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Autore: Mary P_Stark    24/03/2014    6 recensioni
Serena Ingleton è l'A.D. di Vanity Fair Los Angeles. Nessuno è in grado di metterle i piedi in testa, o di farla vacillare. Forte e determinata, sa quel che vuole e si impegna al massimo nel suo lavoro come nelle sue amicizie. Ma non è sempre stato così. Una sola persona, nella sua vita, è riuscita a far crollare ogni sua certezza, ogni sua barriera, ogni suo pregiudizio. E questa persona è Beaugirand Shaw, suo vecchio compagno di classe e, tra le altre cose, suo primo amore. Il destino li divise, spezzando dolorosamente ogni legame tra di loro, ma come si sa, al Fato piace giocare. E un incidente li rimette sulla stessa strada, a distanza di vent'anni. Il cuore spezzato di Serena sarà guarito, o rivedere Beau riaprirà antiche ferite? E Beau rimarrà indifferente a lei, dopo tanto tempo? O rimedierà all'errore che li divise tanti anni prima? SEGUITO DI "HONEY"-FA PARTE DELLA SERIE "HONEY'S WORLD"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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13

 

13.

 

 

 

 

Agosto 2012.

 

Il cipiglio di Rena si fece più manifesto di secondo in secondo, passato e futuro che si confondevano dinanzi ai suoi occhi in un orrendo incubo a occhi aperti.

Beau, imperturbabile come lo ricordava, non le fece caso e, rivolgendosi ai suoi colleghi sul ciglio della strada, levò un braccio ed esclamò: “Tutto bene, qui! La signorina è illesa. Ora risaliamo!”

“Faccio da sola” brontolò lei, voltandosi per prendere la via dell'erta che conduceva su Placerita Road.

“Sei senza scarpe, il terreno è accidentato e potresti farti male, Serena. Non fare la sciocca” replicò con tutta calma Beau, afferrandola gentilmente ad un polso per bloccarla.

“Piuttosto, rimango qui a morire, ma non accetterò mai il tuo aiuto.”

Lei gli ringhiò in faccia, frustandolo con i suoi occhi verde smeraldo, che mandarono fiamme e scintille. E un lontano dolore mai sopito del tutto.

Sinceramente sorpreso e, sì, suo malgrado dispiaciuto che ricordasse i loro trascorsi con tanto livore, l'uomo esalò: “Non puoi davvero avercela con me dopo così tanti anni! Starai scherzando, spero?!”

A Rena saltarono i nervi.

Si gettò contro Beau a pugni levati e, picchiando con tutta la forza che aveva contro quel petto deplorevolmente duro, esclamò: “Come puoi dire questo! Erano i miei capelli, razza di idiota! E tu me li hai rovinati! Io mi fidavo ciecamente di te, cretino!

Dei fischi divertiti attirarono la loro attenzione e Rena, bloccandosi immediatamente, si volse a mezzo e ringhiò furibonda: “Ce n'è anche per voi, se non la piantate! Io e il vostro collega abbiamo un conto in...”

Strillando di sorpresa prima che potesse terminare i suoi insulti, Rena si sentì caricare su una spalla come un sacco di patate e nulla di quanto fece, o disse, impedì a Beau di arrampicarsi con lei lungo la scarpata.

Impedendosi di piangere per non dargli anche quella soddisfazione, si chiuse in un mutismo offeso e, quando finalmente lui la mise giù, si rifiutò ferocemente di guardarlo.

L’uomo, in compenso, richiamò all'ordine i suoi uomini, azzittendoli senza tanti complimenti e rispedendoli in fretta alla base.

Il tono scherzoso era sparito, sostituito da un autoritario cipiglio che sorprese un poco la donna, abituata a ben altro, da Beau.

Quando il camion dei pompieri si fu allontanato, lui tornò da Rena e, rivolgendosi direttamente al paramedico che le stava curando le abrasioni alle ginocchia, domandò: “Come sta?”

“Le ferite sono lievi, ma la porteremo al Providence Holy Cross Medical Center per accertamenti. Non possiamo escludere a priori interessamenti a organi interni o al cervello, visto l’incidente in cui è stata coinvolta” lo informò il paramedico, applicando una compressa di garza sul ginocchio.

“Molto bene. Verrò con voi” dichiarò Beau, gelando con uno sguardo di giada qualsiasi protesta di Rena.

