13.
Agosto 2012.
Il cipiglio di Rena si fece più manifesto di secondo
in secondo, passato e futuro che si confondevano dinanzi ai suoi occhi in un
orrendo incubo a occhi aperti.
Beau, imperturbabile come lo ricordava, non le fece
caso e, rivolgendosi ai suoi colleghi sul ciglio della strada, levò un braccio
ed esclamò: “Tutto bene, qui! La signorina è illesa. Ora risaliamo!”
“Faccio da sola” brontolò lei, voltandosi per prendere
la via dell'erta che conduceva su Placerita Road.
“Sei senza scarpe, il terreno è accidentato e potresti
farti male, Serena. Non fare la sciocca” replicò con tutta calma Beau,
afferrandola gentilmente ad un polso per bloccarla.
“Piuttosto, rimango qui a morire, ma non accetterò mai
il tuo aiuto.”
Lei gli ringhiò in faccia, frustandolo con i suoi
occhi verde smeraldo, che mandarono fiamme e scintille. E un lontano dolore mai
sopito del tutto.
Sinceramente sorpreso e, sì, suo malgrado dispiaciuto
che ricordasse i loro trascorsi con tanto livore, l'uomo esalò: “Non puoi
davvero avercela con me dopo così tanti anni! Starai scherzando, spero?!”
A Rena saltarono i nervi.
Si gettò contro Beau a pugni levati e, picchiando con
tutta la forza che aveva contro quel petto deplorevolmente duro, esclamò: “Come
puoi dire questo! Erano i miei
capelli, razza di idiota! E tu me li hai rovinati! Io mi fidavo ciecamente di te, cretino!”
Dei fischi divertiti attirarono la loro attenzione e
Rena, bloccandosi immediatamente, si volse a mezzo e ringhiò furibonda: “Ce n'è
anche per voi, se non la piantate! Io e il vostro collega abbiamo un conto
in...”
Strillando di sorpresa prima che potesse terminare i
suoi insulti, Rena si sentì caricare su una spalla come un sacco di patate e
nulla di quanto fece, o disse, impedì a Beau di arrampicarsi con lei lungo la
scarpata.
Impedendosi di piangere per non dargli anche quella
soddisfazione, si chiuse in un mutismo offeso e, quando finalmente lui la mise
giù, si rifiutò ferocemente di guardarlo.
L’uomo, in compenso, richiamò all'ordine i suoi
uomini, azzittendoli senza tanti complimenti e rispedendoli in fretta alla
base.
Il tono scherzoso era sparito, sostituito da un
autoritario cipiglio che sorprese un poco la donna, abituata a ben altro, da
Beau.
Quando il camion dei pompieri si fu allontanato, lui
tornò da Rena e, rivolgendosi direttamente al paramedico che le stava curando
le abrasioni alle ginocchia, domandò: “Come sta?”
“Le ferite sono lievi, ma la porteremo al Providence
Holy Cross Medical Center per accertamenti. Non possiamo escludere a priori
interessamenti a organi interni o al cervello, visto l’incidente in cui è stata
coinvolta” lo informò il paramedico, applicando una compressa di garza sul
ginocchio.
“Molto bene. Verrò con voi” dichiarò Beau, gelando con
uno sguardo di giada qualsiasi protesta di Rena.
Lei avrebbe di gran lunga preferito che se ne fosse
andato assieme ai suoi colleghi ma, di fronte a una simile presa di posizione,
non riuscì ad aprire bocca.
Ai paramedici non causò alcun problema e, dopo aver
caricato la donna sulla barella, salirono in ambulanza e iniziarono la discesa
lunga e piena di curve in direzione di Los Angeles.
Afferrato il cellulare da una delle tasche interne
alla giacca ignifuga, Beau digitò un numero breve e, con un mezzo sorriso,
esclamò: “Ehi, Warren! Ciao! Hai un carro libero? Ci sarebbe da recuperare una
Viper spettacolare da una scarpata su Placerita Road, al miglio 154. Sì,
portati dietro anche Butch, non si sa mai!”
Rena lo fissò accigliata ma non disse nulla e Beau,
continuando nella sua chiacchierata, rise sommessamente per poi aggiungere:
“Vedi se puoi salvarla. Io le ho dato solo un'occhiatina e mi è parsa messa
male, ma la sua proprietaria ci tiene molto e... beh, vedi un po' se riesci a
fare la tua solita magia.”
