamava senza fermarsi mai, tutta la notte.
Nella sua testa.
Lo chiamava.



Remus scese in cucina per primo, molto presto. Non chiamò Kreacher. Se anche l’avesse fatto certamente l’elfo non avrebbe eseguito gli ordini di uno sporco licantropo e poi Remus preferiva prepararsi da solo un buon tè, il susseguirsi lento di quelle azioni talmente conosciute da essere automatiche aveva il potere di rilassarlo. Mentre attendeva che l’acqua arrivasse alla temperatura giusta decise di recarsi nella sala della biblioteca per prendere un libro con cui passare il tempo in attesa degli altri.
Lì sulla soglia si bloccò.

Harry.

Il piccolo Harry sedeva là, a terra, la testolina arruffata contro il legno vecchio di una poltrona logora.
Cosa facesse lì a tutte le ore del giorno era un mistero.
Era passata solo da poco l’alba.
Il bambino dormiva e giorno dopo giorno gli enigmi attorno a lui, ai suoi comportamenti, invece di dissolversi aumentavano.
Tornò dunque sui suoi passi e bevve in profonda riflessione il proprio tè, pensando a quello che stava succedendo.


Qualche tempo dopo Sirius lo raggiunse. I suoi occhi sembravano ancor più neri dell’inferno che probabilmente era stata quella notte anche per lui.
Senza dire niente Remus gli porse del tè caldo e poi si alzò per chiamare Harry.

Lo svegliò piano e nonostante ciò lo vide indietreggiare, terrorizzato. Gli occhi dilatati come un cervo nel bosco che tenta di fuggire dal cacciatore.
Decise di soprassedere, Sirius li stava aspettando.
“Vieni Harry. La colazione è pronta”.

Il bambino si mise in piedi senza dire niente. Quando raggiunsero la porta si volse un attimo, guardò i libri con qualcosa di simile al desiderio poi alzò gli occhi su di lui.
Remus si sentì trafitto da quello sguardo.
Così profondo e disperato insieme.
Sembrava che stesse per parlargli e Lupin si ritrovò a trattenere il fiato.

“Quando posso vedere il Maestro, signore?”

Era, ancora una volta, solo quello.
Remus chiuse la porta alle loro spalle.

“Non lo so Harry, ma non chiederlo di nuovo davanti a Sirius, credo non sia di buon umore questa mattina” e sorrise, cercando di alleggerire quel rinnovato silenzio che sarebbe durato, sapeva, fino alla prossima richiesta di vedere Snape.















Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: MelKaine