Lei avrebbe di gran lunga preferito che se ne fosse andato assieme ai suoi colleghi ma, di fronte a una simile presa di posizione, non riuscì ad aprire bocca.

Ai paramedici non causò alcun problema e, dopo aver caricato la donna sulla barella, salirono in ambulanza e iniziarono la discesa lunga e piena di curve in direzione di Los Angeles.

Afferrato il cellulare da una delle tasche interne alla giacca ignifuga, Beau digitò un numero breve e, con un mezzo sorriso, esclamò: “Ehi, Warren! Ciao! Hai un carro libero? Ci sarebbe da recuperare una Viper spettacolare da una scarpata su Placerita Road, al miglio 154. Sì, portati dietro anche Butch, non si sa mai!”

Rena lo fissò accigliata ma non disse nulla e Beau, continuando nella sua chiacchierata, rise sommessamente per poi aggiungere: “Vedi se puoi salvarla. Io le ho dato solo un'occhiatina e mi è parsa messa male, ma la sua proprietaria ci tiene molto e... beh, vedi un po' se riesci a fare la tua solita magia.”

Detto ciò, mise giù e sorrise a mezzo a Rena, che lo stava fissando con aria guardinga e niente affatto tranquilla.

Era evidente quanto la donna poco si fidasse di lui, e Beau in qualche modo ci rimase male.

Sperava davvero che, dopo tanti anni, quella faccenda fosse definitivamente archiviata e che, nonostante tutto, loro potessero parlarsi come due persone civili.

A quanto pareva, però, Rena non era per nulla di quell’avviso.

Incurante della presenza del paramedico, Beau si allungò per avvolgerle una mano con la propria e, sorridendole contrito, mormorò: “Giuro che mi dispiace tantissimo per quella volta, Serena. Cos'altro posso dirti, per convincerti?”

Scivolando via di scatto dalla sua stretta, lei distolse lo sguardo dal pompiere e replicò scocciata: “Non sei stato tu ad aver avuto quella gomma da masticare nei capelli, a dover correre dal parrucchiere per salvare il salvabile, a dover tornare a scuola sotto gli occhi derisori di tutti. Mi bastava ampiamente l’essere trattata a pesci in faccia da metà della scuola, senza dover anche sopportare quello scherzo umiliante!”

Il paramedico ebbe la decenza di non dire nulla, ma fissò con espressione colpevole Beau che, sospirando, reclinò penitente il capo. “Avevo quindici anni, ed ero un idiota.”

E cercavo di salvarti, dopotutto!, aggiunse poi tra sé, cominciando a irritarsi.

Aveva masticato amaro per anni, e solo per darle l’opportunità di diventare forte e coraggiosa a spese sue  e della loro amicizia, cui lui aveva tenuto più del suo stesso cuore.

Ed ora tutte quelle energie – ottenute anche grazie ai suoi silenzi – lei gliele scaricava addosso?

No, c’era qualcosa che non quadrava nell’equilibrio cosmico.

“E' per quello che hai continuato a tormentarmi con la tua cinica indifferenza fino al diploma?” gli replicò gelida lei, tornando a fissarlo con sguardo adamantino.

Beau preferì non aprire bocca.

Al momento, Serena Ingleton, la sua capoclasse per tre anni, la più brava studentessa del suo corso e la figlia del magnate dell'acciaieria sempre prodiga di gentilezze, era furiosa come una biscia.

Meglio non dire nulla, almeno per un po'.

Dopotutto, se anche le avesse detto la verità in quel momento, non gli avrebbe mai creduto.

§§§

Il lettinoo al pronto soccorso in cui l'avevano sistemata era un po' scomodo, ma era nulla in confronto alla scomodità di non poter insultare Beau, che stava parlando con i dottori fin da quando avevano messo piede in ospedale.

Non riusciva a capire bene perché, ma si era preso sulle spalle l'onere di farle da portavoce, quando lei era abbastanza in sé per farlo anche da sola.

I dottori si erano messi quasi subito a parlare con lui della sua situazione medica e, sempre a lui, si erano rivolti dopo ogni responso.

Mancava solo la TAC, poi avrebbero potuto dimetterla e, finalmente, lei si sarebbe liberata della scomoda presenza di Beaurigard Shaw.

L'aveva detestato per parecchio tempo, dopo quel maledetto fattaccio.