Detto ciò, mise giù e sorrise a mezzo a Rena, che lo
stava fissando con aria guardinga e niente affatto tranquilla.
Era evidente quanto la donna poco si fidasse di lui, e
Beau in qualche modo ci rimase male.
Sperava davvero che, dopo tanti anni, quella faccenda
fosse definitivamente archiviata e che, nonostante tutto, loro potessero
parlarsi come due persone civili.
A quanto pareva, però, Rena non era per nulla di quell’avviso.
Incurante della presenza del paramedico, Beau si
allungò per avvolgerle una mano con la propria e, sorridendole contrito,
mormorò: “Giuro che mi dispiace tantissimo per quella volta, Serena. Cos'altro
posso dirti, per convincerti?”
Scivolando via di scatto dalla sua stretta, lei
distolse lo sguardo dal pompiere e replicò scocciata: “Non sei stato tu ad aver
avuto quella gomma da masticare nei capelli, a dover correre dal parrucchiere
per salvare il salvabile, a dover tornare a scuola sotto gli occhi derisori di
tutti. Mi bastava ampiamente l’essere trattata a pesci in faccia da metà della
scuola, senza dover anche sopportare quello scherzo umiliante!”
Il paramedico ebbe la decenza di non dire nulla, ma
fissò con espressione colpevole Beau che, sospirando, reclinò penitente il capo.
“Avevo quindici anni, ed ero un idiota.”
E
cercavo di salvarti, dopotutto!, aggiunse poi tra sé, cominciando a irritarsi.
Aveva masticato amaro per anni, e solo per darle l’opportunità di diventare forte e
coraggiosa a spese sue e della loro amicizia, cui lui aveva tenuto
più del suo stesso cuore.
Ed ora tutte quelle energie – ottenute anche grazie ai
suoi silenzi – lei gliele scaricava addosso?
No, c’era qualcosa che non quadrava nell’equilibrio
cosmico.
“E' per quello che hai continuato a tormentarmi con la
tua cinica indifferenza fino al diploma?” gli replicò gelida lei, tornando a
fissarlo con sguardo adamantino.
Beau preferì non aprire bocca.
Al momento, Serena Ingleton, la sua capoclasse per tre
anni, la più brava studentessa del suo corso e la figlia del magnate
dell'acciaieria sempre prodiga di gentilezze, era furiosa come una biscia.
Meglio non dire nulla, almeno per un po'.
Dopotutto, se anche le avesse detto la verità in quel
momento, non gli avrebbe mai creduto.
§§§
Il lettinoo al pronto soccorso in cui l'avevano
sistemata era un po' scomodo, ma era nulla in confronto alla scomodità di non
poter insultare Beau, che stava parlando con i dottori fin da quando avevano
messo piede in ospedale.
Non riusciva a capire bene perché, ma si era preso
sulle spalle l'onere di farle da portavoce, quando lei era abbastanza in sé per
farlo anche da sola.
I dottori si erano messi quasi subito a parlare con
lui della sua situazione medica e, sempre
a lui, si erano rivolti dopo ogni responso.
Mancava solo la TAC, poi avrebbero potuto dimetterla
e, finalmente, lei si sarebbe liberata della scomoda presenza di Beaurigard
Shaw.
L'aveva detestato per parecchio tempo, dopo quel maledetto fattaccio.
Per anni, aveva dovuto sopportare lo scorno di aver
visto qualcosa di più in quello che, poi, si era rivelato essere solo uno
scherzo molto ben congegnato.
Oh, sì, lei ci era cascata come una pera.
L’amicizia, il suo essere così gentile con lei,
l’averle fatto credere che lui, il
più bello, il più osannato tra i ragazzi della scuola, avesse scelto la sfigata
di turno.
Tutto studiato a tavolino con quella maledetta di
Yvette.
Se non altro, dopo quel doloroso tonfo col sedere sul
pavimento della vita, si era rialzata più forte e combattiva di prima e, per lo
meno, si era fatta delle amiche che erano perdurate negli anni.
E dire che, per un certo periodo, le era anche
piaciuto!
Beau era stato bravissimo a farla sentire un’idiota, a
ridurle il cuore in pezzi e a farla diffidare di tutto e di tutti.
Chissà quante risate si erano fatti, lui e Yvette,
alla fine di quel meraviglioso gioco!
Se non fosse stato che, a quel punto, il suo desiderio
di arrivare in fondo al liceo era stato più forte della paura di affrontare la
gang di Yvette, avrebbe rinunciato.
E i suoi genitori glielo avrebbero anche concesso.
Ma non avrebbe più avuto il coraggio di guardarsi allo
specchio.
Era ormai cambiata, il liceo l’aveva cambiata, le avversità
e la realtà dei fatti, l’avevano plasmata, e grazie a questo aveva proseguito
negli studi al SMH.
Alla fine del liceo aveva potuto guardare a testa alta
tutti quanti, figli di papà compresi, ma il colpo lo aveva preso, e bello
forte.
Nei circoli che aveva visitato dopo l'università – e
all’estero, durante il suo tirocinio – non si era mai pentita di dire di aver
studiato in un liceo pubblico.
E, in più occasioni, aveva sottolineato con gli zii quanto la cugina Cassandra avrebbe
avuto bisogno, a suo tempo, di una simile esperienza.
Trovarsi lì con la sua nemesi, però, la fece tornare a
quel periodo orribile, in cui si era sentita brutta, bassa, ridicola e sola.
E le riportò alla mente la stupida cotta
adolescenziale che aveva avuto per lui.
Vederlo così cambiato, così attento e pronto, così
professionale nella sua divisa da pompiere, non faceva che peggiorare la
situazione.
Le rammentava con dolorosa ironia tutte le cose che aveva
visto in Beau, e che poi si erano rivelate una tremenda bugia.
Voleva andarsene alla svelta, prima di fare un'altra
figuraccia tremenda.
Prima che quei ricordi risvegliassero antichi e
ingannatori sentimenti.
Quando arrivò l'ennesimo dottore con l'ennesima
radiografia, Serena sbuffò quindi infastidita e Beau, volgendosi immediatamente
verso di lei, si scusò col dottore per raggiungerla.
“Hai dolore da qualche parte?”
Ancora quel tono accorato, quegli occhi turbati e
attenti assieme.
Avrebbe voluto dargli uno schiaffo in faccia solo per
evitare che la guardasse ancora, ma sapeva che era un gesto infantile.
Ma quanto le sarebbe piaciuto!
“No, Beau. Ma sono stufa marcia di essere trattata
come se stessi morendo” brontolò lei, fissandolo accigliata mentre il dottore
si avvicinava con gli esiti della TAC.
“Non sta morendo, questo è sicuro, Miss Ingleton, e la
TAC è negativa. E' stata davvero fortunata. Le preparo subito le carte per le
dimissioni, così potrà uscire” la informò il dottore, sorridendole.
“Benissimo. Grazie infinite” sospirò di sollievo Rena,
scrutando la schiena del dottore nell'allontanarsi.
Non ne voleva sapere di guardare Beau, per quanto
sentisse premere i suoi occhi su di lei.
“Ho chiamato tua madre. Sta venendo qui direttamente
dal Tribunale. Dovrebbe arrivare a momenti, ormai” la informò a quel punto lui,
sorprendendola non poco.
“Cosa? E come diavolo hai... sì, insomma... come
facevi a sapere che lei...” balbettò incoerentemente Rena, fissandolo stranita.
Lui le sorrise dolcemente, facendole sorgere un
profuso quanto imbarazzante rossore in viso e, con una scrollata di spalle,
dichiarò: “Come potevo dimenticarmi di Grace Ingleton Brown, lo Squalo di Los
Angeles? La sua arringa nel caso Van Berger è stata eccezionale. Strepitosa,
oserei dire.”
“Eri... presente?” esalò lei, sempre più confusa. E
rintronata dal suo sguardo.
Ma cos’aveva, negli occhi? Magneti?
“Era un'udienza pubblica” si limitò a dire lui, come
se nulla fosse, preferendo di gran lunga non dirle quanto l’avesse cercata, in quegli anni, senza mai avere il
coraggio di parlarle. “Pare che Nickolas abbia messo la testa a posto. Sua
moglie sembra una che sa il fatto suo.”