Per anni, aveva dovuto sopportare lo scorno di aver visto qualcosa di più in quello che, poi, si era rivelato essere solo uno scherzo molto ben congegnato.

Oh, sì, lei ci era cascata come una pera.

L’amicizia, il suo essere così gentile con lei, l’averle fatto credere che lui, il più bello, il più osannato tra i ragazzi della scuola, avesse scelto la sfigata di turno.

Tutto studiato a tavolino con quella maledetta di Yvette.

Se non altro, dopo quel doloroso tonfo col sedere sul pavimento della vita, si era rialzata più forte e combattiva di prima e, per lo meno, si era fatta delle amiche che erano perdurate negli anni.

E dire che, per un certo periodo, le era anche piaciuto!

Beau era stato bravissimo a farla sentire un’idiota, a ridurle il cuore in pezzi e a farla diffidare di tutto e di tutti.

Chissà quante risate si erano fatti, lui e Yvette, alla fine di quel meraviglioso gioco!

Se non fosse stato che, a quel punto, il suo desiderio di arrivare in fondo al liceo era stato più forte della paura di affrontare la gang di Yvette, avrebbe rinunciato.

E i suoi genitori glielo avrebbero anche concesso.

Ma non avrebbe più avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.

Era ormai cambiata, il liceo l’aveva cambiata, le avversità e la realtà dei fatti, l’avevano plasmata, e grazie a questo aveva proseguito negli studi al SMH.

Alla fine del liceo aveva potuto guardare a testa alta tutti quanti, figli di papà compresi, ma il colpo lo aveva preso, e bello forte.

Nei circoli che aveva visitato dopo l'università – e all’estero, durante il suo tirocinio –  non si era mai pentita di dire di aver studiato in un liceo pubblico.

E, in più occasioni, aveva sottolineato  con gli zii quanto la cugina Cassandra avrebbe avuto bisogno, a suo tempo, di una simile esperienza.

Trovarsi lì con la sua nemesi, però, la fece tornare a quel periodo orribile, in cui si era sentita brutta, bassa, ridicola e sola.

E le riportò alla mente la stupida cotta adolescenziale che aveva avuto per lui.

Vederlo così cambiato, così attento e pronto, così professionale nella sua divisa da pompiere, non faceva che peggiorare la situazione.

Le rammentava con dolorosa ironia tutte le cose che aveva visto in Beau, e che poi si erano rivelate una tremenda bugia.

Voleva andarsene alla svelta, prima di fare un'altra figuraccia tremenda.

Prima che quei ricordi risvegliassero antichi e ingannatori sentimenti.

Quando arrivò l'ennesimo dottore con l'ennesima radiografia, Serena sbuffò quindi infastidita e Beau, volgendosi immediatamente verso di lei, si scusò col dottore per raggiungerla.

“Hai dolore da qualche parte?”

Ancora quel tono accorato, quegli occhi turbati e attenti assieme.

Avrebbe voluto dargli uno schiaffo in faccia solo per evitare che la guardasse ancora, ma sapeva che era un gesto infantile.

Ma quanto le sarebbe piaciuto!

“No, Beau. Ma sono stufa marcia di essere trattata come se stessi morendo” brontolò lei, fissandolo accigliata mentre il dottore si avvicinava con gli esiti della TAC.

“Non sta morendo, questo è sicuro, Miss Ingleton, e la TAC è negativa. E' stata davvero fortunata. Le preparo subito le carte per le dimissioni, così potrà uscire” la informò il dottore, sorridendole.

“Benissimo. Grazie infinite” sospirò di sollievo Rena, scrutando la schiena del dottore nell'allontanarsi.

Non ne voleva sapere di guardare Beau, per quanto sentisse premere i suoi occhi su di lei.

“Ho chiamato tua madre. Sta venendo qui direttamente dal Tribunale. Dovrebbe arrivare a momenti, ormai” la informò a quel punto lui, sorprendendola non poco.

“Cosa? E come diavolo hai... sì, insomma... come facevi a sapere che lei...” balbettò incoerentemente Rena, fissandolo stranita.

Lui le sorrise dolcemente, facendole sorgere un profuso quanto imbarazzante rossore in viso e, con una scrollata di spalle, dichiarò: “Come potevo dimenticarmi di Grace Ingleton Brown, lo Squalo di Los Angeles? La sua arringa nel caso Van Berger è stata eccezionale. Strepitosa, oserei dire.”