“Hannah è una donna in gamba, ed è perfetta per Nick”
brontolò Rena, restia a parlare dei suoi migliori amici proprio con lui.
“Per sopravvivere a quel branco di caimani, che i
benpensanti chiamano giornalisti, deve per forza essere in gamba” ghignò lui,
facendola sorridere suo malgrado.
Non ce la fece proprio. Sorrise.
E Beau se ne accorse, portandolo ad allungare una mano
per scostarle un ricciolo ribelle dalla fronte.
“Dovresti sorridere di più... se non ricordo male, a
scuola avevi un bellissimo sorriso, proprio come quello di adesso.”
“Portavo l'apparecchio, idiota” sbuffò Rena, scansando
la sua mano con uno schiaffetto.
“Non ricordo un simile difetto, su di te” dichiarò
lui, facendosi pensoso.
Si grattò il mento, come se stesse effettivamente
ripensando a quel periodo e Serena, preferendo evitare che ricordasse quanto
fosse poco carina, lo schiaffeggiò ad un braccio.
“Lo ricordo benissimo io. Non c'è bisogno che ti
spremi il cervello.”
Beau fece per replicare al riguardo, ma l'arrivo di
Grace li interruppe.
La donna si mosse lesta tra i vari letti del pronto
soccorso per raggiungere la figlia e, abbracciatala con forza, mormorò contro
di lei: “Oh, tesoro! Sono così felice di saperti sana e salva!”
“Sto benissimo, davvero... non preoccuparti. I
pompieri mi hanno tirata fuori, e i dottori hanno detto che sto bene. Possiamo
andare a casa” la rassicurò lei, dandole affettuose pacche sulle spalle.
Grace allora si scostò per osservare Beau e,
sorprendendo la figlia, strinse in un abbraccio anche lui.
“Grazie davvero, Beaurigard. Sono davvero contenta che
ci fossi tu, lì con lei.”
Rena strabuzzò gli occhi, sconvolta – che lui le
avesse detto al telefono chi era? E poi, perché abbracciarlo come se fosse il
figliol prodigo?
Il giovane, nello scostarsi dall'avvocato, le disse a
mo' di spiegazione: “Tua madre mi ha difeso un paio di anni fa, per un caso di
abuso di potere. Ci siamo incontrati lì, dopo tanti anni.”
“Oh, ma…” tentennò lei, non sapendo bene cosa dire.
Sapeva che i cachet
di sua madre erano piuttosto elevati, e non credeva possibile che Beau, essendo
un pompiere, potesse permettersi di pagarla, ma preferì non dire nulla.
Le avevano insegnato a non far notare simili
sottigliezze, per non offendere la gente.
Anche se, con Beau, era a credito di carinerie.
Grace sorrise al giovane pompiere, come rammentando
quel processo in particolare e, annuendo all’uomo, asserì: “Mi ricordo eccome
di quel gran… quella carogna di Gregory Llwellyn.”
Beau sogghignò a quel cambio repentino di vocabolo e
Rena, curiosa, domandò alla madre che cosa fosse successo.
“E’ semplice, cara. Beaurigard e i suoi colleghi
salvarono la vita a quell’idiota, durante un incendio scoppiato nella sua
villa… e lui intimò loro i danni per aver rovinato le sue opere d’arte con
l’acqua degli idranti. Ovviamente, cercò di corrompere il procuratore
distrettuale, che chiamò in giudizio l’intera caserma” le spiegò la madre,
sbuffando infastidita al ricordo. “Sai benissimo che, di fronte a casi simili,
il mio studio legale lavora pro bono,
perciò presi in mano la causa e la vinsi, ovviamente.”
“Non avevo dubbi” dichiarò la figlia, sorridendole
fiera.
Beau si esibì in un sorriso sincero quanto grato, che
illuminò il suo volto abbronzato e aitante e, allungando una mano in direzione
di Grace, asserì: “Ancora grazie. Se non avessimo vinto quella causa, saremmo
finiti nei guai tutti quanti.”
“Detesto i bulli. Di ogni genere e sorta” chiosò
l’avvocato, sorridendogli generosamente.
A quella frase, Rena sogghignò all’indirizzo di Beau,
ma lui non vi fece alcun caso e la donna, per qualche motivo, ne rimase delusa.