“Eri... presente?” esalò lei, sempre più confusa. E rintronata dal suo sguardo.

Ma cos’aveva, negli occhi? Magneti?

“Era un'udienza pubblica” si limitò a dire lui, come se nulla fosse, preferendo di gran lunga non dirle quanto l’avesse cercata, in quegli anni, senza mai avere il coraggio di parlarle. “Pare che Nickolas abbia messo la testa a posto. Sua moglie sembra una che sa il fatto suo.”

“Hannah è una donna in gamba, ed è perfetta per Nick” brontolò Rena, restia a parlare dei suoi migliori amici proprio con lui.

“Per sopravvivere a quel branco di caimani, che i benpensanti chiamano giornalisti, deve per forza essere in gamba” ghignò lui, facendola sorridere suo malgrado.

Non ce la fece proprio. Sorrise.

E Beau se ne accorse, portandolo ad allungare una mano per scostarle un ricciolo ribelle dalla fronte.

“Dovresti sorridere di più... se non ricordo male, a scuola avevi un bellissimo sorriso, proprio come quello di adesso.”

“Portavo l'apparecchio, idiota” sbuffò Rena, scansando la sua mano con uno schiaffetto.

“Non ricordo un simile difetto, su di te” dichiarò lui, facendosi pensoso.

Si grattò il mento, come se stesse effettivamente ripensando a quel periodo e Serena, preferendo evitare che ricordasse quanto fosse poco carina, lo schiaffeggiò ad un braccio.

“Lo ricordo benissimo io. Non c'è bisogno che ti spremi il cervello.”

Beau fece per replicare al riguardo, ma l'arrivo di Grace li interruppe.

La donna si mosse lesta tra i vari letti del pronto soccorso per raggiungere la figlia e, abbracciatala con forza, mormorò contro di lei: “Oh, tesoro! Sono così felice di saperti sana e salva!”

“Sto benissimo, davvero... non preoccuparti. I pompieri mi hanno tirata fuori, e i dottori hanno detto che sto bene. Possiamo andare a casa” la rassicurò lei, dandole affettuose pacche sulle spalle.

Grace allora si scostò per osservare Beau e, sorprendendo la figlia, strinse in un abbraccio anche lui.

“Grazie davvero, Beaurigard. Sono davvero contenta che ci fossi tu, lì con lei.”

Rena strabuzzò gli occhi, sconvolta – che lui le avesse detto al telefono chi era? E poi, perché abbracciarlo come se fosse il figliol prodigo?

Il giovane, nello scostarsi dall'avvocato, le disse a mo' di spiegazione: “Tua madre mi ha difeso un paio di anni fa, per un caso di abuso di potere. Ci siamo incontrati lì, dopo tanti anni.”

“Oh, ma…” tentennò lei, non sapendo bene cosa dire.

Sapeva che i cachet di sua madre erano piuttosto elevati, e non credeva possibile che Beau, essendo un pompiere, potesse permettersi di pagarla, ma preferì non dire nulla.

Le avevano insegnato a non far notare simili sottigliezze, per non offendere la gente.

Anche se, con Beau, era a credito di carinerie.

Grace sorrise al giovane pompiere, come rammentando quel processo in particolare e, annuendo all’uomo, asserì: “Mi ricordo eccome di quel gran… quella carogna di Gregory Llwellyn.”

Beau sogghignò a quel cambio repentino di vocabolo e Rena, curiosa, domandò alla madre che cosa fosse successo.

“E’ semplice, cara. Beaurigard e i suoi colleghi salvarono la vita a quell’idiota, durante un incendio scoppiato nella sua villa… e lui intimò loro i danni per aver rovinato le sue opere d’arte con l’acqua degli idranti. Ovviamente, cercò di corrompere il procuratore distrettuale, che chiamò in giudizio l’intera caserma” le spiegò la madre, sbuffando infastidita al ricordo. “Sai benissimo che, di fronte a casi simili, il mio studio legale lavora pro bono, perciò presi in mano la causa e la vinsi, ovviamente.”

“Non avevo dubbi” dichiarò la figlia, sorridendole fiera.