Non era giusto che sua madre non sapesse. Anche se
ormai era passata una marea d’acqua sotto i ponti, quello sgarbo le pesava
ancora tantissimo.
L’ospedale, però, non le pareva il luogo più adatto
per parlarne e, quando finalmente poté uscire, non vide l’ora di rimanere sola
con sua madre per farle sapere ogni cosa. Non sapeva bene neppure lei perché,
quel giorno di tanti anni fa, non aveva ammesso neppure con sua madre chi le avesse fatto quello sgarbo, ma le
sembrava sciocco mentire anche quella volta.
Avrebbe saputo.
Forse, quel sorriso così cordiale se lo sarebbe
risparmiato per qualcuno maggiormente meritevole, la prossima volta.
Non appena individuò la BMW Serie 5 della madre, Rena
vi si fermò accanto e Grace, rivolgendosi a Beau, domandò: “Hai bisogno di uno
strappo in caserma?”
“Prenderò un taxi, non si disturbi, Mrs Ingleton.”
Poi, rivoltosi a Rena, disse: “Ti chiamo in ufficio
per dirti della Viper.”
Vagamente sorpresa, lei strabuzzò gli occhi e, con
tono seccato, sbottò: “E come cavolo fai a sapere dove lavoro, scusa?”
Lui le sorrise con fare divertito e, nell’allontanarsi
dalla coppia di donne, le salutò con un cenno della mano.
A mezza voce, poi, asserì: “Ho sempre saputo cosa
facevi o dov’eri, Renny.”
Stringendo le mani a pugno, Rena fu sul punto di
seguirlo per dirgliene quattro ma Grace la bloccò ad un braccio, dicendole
sommessamente: “Fossi in te, salirei in auto prima di fare una figuraccia.”
“Che intendi dire?!” sbottò lei, pur seguendo il suo
consiglio. Di malavoglia.
Depositato il soprabito sul sedile posteriore, Grace
si mise al volante e osservò con aria di rimprovero la figlia che, con un
diavolo per capello, si stava allacciando la cintura di sicurezza.
Dopo essersi immessa nel traffico cittadino, la madre
dichiarò: “Non capisco perché tu ti sia comportata in modo così burbero con
Beau. ”
“Tu non sai veramente
chi è quel tipo! E’ lui che mi ha fatto quell’oscenità con la gomma da
masticare, al liceo! E’ lui che mi ha snobbata fino al diploma, quando io ero
stata così gentile con lui e la sua famiglia! Lui, che credevo mio amico!”
sbraitò Rena, fuori di sé dalla rabbia.
Una lacrima ribelle le sfuggì e lei, stizzita, la
asciugò con il dorso della mano.
“Non hai idea di come mi sia sentita, quando mi ha
tirata fuori dall’auto! E’ stato come se il tempo si fosse annullato, e lui
fosse tornato per tormentarmi!”
“Non ti ha mai tormentata” precisò Grace,
sorprendendola.
“Come puoi dirlo? Tu non sai niente di lui. A parte
quella volta al molo di Santa Monica, non vi siete più visti, quando lui era un
ragazzo!” borbottò incredula Rena, sul chi vive.
“Ti sbagli” replicò la madre, sgomentandola non poco.
“In che senso?” esalò a quel punto Rena, fissandola
con occhi sgranati, la mente persa in un caos di punti di domanda giganteschi.
“Il giorno dell’increscioso incidente della gomma,
Beau si presentò a casa nostra assieme a Candice, ed insieme spiegarono a tuo
padre ciò che era accaduto. Si prese personalmente la colpa per la sorte dei
tuoi capelli. Candice fu chiara sull’accaduto, e spiegò a Bart come quella
vostra compagna, Yvette, avesse cospirato contro di te.”
Il tono di Grace era serio, quasi accusatorio, quando
raccontò alla figlia la verità sul suo passato.
Scrutandone per un attimo il viso accigliato e
furente, la donna trovò Rena davvero tenerissima.
Era ovvio quanto quel giovane l’avesse turbata a suo
tempo, e quanto la turbasse tutt’ora.
Non era solo uno sciocco ricordo di gioventù, ma molto
di più.
“Ebbene? Ti disse anche perché si comportò a quel
modo? E perché continuò ad essermi indifferente per il resto del liceo?” volle
sapere Rena, restia a crederle.
“Lo fece per evitarti uno sgarbo ben più grosso.
Alcune tue compagne volevano rubarti gli abiti durante la lezione di
ginnastica, mentre un ragazzo munito di macchina fotografica avrebbe dovuto
irrompere nello spogliatoio per documentare la tua nudità. Il che sarebbe stato
molto peggio, a mio parere. Beau ideò
quella scappatoia su due piedi, così da non darle ulteriori motivi per
inventarsi altre oscenità simili.”
Sorridendo nello svoltare dopo una lunga sosta al
semaforo, proseguì dicendo: “Scoppiò in lacrime, scusandosi per non aver
trovato un modo migliore per salvarti dalle grinfie di Yvette, ma Bart lo
tranquillizzò. Fu allora che Beau chiese a tuo padre di farti cambiare scuola,
così da liberarti per sempre dalla presenza di quella ragazza.”
Sinceramente sconvolta, Rena gracchiò incredula: “Non…
non ci credo.”
“Dubiti della mia parola, tesoro?” ironizzò la madre.
“Non mentiva affatto, e neppure Candice. Ci pregò di non dirti nulla perché
preferiva ce l’avessi con lui, piuttosto che con certe ragazze del vostro
corso. Per questo si allontanò da te,
per questo non provò più ad
avvicinarsi a te, per questo ti
ignorò per tutta la durata del liceo. Ti stava difendendo dagli altri studenti.”
“E… e se avesse fatto come Candice? Lei passò dalla
mia parte! Lei… lei stette con me!” balbettò la figlia, ancora incredula. Era
finita in un universo parallelo, forse? O era finita in come durante
l’incidente, e quello era un incubo dovuto allo shock?
“Un modo come un altro per sopravvivere… per far
sopravvivere entrambi. Se lui fosse
tornato da te, avresti avuto la forza per ribattere alle cattiverie di Yvette?
O ti saresti limitata a rilassarti nel suo abbraccio?”
La madre sospirò leggermente. Lei pure.
“Pensaci bene, prima di rispondere.”
Rena restò in silenzio, soppesando le parole della
madre, cercando nei meandri dei suoi ricordi la figura di Beau per associarla
al racconto appena ascoltato.
Rivide i suoi brevi sguardi, le volte in cui,
apparentemente, le loro strade si incrociarono nei corridoi, gli istanti in cui
la sua sola presenza bastò a mandarla in agitazione.
Lui c’era stato. Sempre. E lei non se n’era mai
accorta, troppo infuriata e delusa per rendersene conto.
Tutte quelle arrabbiature, quei pianti, quelle
giornate passate a lagnarsi… tutto per nulla?!
“Quando Beau seppe che sarei stata io a difenderli in
quella causa, mi ricordò chi fosse, e mi fece un mucchio di domande su di te.
Volle sapere come tu stessi, se eri sposata, come andava il lavoro. Si dimostrò
veramente interessato a conoscere
tutto di te” la informò Grace, scivolando abile nel traffico di Los Angeles.
“Basta” singhiozzò a quel punto Rena, tappandosi le
orecchie per non sentire altro.
La persona di cui stava parlando sua madre non era il
Beaurigard Shaw che lei aveva conosciuto… creduto
di conoscere al liceo.
La persona di cui stava parlando sua madre non c’era,
nella sua mente.
La persona di cui stava parlando sua madre era il Beau
che lei aveva sperato di poter amare
per sempre, ma che non si era mai presentato alla sua porta.
Semplicemente, quel Beau non era mai esistito.
Almeno, non fino a quel momento.
“Avremmo dovuto parlare prima, temo” mormorò soltanto
Grace, impendendosi di dire altro.
Era evidente quanto, quella promessa, avesse pesato
sul cuore della figlia.
Se solo avessero saputo quanto Serena aveva tenuto a Beau, avrebbe parlato molto tempo
prima.
Sperava solo che quell’incontro potesse almeno mettere la parola ‘fine’ su quella triste vicenda.
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N.d.A: Ed eccoci finalmente tornati al presente. Cosa vi aspettate che faccia, Rena, ora che sa tutta la verità? E Beau?