Beau si esibì in un sorriso sincero quanto grato, che illuminò il suo volto abbronzato e aitante e, allungando una mano in direzione di Grace, asserì: “Ancora grazie. Se non avessimo vinto quella causa, saremmo finiti nei guai tutti quanti.”

“Detesto i bulli. Di ogni genere e sorta” chiosò l’avvocato, sorridendogli generosamente.

A quella frase, Rena sogghignò all’indirizzo di Beau, ma lui non vi fece alcun caso e la donna, per qualche motivo, ne rimase delusa.

Non era giusto che sua madre non sapesse. Anche se ormai era passata una marea d’acqua sotto i ponti, quello sgarbo le pesava ancora tantissimo.

L’ospedale, però, non le pareva il luogo più adatto per parlarne e, quando finalmente poté uscire, non vide l’ora di rimanere sola con sua madre per farle sapere ogni cosa. Non sapeva bene neppure lei perché, quel giorno di tanti anni fa, non aveva ammesso neppure con sua madre chi le avesse fatto quello sgarbo, ma le sembrava sciocco mentire anche quella volta.

Avrebbe saputo.

Forse, quel sorriso così cordiale se lo sarebbe risparmiato per qualcuno maggiormente meritevole, la prossima volta.

Non appena individuò la BMW Serie 5 della madre, Rena vi si fermò accanto e Grace, rivolgendosi a Beau, domandò: “Hai bisogno di uno strappo in caserma?”

“Prenderò un taxi, non si disturbi, Mrs Ingleton.”

Poi, rivoltosi a Rena, disse: “Ti chiamo in ufficio per dirti della Viper.”

Vagamente sorpresa, lei strabuzzò gli occhi e, con tono seccato, sbottò: “E come cavolo fai a sapere dove lavoro, scusa?”

Lui le sorrise con fare divertito e, nell’allontanarsi dalla coppia di donne, le salutò con un cenno della mano.

A mezza voce, poi, asserì: “Ho sempre saputo cosa facevi o dov’eri, Renny.”

Stringendo le mani a pugno, Rena fu sul punto di seguirlo per dirgliene quattro ma Grace la bloccò ad un braccio, dicendole sommessamente: “Fossi in te, salirei in auto prima di fare una figuraccia.”

“Che intendi dire?!” sbottò lei, pur seguendo il suo consiglio. Di malavoglia.

Depositato il soprabito sul sedile posteriore, Grace si mise al volante e osservò con aria di rimprovero la figlia che, con un diavolo per capello, si stava allacciando la cintura di sicurezza.

Dopo essersi immessa nel traffico cittadino, la madre dichiarò: “Non capisco perché tu ti sia comportata in modo così burbero con Beau. ”

“Tu non sai veramente chi è quel tipo! E’ lui che mi ha fatto quell’oscenità con la gomma da masticare, al liceo! E’ lui che mi ha snobbata fino al diploma, quando io ero stata così gentile con lui e la sua famiglia! Lui, che credevo mio amico!” sbraitò Rena, fuori di sé dalla rabbia.

Una lacrima ribelle le sfuggì e lei, stizzita, la asciugò con il dorso della mano.

“Non hai idea di come mi sia sentita, quando mi ha tirata fuori dall’auto! E’ stato come se il tempo si fosse annullato, e lui fosse tornato per tormentarmi!”

“Non ti ha mai tormentata” precisò Grace, sorprendendola.

“Come puoi dirlo? Tu non sai niente di lui. A parte quella volta al molo di Santa Monica, non vi siete più visti, quando lui era un ragazzo!” borbottò incredula Rena, sul chi vive.

“Ti sbagli” replicò la madre, sgomentandola non poco.

“In che senso?” esalò a quel punto Rena, fissandola con occhi sgranati, la mente persa in un caos di punti di domanda giganteschi.

“Il giorno dell’increscioso incidente della gomma, Beau si presentò a casa nostra assieme a Candice, ed insieme spiegarono a tuo padre ciò che era accaduto. Si prese personalmente la colpa per la sorte dei tuoi capelli. Candice fu chiara sull’accaduto, e spiegò a Bart come quella vostra compagna, Yvette, avesse cospirato contro di te.”

Il tono di Grace era serio, quasi accusatorio, quando raccontò alla figlia la verità sul suo passato.

Scrutandone per un attimo il viso accigliato e furente, la donna trovò Rena davvero tenerissima.

Era ovvio quanto quel giovane l’avesse turbata a suo tempo, e quanto la turbasse tutt’ora.

Non era solo uno sciocco ricordo di gioventù, ma molto di più.

“Ebbene? Ti disse anche perché si comportò a quel modo? E perché continuò ad essermi indifferente per il resto del liceo?” volle sapere Rena, restia a crederle.

“Lo fece per evitarti uno sgarbo ben più grosso. Alcune tue compagne volevano rubarti gli abiti durante la lezione di ginnastica, mentre un ragazzo munito di macchina fotografica avrebbe dovuto irrompere nello spogliatoio per documentare la tua nudità. Il che sarebbe stato molto peggio, a mio parere. Beau ideò quella scappatoia su due piedi, così da non darle ulteriori motivi per inventarsi altre oscenità simili.”

Sorridendo nello svoltare dopo una lunga sosta al semaforo, proseguì dicendo: “Scoppiò in lacrime, scusandosi per non aver trovato un modo migliore per salvarti dalle grinfie di Yvette, ma Bart lo tranquillizzò. Fu allora che Beau chiese a tuo padre di farti cambiare scuola, così da liberarti per sempre dalla presenza di quella ragazza.”

Sinceramente sconvolta, Rena gracchiò incredula: “Non… non ci credo.”

“Dubiti della mia parola, tesoro?” ironizzò la madre. “Non mentiva affatto, e neppure Candice. Ci pregò di non dirti nulla perché preferiva ce l’avessi con lui, piuttosto che con certe ragazze del vostro corso. Per questo si allontanò da te, per questo non provò più ad avvicinarsi a te, per questo ti ignorò per tutta la durata del liceo. Ti stava difendendo dagli altri studenti.”

“E… e se avesse fatto come Candice? Lei passò dalla mia parte! Lei… lei stette con me!” balbettò la figlia, ancora incredula. Era finita in un universo parallelo, forse? O era finita in come durante l’incidente, e quello era un incubo dovuto allo shock?

“Un modo come un altro per sopravvivere… per far sopravvivere entrambi. Se lui fosse tornato da te, avresti avuto la forza per ribattere alle cattiverie di Yvette? O ti saresti limitata a rilassarti nel suo abbraccio?”

La madre sospirò leggermente. Lei pure.

“Pensaci bene, prima di rispondere.”

Rena restò in silenzio, soppesando le parole della madre, cercando nei meandri dei suoi ricordi la figura di Beau per associarla al racconto appena ascoltato.

Rivide i suoi brevi sguardi, le volte in cui, apparentemente, le loro strade si incrociarono nei corridoi, gli istanti in cui la sua sola presenza bastò a mandarla in agitazione.

Lui c’era stato. Sempre. E lei non se n’era mai accorta, troppo infuriata e delusa per rendersene conto.

Tutte quelle arrabbiature, quei pianti, quelle giornate passate a lagnarsi… tutto per nulla?!

“Quando Beau seppe che sarei stata io a difenderli in quella causa, mi ricordò chi fosse, e mi fece un mucchio di domande su di te. Volle sapere come tu stessi, se eri sposata, come andava il lavoro. Si dimostrò veramente interessato a conoscere tutto di te” la informò Grace, scivolando abile nel traffico di Los Angeles.

“Basta” singhiozzò a quel punto Rena, tappandosi le orecchie per non sentire altro.

La persona di cui stava parlando sua madre non era il Beaurigard Shaw che lei aveva conosciuto… creduto di conoscere al liceo.

La persona di cui stava parlando sua madre non c’era, nella sua mente.

La persona di cui stava parlando sua madre era il Beau che lei aveva sperato di poter amare per sempre, ma che non si era mai presentato alla sua porta.

Semplicemente, quel Beau non era mai esistito.

Almeno, non fino a quel momento.

“Avremmo dovuto parlare prima, temo” mormorò soltanto Grace, impendendosi di dire altro.

Era evidente quanto, quella promessa, avesse pesato sul cuore della figlia.

Se solo avessero saputo quanto Serena aveva tenuto a Beau, avrebbe parlato molto tempo prima.

Sperava solo che quell’incontro potesse almeno mettere la parola ‘fine’ su quella triste vicenda.

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N.d.A: Ed eccoci finalmente tornati al presente. Cosa vi aspettate che faccia, Rena, ora che sa tutta la verità? E Beau?

  
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